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mercoledì 30 novembre 2011

Altre note

In quello che segue intendo aggiungere qualche chiarimento a quanto scrivevo in questo post e dare risposta ai commenti ricevuti. Poiché il testo supera le dimensioni di un commento preferisco dedicare un post a sé.

Chiariamo subito un paio di punti. In un sistema democratico i valori non negoziabili sono quelli sanciti nei principi fondamentali delle Costituzioni, risultato a loro volta di una negoziazione storica circa la non negoziabilità degli stessi o le modalità di negoziazione. Il resto discende da quei principi. Qui la negoziazione assume valore più ampio del banale mercanteggiare e include il faticoso e continuo processo di riconoscimento della comune esperienza umana. Per usare le parole di Zagrebelsky “La democrazia è relativistica, non assolutistica. Essa, come istituzione d’insieme e come potere che da essa promana, non ha fedi o valori assoluti da difendere, a eccezione di quelli sui quali essa stessa si basa: nei confronti dei principi democratici, la pratica democratica non può essere relativistica.”, Imparare democrazia, Einaudi, 2007.
Per quanto riguarda il relativismo etico, io lo rivendico come la più grande conquista della coscienza politica e sociale, innanzitutto perché quello che intendo io non ha nulla a che fare con le caricature domenicali delle omelie da balcone e con il “faccio quello che mi pare”, è qualcosa di molto più complesso e impegnativo, e poi perché il contraltare al relativismo è l’assolutismo che porta inevitabilmente alle degenerazioni di uno stato etico. Se ci sono valori non negoziabili, chi sarà l’interprete di tali valori? Quale autorità si assumerà l’incarico di dettarli e renderli obbligatori per tutti? Rispondere a queste domande prescindendo da quella forma di governo discutidora che è la democrazia porta inevitabilmente all’assolutismo etico. Se il freno alla degenerazione del relativismo etico è esattamente quella negoziazione che si vuole negare io non vedo freno all'assolutismo etico che non sia il rovesciamento violento di chi si arroga la prerogativa di ergersi a guida.
Quindi, per farla breve, invece di essere una soluzione la proposta che arriva dai quattro intellettuali per affrontare l’emergenza antropologica che sta alla radice della crisi della democrazia si candida ad essere un raffinatissimo colpo di grazia alla democrazia oltre a sancire la fine della sinistra. Spero di sbagliarmi.

Simone, ha ragione - magari successivamente se mi da del tu lo scambio sarà meno formale! - quando dice che la democrazia è in crisi perche è in crisi lo Stato nazionale di stampo ottocentesco, sebbene io non l’abbia detto esplicitamente citavo il libro di Crouch in cui quella tesi è esposta. Da questo punto di vista meritano attenzione quei fattori transnazionali di natura economica che caratterizzano la globalizzazione, per intendersi, le attività commerciali e finanziarie che sfuggono al controllo politico degli Stati nazionali. Considerato questo lo Stato nazionale ottocentesco, una volta privato del valore che dava ai confini nazionali e di quanto di deleterio discendeva da questo, potrebbe essere preso a modello per costruire una politica mondiale che abbia il primato sull’economia.
Rispondo alla domanda su “chiesa , papi e teologi”. Io considero il dialogo un valore imprescindibile, purché si svolga su temi e con modalità che non neghino il dialogo stesso, quindi sì, sono convinto che i nomi che ho fatto siano interlocutori credibili per uno stato laico. Questo è cosa diversa dal pensare o, peggio, desiderare che quelle persone la pensino esattamente come me riguardo a temi scientifici o etici. So benissimo cosa Küng o Mancuso dicano dell’evoluzionismo darwiniano ma nel loro caso, poiché la loro presenza nel panorama culturale non si limita a questo, posso semplicemente sospendere il mio giudizio riguardo questi temi soffermandomi invece sul resto del loro pensiero. Ancor meno posso pretendere che Giovanni XXIII avesse le stesse posizioni in tema di morale sessuale che ho io ma questo nulla toglie al Papa che ha dato avvio al Concilio Vaticano II. Non è una faccenda di “carisma”, non so proprio che farmene del carisma, si dice che il precedente pontefice ne fosse un campione ma non penso certamente a lui quando penso a una Chiesa che vuole essere voce davvero ecumenica, al di là dei raduni oceanici di giovani inneggianti ai sacri valori della Chiesa e che il giorno dopo lasciano distese di preservativi a imperitura testimonianza del rigore del loro pensiero.
“Infine ma siamo veramente sicuri che sia insopprimibile il senso del trascendente nell’uomo?” Io direi che diversi millenni di storia umana, e non parlo solo degli ultimi due, mi dicono che è così. Tra l’altro ultimamente il tentativo di sopprimere quel bisogno è stato piuttosto fallimentare, lei che ne dice Simone? Qui non c’entrano le mie personali posizioni, non ho alcuna intenzione di fare del mio ateismo una religione, già ne vedo troppe in giro e questa sarebbe la più stupida. Parlando con una mia amica di questi argomenti mi ha consigliato un libro, Del buon uso della religione. Una guida per i non credenti di Alain De Botton, consiglio che rigiro volentieri.
In quanto al trascendente intendiamoci, c’è una trascendenza pre-umana, ovvero un trascendente che precede l’umano, e una trascendenza post-umana, che origina dall’umano. Per quanto io guardi con molto sospetto la prima, di cui ahimè non colgo traccia, ho una enorme considerazione della seconda nella quale ci metto l’arte, la poesia, la stessa religione, il bisogno di conoscere il passato e l’ansia di conoscere il futuro, insomma tutto quello che fa dell’uomo colui che desidera il desiderio, come diceva Hegel. Per cui se qualcuno mi chiedesse se credo in Dio, io risponderei come quel Rubinstein citato in Il pendolo di Foucault di U. Eco “Oh no, io credo... in qualcosa di molto più grande...”, come già ebbi modo di dire qui.

Andrea Petrocchi, molto spesso parlare di morte delle ideologie rivela una sofferenza delle idee davvero sconcertante. Sono d’accordo con te, la cosiddetta morte delle ideologie dell’89 è stato uno spartiacque non ancora del tutto elaborato a sinistra, e si tratta dell'elaborazione di un lutto. La sinistra europea si è fatta cucire addosso un vestito di Medea del quale non si è ancora liberata ed è sulla scia di questa operazione assurda che agisce uno psicopatico ormai rancido che blatera ancora di comunisti all'assalto dei beni privati di cui l'Italia sarebbe a questo punto l'ultimo covo! Nel tentativo di togliersi quel vestito la sinistra ha fatto di tutto per abdicare da sé stessa e quell'abdicazione continua ancora. Io la vedo all'opera anche in questi giorni, almeno in Italia, con quel provvedimento assurdo che è il pareggio di bilancio in Costituzione di cui si discute in questi giorni alla Camera dei Deputati. Per sommo paradosso della storia la peggiore crisi economica che si ricordi, provocata dalle dissennate politiche neoliberiste, si tenta di risolverla spuntando gli strumenti delle politiche keynesiane! Ho il sospetto che questo provvedimento costituirà un'ulteriore mannaia per il pensiero di sinistra, e data la sagacia di molti attuali esponenti ci vorranno vent'anni prima che si rendano conto di quello che stanno facendo, anche se qualcuno ha già lanciato qualche segnale di allarme. Ad ogni modo le mie competenze in questo campo non mi consentono di andare oltre il sospetto e l'intervento di qualche esperto in economia sarebbe gradito.
Che l’IdV sia un partito anche lontanamente da considerare a sinistra è la più grossa bufala della cosiddetta seconda repubblica. L’IdV e i partiti di sinistra o centro-sinistra si sono trovati insieme per la necessità di fare fronte comune alla degenerazione del berlusconismo. Fossero altri tempi direi che l’alleanza è il risultato di una lotta comune, come fu tra PCI e DC immediatamente dopo la liberazione d’Italia dal fascismo, siccome i nostri tempi sono quelli che sono direi che si tratta di una amicizia come quelle che nascono in galera, per necessità. Non che in quei contesti non sorgano sodalizi molto forti ma è difficile capire quanto siano caratterizzati dalla gratuità dell’amicizia o dalla necessità dettata dalla contingenza. L’esperienza del Pd continuerà nella misura in cui non si applichi anche alla nascita di quel partito la stessa spiegazione!
Tornare all’ideologia la vedo dura, e forse neanche troppo auspicabile, visto il materiale a disposizione io mi accontenterei di lavorare su alcune idee ben chiare!

martedì 29 novembre 2011

Il sarto di Ulm

Lucio Magri, foto da la Repubblica.


Il sarto di Ulm
(Ulm 1592)

"Vescovo, so volare",
il sarto disse al vescovo.
"Guarda come si fa!"
E salì, con arnesi
che parevano ali,
sopra la grande, grande cattedrale.
Il vescovo andò innanzi.
"Non sono che bugie,
non è un uccello, l'uomo:
mai l'uomo volerà",
disse del sarto il vescovo.
"Il sarto è morto", disse
al vescovo la gente.
"Era proprio pazzia.
Le ali si son rotte
e lui sta là, schiantato
sui duri, duri selci del sagrato".
"Che le campane suonino
Erano solo bugie.
Non è un uccello, l'uomo:
mai l'uomo volerà",
disse alla gente il vescovo.
Bertold Brecht, Il sarto di Ulm (Ulm 1592), da Poesie di Svendborg, 1939.

sabato 26 novembre 2011

Brevi note a margine

Poco più di un mese fa è stato pubblicato un appello dal titolo "Nuova alleanza per l'emergenza antropologica", a firma di quattro intellettuali di area marxista - Pietro Barcellona, Paolo Sorbi, Mario Tronti e Giuseppe Vacca, sul quotidiano Avvenire, su l'Unità e il Foglio.
L'appello è un accorato tentativo, rivolto ai partiti di centro-sinistra, e soprattutto al Partito democratico, per affrontare "una inedita emergenza antropologica" che "appare la manifestazione più grave e, al tempo stesso la radice più profonda della crisi della democrazia".
L'appello è denso di spunti di riflessione, non si poteva aspettare di meno considerando gli autori, tuttavia se la diagnosi della crisi delle democrazie appare per certi versi condivisibile più problematica è la terapia proposta, ovvero una convergenza verso il magistero di Benedetto XVI riguardo al rifiuto del "relativismo etico" e la centralità dei "valori non negoziabili". Non sono il solo a nutrire delle perplessità al riguardo, una voce dissonante si leva anche dal pensiero femminista con un articolo di Elettra Deiana che è difficile per me non condividere pienamente.

La prima cosa che ho pensato dopo aver letto l'articolo è che se quattro intellettuali di radici marxiste di quel calibro arrivano a esortare il Pd, e il suo segretario Pierluigi Bersani, a fare i conti con "l’insegnamento di Benedetto XVI sulla insopprimibile dignità della vita umana e sul primato della persona, «cercando di andare oltre tutti gli steccati»", allora significa che la cultura di sinistra è proprio alla frutta.
Non vorrei banalizzare la faccenda, il discorso è complicato e meriterebbe lunghe riflessioni. La Chiesa è una grande istituzione che riflette (sia pure malissimo) un bisogno insopprimibile di trascendentalità, ma se un invito al dialogo andava rivolto da intellettuali della sinistra avrei preferito sentir parlare della Chiesa di Giovanni XXIII anziché di quella di Benedetto XVI. E se l'invito fosse stato rivolto a quella Chiesa allora sarebbe stato anche più auspicabile un invito alla attiva collaborazione, non solo al dialogo.

Non voglio lasciarmi andare a facili slogan ma se la crisi delle democrazie è riconducibile alla caduta della fiducia nelle istanze politiche e la motivazione dell'appello è prettamente "educativo-culturale" per tentare di ricucire lo strappo della sfiducia, allora il rischio è quello di fare un’alleanza tra sfiduciati.

Guardiamoci in giro, la sfiducia nasce dalla percezione di una distanza tra il demos e le istituzioni, la Chiesa di Benedetto XVI è vista, in questi termini, come "potere" distante dalla gente esattamente come è vista la politica (e i partiti), l'ultimo libro di Stefano Livadiotti, I senza Dio. L’inchiesta sul Vaticano, è una conferma di questo. Siamo sicuri che la strada da seguire per uscire dalla crisi delle democrazie sia un'alleanza con quella Chiesa?
C’è un’altra Chiesa da ascoltare, quella dei don Gallo, dei don Paolo Farinella, degli Enzo Bianchi, quella dei teologi come Vito Mancuso o Hans Kung, quella dei filosofi come la Monticelli, ascoltiamo quelle voci se vogliamo costruire qualcosa che ricomponga la fiducia perduta. Invece, probabilmente ancora in nome di una realpolitik trita e ritrita, nonché fallimentare, si rivolge l'appello a chi nella Chiesa attualmente ne controlla le sorti in termini istituzionali, oppure, il che sarebbe peggio perché sintomo di nostalgia, quello che rimane di un pensiero forte come quello marxista si rivolge a chi oggi si fa vessillo di un altro pensiero forte delineando una "nuova laicità" e una "ragione rettamente guidata"!

Ho timore che oggi la sinistra si trovi di nuovo in un guado simile a quello di 20 anni fa dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’Unione Sovietica, allora le sinistre meno socialdemocratiche in Europa si trovarono di fronte ad una crisi di identità (quelle più socialdemocratiche la propria identità già la ricordavano poco) che tentarono di ricomporre malamente imitando un pensiero liberale che gestivano con enorme difficoltà, persero di vista la loro stella polare che era quella dell’uguaglianza per spostarsi verso l’altro polo stabilito dalla madre delle rivoluzioni europee, quella francese. Quell’altro polo era la libertà, oggi si tenta lo spostamento verso il polo della fratellanza? E sia, va bene, ma che sia una fratellanza che non dimentica il polo da cui la sinistra è nata e i principi di autonomia figli dell’illuminismo kantiano con i quali la Chiesa di Benedetto XVI fa a cazzotti.

La crisi delle democrazie è un tema di enorme complessità che certamente non può essere trattato in maniera soddisfacente in un post e neanche in un articolo, sia pure scritto da illustri intellettuali. Forse un utile spunto per riflettere adeguatamente sul tema potrebbe venire dal saggio che qualche tempo fa scrisse Colin Crouch, Postdemocrazia, edito da Laterza nel 2003. Crouch fornisce una lucida lettura delle dinamiche di svuotamento della democrazia le cui cause sono da cercare all'interno dello stesso sistema democratico quando entra in contatto con il sistema economico. Inoltre, l'autore formula diverse proposte per recuperare il senso della democrazia, in termini di partecipazione attiva al governo della polis, proposte che potrebbero essere utilmente vagliate anche dalla sinistra italiana "per riuscire a elaborare una cultura di governo all'altezza delle gigantesche sfide del nostro tempo."

In questo post, scritto qualche tempo fa, sono stato meno laconico riguardo a molti argomenti toccati in questo post.

La storia di oggi

"La morte proietta l'ombra delle sue scure ali sul porto dell'Avana; il Maine è colato a picco, la nazione ha pianto, e il Journal è in lutto per tutti quei poveri ragazzi morti su quella nave maledetta. [...]
Il pubblico era inorridito, perchè non abituato a queste forme particolari dell'orrore. Ci sono altre forme altrettanto atroci: quelle in cui, per ognuna delle vite perdute sul Maine, ci sono decine di vite sacrificate, ma lì l'orrore ha smesso di inorridire, perché il pubblico si è abituato ai dettagli spaventosi e ormai li considera con sufficienza e indifferenza.
Lo spettacolo dell'immensa carneficina che si consuma giorno dopo giorno, mese e anno nel regno dell'industria, le migliaia di vite annualmente sacrificate al Moloch della rapacità, il tributo di sangue al lavoro del capitalismo, non provocano però grida di vendetta e risarcimento né lacrime, a parte quelle della famiglia e degli amici delle vittime.
Ferrovieri e scambisti muoiono tutti i giorni solo perché i vagoni non sono equipaggiati adeguatamente con dispositivi in grado di ridurre al minimo i pericoli. E sono stati accordati al capitalismo due anni supplementari per proseguire nel massacro. Macchinisti e ingegneri, pompieri e conducenti, lavoratori di tutte le altre branche del servizio ferroviario sacrificano una parte della loro vita e della loro carne per la stessa insaziabile Gorgona. [...]
Il Journal si unisce alla tristezza generale per la perdita del Maine e si rammarica del fatto che molte vite, che in condizioni naturali avrebbero potuto essere impiegate utilmente, siano andate perdute su quella nave. E, mentre esprime rincrescimento, esprime anche la speranza che non sia troppo lontano il giorno in cui verrà generalmente considerato altrettanto eroico perdere la vita in fabbrica che a bordo di una nave da guerra. Che perdere la vita schiacciato come un topo in una miniera sia considerato grave come annegare come un topo nella stiva di una corazzata. Che perdere un arto per causa di una granata sia ritenuto ugualmente degno di considerazione nella nazione che perderlo su un treno mentre si lavora. Che morire dilaniato da un siluro non provochi più dolore nella famiglia del malcapitato che morire dilaniato dall'esplosione di una caldaia. Che uno sia l'eroe di un'apoteosi, mentre l'altro se ne va all'altro mondo senza onore né gloria." Monthly Journal of the International Association of Machinists, Vol X, Chicago, April, 1898.

Questo articolo ha più di un secolo e fu pubblicato in occasione dell'affondamento della nave da guerra Maine ancorata nel porto dell'Avana. L'affondamento fu dovuto ad un incendio iniziato per autocombustione nella carbonaia, fatto piuttosto frequente sulle corazzate dell'epoca, un evento accidentale quindi ma che servì da pretesto agli USA per scatenare la guerra ispano-americana facendo passare quell'incidente come un attacco spagnolo. Il giornale dei macchinisti, espressione dei sindacati dei lavoratori contrari all'espansionismo americano, convenne che l'esplosione del Maine era stata un terribile disastro, ma notò che le morti sul lavoro degli operai incontravano l'indifferenza nazionale. (L'articolo del Journal è citato in H. Zinn, M. Konopacki, P. Buhle, Storia popolare dell'impero americano - a fumetti. Ed. il Manifesto, 2011.)

Ma questo post non intende soffermarsi sugli aspetti storici quanto sulle tremende analogie dell'articolo del Monthly Journal con quello che accade ancora oggi riguardo ai cosiddetti "incidenti sul lavoro", nonostante i goffi tentativi di camuffare i dati, come avevo scritto qualche tempo fa in questo post.
E' di oggi la notizia che nelle ultime 24 ore ci sono stati altri tre morti sul lavoro.
Un minuto di silenzio per la memoria e cinque per dimenticare!

giovedì 24 novembre 2011

Il lusso di Umberto D.

Carlo Battisti, il protagonista di Umberto D., e il cane Flaik 

Umberto D. è uno dei personaggi topici della stagione cinematografica neorealista italiana. Un film straordinario del 1952 dove si incontrarono il genio di Vittorio De Sica e quello di Cesare Zavattini.
A chi ha visto il film verrà subito in mente quell'uomo senza una casa e in preda alla disperazione che gira per le vie della città con il suo cane Flaik. Verrà in mente soprattutto la dignità di quell'uomo.
A chi non ha visto il film consiglio vivamente di vederlo.

Se solo avessimo capito che il cane Flaik era in realtà un bene di lusso non avremmo certamente compreso il motivo di tanta disperazione in Umberto D. e anzi avremmo avuto in massimo spregio un uomo che simula povertà quando invece può permettersi un cane e la dignità di Umberto D. sarebbe stata ancor più odiosa perché finta.

E sì, perché l’Agenzia delle Entrate ha deciso che possedere un animale domestico e magari farlo curare da un veterinario, qualora ne avesse bisogno, è un indicatore di ricchezza. Infatti le spese veterinarie figurano tra le categorie del nuovo redditometro sperimentale per scovare i possibili evasori. In altre parole le spese veterinarie sarebbero voci di spesa per beni di lusso, grosso modo come le spese per rifare il parquet di uno yacht o per rifare la vela maestra della barca!
La notizia, riportata in questo articolo, non è freschissima ma di tanto in tanto mi diverto a sfogliare giornali vecchi di qualche giorno, anche grazie alle segnalazioni di amici particolarmente sensibili alle cause animaliste.

Mi chiedo se è necessario essere completamente idioti per partorire idee simili o è sufficiente essere tecnici esperti in materia fiscale?

martedì 22 novembre 2011

Lega e PdL siete la vergogna d'Italia

Leggi questo articolo, da la Repubblica.it

Leggete questa scheda e poi fatevi un'idea di che tipo di gente possa opporsi ad una legge che garantisca la cittadinanza a chi nasce e vive stabilmente in Italia.

***

Comizio

Qui è più puro, nel suo quieto
terrore - se le sere ormai fonde
tremano agli ultimi brusii, poetici

di mera vita - l’incontro delle gronde
urbane con il buio del cielo.
E muri impalliditi, infeconde

aiuole, magri cornicioni, nel mistero
che li imbeve dal cosmo, familiare
e gaio fondono il loro. Ma stasera

un improvviso rovescio sulle ignare
fantasie del passante frana, e gela
il suo trasporto per le calde, care

pareti sconsacrate...

Non più, come un androne, di passi sonori
perché rari, di voci trasparenti
perché quiete, tra splendori

d’umile pietra, la piazza negli spenti
angoli trasale: né solitarie
frusciano le macchine dei potenti,

sfiorando il fianco del giovane paria
che inebria coi suoi fischi la città...
Una smorta folla empie l’aria

d'irreali rumori. Un palco sta
su essa, coperto di bandiere
del cui bianco il bruno lume fa

un sudario, il verde acceca, annera
il rosso come di vecchio sangue. Arista
o tetro vegetale guizza cerea

nel mezzo la fiammella fascista.


Il dolore, inatteso, mi respinge
indietro, quasi a non voler vedere.
E invece con le lacrime che stingono

intorno al mondo così vivo, a sera,
nella piazza, mi sospingo come
disincarnato in mezzo a questa fiera

di ombre. E guardo, ascolto. Roma
intorno è muta: è il silenzio, insieme,
della città e del cielo. Non risuona

voce su queste grida; il caldo seme
che il maggio germoglia pur nel fresco
notturno, un greve e antico gelo preme

sui muri preziosi, fatti mesti
come nei sensi di un fanciullo
angosciato... E più qui crescono

gli urli (e in cuore l’odio), più brullo
si fa intorno il deserto
dove il consueto, pigro sussurro

s’è stasera perduto.

Ecco chi sono, gli esemplari vivi,
vivi, di una parte di noi che, morta,
ci aveva illuso d’esser nuovi - privi

d’essa per sempre. E invece, scorta
d’improvviso, in questa lieve piazza
orientale, ecco la sua falange, folta,

urlante - coi segni della razza
che nel popolo è oscura allegria
e in essa triste oscurità - che impazza

cantando la salute. E l’energia
sua non è che debolezza, offesa
sessuale, che non ha altra via

per essere passione, nella mente accesa,
che azioni troppo lecite od illecite:
e qui urla soltanto la borghese

impotenza a trascendere la specie,
la confusione della fede che
l’esalta, e disperatamente cresce

nell’uomo che non sa che luce ha in sé.


Resto in piedi tra questa folla quasi
il gelo, che da Trinità dei Monti,
dai duri vegetali del Pincio, rasi

contro le stelle e i chiusi orizzonti
spegne la città - mi spegnesse il petto,
rendendo puro stupore i monchi

sentimenti, pietà, amarezza. Getto
intorno sguardi che non mi sembran miei,
tanto sono diverso. Non è l’aspetto

di gente viva con me, questo, nei
suoi visi c’è un tempo morto che torna
inaspettato, odioso, quasi i bei

giorni della vittoria, i freschi giorni
del popolo, fossero essi, morti.
Per chi è andato avanti, ecco, intorno,

il passato, i fantasmi, i risorti
istinti. Questi visi giovanili
precocemente vecchi, questi storti

sguardi di gente onesta, queste vili
espressioni di coraggio. La memoria
era dunque così smorta e sottile

da non ricordarli? Tra i clamori
cammino muto, o forse sono muti
essi, nella tempesta che ho nel cuore.


E nel senso di perdita del proprio
corpo, che dà un’angoscia improvvisa,
in silenzio al fianco mi si scopre

un compagno. Con me, intento e indeciso,
si muove tra la ressa, con me guarda
nei visi questa gente, con me il misero

corpo trascina tra petti che coccarde
colmano di vile orgoglio. Poi su me
posa lo sguardo. Tristemente gli arde

col pudore che ben conosco; ed è
così mio quello sguardo fraterno!
così profondamente familiare, nel

pensiero che dà a questi atti senso eterno!
E in questo triste sguardo d’intesa,
per la prima volta, dall’inverno

in cui la sua ventura fu appresa
e mai creduta, mio fratello mi sorride,
mi è vicino. Ha dolorosa e accesa,

nel sorriso, la luce con cui vide,
oscuro partigiano, non ventenne
ancora, come era da decidere

con vera dignità, con furia indenne
d’odio, la nuova nostra storia: e un’ombra,
in quei poveri occhi, umiliante e solenne...

Egli chiede pietà, con quel suo modesto,
tremendo sguardo, non per il suo destino,
ma per il nostro... ed è lui, il troppo onesto,

il troppo puro, che deve andare a capo chino?
Mendicare un po' di luce per questo
mondo rinato in un oscuro mattino?

P.P. Pasolini, Comizio, 1954. Da Le ceneri di Gramsci, 1957.

Nota di Pasolini:
Mio fratello Guido, dopo un anno di eroica lotta partigiana nelle file della "Osoppo", è caduto sui monti della Venezia Giulia nel febbraio 1945.

sabato 19 novembre 2011

Frammenti

"Vedere un Mondo in un granello di sabbia,
E un Cielo in un fiore selvatico,
Tenere l’Infinito nel cavo della mano
E l’Eternità in un’ora.
"
Incipit da Gli auguri dell'innocenza, William Blake (1757–1827).

Dante e Virgilio entrano nella foresta.
Illustrazione di William Blake della Divina Commedia

Un tempo l’anima era un atto circoscritto, era il respiro, la volontà, la potenza che diviene atto. Poi l’anima venne venduta in cambio dell'immortalità, ciò che doveva estendersi nello spazio e nel tempo della vita ne ha valicato i confini perdendosi nell’abisso che terrorizza l’uomo. Ci voleva un uomo dalle spalle larghe per quello scambio. Apparve un modo come un altro perchè delle misere creature si sentissero al pari del dio che agognavano ma quelle creature non avevano spalle larghe e da quel momento dimenticarono la loro più profonda natura. La tragedia di una dignitosa finitezza fu rinnegata per una volgare messa in scena pensata per essere migliori e forse per esseri migliori.
Molti parlano ancora dell’anima ma non sanno di cosa si tratti, altri non ricordano più l’antico scambio e se ne vergognano.

mercoledì 16 novembre 2011

Du is megl' che uan?

Lapidario.
Al ministero dei Beni culturali, accorpato con il ministero dell'Ambiente, avrei preferito Salvatore Settis.
Ci sarebbe stato un ministero di meno e sicuramente sarebbe stato  rovesciato il noto slogan di una pubblicità di qualche tempo fa!

lunedì 14 novembre 2011

Generoso Burlesque

In questi giorni mi torna in mente una barzelletta che raccontava Moni Ovadia nel suo spettacolo Oylem Goylem (Il mondo è scemo in yiddish), cito a memoria quindi perdonerete le imprecisioni.

mercoledì 9 novembre 2011

Hallelujah


G.F. Händel, Hallelujah, dal Messiah.
Andre Rieu dirige l'Harlem Gospel Choir
con la Johann Strauss Orchestra, New York City 2004.

So bene che c'è poco da festeggiare, ma qui tocca risollevarsi in qualche modo e allora salutiamo la buona notizia di ieri con un Alleluia (sperando che poi non ci ritroviamo al Governo personaggi untuosi come il suo sodale Letta).

Piccola proposta da condividere e diffondere se siete d'accordo. Perché non andiamo sotto palazzo Grazioli a mostrare il nostro giubilo quando il migliore statista che l'Italia abbia avuto negli ultimi 15729 anni si dimette?

martedì 8 novembre 2011

Dies irae


G. Verdi, Dies irae, dalla Messa da Requiem
Claudio Abbado, dirige la Berlin Philarmonic,2002.

venerdì 4 novembre 2011

Piaghe e calamità

Questa mattina, mentre andavo al lavoro con il mio scooter, ho visto fermi lungo la strada uno scooter riverso per terra e un'auto che lo aveva appena investito. L'incidente doveva essere avvenuto da poco e la situazione non sembrava grave, spero. Non ho visto una particolare concitazione, le persone stavano sbrigando le formalità del caso. Sono cose che capitano nelle città particolarmente congestionate dal traffico.
Eh sì il traffico è un problema davvero enorme per le città. Emblematico di quali danni il traffico possa fare è quell'indimenticabile frammento di Johnny Stecchino quando il grande Paolo Bonacelli spiegava all'attonito Benigni le piaghe della Sicilia!


Paolo Bonacelli ha dato un'interpretazione magistrale di quello che è il meccanismo di rimozione del nesso causale dando un effetto comico davvero straordinario. Se pensate che questo possa avvenire solo nei film vi sbagliate. Fuori dalla finzione filmica si ride molto meno, anzi non si ride affatto ma vi assicuro che succede e anche molto spesso, sotto gli occhi di tutti. Succede tutte le volte che una pioggia provoca morti e frane e un esercito di coglioni dicono che la causa è la pioggia intensa, succede tutte le volte che una frana invade un paese e esperti del cazzo si sperticano a trovare il punto di cedimento delle montagne. In questo paese di mercanti del cemento incentivati, di abusivismi condonati, di campi agricoli abbandonati, di alberi sradicati, di dissesti idrogeologici ignorati ogni tanto piove e ogni tanto si muore.
Ecco la piaga di questo assurdo paese, la pioggia, esattamente come il traffico per Palermo.
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