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martedì 17 dicembre 2013

Saluti e baci

Vignetta di Altan. Un uomo fuma una sigaretta:
"Mi sono rotto le palle, e non erano neanche assicurate."

Il blog è sospeso fino a quando non cambio idea.

domenica 15 dicembre 2013

Ritmi e logaritmi

E' spietatamente incongruo festeggiare il proprio compleanno con cadenza annuale. Un'incongruità che tuttavia porta un qualche sollievo, fosse anche al prezzo d'una pietà d'accatto. La cadenza annuale delle ricorrenze è espressione, forse invocazione, di una rassicurante linearità per gli eventi che ci ac-cadono (addosso).
Che senso ha contare i giri di un girotondo a giro finito se ad ogni giro il fiato si fa sempre più corto? Che il conteggio segua i ritmi del fiato allora e diventi sempre più frequente. La probabilità di compiere vent'anni è forse uguale a quella di compierne quarantacinque o ottanta? Se non è uguale, e non è uguale, che il ritmo delle ricorrenze sia logaritmico e via via che il tempo passa l'intervallo tra le ricorrenze diventi sempre più breve. Mio nonno, alla veneranda età di ottantacinque anni, ha chiaro questo concetto quando dice che per lui oggi dura tre giorni, domani durerà sei giorni e dopodomani durerà dodici giorni. Se proprio dobbiamo continuare ad ingannarci che questa implacabile progressione geometrica dei ritmi del fiato sia annullata dalla menzogna dei logaritmi anziché dall'insulso uso della regolarità lineare. Se tocca farlo questo girotondo si tenga conto che il primo giro non ha la stessa probabilità di essere compiuto del decimo, perché al nono giro, se non prima, il fiato si fa corto e ben prima del compimento del decimo giro tocca fermarsi, per prendere fiato nel migliore dei casi.
Gli auguri per il prossimo compleanno fatemeli tra un mesetto.

mercoledì 11 dicembre 2013

Sciupassicurazioni

Normalmente non sopporto la pubblicità con tutti i suoi più o meno raffinati codici di raggiro e circonvenzione, poi se contiene melliflui messaggi di cattivo gusto natalizio allora sono lì lì per considerarla molesta.
Questo è il messaggio inviatomi oggi dall'assicurazione, corredato di cupido scoccante il dardo dell'amor e di cuoricino con scritto for you!!!

Antonio,
è già passato un anno e vorremmo che la nostra storia fosse sempre bella come il primo giorno.
È per questo che curiamo tutti i dettagli e siamo al tuo fianco sempre, soprattutto nel momento del bisogno, liquidando 2 sinistri su 3 in 15 giorni.
Questa non può essere l'ultima settimana che passiamo insieme.



Direct line fattene una ragione, questa è l'ultima settimana che passiamo insieme appassionatamente e la prima volta che ti ho incontrato è stato perché in un paniere di altre offerte tu hai fatto l'offerta più conveniente (leggi più economica). Più che una botta e via è stata una relazione di interesse, se devo essere sincero non ricordo di aver provato particolari emozioni il primo giorno e anche durante l'anno, diciamoci la verità, non è che sia stato scosso da fremiti sentimentali. La storia è durata quello che è durata, adesso ognuno per la sua strada. Il nostro idillio finisce qui e quasi mi spiace aver venduto l'auto che mi priva del piacere di rifiutare le tue profferte, fosse anche per qualche euro in più.
Cosa vuoi farci, gli uomini sono fatti così!

martedì 10 dicembre 2013

Cambio verso

Ripartirà il trito refrain berlusconiano, poi grillino e ora renziano del lasciamolo lavorare, diamogli una possibilità, siete i soliti pessimisti e tutto perché non si legge non dico tra le righe ma neanche le righe più fumose, ci vuole esercizio a vedere nel fumo, scritte per annebbiare la vista a tutti per non prendere impegni con nessuno che altrimenti si dividerebbe il fronte della vittoria che conta più dell’oggetto conteso. Diritti civili? Ci pensiamo dopo. Uguaglianza? Non essere ideologico. “Tanto par bella la lode del vincere, indipendentemente dalla cagione, dallo scopo per cui si combatta!” diceva Manzoni, "Vincere e vinceremo", diceva un altro, meno letterato, tempo dopo. Già vedo un deja vu, unica lungimiranza nel paese del girotondo, mi preparo alle accuse di disfatta perché non ho tifato a sufficienza, perché non ci ho creduto fino in fondo al mirabile progetto, come se avendo l’obiettivo di percorrere la distanza da A a B mi accorgessi mio malgrado che l’errore è sempre stato voler testardamente raggiungere B e non tornare ad A, cambiando verso, appunto.

mercoledì 27 novembre 2013

Sorpasso a sinistra

In messianica attesa di una politica laica che faccia di queste parole il proprio manifesto e di uomini e donne che le incarnino, come il Presidente Mujica in Uruguay tanto per intenderci, non mi resta che consigliare la lettura della sezione dedicata all'economia dell'esortazione apostolica Evangelii Gaudium di papa Francesco.

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I. Alcune sfide del mondo attuale

52. L’umanità vive in questo momento una svolta storica che possiamo vedere nei progressi che si producono in diversi campi. Si devono lodare i successi che contribuiscono al benessere delle persone, per esempio nell’ambito della salute, dell’educazione e della comunicazione. Non possiamo tuttavia dimenticare che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste. Aumentano alcune patologie. Il timore e la disperazione si impadroniscono del cuore di numerose persone, persino nei cosiddetti paesi ricchi. La gioia di vivere frequentemente si spegne, crescono la mancanza di rispetto e la violenza, l’inequità diventa sempre più evidente. Bisogna lottare per vivere e, spesso, per vivere con poca dignità. Questo cambiamento epocale è stato causato dai balzi enormi che, per qualità, quantità, velocità e accumulazione, si verificano nel progresso scientifico, nelle innovazioni tecnologiche e nelle loro rapide applicazioni in diversi ambiti della natura e della vita. Siamo nell’era della conoscenza e dell’informazione, fonte di nuove forme di un potere molto spesso anonimo.

No a un’economia dell’esclusione

53. Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Questo è esclusione. Non si può più tollerare il fatto che si getti il cibo, quando c’è gente che soffre la fame. Questo è inequità. Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”.

54. In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo.

No alla nuova idolatria del denaro

55. Una delle cause di questa situazione si trova nella relazione che abbiamo stabilito con il denaro, poiché accettiamo pacificamente il suo predomino su di noi e sulle nostre società. La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,1-35) ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo.

56. Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto. A tutto ciò si aggiunge una corruzione ramificata e un’evasione fiscale egoista, che hanno assunto dimensioni mondiali. La brama del potere e dell’avere non conosce limiti. In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta.

No a un denaro che governa invece di servire

57. Dietro questo atteggiamento si nascondono il rifiuto dell’etica e il rifiuto di Dio. All’etica si guarda di solito con un certo disprezzo beffardo. La si considera controproducente, troppo umana, perché relativizza il denaro e il potere. La si avverte come una minaccia, poiché condanna la manipolazione e la degradazione della persona. In definitiva, l’etica rimanda a un Dio che attende una risposta impegnativa, che si pone al di fuori delle categorie del mercato. Per queste, se assolutizzate, Dio è incontrollabile, non manipolabile, persino pericoloso, in quanto chiama l’essere umano alla sua piena realizzazione e all’indipendenza da qualunque tipo di schiavitù. L’etica – un’etica non ideologizzata – consente di creare un equilibrio e un ordine sociale più umano. In tal senso, esorto gli esperti finanziari e i governanti dei vari Paesi a considerare le parole di un saggio dell’antichità: « Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro ».[55]

58. Una riforma finanziaria che non ignori l’etica richiederebbe un vigoroso cambio di atteggiamento da parte dei dirigenti politici, che esorto ad affrontare questa sfida con determinazione e con lungimiranza, senza ignorare, naturalmente, la specificità di ogni contesto. Il denaro deve servire e non governare! Il Papa ama tutti, ricchi e poveri, ma ha l’obbligo, in nome di Cristo, di ricordare che i ricchi devono aiutare i poveri, rispettarli e promuoverli. Vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano.

No all’inequità che genera violenza

59. Oggi da molte parti si reclama maggiore sicurezza. Ma fino a quando non si eliminano l’esclusione e l’inequità nella società e tra i diversi popoli sarà impossibile sradicare la violenza. Si accusano della violenza i poveri e le popolazioni più povere, ma, senza uguaglianza di opportunità, le diverse forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o poi provocherà l’esplosione. Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità. Ciò non accade soltanto perché l’inequità provoca la reazione violenta di quanti sono esclusi dal sistema, bensì perché il sistema sociale ed economico è ingiusto alla radice. Come il bene tende a comunicarsi, così il male a cui si acconsente, cioè l’ingiustizia, tende ad espandere la sua forza nociva e a scardinare silenziosamente le basi di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido possa apparire. Se ogni azione ha delle conseguenze, un male annidato nelle strutture di una società contiene sempre un potenziale di dissoluzione e di morte. È il male cristallizzato nelle strutture sociali ingiuste, a partire dal quale non ci si può attendere un futuro migliore. Siamo lontani dalla cosiddetta “fine della storia”, giacché le condizioni di uno sviluppo sostenibile e pacifico non sono ancora adeguatamente impiantate e realizzate.

60. I meccanismi dell’economia attuale promuovono un’esasperazione del consumo, ma risulta che il consumismo sfrenato, unito all’inequità, danneggia doppiamente il tessuto sociale. In tal modo la disparità sociale genera prima o poi una violenza che la corsa agli armamenti non risolve né risolverà mai. Essa serve solo a cercare di ingannare coloro che reclamano maggiore sicurezza, come se oggi non sapessimo che le armi e la repressione violenta, invece di apportare soluzioni, creano nuovi e peggiori conflitti. Alcuni semplicemente si compiacciono incolpando i poveri e i paesi poveri dei propri mali, con indebite generalizzazioni, e pretendono di trovare la soluzione in una “educazione” che li tranquillizzi e li trasformi in esseri addomesticati e inoffensivi. Questo diventa ancora più irritante se gli esclusi vedono crescere questo cancro sociale che è la corruzione profondamente radicata in molti Paesi – nei governi, nell’imprenditoria e nelle istituzioni – qualunque sia l’ideologia politica dei governanti.

Il testo integrale di Evangelii Gaudium di papa Francesco.

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PS del giorno dopo. A parte la correzione nel mio testo da enciclica a esortazione apostolica, errore dovuto ad una scrittura ed una lettura colpevolmente rapida, aggiungo una breve nota. Leggo nelle pagine di questa esortazione apostolica dedicate all'economia lo stesso pensiero sotteso alle pagine dedicate alla giustizia sociale e all'economia del dono nell'enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI. Dedicai qualche riflessione a quella enciclica privilegiando un punto che esulava dall'economia e rimandando ad un articolo di Giorgio Ruffolo per questo. Si sostiene da tempo che alla stesura dell'enciclica di Benedetto XVI abbia collaborato Stefano Zamagni, queste voci hanno ottenuto una certa conferma di recente. Non è improbabile che anche per questo documento sia stato consultato l'economista. Considerando l'attenzione di Zamagni all'economia delle relazioni umane è una collaborazione che mi fa molto piacere.

La decadenza

Languore

Sono l’Impero alla fine della decadenza,
che guarda passare i grandi Barbari bianchi
componendo acrostici indolenti dove danza
il languore del sole in uno stile d’oro.

Soletta l’anima soffre di noia densa al cuore.
Laggiù, si dice, infuriano lunghe battaglie cruente.
O non potervi, debole e così lento ai propositi,
o non volervi far fiorire un po’ quest’esistenza!

O non potervi, o non volervi un po’ morire!
Ah! Tutto è bevuto! Non ridi più, Batillo?
Tutto è bevuto, tutto è mangiato! Niente più da dire!

Solo, un poema un po’ fatuo che si getta alle fiamme,
solo, uno schiavo un po’ frivolo che vi dimentica,
solo, un tedio d’un non so che attaccato all’anima!

Paul Verlaine, in Poesie, trad. di L. Frezza, Rizzoli, 1974



domenica 24 novembre 2013

Che l’amore sia questo?

Grazie a Riccardo per le parole di Luis Sepùlveda e grazie a Fabrizio per le parole di Carmelo Bene e per la bella cartolina giapponese.

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Zorba - l'amore e la morte...
Luis Sepùlveda

Questa mattina il postino mi ha consegnato un pacchetto. L’ho aperto. Era la prima copia di un romanzo che ho scritto pensando ai miei figli più piccoli. Sebastiàn che ha undici anni, e i gemelli Max e Leòn che ne hanno otto.
Scriverlo è stato un gesto d’amore verso di loro, verso una città, Amburgo, in cui siamo stati intensamente felici, e verso il personaggio principale, Zorba, un gatto nero grande e grosso che è stato per molti anni il nostro compagno di sogni, racconti e avventure.
Ma proprio mentre il postino mi consegnava la prima copia del romanzo e io avevo la gioia di vedere le mie parole allineate nell’ordine meticoloso delle pagine, Zorba veniva visitato da un veterinario perché afflitto da una malattia che prima lo aveva reso inappetente, triste, malinconico e poi gli aveva complicato drammaticamente la respirazione. Nel pomeriggio sono andato a prenderlo e ho saputo il terribile verdetto: mi dispiace, il gatto ha un cancro polmonare a uno stadio molto avanzato.
Le ultime frasi del romanzo parlano degli occhi di un gatto nobile, di un gatto buono, di un gatto di porto, perché Zorba è tutto questo e molto di più. E’ arrivato nelle nostre vite proprio quando nasceva Sebastiàn, e con il tempo è diventato molto di più del nostro gatto: si è trasformato in un nuovo compagno, in un amato compagno a quattro zampe dalle fusa melodiose. Amiamo quel gatto e in nome di questo amore ho dovuto radunare i miei figli e parlargli della morte. parlare della morte a loro che sono la mia ragione di vita. A loro, così piccoli, così puri, così ingenui, così fiduciosi, così nobili, così generosi. Ho lottato con le parole cercando quelle più adeguate per spiegare loro due terribili verità.
La prima era che Zorba, per una legge che non abbiamo inventato noi, ma che dobbiamo accettare anche a spese del nostro orgoglio, sarebbe morto, come tutto e come tutti. La seconda era che dipendeva da noi evitargli una fine atroce e dolorosa, perché amare significa non soltanto fare la felicità dell’essere amato, ma anche evitare le sofferenze e salvaguardare la sua dignità.
So che le lacrime dei miei figli mi accompagneranno per tutta la vita. Come mi sono sentito disgraziato, debole, davanti alla loro mancanza di difese. Come mi sono sentito miserabile davanti all’impossibilità di condividere la loro giusta ira, il loro rifiuto, il loro canto alla vita, le loro imprecazioni contro un Dio che per loro e solo per loro avrebbe trovato in me un credente, e anche davanti all’impossibilità di condividere le loro speranze, invocate con tutta la purezza degli uomini nel loro momento migliore.
La morale è un attributo o un’invenzione dell’umanità? Come potevo spiegare ai miei figli che avevo il dovere di salvaguardare la dignità e l’integrità di quell’esploratore di tetti, di quell’avventuriero dei giardini, terrore di ratti, scalatore di ippocastani, bullo di cortili al chiaro di luna, eterno abitante delle nostre conversazioni e dei nostri sogni? Come potevo spiegare che ci sono malattie che hanno bisogno del calore e della compagnia dei sani, mentre altre sono solo un’agonia, dove l’unico segno di vita è veemente desiderio di morire? E come rispondere al drastico "perché proprio lui"? Già, perché proprio lui? Il nostro compagno di passeggiate nella Selva Nera. Che gatto folle!, mormorava la gente quando lo vedeva correre accanto a noi oppure seduto sul portapacchi della bicicletta. Perché proprio lui? Il nostro gatto di mare che aveva navigato con noi su un veliero nelle acque del Kattegat. Il nostro gatto che, appena aprivo la portiera dell’auto, era il primo a salire, felice all’idea di viaggiare. Perché proprio lui? A che mi serviva aver vissuto tanto, se non sapevo rispondere a questa domanda?
Abbiamo parlato circondando Zorba, che ci ascoltava con gli occhi chiusi, confidando in noi, come sempre. Ogni parola spezzata dal pianto è caduta sulla sua pelliccia nera. Lo abbiamo accarezzato confermandogli che eravamo con lui, spiegandogli che proprio l’amore ci portava alla più dolorosa delle decisioni.
I miei figli, i miei piccoli compagni, i miei piccoli uomini, così teneri e duri, hanno mormorato sì, fa’ fare a Zorba quell’iniezione che lo farà dormire, che gli farà sognare un mondo senza neve con cani gentili, con tetti grandi e soleggiati, con alberi infiniti. Dalla chioma di uno di quegli alberi ci guarderà per ricordarci che lui non ci dimenticherà mai.
Ora che scrivo queste righe è sera. Zorba riposa ai miei piedi respirando appena. La sua pelliccia splende alla luce della lampada. Lo accarezzo impotente, pieno di tristezza. E’ stato testimone di tante serate di scrittura, di tante pagine. Ha diviso con me la solitudine e il vuoto che arrivano dopo aver messo la parola fine a un romanzo. Gli ho recitato i miei dubbi e le poesie che un giorno voglio comporre.

Zorba. Domani, per amore, avremo perso un gran compagno.

P.S. Zorba riposa ai piedi di un ippocastano, in Baviera. I miei figli hanno fatto una lapide di legno su cui si legge:

Zorba.
Amburgo 1984 – Vilsheim 1996.
Pellegrino, qui giace il più nobile dei gatti. Ascolta le sue fusa.

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Il lutto
Carmelo Bene

19 maggio 1998. Teatro Valle a Roma. Seminario di Carmelo Bene sul "verso di D’Annunzio" [...]. Tutto esaurito, folla delle peggiori occasioni. Bene non si era mai pubblicamente diffuso sulla prosodia e sull'oralità del verso. Strano. Pochissimi gli attori presenti, sebbene il tema li riguardasse da vicino.
Un'ora di lezione, spettatori distribuiti a macchia, in platea i fan ammutoliti, nei palchi gli altri, i molestatori di professione, i venuti per caso, gli esibizionisti a caccia d'una comparsata da Costanzo. La situazione precipita nel momento esatto in cui parola e microfono vengono consegnati al pubblico. Poche battute ed è già maleducazione cogliona e rumorosa da talk show. E' un'orda di conclamate frustrazioni che alza i volumi e scatena la bagarre. d'Annunzio? Chi se ne frega. Il verso. Boh. Carmelo Bene è, come sempre, il nome e il cognome che fa "brillare" il cortocircuito. Ma la qualità della "materia" esplosa è in questo caso odiosamente modesta, ignobili le facce, petulanti le voci, irrisori gli argomenti. "Carmelo Bene, lei, ripete sempre le stesse cose", "Lei s'inventa una sua filosofia", "Perché si tinge i capelli, se non esiste?". E via degenerando.
Volano basse le mosche stercorarie. Ed è un peccato.[...] Il commiato di C.B.: “Ora voi tornerete a casa e potrete raccontare di aver ascoltato me, ma io, che mi racconto?”.
Anche Carmelo Bene torna a casa. Qualcosa o qualcuno che agonizza l'attende. Non ricordo di averlo mai visto, Carmelo, con gli occhi bagnati di qualcosa che è molto simile alla commozione. Un lutto.


Nauseato, riguadagno in un lampo la solitudine del mio eremo. M'accingo, stranito, a disfarmi dell'abito. Dalla moresca occhiuta sul terrazzo dell'orto filtra l'ultima luce cerulea della sera attardata. L'aria immota. Fermo anche il fogliame dell'ulivo e dell'edera nera. Un trattener vegetale il fiato, interrotto da un suono sommesso, sincopato ma roco, siccome dentellato rumore sordo prodotto da balsa seghettata. Agghiacciante. Luisa - lei pure l'ha udito -, a mo' d'androide, solleva quel sipario traforato: a pochi metri, tra il gazebo e un vaso panciuto d'erbaccia vizza, sdraiato come un cencio bianco e bigio, se ne sta il gatto mio, morente o morto, ché adesso anche quel verso tace. E' lui, ne distinguiamo le zampine bianche anteriori, stiracchiate. "Presto!, una torcia elettrica". Esamino la povera bestiola: il corpicino immoto, gli occhi sbarrati, l'innocenza beata dei suoi denti smorfiati. Nessuna traccia di ferita. Il pelo e il muso intatti. Imbalsamato. L'ultima contrazione, il verso atroce, ultimo, in che per sempre s'acquieta.
Avvelenato? "Se vuole, disponiamo un'autopsia domattina", mi propone, due ore dopo, un signor "monatto" del Master Dog (servizio funebre degli animali). "Credo che non occorra", lo ringrazio. Mi ritiro. E' Luisa a sbrigare il rituale funereo all'uopo: esibisce i documenti (tra cui l'attestato della mia identità) e ne riceve in cambio certificato del decesso e relativo ufficiale impegno d'incenerimento della bestiola.
Nel cervello mi rimbalzano gli echi villani e stolidi del repellente fragore "umano" dei condannati a vita palchettisti del "Valle", alternati all'indicibile stupore inanimato del gatto mio. E di nuovo il berciare flatulento delle carogne recluse dentro l'ignorantissima vanità esibita oltre ogni costo, commentato e deriso dalla smorfia eternata cadaverica dei denti felini, ora sì, solo un ghigno. E non trovavo (e non ritrovo) quiete, anche se, disegnata senza scampo, se ne stava ai miei piedi, come l'ombra dipinta la quiete. Senza più la minaccia del risveglio.
Questo gatto (una gatta deliziosa che da sempre ho nominato ‘gatto’) è stato l’unico amico mio. Da sette anni. Signore incontrastato del giardino, ha tollerato le mie frequenti assenze, sfoderando un'autonomia straordinaria, così come ha saputo con-dividere una mia solitudine spietata, da che ho deciso di non più soltanto limitarmi ad aborrire il "prossimo" più di me stesso, ma evitarne visione e contagio. Un’attrazione reciproca e affettuosa di due solitudini stellari. Inespressa. Giocava, rampicava le invisibili zanzariere metalliche, rotolava sui tappeti, mi s’acquattava accanto quand’ero intento a scrivere, a esser letto. Lui soltanto animava questa defunta immobilità eremitica. Sempre inquieto il pennacchio della coda, vezzeggiata d’anelli quasi neri, emetteva i suoi versi compiaciuti: indecifrabile, melodico solfeggio, confuso al brontolio costante armonico, insensato mio "continuo". Che l’amore sia questo? Se tanto me ne duole, non dev’essere poi così lontano. E non ho mai accertato chi di noi due facesse il verso all'altro. Poco importa. Né umani né gatteschi. Due intelligenze cestinate (natura e grazia), nell'amicizia ferrea d'una prosa nell'etimo abusata: "beffa", appunto. A smiagolato dispetto del "discorso", della "comunicazione" parolata, dei proclami affettivi, delle "conflittualità" linguistiche, dei suoni organizzati.
Se - proprietà repellente della clonazione umanoide - noi due ci s'intendeva, è da ascriversi al fatto che il piacere della connivenza eludeva l'equivoco miserevole del fra-intendimento; e la sensazione giocosa, pur qua e là travestita da abitudine, trionfava sul soggetto intelligente. Non dicevamo parole umane.
Tu potessi sentire, amico mio!, - sentire non so dirlo -, quanto adesso me ne stia qui, bocca e orecchie murate, come un silenzio altrove. Come te, che il silenzio non più fastidia.
La canaglia stordente in quel teatro è anch'essa spenta, asfissiata dalla sua stessa assordante maleducazione assassina. Suicidata. Massa umana affogata finalmente nel magma del suo vomito di massa. Giù, giù! Sepolta viva, ché, ahimè, viva s'illudeva e appagata; quanto altra da te che nei meriggi più assonnati, abbandonato tappetino al tepore del suolo, tra gli specchietti del solicello inghirlandato, sognavi, involontario, d'esser morto, qua e là, nel paradiso del giardino... Sai che qualcuno - anche lui morto - ha detto che "gli animali sono, nelle nostre mani, gli ostaggi della Bellezza celeste vinta"?
Alla massa tiranna s’addice satollare il brulichio verminoso e concimar le fosse dei cimiteri. Fosse. Uno sterminìo di fosse, documentate da incredibile presunzione anagrafica individua in fototessera. A noi due no davvero, amico mio. Sto scrivendo di noi, e tu sei già meno d’una manciata di cenere. Prestissimo sarà così di me. La cenere! Sì, questa igiene dell’inorganico! Casta smentita di ogni rifiorire.
Non è, comunque, la morte a farci orrore, ché, dai vagiti asmatici ai rantoli del coma, alla putrefazione della carne, tutto è una smorfia atroce della vita.
Se il gatto mio fosse morto avvelenato (se l'insipiente, vano seminario al "Valle" avesse mai avuto luogo), me ne sarei stato come sempre in casa. Avrei disposto d'un pomeriggio intiero e - sono certo - l'avrei salvato, ché chissà quanto m'avrà invocato. Sia maledetto il "prossimo" che fino ad oggi non m'ha dato tregua, che non è mai riuscito a scandalizzarsi d'esserci, senza la mia invisibile presenza!
L'amico mio se n'è andato via. Con me.
M'ha scordato per sempre, la mia incomprensione.

venerdì 22 novembre 2013

E' tutto pre-visto

Un amico mi fa notare che non ho scritto nulla sull'alluvione in Sardegna! Strana osservazione da rivolgere a uno che scrive quando, cosa e come gli pare senza alcuna regolarità. Ad ogni modo sulla faccenda quanto avevo da dire l'ho scritto in un commento all'ottimo post di Garbo. Il mio commento lo riporto qui ma sulla faccenda non ho altro da aggiungere né al mio amico né ad altri.


«Caro Garbo, questa "sciagura" è una delle tante, è l'ultima in ordine di tempo e non sarà l'ultima per molto tempo. Togli pure quel forse da "stiamo inquinando l'ambiente in cui viviamo in maniera, forse, già irreversibile", il nostro clima si sta tropicalizzando e se neanche il bacino mediterraneo è più in grado da fare da buffer agli sbalzi termici che originano i cicloni allora quel punto di non ritorno paventato da chi studia il clima è già alle nostre spalle. Metti questo in un paese come il nostro che tu descrivi in maniera pasolinianamente lucida e ad ognuno di questi "appuntamenti" con il cameriere della natura che presenta il conto risponderemo come in uno stucchevole refrain che ormai ha il sapore del déjà vu con le parole d'ordine della solidarietà, è il momento del cordoglio e non delle polemiche, raccogliamoci intorno al dolore e menate simili, buone per l'omelia domenicale di qualche prelato ma inutili per la giustizia terrena e ingiuriose per quella divina. E allora la si faccia finita una volta per tutte, che arrivi un ciclone e ci porti via tutti al più presto ma tutti veramente, non solo in questo paese dove ormai non vale la pena neanche di essere "disperatamente italiano", rimarrà alla terra il tempo di riprendersi da questo bubbone che è la specie sapiens. Non ho speso una parola per questa tragedia e non ne spenderò se non in questo commento, stiamo facendo morire questa terra di aterosclerosi, occludendo tutte le sue arterie, non ci sono più vasi sanguigni liberi per ossigenarla, per farla vivere e piangiamo morti annunciate ad ogni autorizzazione edilizia, per non parlare di condoni e di costruzioni abusive. Ebbene, io ho pianto ogni volta che vedevo una casa costruita troppo vicina ad un bacino fluviale o ogni volta che un alveo viene ristretto, ho pianto ogni volta che ho visto una nuova casa ai piedi del Vesuvio, piango ogni volta che vado nella spiaggia che frequentavo da piccolo e ci vedo sempre meno sabbia, piango ogni volta che vedo costruire una casa in campagna e case vuote nei paesi, piango per ogni albero di ulivo strappato alla sua terra o bruciato per fare posto ad un pannello solare o ad una strada inutile, piango in ognuna di queste occasioni. Adesso cosa ho da piangere? Cos'ho da rattristarmi? Per una tragedia annunciata da tempo? Adesso è solo elaborazione del lutto e io sono ben oltre la quinta fase della Kübler Ross. Un saluto caro Garbo.»

giovedì 21 novembre 2013

Una vita nascosta

Morire - questo a un gatto non si fa,
scrisse la poetessa.
No, a un gatto non si fa,
e poi morire non è così importante
per chi gioca con nove vite
inseguendo palline di carta.
Una è nascosta sotto la credenza.
Cosa non si trova in una casa
quando si spostano i mobili?
- Se solo l'avessi trovata prima -
penso, sorridendo appena un po'.


martedì 19 novembre 2013

Un assalto al tempo

C'è un fondo di disperazione nella musica di Yann Tiersen, una disperazione che non è abbandono ma il suo rovescio: un frenetico movimento. La disperazione di Tiersen non è uno stato d'animo, non è un'emozione, è la consapevolezza che il tempo corre e rincorrerlo è l'unico modo per guardarlo da vicino, quel tanto che il respiro tiene. Si rincorrono le note, si avviano lente per scatenarsi in affannosa accelerazione, non afferrano il tempo, il tempo non si afferra, gli corrono accanto senza toccarlo, senza avere l'intenzione di toccarlo, gli corrono accanto per guardarlo, per tentare di conoscerlo. E' una frenesia del vivere, è l'intentato assalto al tempo, è la compressione dell'esperienza sonora nei pochi minuti che sono scrigno della vita, dove in un angolo sono custoditi dolori, amori, momenti da ricordare e, più gelosamente protetti, quelli da dimenticare. Un angolo di silenzio avvolto in un turbinio di note che distraggono, con la loro corsa, l'ascoltatore perché non ascolti quello che nascondono. La musica di Tiersen è il disperato vorticoso movimento intorno allo scrigno del tempo che senza quel continuo incessante movimento si arresterebbe, cancellando anche il nostro sforzo di corrergli accanto, come fosse un compagno di giochi che vogliamo guardare negli occhi, fosse solo per la durata di un valzer o di una giga, quel tanto che il respiro tiene.


venerdì 15 novembre 2013

Caro Nichi

Consapevole delle enormi responsabilità che comporta la carica di Presidente di Regione e dei delicatissimi equilibri che è necessario governare, mi preme sottolineare che io ricordo bene quel video che, oggi sappiamo, l'ha fatta ridere per un quarto d'ora.
Lo "scatto felino", come lei lo definisce, di Archinà fu per me un atto di arroganza insopportabile e, per quanto scaturito in una situazione tesa per l'addetto alle relazioni istituzionali dell'Ilva, poco divertente. Aggiungo che non mi sembrò e, rivedendo l'episodio, non mi sembra tuttora di ravvisare un atteggiamento provocatorio nel giornalista "senza arte né parte", come da lei etichettato, che rivolgeva la domanda a Riva e anzi trovo più provocatorio, per i miei nervi e per la democrazia, un giornalismo che accondiscende al potente di turno, di qualunque provenienza. Indubbiamente la differenza di vedute risponde a differenti sensibilità, oltre che diverse posizioni e nella sua posizione può accadere che la necessità di conciliare interessi economici e sociali venuti in contrasto, per dolo o insipienza, rischi di determinare un insanabile conflitto con il parlar cortese professato nella propria attività politica, fino a trovare sommamente spassosa una soverchieria. Questo è agire politico per la sua "intenzione alta", direbbe Machiavelli, oppure una docile trasfigurazione della "banalità del male", avrebbe detto Arendt? Anche qui la differente sensibilità può decidere la strada da imboccare.
Io non credo che spanciarsi di risate per un atto di prepotenza, per quanto sgradevole, giustifichi la richiesta di dimissioni dalla Presidenza della Regione, la mia regione. Non mi unirò al coro delle dimissioni, canto tanto intonato in Italia quanto inascoltato, da parte mia rivolgo un invito a considerare le dimissioni dalla presidenza di SEL, per affrancare il partito da un immagine personalistica che è un punto debole per qualunque partito si identifichi con il proprio leader e, di conseguenza, destinato a tramontare al tramonto del leader.
Cordiali saluti
Un ex elettore

lunedì 11 novembre 2013

Sberla mattutina

Stamattina ho ricevuto una mail da una mia carissima amica.


Hi,
how are you?

Perché bisogna sempre lottare per i propri diritti?!!!ma un diritto è un diritto…bisogna rivendicarlo? A mia figlia, che ha dei problemi cognitivi, dopo averle affidato una insegnante di sostegno per 22 ore settimanali in prima elementare, le stanno togliendo alcune ore perché tra tutti i bimbi disabili è la meno grave……insomma la scuola italiana vuole che mia figlia regredisca nelle sue capacità e potenzialità….. perchè????????????????????? sono una persona pacifica, avvocati, lettere di diffida, ricorsi non sono per me……………..cavolo!!!!

Un abbraccio



Per riprendermi dalla sberla ho dato un'occhiata alle prime pagine dei giornali e trovo che nel PdL si discute di scissione, che nel PD discutono delle regole congressuali... Una volta tanto sarò "populista", non me ne frega un cazzo di queste stronzate.

Sono schiacciato dall'impotenza, come questa madre e come milioni di persone in questo paese e in altri.

Quale attenzione merita la politica, questa politica, in un paese che schiaccia i suoi cittadini? Quale futuro attende le persone pacifiche come la mia amica e quelle pacifiche ma per niente pacifiste come me?

domenica 3 novembre 2013

Ideologie, programmi e progetti

“I diritti fondamentali sono diventati terreno di lotta, di contrapposizione tra visioni diverse che ne allontanano sempre di più la loro applicazione, mentre alle istituzioni è richiesta equidistanza rispetto a scelte morali o ideologiche.”, Giuseppe Civati, p. 45

“… l’ingiustizia va in gran parte ricondotta a una concezione maschile della donna come mero contenitore di embrioni, nonché merce di scambio ideologico.”, Giuseppe Civati, pp. 48-49

“… ridurre le disuguaglianze non significa rispolverare senza riflessione critica vecchie ideologie …”,  Giuseppe Civati, p. 62

“Attualmente si tratta di meno di 2000 euro [la cosiddetta “tassa per il licenziamento”, NdR], e non è l’indennizzo diretto al lavoratore, dovuto per esempio in Germania: tuttavia è un primo modo, non ideologico, di ricondurre concretamente la responsabilità del mantenimento del posto di lavoro in capo all’impresa.”, Giuseppe Civati, p. 65

“L’ideologia secondo la quale il privato è sempre più efficiente del pubblico e il mercato determina da sé l’allocazione migliore delle risorse ha dilapidato una parte consistente del patrimonio industriale e produttivo del Paese, allargando la forbice tra Nord e Sud, provocando una caduta brusca della competitività e depauperando saperi, civismo, beni pubblici.”, Gianni Cuperlo, p. 4

“[Il PD] Deve riconoscere l’autonomia della scienza e la forza del suo metodo critico, respingendo ogni chiusura ideologica.”, Gianni Cuperlo, p. 16

“Per ragioni ideologiche sono state applicate politiche di austerità miope che, deprimendo le economie, hanno esacerbato il problema del debito pubblico.”, Gianni Pittella, p. 23

“La rinuncia alla costruzione di un partito identitario ed ideologico non può in alcun modo voler dire rassegnarsi a idee e proposte che mancano di chiarezza e definizione pur di salvaguardare la soddisfazione parziale di ciascuna sensibilità interna al partito.”, Gianni Pittella, p. 29

Nel documento di Matteo Renzi non c’è il termine ideologia o i suoi derivati, ça va sans dire!


***

Cos’è un’ideologia? Per farla breve è un sistema di idee utile a leggere la complessità della realtà. Oggi è di moda dire di non avere ideologie e non è difficile pensare che sia un’affermazione sincera (sebbene non vera), vista la penuria di idee e ancor più la penuria di visione sistemica. Il termine ideologia è legato alla complessità in maniera duplice. Nella misura in cui un’ideologia tenta di riprodurre la complessità e nella misura in cui l’ideologia tenta di ridurre la complessità per gestirla. Le due dimensioni sono in qualche modo indissolubili. In altre parole, ad essere onesti, un’ideologia è la forma più complessa per semplificare la realtà. Chi dice di non avere ideologie o si inganna o cerca di ingannare oppure è sincero e non dispone di proprie idee organizzate, conseguentemente non ha strumenti per riprodurre/ridurre la complessità e si accoda all’ideologia già consolidata e in solida posizione egemonica. E’ il trionfo del pensiero monodimensionale di cui parlava Marcuse a suo tempo.

Dopo la “fine delle ideologie” in politica resta il linguaggio che semplifica e banalizza la realtà, un linguaggio privo (o ignaro) di cornici sistemiche, fatto di messaggi brevi, in altre parole il metodo più subdolo per appiattire le menti e reprimere il pensiero dialettico. Questo tipo di linguaggio riduce la realtà in pillole, usa schemi linguistici elementari, formule generiche, aggira accuratamente dettagli e circostanze, insomma adopera ogni espediente utile a dire qualsiasi cosa senza vincolarsi alle condizioni che rendono possibile la realizzazione di qualcosa. Questo tipo di linguaggio è usato ormai quotidianamente dai giannizzeri della politica di ogni schieramento ma il suo trionfo si celebra durante le campagne elettorali, quando mostra la sua curiosa familiarità con il linguaggio della propaganda, antico termine usato quando le ideologie erano vive e vegete!

L'esperienza mostra che è premiato il candidato capace di gestire questo tipo di linguaggio elementare, sintetizzato solitamente con “parlare alla pancia”. Il dramma della faccenda sta nel fatto che è proprio durante le campagne elettorali che gran parte del corpo elettorale formula una scelta per un candidato o per un altro, presumibilmente sulla base di due criteri, il primo è la qualità del programma presentato dal candidato (come sia valutato dalla pancia dell'elettore mi rimane un mistero!), il secondo criterio è la capacità del candidato di realizzare quel programma. Io sostengo che troppo spesso né l'uno né l'altro criterio sono incontrati nelle campagne elettorali e dirò perché.

Comincio con il candidato. Spesso la scelta ricade sul candidato che sa presentarsi meglio, che sa vendersi, come si dice. Allora ciò che determina la scelta è il registro retorico, la rapidità della battuta, la prontezza di spirito del candidato. C'è forse qualche equivalenza, qualche corrispondenza tra queste caratteristiche comportamentali e la capacità di realizzare un progetto politico? No, che io sappia non ve ne sono e la storia della politica è piena di personaggi spiritosi e del tutto incompetenti in politica (esempi nostrani: Berlusconi e Grillo) ed è altrettanto piena di personaggi poco spiritosi (poco comunicativi!) eppure capaci di guardare lontano (per rimanere in Italia non mi risulta che Gramsci e Sturzo fossero particolarmente gaudenti, e neanche Berlinguer e Moro). Eppure la comunicazione è essenziale e nell'era delle immagini non è possibile prescindervi. Come è possibile evitare questa trappola? Togliendo spazio al linguaggio fatto di messaggi brevi e fumosi che si usa nelle campagne elettorali. Qui arriva l'altro criterio per scegliere un candidato o un altro: il suo programma, il suo progetto. La scelta del candidato deve basarsi su un progetto chiaro e verificabile.

Se nessuno vuole parlare di ideologie non parliamone. Possiamo parlare almeno di progetto politico? Di disegno per il futuro? Resto convinto che tra pensiero debole e debolezza di pensiero c'è un abisso ma a volte tocca chiudere un occhio per prendere meglio la mira e per quanto progetto, programma e ideologia siano cose ben differenti non resta che puntare a una se l'altra è preclusa. Per semplicità diciamo che il programma descrive il progetto politico.  Allora che sia questo l'oggetto di una campagna elettorale: il progetto per la società delle prossime generazioni.

Quindi una volta eliminate le ideologie dal panorama politico entrano in scena termini più maneggevoli ma non per questo gestiti con maggiore perizia. Quando in campagna elettorale si parla di progetto politico spesso si cade in categorie fumose ma quando si fa un progetto per ottenere un finanziamento da un qualsiasi ente o istituto, sia essa la comunità europea o una banca, si devono fornire tutti gli elementi utili per valutare la bontà della proposta, la sua fattibilità, quante persone saranno coinvolte, quali mansioni avranno, quante ore di lavoro sono previste, quali strumenti saranno impegnati. Questo dettaglio è impossibile per un progetto politico ma questo significa relegare il linguaggio delle campagne elettorali ad una sequela di slogan? La fiducia che il corpo elettorale accorda temporaneamente al candidato vale meno del denaro che una banca concede per finanziare un progetto? La fiducia dell'elettore chiede meno garanzie di essere onorata?

Se la risposta alle tre domande è negativa allora il progetto politico deve essere scritto cercando di avvicinarsi il più possibile ai requisiti richiesti ad un qualunque soggetto intento ad ottenere un finanziamento per una borsa di studio o per un progetto di lavoro. Per quale motivo il politico non deve dichiarare chiaramente il suo progetto? E qui, passando attraverso la pur debole consonanza tra progetto e ideologia, faccio una piccola digressione. La democrazia rappresentativa prevede una delega e per quanto il delegato deve essere sempre giudicato dai deleganti si troverà inevitabilmente a dover prendere decisioni senza poterli consultare. Allora come può il delegato decidere cercando di conciliare il principio di libertà di coscienza con il principio di lealtà nei confronti dei propri elettori? Lo può fare solo avendo chiaramente esplicitato l'ideologia nella quale si inscrive il suo progetto politico, altrimenti si muoverebbe come si muovono gli eletti del M5s, trattati da minorati dal loro bicefalo capocomico, trattamento evidentemente consono all’amor proprio di cui ciascuno di loro dispone.

Tornando al progetto politico, se è vero che non può essere dettagliato come un progetto per un finanziamento è anche vero che non può essere solo una sequela di dichiarazioni generiche e vuote senza alcun elemento concreto su come si intende realizzarlo. Lo Stato ha una contabilità, delle voci di spesa e chi si accinge a guidare un paese ha il dovere di conoscere quei conti e ha il dovere di dire chiaramente dove e come intende intervenire, cosa e quanto intende tagliare o incentivare, dando possibilmente cifre e valutazioni di impatto delle politiche che propone. Non sa o non può farlo? Ebbene, significa che deve fare un altro mestiere. Guidare il paese è più complicato che guidare un'auto eppure per guidare un'auto sono richieste specifiche capacità, se non si è idonei alla guida vorrà dire che non sarà consentito guidare, tutto qui. Qui io sto parlando dei candidati per la segreteria del PD, partito che potrebbe esprimere il prossimo presidente del consiglio. Questi candidati devono avere una conoscenza pressoché totale del paese ed una visione sistemica della politica. Non si candidano alla guida di un partito per esprimere interessi particolari ma per esprimere e realizzare una visione generale del paese e della società.

Io pretendo, e tutti dovrebbero pretendere, che il candidato alla guida di un partito che si accinge a reggere le sorti del paese dica chiaramente cosa intende fare su problemi concreti e come intende farlo. Politica industriale, quali e quante risorse intende muovere? Come intende intervenire sulla stretta creditizia e sui debiti dello Stato nei confronti delle aziende private? Quali azioni intende mettere in campo nei confronti delle banche? Politica del lavoro, quali progetti ha in mente per ridurre la disoccupazione? Quali le proposte nel settore privato e in quello pubblico? Come pensa di risolvere il lavoro precario? Politica delle pensioni, come intende equilibrare le evidenti disparità del sistema pensionistico? Politica fiscale, se ritiene inaccettabile la distanza tra ricchi e poveri come intende ridurla? Attraverso una tassazione dei redditi o attraverso una soglia ai tributi? Come intende ridistribuire la ricchezza? Attraverso contributi o attraverso servizi sociali? Come si intendere eradicare l’evasione fiscale e portarla ai livelli degli altri paesi europei? Quali misure intende mettere in campo per fermare la corruzione che fa decuplicare i costi delle opere pubbliche rispetto ad ogni altro paese civile? Politica ambientale, quali risorse mobilitare per il dissesto idrogeologico? Come intende fermare l’erosione del suolo e l’abusivismo edilizio? Ha un’idea delle conseguenze del riscaldamento globale? Come intende affrontarle? Con quali strumenti? Diritti civili, enunci chiaramente il candidato la propria visione, senza giri di parole e formule “non divisive”. Per l’istruzione e la ricerca, sia essa pubblica o privata, il candidato intende attenersi al dettato costituzionale che non prevede oneri per lo Stato per le scuole private o intende trasgredirlo come hanno fatto tutti finora? Se ritiene necessario l’intervento dello Stato, dica in che misura, con quali priorità. Semplificazione istituzionale, tutti parlano di abolizione delle province, ma quante risorse si liberano? Dei lavoratori delle province soppresse che ne facciamo? E le competenze delle province dove vanno, con quali costi? E via e via e via, le domande non si fermano qui, potrebbero continuare ma credo di aver reso l’idea. Un progetto di un candidato alla segreteria di partito deve rispondere a queste e molte altre domande e lo deve fare nella maniera più circostanziata possibile. Non puoi dire solo che sarà ridotta la disoccupazione, che saranno ridotte le disuguaglianze, devi dire anche come intendi farlo, sia pure a grandi linee. Mi si dirà che questo approccio serve per stilare un programma di governo, vero, ma intanto non mi pare di aver mai letto un programma di governo che rispondesse a queste domande e per quanto le due circostanze siano differenti la distanza tra un programma di governo e un programma per la segreteria di un partito maggioritario non dovrebbe essere quella che c’è tra un preventivo dettagliato (quando mai!) e una sfilza di buone dichiarazioni di intenti che se venissero lette troverebbero d'accordo tutti, pure quelli che voterebbero per altri partiti. (Forse molti candidati puntano sul fatto che a leggere i programmi sono in pochi e in Italia è una scommessa facile da vincere!)

Se i programmi per la segreteria di partito sono esclusivamente mirati all’organizzazione o riorganizzazione del partito senza affrontare i problemi del paese in maniera concreta allora il partito resta lontano dalla gente. Solo i militanti, sempre di meno, saranno interessati a quei documenti ma il partito verrà votato dagli elettori e se il partito li vuole appassionare non riuscirà a farlo nei pochi mesi dedicati alla campagna elettorale per le elezioni politiche. Il partito dovrà parlare alla gente anche quando si riorganizza al suo interno, altrimenti resta un discorso per pochi aficionados e alla fine l'unica partecipazione sarà quella intercettata da incompetenti che farebbero politica a suon di “tutti a casa”.

Gli elettori devono avere risposte precise alle domande di cui sopra, hanno il diritto e il dovere di averle e il candidato ha il dovere di fornirle in maniera circostanziata, producendo numeri laddove sono richiesti e necessari, sia pure con stime di massima ma comunque numeri, perché se è vero che non tutta la politica si fa con i numeri è altrettanto vero che nessuna politica si può fare senza neanche un numero e i programmi politici non hanno quasi mai un solo numero. Io non penso affatto che tutta la politica possa essere ridotta ai numeri, sarebbe il trionfo della visione economicista che di fatto imperversa. La gran parte della politica si sostanzia di qualia, di principi che nulla hanno a che fare con i quanta, ma è credibile una politica che prescinda del tutto dalla dimensione quantitativa delle proposte? La dittatura dei numeri non è forse il disastroso risultato dell'incapacità di usare i numeri con la dovuta cautela e competenza? Non è il risultato di campagne elettorali condotte esclusivamente a colpi di parole per piacere a tutti senza dire niente, dove gli stessi principi sono una parodia?

Se sono ben scritti i programmi sono imparentati con i manifesti culturali (ad essere buoni), ma chi si candida alla guida del paese deve sì dichiarare il proprio manifesto ma deve aggiungere un progetto concreto su come realizzare quel manifesto. Il politico non ha il compito di risvegliare le coscienze, questo è il compito degli intellettuali attraverso i manifesti, il politico deve conoscere quei manifesti, farli suoi e mettere in moto tutte le energie e risorse necessarie perché le coscienze non si addormentino. Ben vengano gli intellettuali in politica, ad avercene, ma che abbiano chiara la distinzione dei ruoli.

Se i progetti devono fare i conti con le risorse economiche allora devono essere espressi anche in questi termini, almeno a grandi linee. Invece si riempiono pagine con frasi ad effetto buone per ogni stagione del tipo “dobbiamo semplificare le regole del gioco” ed eludendo puntualmente la domanda “come?”. Senza il come ogni proposta è fumo, aria fritta. Non me ne frega un accidente se tra 20 anni un candidato farà ancora politica oppure no, a me interessa come sarà questo paese tra 10 anni se sarà guidato da quel candidato. Non basta voler muovere questo paese, devi dire dove lo vuoi portare e come ce lo vuoi portare, devi dire che società hai in mente, in due parole devi dire che ideologia hai, se puoi permettertene una. Non c'è più un cane a riconoscere statuto alle ideologie ma l'ideologia di oggi è quella empirica, operativa, tecnica, quella che chiede “come?”. Oggi la domanda “come fare?” precede la domanda “che fare?” e la politica ha ancora il compito di stabilire la priorità del cosa fare ma non può più eludere il come fare.
Si dice che la gente ha bisogno di sogni, vero, ma il disincanto è tale che immediatamente dopo chiede cosa ritroverà al risveglio.

Queste annotazioni, più o meno disordinate, per dire che dei quattro programmi presentati dai quattro candidati alla segreteria del PD l'unico programma degno di attenzione è quello di Civati. Gli altri tre programmi, di Cuperlo, di Pittella e di Renzi sono infarciti di dichiarazioni di intenti, di buone intenzioni, senza alcun riferimento alle modalità di realizzazione, neppure a grandi linee, nessun elemento è fornito sul piano d'azione. Senza dubbio ognuno dei tre candidati esprime, più o meno consapevolmente, una propria ideologia e non sto qui a fare la graduatoria di chi è più di sinistra o di chi non lo è affatto, dico soltanto che se i loro documenti fossero progetti per una semplice borsa di studio verrebbero bocciati come generici e fumosi. Gli iscritti al PD dovrebbero prestare attenzione a questo ma sono sicuro che la gran parte di loro voterà senza leggere i documenti congressuali, si affideranno a quello che passa la televisione e tutti pagheremo il tributo al post berlusconismo.

lunedì 28 ottobre 2013

Just a perfect day

"... and how Death is that remedy all singers dream of, sing, remember, ...", Kaddish, Allen Ginsberg.

Ieri a Roma un ragazzo di 21 anni si è suicidato, un altro, me lo ha detto mia madre stamattina al telefono, mi ha detto "non sopportava l'omofobia". Per mia madre è chiaro che in Italia e altrove esiste un problema omofobia, non un problema omosessualità. Mi chiedo quanti ancora in Italia e altrove direbbero di questo suicidio (di società) che il ragazzo "non sopportava di essere omosessuale."

"All your two-bit psychiatrists are giving you electric shock...", Lou Reed.

martedì 22 ottobre 2013

Save the date: appuntamento con la Storia

Grillo organizza il terzo Vaffa day.... e sti cazzi?


"Diotima principiò col dichiarare che l'Azione Parallela era una occasione unica per tradurre in realtà il più grande e più importante ideale. - Dobbiamo e vogliamo attuare un'altissima idea. L'occasione si offre e sarebbe imperdonabile lasciarsela sfuggire!
Ulrich chiese ingenuamente: - Ma lei ha in proposito un pensiero preciso?
No, Diotima non l'aveva." L'uomo senza qualità, Robert Musil.

... se Diotima avesse conosciuto Grillo e Casaleggio, loro avrebbero sicuramente saputo trovare l'idea giusta "per tradurre in realtà il più grande e più importante ideale", un bel vaffa day e tutto torna a gonfie vele. Queste sì che sono idee quando non si hanno le palle per fare la storia.

domenica 20 ottobre 2013

La gerarchia delle verità

In un post recente Odifreddi ha fatto notare che la concessione dei funerali a Priebke da parte della Chiesa avrebbe arruolato il criminale nazista nella lista dei "buoni", mentre Welby, cui furono negati i funerali, era stato messo nella lista dei "cattivi". Quindi la negazione dei funerali a Priebke ha di fatto arruolato il criminale nazista nella lista dei "cattivi" al fianco di Welby. Non entrerò nel merito delle contraddizioni della Chiesa e del piacere di Odifreddi di farle notare, non trovo stimolante né l'uno né l'altro argomento.

Tuttavia dall'acceso dibattito avviato dal post di Odifreddi si è alzato un polverone riguardo ad un commento dello stesso Odifreddi in cui afferma: "non entro nello specifico delle camere a gas, perché di esse “so” appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal “ministero della propaganda” alleato nel dopoguerra. e non avendo mai fatto ricerche al proposito, e non essendo comunque uno storico, non posso far altro che “uniformarmi” all’opinione comune. ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti, e che le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato insegnato, affinché credessi ciò che mi è stato insegnato."

Aggiungo che perché la propaganda funzionasse bene sono stati marchiati a fuoco migliaia di comparse tutte felicissime di farsi imprimere il numero sul braccio pur di testimoniare la vita e la morte nei campi di concentramento. Per non far trapelare la macchinazione sono state organizzate scuole di preparazione teatrale perché tutti gli attori, ma proprio tutti, riferissero la stessa versione. Pur di dare forza alla loro testimonianza alcuni soggetti, come Primo Levi, sono stati addirittura d'accordo a suicidarsi dopo aver scritto pagine che fanno torcere le budella ad una persona minimamente dotata di senso del dolore.

Pochi giorni fa Odifreddi è tornato sull'argomento con un altro post dove, con la lucidità che gli è consueta, pari almeno alla sua arroganza, spiega quello che ha voluto dire nel commento riferendo della gerarchia delle verità nelle discipline matematiche, scientifiche e storiche. "Si parte dalle verità matematiche, che sono dimostrate in maniera logica e controllabili da chiunque abbia un’alfabetizzazione adeguata. Si passa alla verità scientifiche, che non sono mai completamente assodate, e sempre sottoposte a continue verifiche sperimentali, spesso effettuabili solo da chi abbia adeguati mezzi tecnologici. Si arriva poi alle verità storiche, che si basano su testimonianze di varia mano, relative a fatti unici e non riproducibili, e che dunque non possono mai avere il grado di affidabilità delle verità scientifiche, per non parlare di quelle matematiche."

Ed è proprio qui il punto. Le verità storiche "si basano su testimonianze di varia mano" e per quanto abbiano differente statuto delle verità matematiche e scientifiche, se quelle testimonianze concordano e non hanno smentite ragionevoli allora rappresentano un accertamento di fatti avvenuti.
A differenza di Odifreddi quello che so dei campi di sterminio tedeschi, come di quelli dell'Italia coloniale, lo "so" grazie a quel tipo di testimonianze. Poiché Odifreddi dice chiaramente di non essere uno storico sono sicuro che "un’alfabetizzazione adeguata" possa guidarlo nella scelta delle letture storiche e non rimanere in balia del "ministero della propaganda". Potrebbe farsi consigliare delle letture da qualche attento storico, parlare con qualche vecchio sopravvissuto dei campi di sterminio, ancora ce ne sono, leggere i resoconti di testimoni diretti non più presenti ma che hanno lasciato una quantità enorme di sale da spargere su una ferita che deve rimanere aperta. Sono sicuro che in questo modo Odifreddi potrebbe farsi un'idea più compiuta e meno banale anche di verità non matematiche. Per farlo ci vuole tempo e Odifreddi potrebbe guadagnarlo evitando di rispondere frettolosamente ai diversi interlocutori del suo blog prestando tra l'altro il fianco ai vari Riotta e al mitico "popolo della rete" cui "interessa solo ripetere ciò che appare nei 150 caratteri che costituiscono ormai il limite massimo dell’attenzione e dell’approfondimento." (NdR, i caratteri concessi da twitter sono 140, ma questo errore non è grave, si possono scrivere minchiate anche superando 150 cartelle!)

Detto questo, il discorso che la storia è scritta da chi vince è un discorso antico come il mondo ma proprio per questo andrebbe affrontato con cautela, evitando di cadere nelle trappole di una comunicazione frettolosa e forse inconsciamente più asservita al piacere di rilevare le fallacie altrui che a colmare le proprie.

PS - Stavolta d'accordo con Odifreddi trovo una sciocchezza la proposta di una legge contro il negazionismo, per i motivi esposti in questo post, che peraltro riprende una lettera aperta del 2007 di diversi storici. Troverei più adeguato un invito a fare autocritica del nostro passato coloniale, in Italia pensiamo tutti di essere buoni e santi ma non è stato così e non è così.

giovedì 17 ottobre 2013

Nota di servizio con benvenuto

Dopo quasi 5 anni di onorata carriera da blogger e 601 post che non si può certo dire siano stati virali, nell'ultimo post ricevo ben 6 commenti da 5 nuovi utenti più uno che ho cancellato perché era giusto un pelo sotto l'asticella che ho deciso. Una bella sorpresa! A parte la cattiveria forse infondata che uno e trino è già sul mercato da tempo ma uno e pentano sarebbe una inattesa novità, devo riconoscere che qualcosa è accaduto e allora val la pena di buttar giù due righe.
Ammetterete che 6 utenti con nickname differenti non riconducibili ad alcun profilo che nel giro di due giorni scrivono commenti in questo blog sono un evento epocale. Perciò mi perdonino gli ospiti abituali se non li menziono ma è buona educazione dare il benvenuto ai nuovi ospiti, fatto salvo l'utente/commento cancellato, naturalmente.
Visitatori, se pensate di conquistare visibilità lasciando commenti in questo blog vi ringrazio del credito di stima ma è mio dovere informarvi che il vostro tempo a scrivere commenti è assai più prezioso del mio a rispondere o a non rispondere, nel senso che io ho un'autostima sufficiente ai miei bisogni e non ho l'esigenza di investire tempo ad accrescerla rispondendo a qualunque cinguettio ma se la vostra autostima deve crescere mi permetto di consigliare siti più frequentati di questo che, vi assicuro, non sarà faticoso trovare. Questo blog, oltre a non avere l'affluenza che immagino vi aspettiate e che io stesso a volte e inopinatamente spero, presenta altre insidie. Fermo restando che i commenti che non superano l'asticella di cui sopra verranno eliminati appena il padrone di casa ne prende visione, come recita l'avvertimento, è anche utile considerare che il suddetto padrone di casa è abbastanza scorbutico e imprevedibile da decidere a sua discrezione di fare piazza pulita dei commenti non perché esprimano dissenso ma perché, peggio, non dicono nulla ed ecco che tutto lo sforzo di digitazione svanirebbe in un attimo. Uno spreco di energia imperdonabile perché la vita è breve.
Datemi retta cercate siti più fichi, la rete offre innumerevoli angoli dove lasciare un segno della propria esistenza entro i 140 caratteri.

martedì 15 ottobre 2013

Shutdown

"Cari colleghi
Mi mancate! E' veramente un'esperienza desolante camminare in queste sale. L'incapacità del Congresso di approvare una legge di stanziamenti ha fatto sì che più del 93% dei nostro staff di quasi 17.000 persone non sia al lavoro. Questa è una situazione molto scoraggiante e posso solo immaginare quali impatti possa avere questo arresto su di voi e sulla vostra famiglia."

Così comincia la lettera ai dipendenti di Gina McCarthy, direttrice dell'EPA (Agenzia per la Protezione Ambientale statunitense). Il 93% di quasi 17.000 persone... 15.810 lavoratori rimangono a casa per lo shutdown. 15.810 solo nell'EPA, poi vanno considerate tutte le altre attività federali. Lo shutdown è la chiusura di tutte le attività federali per l'indisponibilità dei repubblicani ad approvare la legge di bilancio, una ritorsione della destra statunitense per la riforma sanitaria di Obama.
Shutdown...così si spengono migliaia di persone, come si fa con il computer.

martedì 8 ottobre 2013

Profezia

Profezia, (1964) di Pier Paolo Pasolini
Da Alì dagli occhi azzurri, Garzanti, Milano 1996.

                                                                           A Jean-Paul Sartre, che mi ha raccontato
                                                                           la storia di Alì dagli Occhi Azzurri


                            Era nel mondo un figlio
                            e un giorno andò in Calabria:
                            era estate, ed erano
                            vuote le casupole,
                            nuove, a pandizucchero,
                            da fiabe di fate color
                            della fame. Vuote.
Come porcili senza porci, nel centro di orti senza insalata, di campi
senza terra, di greti senza acqua. Coltivate dalla luna, le campagne.
Le spighe cresciute per bocche di scheletri. Il vento dallo Jonio
                            scuoteva paglia nera
                            come nei sogni profetici:
                            e la luna color della fame
                            coltivava terreni
                            che mai l’estate amò.
                            Ed era nei tempi del figlio
                            che questo amore poteva
                            cominciare, e non cominciò.
                            Il figlio aveva degli occhi
                            di paglia bruciata, occhi
                            senza paura, e vide tutto
                            ciò che era male: nulla
                            sapeva dell’agricoltura,
                            delle riforme, della lotta
                            sindacale, degli Enti Benefattori,
                            lui - ma aveva quegli occhi.

                            Ogni oscuro contadino
                            aveva abbandonato
                            quelle sue casupole nuove
                            come porcili senza porci,
                            su radure color della fame,
                            sotto montagnole rotonde
                            in vista dello Jonio profetico.
                            Tre millenni passarono
non tre secoli, non tre anni, e si sentiva di nuovo nell’aria malarica
l’attesa dei coloni greci. Ah, per quanto ancora, operaio di Milano,
lotterai solo per il salario? Non lo vedi come questi qui ti venerano?
                            Quasi come un padrone.
                            Ti porterebbero su
                            dalla loro antica regione,
                            frutti e animali, i loro
                            feticci oscuri, a deporli
                            con l’orgoglio del rito
                            nelle tue stanzette novecento,
                            tra frigorifero e televisione,
                            attratti dalla tua divinità,
                            Tu, delle Commissioni Interne,
                            tu della CGIL, Divinità alleata,
                            nel sicuro sole del Nord.

                            Nella loro Terra di razze
                            diverse, la luna coltiva
                            una campagna che tu
                            gli hai procurata inutilmente.
                            Nella loro Terra di Bestie
                            Famigliari, la luna
                            è maestra d’anime che tu
hai modernizzato inutilmente. Ah, ma il figlio sa: la grazia del sapere
è un vento che cambia corso, nel cielo. Soffia ora forse dall’Africa
e tu ascolta ciò che per grazia il figlio sa. Se egli poi non sorride
                            è perchè la speranza per lui
                            non fu luce ma razionalità.
                            E la luce del sentimento
                            dell’Africa, che d’improvviso
                            spazza le Calabrie, sia un segno
                            senza significato, valevole
                            per i tempi futuri! Ecco:
                            tu smetterai di lottare
                            per il salario e armerai
                            la mano dei Calabresi.

                            Alì dagli Occhi Azzurri
                            uno dei tanti figli di figli,
                            scenderà da Algeri, su navi
                            a vela e a remi. Saranno
                            con lui migliaia di uomini
                            coi corpicini e gli occhi
                            di poveri cani dei padri
sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i bambini,
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua.
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
                            Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
                            a milioni, vestiti di stracci
                            asiatici, e di camicie americane.
                            Subito i Calabresi diranno,
                            come da malandrini a malandrini:
                            «Ecco i vecchi fratelli,
                            coi figli e il pane e formaggio!»
                            Da Crotone o Palmi saliranno
                            a Napoli, e da lì a Barcellona,
                            a Salonicco e a Marsiglia,
                            nelle Città della Malavita.
                            Anime e angeli, topi e pidocchi,
                            col germe della Storia Antica
                            voleranno davanti alle willaye.

                            Essi sempre umili
                            Essi sempre deboli
                            essi sempre timidi
                            essi sempre infimi
                            essi sempre colpevoli
                            essi sempre sudditi
                            essi sempre piccoli,
essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare,
essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi
in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo,
                            essi che si costruirono
                            leggi fuori dalla legge,
                            essi che si adattarono
                            a un mondo sotto il mondo
                            essi che credettero
                            in un Dio servo di Dio,
                            essi che cantavano
                            ai massacri dei re,
                            essi che ballavano
                            alle guerre borghesi,
                            essi che pregavano
                            alle lotte operaie...

                            … deponendo l’onestà
                            delle religioni contadine,
                            dimenticando l’onore
                            della malavita,
                            tradendo il candore
                            dei popoli barbari,
                            dietro ai loro Alì
dagli Occhi Azzurri - usciranno da sotto la terra per uccidere –
usciranno dal fondo del mare per aggredire - scenderanno
dall’alto del cielo per derubare - e prima di giungere a Parigi
                            per insegnare la gioia di vivere,
                            prima di giungere a Londra
                            per insegnare a essere liberi,
                            prima di giungere a New York,
                            per insegnare come si è fratelli
                            - distruggeranno Roma
                            e sulle sue rovine
                            deporranno il germe
                            della Storia Antica.
                            Poi col Papa e ogni sacramento
                            andranno su come zingari
                            verso nord-ovest
                            con le bandiere rosse
                            di Trotzky al vento...


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