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mercoledì 31 ottobre 2018

La cattura del gatto [Note (77)]

Le teorie sistemiche operano una semplificazione della complessità della realtà, maliziosamente si potrebbe pensare addirittura ad una banalizzazione, ma resta l’utilità cognitiva di certe operazioni di schematizzazione, a patto di non dimenticare la fonte dei nostri schemi, la sua meravigliosa e sconcertante variabilità e mutevolezza. La complessità non nasconde il meccanismo, lo costituisce. Dio e il Diavolo giocano a rimpiattino tra i dettagli!

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La critica alla tradizione socialdemocratica, intorno all’esclusività del lavoro e alla disattenzione per le altre sfere sociali, è fondata perché il nocciolo del lavoro è stato lasciato senza la polpa delle relazioni sociali, senza quello che fa del lavoro un momento di aggregazione e di riconoscimento sociale. Il lavoro è stato difeso ma come mezzo di partecipazione alle spese e ai consumi, non come attività di costruzione della comunità civile. Proprio per questo però la critica è, allo stesso tempo infondata, perché l’impoverimento del lavoro perseguito in maniera sistematica a partire dagli anni ottanta anche a sinistra, l’abbandono delle istanze morali che questo comporta da parte di una socialdemocrazia compiacente ai meccanismi economici, in una sorta di euforia planetaria, ha posto al centro del controbilanciamento al capitalismo qualcosa che continua a chiamarsi lavoro ma che è molto simile a una merce particolare solo perché consente di acquistare altre merci.

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Non ricordo chi, forse Popper, forse Bobbio, affermava che la democrazia è un metodo per sostituire i governanti senza spargimento di sangue. Procedendo per analogie, il discorso scientifico, anch’esso possibile solo democraticamente, costituisce una sorta di sublimazione della violenza sostituendo all’eliminazione degli uomini l’eliminazione delle idee (K. Lorenz, nel contesto evolutivo la nascita del pensiero è la sostituzione delle ipotesi all’esperienza concreta, perisce l’ipotesi, non il soggetto). A molti appariranno lontani i tempi in cui le cose del mondo avevano una certa consistenza!

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Esempio di inappellabile razionalità in un sistema folle: convocazione alle assemblee condominiali. Prima convocazione in orario improponibile per ogni essere razionale, ad esempio le 5 del mattino, possibilmente di domenica, seconda convocazione in orario post lavorativo di un giorno feriale. La ragione di tutto ciò è perfettamente coerente e ligia alla normativa, solo in seconda convocazione l’assemblea può avere luogo senza la maggioranza dei condomini, quasi sempre impossibile da raggiungere. Bene, ma non sarebbe più consono a esseri autenticamente razionali, e magari anche rispettosi della propria intelligenza, formulare, produrre e condividere una norma che dicesse che si dà una sola convocazione, con largo anticipo, chi c’è c’è?

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Dio, così come è stato concepito nella tradizione cattolica, non può avere natura etica, ha l’eternità a disposizione e la storia che rivolge gli eventi vestendoli degli abiti bisunti della ragione e dello scopo. L’uomo, inteso come individuo, ha un tempo limitato e nella sua biografia ha a disposizione un numero limitato di scelte, se non sono buone scelte non sempre ha modo di riparare!
Preferisco l’uomo, nella sua debolezza, nella sua imperfezione, nella sua costante tensione e incertezza al Dio eterno e perfetto della tradizione cattolica.

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Un insospettabile campione del postmodernismo, o della sua caricatura, è proprio Benedetto XVI. Suo malgrado e nonostante l’impegno del suo pontificato. Del resto, cos’altro ci si potrebbe aspettare se una figura autorevole per antonomasia viene puntualmente smentita il giorno dopo una grande dichiarazione? Non per mancanza di rispetto da parte dei suoi detrattori ma per mancanza di fondamento delle sue affermazioni! Per smontare le tesi di Marx ci sono voluti quasi duecento anni, quelle di Platone e Agostino, di Aristotele e Tommaso scricchiolano ma durano ancora, Hegel ha stabilito regole immortali, ai limiti della tautologia! Qualcuno ha detto di Cartesio che la filosofia dopo di lui e fino ai nostri giorni, è stato un immenso lavoro per capire i suoi errori.
Oggi bastano due giorni o meno per accorgersi dei vizi di pensiero di un grande intellettuale! Il relativismo, quello caricaturale, l’unico di cui ci si dovrebbe lamentare, è il prodotto più subdolo che Benedetto XVI ci sta regalando!

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La gigantesca crisi finanziaria del 2007-2008 era tutt’altro che imprevista. Cosa ci si aspettava da un mercato che dagli anni ottanta ha deciso di liberarsi da ogni vincolo di etica pubblica e che da sempre si dice libero dall’etica ambientale? La rete di relazioni che ci lega non permette in alcun modo di prescindere dalla dimensione pubblica dell’economia, sia pure senza pensare alle soluzioni devastanti di inizio secolo scorso. La finitezza delle risorse naturali non consente in alcun modo di concepire un sistema di crescita continua e inarrestabile. L’uomo, si sa, si distingue dall’animale perché in grado di trascendere, forse in seguito ai facili rovesciamenti semantici si sta distinguendo perché in grado di trasalire.
“La misura, se non ce l’hai verrà da sola”, “risparmia quando la madia è piena, perché quando vedi il fondo non c’è più nulla da risparmiare”. Un contadino semianalfabeta dello scorso millennio che ancora porto dentro sapeva molto di più di molti economisti di oggi. Cultura contadina, si dirà, roba d’altri tempi, certo. La cultura contadina è sparita, come molte altre sottoculture per azioni esterne ad essa. Da dove verranno le azioni che faranno sparire la cultura di oggi?

La crisi poteva essere un’occasione per rivedere qualcuno dei paradigmi dominanti della nostra società, primo tra tutti quello del consumo. Invece l’unica strada per superarla è incentivare i consumi. Se questo poteva andare bene per Roosevelt, ho qualche perplessità sulla sua efficacia oggi, dopo la consapevolezza del depauperamento delle risorse naturali, dopo la consapevolezza dei limiti dello sviluppo (traduzione impropria del famoso rapporto del MIT del 1972).

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Guerre di religione, non sono convinto che la causa profonda degli scontri tra i popoli sia da ricondurre al desiderio del divino, sublimazione del limite esistenziale. Fosse così varrebbe l’eliminazione della religione per risolvere i conflitti ed emancipare l’uomo ma così non è stato, questo è stato l’errore dei grandi pensatori dell’800 e inizio 900 Feuerbach, Marx, Nietzsche, Freud.
Indubbiamente ogni proiezione idealistica, e la religione non si sottrae a questa definizione, si presta ad assolutizzazioni pericolose. C’è un nocciolo più elementare che muove l’uomo alla guerra, qualcosa di più antico, di più facile.

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Categoria filosofica del razionale, da 400 anni se ne parla ma da milioni di anni il nostro cervello se ne infischia e va avanti con la modesta categoria del ragionevole. Ci sono buone probabilità che continui ancora a farlo in barba ai nostri discorsi e alle ‘idee chiare e distinte’.

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Che la fatica sia essenziale per il piacere non è un retaggio della cultura cattolica, semmai potremmo leggere questa come una degenerazione vittimistica di qualcosa di molto più originario. La fatica trasferisce qualcosa di noi nell’oggetto desiderato, nell’opera compiuta, è questo fecondare di noi qualcosa d’altro da noi che rende la fatica essenziale al piacere. La fatica ci dà il senso del tempo impiegato a trasferirci altrove, a essere altro. L’uomo, come ogni essere vivente, è creatura che vive nel tempo e di tempo. L’azzeramento del tempo nel compimento delle opere umane sembra una conquista ma il rovescio della medaglia è spogliarlo del piacere di godere del tempo impiegato a trasferire qualcosa di sé altrove.

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