Pagine

domenica 24 dicembre 2017

Presepe privato

Giovanni Segantini - Le due madri, 1889.
Quando il tempo era ancora giovane ogni giorno d'inverno era Natale. Quando il gelo mordeva le carni per rifarsi del sole che d'estate le aveva bruciate la stanza più calda della casa era la stalla. Gli animali avevano un nome, come i figli, e sacre famiglie si radunavano insieme a buoi e asini da tiro, capre e pecore, mucche da latte e galline ovaiole a discorrere di passate stagioni e di future semine, raccontavano storie mentre ciurme di santi bambini si rincorrevano per raccogliersi stanchi intorno a austeri contadini e anziani pastori, pronipoti di Caino e Abele. Dormivano gli ultimi nati sotto gli occhi attenti di Marie che si scambiavano consigli e memorie a loro giunte da antiche madri sempre presenti che a quei tempi i morti dividevano il pane con i vivi e le famiglie erano numerose di generazioni e andando indietro di anziano in anziano presto si sarebbe arrivati al tempo che Cristo non era nato.
Quando il tempo era giovane ogni notte fredda era Natale, oggi è solo una volta l'anno. Viviamo davvero miseri tempi.

giovedì 21 dicembre 2017

Riflessioni sulle età del fascismo

Fonte dell'immagine (it.pinterest.com)
Considerando l'ordinanza del sindaco di Como che durante le festività natalizie vieta, per ragioni di decoro urbano, che siano portati beni di prima necessità ai senza tetto viene da pensare che negli ultimi tempi decoro sia diventata la parola d'ordine dei fascisti beneducati. Di fronte a questi casi è tuttavia intellettualmente onesto chiedersi se la storia di questo paese non induca a ricondurre sotto la categoria del fascismo qualsiasi comportamento che contravvenga ai principi di solidarietà. E’ sotto gli occhi di tutti una deriva egoistica anche in paesi che non hanno avuto l’esperienza storica del fascismo. Le organizzazioni che si richiamano alla destra sociale fanno dei loro interventi di beneficenza un elemento caratterizzante, sebbene i soggetti beneficiari del loro aiuto siano eletti non in quanto bisognosi ma in quanto bisognosi appartenenti a una comunità di sangue e territorio. Basterebbe forse questo per riconoscere un elemento distintivo del fascismo, l’appartenenza in quanto legame di sangue determinato da confini nazionali. Confini che sappiamo blandi da sempre e che oggi più che mai si richiamano a un mondo che non esiste e che non è mai esistito se non quando aveva organizzazione tribale. Ripensando al periodo storico del fascismo è facile che tornino in mente detti popolari come “quando c’era lui non si vedevano poveri per strada”, “tutti avevano un lavoro”, e via cantando lodi di questo passo. Se e quanto questi peana corrispondessero al vero la storia ha già detto. Eppure sono questi canti che fanno tornare in mente la considerazione che decoro sia diventata oggi la parola d'ordine dei fascisti beneducati, ma sappiamo esserci di più. Il di più deve spiegare perché l’egoismo, per quanto non più caratterizzato da elementi tribali, sia diventato così diffuso anche dove il fascismo storico non si è manifestato, anche in paesi che lo hanno combattuto. La storia ama rovesciare i paradigmi e se il paradigma che un tempo opponeva destra (fascista) e sinistra sul fronte della solidarietà era l’appartenenza su base territoriale contro una appartenenza di classe sociale senza confini allora in quest’epoca ossimorica quello che si osserva è un egoismo di classe. Si appartiene alla classe degli egoisti o se ne è tagliati fuori secondo criteri efficientisti, di produzione e godimento di ricchezza. Qualsiasi comportamento che contravviene ai sacri principi del produttivismo è bollato dallo stigma del biasimo che segna il reietto che non merita pietà. “La lotta di classe c’è e l’hanno vinta i ricchi”, scriveva tempo fa Marco Revelli, con l’ulteriore successo da parte loro di aver trascinato la classe media nel tripudio della vittoria, facendone una classe ignobile, ancora più ignobile della classe alta perché è una classe di parvenu che aspirano ad entrare nel gotha dei potenti esibendo in maniera sguaiata disprezzo per chi ha bisogno di aiuto, una classe di Calogero Sedara senza storia e senza quel decoro interiore che esigono per ciò che è fuori. Quando c’era lui non c’erano mendicanti per strada! Quando c’era lui tutto filava liscio, tutto era efficiente. E’ questo efficientismo di facciata il marchio del fascismo, lo stesso efficientismo che caratterizza la nostra società tecnologica. Non era forse distintiva del fascismo storico anche l’esaltazione del progresso tecnologico, esaltazione peraltro condivisa con le rivoluzioni di altro colore? La storia cambia continuamente, costruisce il ponte su cui cammina mentre lo percorre. L’efficienza di oggi si è dematerializzata, non ha più i connotati materiali della tecnologia di un tempo. Il fascismo del ventennio italiano è stato la manifestazione storica di qualcosa che lo precedeva e che gli è succeduto non solo in questo paese. Da questo punto di vista l’Italia è stato un laboratorio privilegiato, tragicamente privilegiato, un contrappasso o forse una involuzione per il privilegio che abbiamo avuto di essere laboratorio dell’Umanesimo e del Rinascimento. La storia è come le scale del castello di Hogwarts, “a loro piace cambiare!”. Una nuova trasmutazione è avvenuta verso lo spirito assoluto, dopo l’eliminazione del pater e la continua negazione della mater l’unico soggetto che resta è lo spirito santo del mercato in cui tutto si produce e tutto si consuma. Questa è l’ultima ara del progresso, l’aleph verso cui tendere, il buco nero che tutto attira. Se sei riunito intorno a quell’altare allora fai parte della comunità degli eletti altrimenti sei uno scarto. Il povero è povero perché non si è impegnato a sufficienza, chi partecipa alla liturgia del natale raccoglie e consuma il meritato premio. Il merito è guida e metro di questo successo. Il mancato consumo è l’oltraggio al decoro, chi non consuma è il blasfemo che nega Dio. Non si può bestemmiare in chiesa esattamente come non si può mendicare davanti alle vetrine di addobbi natalizi. La storia ama cambiare ma forse conserva un’essenza perenne che pochi uomini sono stati in grado di scorgere, uomini capaci di guardare la storia negli occhi, di vederne il terribile volto di medusa senza restare pietrificati. Pier Paolo Pasolini scriveva nel 1962 "L’Italia sta marcendo in un benessere che è egoismo, stupidità, incultura, pettegolezzo, moralismo, coazione, conformismo: prestarsi in qualche modo a contribuire a questa marcescenza è, ora, il fascismo. Essere laici, liberali, non significa nulla, quando manca quella forza morale che riesca a vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona, con le sue leggi allettanti e crudeli. Non occorre essere forti per affrontare il fascismo nelle sue forme pazzesche e ridicole: occorre essere fortissimi per affrontare il fascismo come normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società. " (Pier Paolo Pasolini - Fascisti: padri e figli, Le belle bandiere, n. 36 a. XVII, 6 settembre 1962.)
Un mondo dove tutto funziona è esigenza perenne della natura umana, costante antropologica per cui si costruiscono miti, si istituiscono riti, nascono religioni. L’ultima trasfigurazione di questa invocazione di ordine sacro è la promessa di benessere di cui tutti possono godere. La promessa di Natale è di rendere tutti partecipi della festa. La promessa del mercato è di rendere tutti partecipi della festa a patto di meritarlo. E’ la promessa di un mentitore ma è una promessa su cui si è scommesso di credere come consigliava Pascal per altre promesse.
Quanti di noi, oggi, sono in grado di “vincere la tentazione di essere partecipi a un mondo che apparentemente funziona”?
Buone feste!

venerdì 15 dicembre 2017

Endecatliaco

Causa ritardo per un quarantotto
sarei operoso tra letto e divano
sorseggiando buon Ernest del trentotto
non ci fosse da lavorare invano

giovedì 14 dicembre 2017

Spunti sulla storia di domani

In una delle sue bustine di minerva Umberto Eco scriveva nel 2009: "È che siamo stati abituati, dalla storia detta 'evenemenziale', a vedere tutti i grandi eventi storici appunto come catastrofi: quattro sanculotti danno l'assalto alla Bastiglia e scoppia la rivoluzione francese, qualche migliaio di scalzacani (ma pare che la foto sia stata artefatta) danno l'assalto al Palazzo d'Inverno e scoppia la rivoluzione russa, sparano a un arciduca e gli alleati si accorgono di non potere convivere con gli Imperi Centrali, ammazzano Matteotti e il fascismo decide di trasformarsi in dittatura.
Invece sappiamo che i fatti che sono serviti di pretesto o, per così dire, di segnalibro per poter fissare l'inizio di qualcosa, avevano un'importanza minore, e che i grandi eventi di cui sono diventati simbolo stavano maturando per lento gioco di influenze, crescite e disfacimenti.
La storia è lutulenta e viscosa. Cosa da tenere sempre a mente, perché le catastrofi di domani stanno sempre maturando già oggi, sornionamente."


Perchè mi è tornata in mente questa bustina? Perché quando ieri sera ho ascoltato la notizia delle minacce di Ryanair ai lavoratori in sciopero e della giusta sollevazione di scudi da parte del governo nei confronti dell'azienda mi è tornata in mente la notizia di tre anni fa del ministro Dario Franceschini che invece di intervenire sui conflitti contrattuali che determinano lo sciopero dei lavoratori dei musei interviene sul diritto di sciopero.
Il comportamento di Ryanair è una inaccettabile conseguenza estrema di una inaccettabile premessa.

martedì 12 dicembre 2017

Lo stupore degli stupidi

Prendo spunto dal caso Bellomo, il magistrato consigliere di Stato, senza interessarmi del caso Bellomo. Le indagini e la soluzione del caso saranno cura della magistratura. Da parte mia dico solo che lo Stato in questi casi dovrebbe intervenire a tutela della propria credibilità, pena la caduta della fiducia nelle istituzioni. Fiducia che allo stato attuale mi sembra già gravemente compromessa, forse in maniera irreversibile.

Il servizio del Tg La7 di ieri sera su Bellomo comincia parlando delle eccezionali doti intellettive del magistrato e di un curriculum vitae et studiorum fuori dal comune che lo ha portato fino al Consiglio di Stato. Insomma una persona di successo con una vita pienda di soddisfazioni. Nel servizio si sente tutto lo stupore che un soggetto con quell'intelligenza e quella posizione possa essere coinvolto in un caso di molestie sessuali. In altre parole è sottinteso, almeno per l'autore del servizio, che in una situazione del genere si aspetta di trovare un soggetto non particolarmente dotato intellettivamente e quasi sicuramente povero. Insomma il classico brutto, sporco e cattivo.
Anni fa Daniel Goleman scrisse un libro dedicato all'intelligenza emotiva in cui distingueva l'intelligenza che serve per risolvere quiz e fare carriera da quella che serve per stabilire relazioni emotivamente soddisfacenti con gli altri. A distanza di più di vent'anni dalla pubblicazione del libro di Goleman la sua lezione non è stata ancora acquisita. Diamo per scontato che una persona istruita, ben vestita e di successo sia anche una persona corretta e moralmente integra. Forse dopo l'intelligenza emotiva sarebbe il caso di affrontare il tema dell'intelligenza morale e dire una volta per tutte che un plurilaureato, un genio in doppio petto può essere un autentico mostro. Ripeto, il caso Bellomo non mi interessa e non ho alcuna premura di esprimere giudizi partecipando al gioco dei colpevolisti e innocentisti che tanto appassiona gli italiani, solitamente competenti in ruoli che non gli competono. Quello che mi interessa è l'atteggiamento classista, espresso nel servizio del tg e molto diffuso, che dà per scontato che un genio in carriera sia anche moralmente ineccepibile. E' falso. Lo vediamo in mille casi in cui per la carriera molti sarebbero disposti a vendersi non una ma due madri, a trascurare le persone amate, a vivere rinunciando agli affetti. Diamo per scontato che un livello di istruzione alto sia garanzia di elevata moralità e trascuriamo di sottolineare la differenza tra la sfera intellettiva dedicata al successo professionale e quella dedicata all'etica. Questo vale anche trascurando di prendere in considerazione che in un mondo con un livello di scolarizzazione elevato sempre più diffuso il fattore casuale sarà sempre più determinante nel successo professionale, come fa osservare Branko Milanovic. "Un individuo potrebbe diventare banchiere di Wall Street invece che istruttore di yoga semplicemente perché una sera imbocca la strada giusta (e incontra la persona giusta)".
Tra l'intelligenza emotiva e l'intelligenza morale c'è un ponte, il ponte stretto dell'empatia di cui parlava Goleman. Ora la domanda è: quale ponte attraversiamo quotidianamente? Il ponte della carriera, del successo, del prestigio, del guadagno è affollatissimo, quello dell'empatia è stretto e pericolante e visto che la mia simpatia va più spesso verso i "brutti, sporchi e cattivi" allora utilizzo un linguaggio "brutto, sporco e cattivo" per ricordare che le inculate più brucianti la gente le prende da gente ben vestita con professioni rispettabilissime. Per questo si dovrebbe pretendere un supplemento di credenziali proprio da chi sembrerebbe titolare di fiducia e smettere di considerare un pericolo gli ultimi.

sabato 25 novembre 2017

Dopo il black friday...

Dopo il black friday torna il yellow brown saturday. It's the fall baby e tu non puoi farci niente!


Non ci sono oggetti che tu possa comprare per fermare la caduta delle foglie, nessuna immortalità è così a buon mercato. Ti hanno detto che così compri un po' di immortalità, che la tua mortalità passa negli oggetti che acquisti e che presto moriranno al tuo posto, non è questo che accade. Con gli oggetti acquisti la mortalità dei tuoi simili, di quegli uomini, di quelle donne, di quei bambini che, sottopagati e sfruttati, hanno costruito quegli oggetti e te li hanno consegnati con sconti da sogno, o da incubo. Quale osceno commercio ti hanno indotto a fare. Il vuoto che vuoi riempire è l'abisso in cui prima di te è caduto chi ha dimenticato quale immenso valore morale avesse la misura delle cose, l'equilibrio tra beni e bisogni e il sereno godimento di una condizione in cui non c'è continuo rilancio tra gli uni e gli altri per arrivare all'assurdo infinito che toccheremo al prezzo della totale distruzione. Ti hanno detto che se non fai acquisti non conti nulla, non muovi l'economia, non contribuisci al progresso della specie. Guardalo adesso quel progresso, guarda cosa è diventato e guarda cosa sei diventato tu mentre inseguivi quel progresso. Sei diventato un consumatore! Se prima avevi diritto a rivendicare un ruolo di costruttore, di trasformatore del mondo, adesso non ti resta che andare fiero del ruolo di consumatore del mondo. I contadini che producevano sono diventati consumatori, gli operai che trasformavano sono diventati consumatori. Il consumatore è diventata categoria totalizzante in cui confluisce anche quella di cittadinanza. È questa la mutazione antropologica più devastante dal secondo dopoguerra in avanti e non vedo principe all'orizzonte che liberi da questo sortilegio. Niente più partiti, niente sindacati, nessun corpo intermedio delle democrazie, solo le associazioni dei consumatori hanno titolo di intermediazione tra governati e governanti. Anche tu fai parte a pieno titolo della schiera di consumatori. Adesso tutti facciamo parte della schiera degli sfruttatori, per quanto lontani da chi viene sfruttato, che non ci consentirà più di rivendicare la giustizia che noi stessi neghiamo ai nostri fratelli. E' questo il risultato della macabra danza del consumo. Tutti hanno diritto di sfruttare qualcuno! E' il vecchio adagio mors tua vita mea e non ce ne siamo ancora accorti.
Solo sottraendoci a questo scomposto sabba possiamo riconquistare il nostro sacro finito. Solo negandoci a questo balletto osceno potremo dedicarci al nostro santo nulla che scopriremo essere il tutto che inseguivamo senza riconoscere i nostri stessi desideri.
Forse, come diceva Goffredo Parise in un immenso articolo, "il rimedio è la povertà", una povertà intessuta di ricchezza morale, una povertà nobile se così si può dire. Tornano in mente i tanti interventi di Pier Paolo Pasolini sulla mutazione antropologica del consumismo, torna in mente Enrico Berlinguer quando parlava dell'austerità, da non confondere con quella roba da bassa contabilità di cui si parla oggi. Berlinguer parlava di una austerità che aveva la maestà etica alle spalle ma non fu capito nel suo stesso partito, fu osteggiato da quanti non colsero il portato morale e politico di quel richiamo e si fermarono alla sola dimensione economica. Qualche anno dopo, quando in una celebre intervista venne chiesto a Berlinguer di ricordare quell'appello, concluse con un desolante e, per me, commovente "non fummo ascoltati."

giovedì 23 novembre 2017

La cattura del gatto [Note(9)]

Il rapporto tra beni e bisogni è sempre stato molto complicato e cosa venga prima ha impegnato decine di sociologi, senza che si pervenisse a una conclusione definitiva. L’attenzione si è spostata di volta in volta dalle esigenze primarie a quelle culturali, dalla determinazione biologica ai valori simbolici e da Karl Marx a Marshall Sahlins si è sempre stabilito una sorta di risonanza tra beni e bisogni con una reciproca determinazione e definizione. Se dal punto di vista genealogico la situazione è sicuramente complicata dal punto di vista etico è indubbio che i bisogni, in quanto espressione di un desiderio, si pongono in rapporto con i beni come i fini si pongono con i mezzi. Questo ovviamente non chiarisce il problema su cosa venga prima ma pone un certo limite alla crescita di feticci.
Tornando al dilemma genealogico, oggi appare diatriba di tempi passati che ha perso ogni interesse poiché è oltre modo evidente che l’ordine tra beni e bisogni è stato definitivamente chiarito per quella sottoclasse di beni conosciuti come beni di consumo, fortunatamente per i beni affettivi e relazionali la faccenda è ancora magnificamente complessa ma si sta lavorando in proposito per dipanare la matassa!
I beni di consumo vengono creati, il loro significato costruito contestualmente alla loro emergenza con meccanismi di manipolazione sociale complessi e difficilmente prevedibili, tuttavia in caso di successo, che significa acquisto e diffusione dei beni, entra in gioco una singolare asimmetria tra la precarietà del bene di consumo, che deve essere effimero per definizione, e la perduranza dell’immagine creata, quest’ultima diventa quasi intoccabile e costituisce l’autentico capostipite di beni successivi. Una cultura comunicativa che costruisce più di quanto gli sia concesso decostruire fornisce, suo malgrado, supporto a tale meccanismo. La comunicazione costruttiva avviene in un contesto produttivo di aggiunta e arricchimento (puoi fare, puoi costruire, puoi creare…), mentre il contesto della comunicazione decostruttiva è di ordine morale percepito come elemento penalizzante (non puoi fare, non puoi costruire, non puoi creare…). Un processo regolare, circolare di creazione ed erosione di significati è sempre un processo con bilancio positivo, con il risultato di creare immense discariche di significati difficili da decomporre.
Il contesto comunicativo è fondamentalmente asimmetrico, si può dire tutto e il suo contrario ma le modalità costruens e destruens della comunicazione non hanno pari dignità. La società rifiuta il “polemico” poiché rifiuta il conflitto, forse con qualche ragione ma spesso per pigrizia intellettuale più che per razionale opposizione che a sua volta sancirebbe conflitto. Non è follia riabilitare, sebbene senza la minima pretesa moralizzatrice o di coercizione, una funzione destruens di pari dignità della funzione costruens nella comunicazione allo scopo di aggiungere un elemento “spazzino” di molti rifiuti mentali. Occorre sviluppare la funzione destruens in un contesto di “diversa creazione”, occorre fornirle un contesto culturale in cui può essere espressa senza apparire l’urlo di un pazzo, dando per scontate le capacità mentali di chi la esprime.

mercoledì 15 novembre 2017

Dolorose partenze

Noi salentini siamo viaggiatori riluttanti. Ogni partenza è un trauma natale che tocca pur attraversare! Nelle famiglie i racconti di viaggi sono spesso accompagnati da ricordi di povertà e di terre lontane e più generose da coltivare. Trasferte brevi che duravano una stagione, eppure dolorose da lasciare tracce nella memoria delle generazioni a venire, oppure trasferte dalla durata infinita, mai definitive, perché insieme alla partenza si accarezzava come il più amato dei figli l’idea del ritorno. Da queste terre si parte malvolentieri e si ritorna sempre. La storia del Salento, come di tanto Sud, non è storia di partenze ma di continui ritorni. Ogni viaggio è un viaggio iniziatico, un rito di ingresso in un nuovo mondo che ha come punto di arrivo esattamente il punto di partenza. E’ naturale che ogni iniziazione costi sacrificio e sudore, non solo dell’anima. E’ la stessa terra a chiedere un pegno di dolore, come tributo per il viaggio da intraprendere.

Prendiamo la stazione ferroviaria di Lecce per esempio, perché ogni partenza che meriti dignità di viaggio iniziatico si fa in treno, non sono ammessi altri mezzi di trasporto. La stazione di Lecce è un luogo concepito per rendere dolorosa la partenza, “ché a tacer tanto duolo è cosa dura, e poco ha doglia chi, dolendo, tace.” Quando si parte da questa stazione il distacco diventa lancinante anche perché le ferite dell’anima sono spesso sovrastate dalla fatica del corpo e resta nella memoria una feroce incertezza se faccia più male il cuore per essere dovuto partire o per aver dovuto prendere il treno per partire. Se la sventura vuole che il treno da prendere parta da un binario diverso dal primo, che si incontra appena dopo l’ingresso alla stazione, allora tocca fare una doppia rampa di scale per scendere nel corridoio sotterraneo e una per risalire al binario desiderato.

Alla stazione di Lecce le barriere architettoniche hanno la precisa e impeccabile funzione di rendere la partenza un evento più che mai doloroso. Niente scale mobili, nessun ascensore né carrelli elevatori. Ogni dettaglio concorre a rendere il distacco dalla propria terra un evento scioccante che lascia segni indelebili nello spirito e nel fisico non solo del viaggiatore ma anche dei parenti più stretti che lo avranno accompagnato alla stazione per gli immancabili saluti alla partenza e se la buona sorte ha voluto che gli amati parenti siano in età avanzata arrivano al binario addolorati per la partenza del caro congiunto e sfiatati per le amare scale che hanno dovuto percorrere di corsa. Non è uno scherzo riaversi dal trauma del distacco quando si parte dalla stazione di Lecce. E se i viaggiatori sono anziani, disabili o famiglie con passeggini, prendere il treno diventa soggetto per epiche narrazioni di erculee fatiche che si tramandano di padre in figlio per almeno sette generazioni. Un dolore incancellabile nella storia familiare anche perché quando parte un salentino, insieme a lui si muovono generi alimentari di lunga tradizione: vino, marmellate, pomodori e fichi secchi, tutto rigorosamente fatto in casa e accuratamente disposto in comode scatole di cartone approntate alla bisogna. E' uno strazio di inaudita crudeltà non poter portare con sé vettovaglie di sopravvivenza per gli ostacoli da attraversare prima di arrivare al treno. E' come se la stessa terra si opponesse all'esodo dei suoi prodotti e con essi a quello del viaggiatore. E' un'esperienza che chiede tempra, altrimenti che viaggio iniziatico sarebbe?

Alla stazione di Lecce tutto è pensato per il viaggiatore giovane, forte e in buona salute o per il viaggiatore perfetto, quello che viaggia leggero, ma noi salentini qualcosa da casa dobbiamo portarla con noi ed è facile che le nostre valigie si appesantiscano di sapori, odori e voci che ci portiamo dietro, insieme alla fatica che ci costa partire.

Matilde Surano e Antonio Caputo.

Clicca sull'immagine per ingrandire

lunedì 6 novembre 2017

Promemoria

Diciamoci la verità, adottando una visione disincantata dei sistemi politici possiamo dire che la democrazia è un discreto metodo per smorzare i conflitti tra le classi sociali.  La classe meno agiata potrebbe dire che la democrazia è utile alle classi agiate per tutelare i propri interessi evitando rivolte e sollevamenti. Anche la classe agiata potrebbe convenire sul punto e riconoscere la necessità di un patto tra le classi perché la tutela continui a essere efficace con beneficio di entrambe le classi: la classe agiata continua rimanere tale, quella meno agiata migliora le proprie condizioni di vita. Per un certo periodo questo patto c'è stato poi... lasciamo perdere. Comunque sia anche la democrazia ha le sue involuzioni, come ogni altro sistema umano del resto, ma quando farà ritorno l'imbecille proposta di introdurre una patente per votare ricordarsi di rileggere questa pagina di Antonio Gramsci.


Q13 §30. Il numero e la qualità nei regimi rappresentativi. Uno dei luoghi comuni più banali che si vanno ripetendo contro il sistema elettivo di formazione degli organi statali è questo, che il «numero sia in esso legge suprema» e che la «opinione di un qualsiasi imbecille che sappia scrivere (e anche di un analfabeta, in certi paesi), valga, agli effetti di determinare il corso politico dello Stato, esattamente quanto quella di chi allo Stato e alla Nazione dedichi le sue migliori forze» ecc. (le formulazioni sono molte, alcune anche più felici di questa riportata, che è di Mario da Silva, nella «Critica Fascista» del 15 agosto 1932, ma il contenuto è sempre uguale). Ma il fatto è che non è vero, in nessun modo, che il numero sia «legge suprema», né che il peso dell’opinione di ogni elettore sia «esattamente» uguale. I numeri, anche in questo caso, sono un semplice valore strumentale, che danno una misura e un rapporto e niente di più. E che cosa poi si misura? Si misura proprio l’efficacia e la capacità di espansione e di persuasione delle opinioni di pochi, delle minoranze attive, delle élites, delle avanguardie ecc. ecc. cioè la loro razionalità o storicità o funzionalità concreta. Ciò vuol dire che non è vero che il peso delle opinioni dei singoli sia «esattamente» uguale. Le idee e le opinioni non «nascono» spontaneamente nel cervello di ogni singolo: hanno avuto un centro di formazione, di irradiazione, di diffusione, di persuasione, un gruppo di uomini o anche una singola individualità che le ha elaborate e presentate nella forma politica d’attualità. La numerazione dei «voti» è la manifestazione terminale di un lungo processo in cui l’influsso massimo appartiene proprio a quelli che «dedicano allo Stato e alla Nazione le loro migliori forze» (quando lo sono). Se questo presunto gruppo di ottimati, nonostante le forze materiali sterminate che possiede, non ha il consenso della maggioranza, sarà da giudicare o inetto o non rappresentante gli interessi «nazionali» che non possono non essere prevalenti nell’indurre la volontà nazionale in un senso piuttosto che in un altro. «Disgraziatamente» ognuno è portato a confondere il proprio «particulare» con l’interesse nazionale e quindi a trovare «orribile» ecc. che sia la «legge del numero» a decidere; è certo miglior cosa diventare élite per decreto. Non si tratta pertanto di chi «ha molto» intellettualmente che si sente ridotto al livello dell’ultimo analfabeta, ma di chi presume di aver molto e che vuole togliere all’uomo «qualunque» anche quella frazione infinitesima di potere che egli possiede nel decidere sul corso della vita statale.

Dalla critica (di origine oligarchica e non di élite) al regime parlamentaristico (è strano che esso non sia criticato perché la razionalità storicistica del consenso numerico è sistematicamente falsificata dall’influsso della ricchezza), queste affermazioni banali sono state estese a ogni sistema rappresentativo, anche non parlamentaristico, e non foggiato secondo i canoni della democrazia formale. Tanto meno queste affermazioni sono esatte. In questi altri regimi il consenso non ha nel momento del voto una fase terminale, tutt’altro. Il consenso è supposto permanentemente attivo, fino al punto che i consenzienti potrebbero essere considerati come «funzionari» dello Stato e le elezioni un modo di arruolamento volontario di funzionari statali di un certo tipo, che in un certo senso potrebbe ricollegarsi (in piani diversi) al self-government. Le elezioni avvenendo non su programmi generici e vaghi, ma di lavoro concreto immediato, chi consente si impegna a fare qualcosa di più del comune cittadino legale, per realizzarli, a essere cioè una avanguardia di lavoro attivo e responsabile. L’elemento «volontariato» nell’iniziativa non potrebbe essere stimolato in altro modo per le più larghe moltitudini, e quando queste non siano formate di cittadini amorfi, ma di elementi produttivi qualificati, si può intendere l’importanza che la manifestazione del voto può avere. (Queste osservazioni potrebbero essere svolte più ampiamente e organicamente, mettendo in rilievo anche altre differenze tra i diversi tipi di elezionismo, a seconda che mutano i rapporti generali sociali e politici: rapporto tra funzionari elettivi e funzionari di carriera ecc.). (Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, 1948.)

lunedì 16 ottobre 2017

Domande

Questo è un post breve, rimando a una eventuale discussione ogni altra considerazione.

A proposito dell'ennesimo caso di stupro tempo fa sollecitavo questa riflessione in facebook: Diciamocela tutta, c'è un problema comune a tutte queste storie: sono maschi. Sono tutti maschi, maschi che pensano con il pisello, maschi che si sentono maschi se usano la forza, maschi che inneggiano alla forza come sola virtù, maschi impotenti che non saranno mai uomini. E poi c'è l'altra cosa comune, le vittime sono donne.

***

Della vicenda di Harvey Weinstein, degli articoli indegni di Libero, dei commenti frustrati in fb, e via e via mi resta una sfilza di domande indirizzate essenzialmente agli "uomini", anche a quelli come Weinstein, e alle donne maschizzate. Che v'hanno fatto le donne? Che problemi avete con loro? Non riuscite proprio a perdonarle per avervi messo al mondo? E' vivere che vi sembra insopportabile o il fatto che dovete morire? Cosa avete di inconfessabilmente sepolto nelle vostre anime che non riuscite a perdonare a vostra madre?

domenica 15 ottobre 2017

TERRE!

Ho il piacere di presentare un progetto di grande respiro curato dall'amica Anna Chiara Anselmi, un progetto dedicato alle terre e alle molteplici voci che dalle terre sorgono e insorgono. Un lavoro polifonico che vedrà impegnati decine di artisti per un anno. Un viaggio nelle terre da pregare e in quelle da bestemmiare, una lunga cantica che comincerà sabato prossimo per (non) concludersi a luglio 2018.

Clicca sull'immagine per ingrandire. Contatto fb 
https://www.facebook.com/graficacampioli/
***

Associazione Culturale Grafica Campioli

PROGETTO “TERRE!”

Volumi I-III (ottobre 2017-gennaio 2018)

A cura di Anna Chiara Anselmi Martina Dollase Valentina Montano

Terre a cui approdare dopo viaggi improbabili, terre da salvare o da lasciar bruciare, terre da assetare o dissetare, da cui tornare e dalle quali partire…Terre, ora che prendersene cura è l’unica possibilità che ci rimane…Più che un progetto un anno insieme, un anno per discutere, pensare, partecipare o semplicemente stare a guardare, ma stare. Un anno insieme a quanti ci seguono da quasi 40 anni e insieme a tutti quelli che a questa Terra vogliono restare ancorati eppure in movimento… Mostre d’arte, intervallate da incontri, lezioni ed eventi che si svolgeranno da ottobre a luglio nella sede della Grafica Campioli e non solo, che verranno pubblicizzate periodicamente e a step, ma, soprattutto, che verranno realizzate grazie alla disponibilità di persone che hanno deciso di donarci il loro contributo, il loro tempo o di regalare a tutti la propria arte ed il proprio pensiero.

Ottobre. TERRE Volume I: “Terre a cui approdare”
  • Sabato 21 ottobre dalle ore 17 in poi, Grafica Campioli in collaborazione con Foto Garage e Programma Integra: inaugurazione su due sedi della mostra “MI RICONOSCO, ME RECONOZCO”: fotografia e arte digitale di Judith America e Marco Valencia. Le loro opere ci parlano di incontro: l’incontro tra culture, popoli, persone diverse e che, a prescindere dalla provenienza geografica, dal background culturale, ecc., ci permettono di conoscere e riconoscere noi stessi. Si inizia alle ore 17 presso la sede di Foto Garage (via XXIV Maggio n.30, Monterotondo), per poi proseguire dalle ore 18,30 in poi alla Grafica Campioli (via V. Bellini n.46). A conclusione della serata, lettura di brani letterari e intervento musicale.

    Foto Garage è una nuova realtà sul territorio di Monterotondo, un’associazione autofinanziata di promozione sociale, che mira alla diffusione dell’interesse per la fotografia e il fotogiornalismo attraverso molteplici iniziative culturali. Foto Garage nasce da un’idea da Danilo Garcia di Meo, specializzato in Grafica e Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Roma.

    Programma Integra è una società cooperativa sociale integrata, il cui scopo è attivare e sostenere i processi di integrazione sociale di migranti e rifugiati. All’interno del Programma, Laura Antonini - area Progettazione e Comunicazione - attrice di prosa e cantante, è responsabile dell’ideazione della mostra. 


  • Domenica 22 ottobre ore 17, Roma, Ara Pacis (appuntamento mezz’ora prima e prenotazione in sede, tel. 069064456). Sul tema delle terre fluttuanti, lontane da raggiungere anche solo con la fantasia: Visita guidata alla mostra “HOKUSAI. Sulle orme del maestro della Grande Onda”. Per costi, prenotazioni e appuntamento consultare il programma delle visite guidate della Grafica Campioli, dove sono incluse anche ulteriori date (tel. 069064456).

Novembre-Dicembre. TERRE Volume II:

"Terre da coltivare, terre oggetto di culto"
  • Sabato 25 novembre, sede della Grafica Campioli: inaugurazione della mostra “Mitologico-racconti di Terra” opere di Alero (Alessandro Rossi Giovannini). Dal caos venne fuori Gea la madre terra, la Dea primordiale, la materia originaria da cui prendono vita tutte le cose.Gea è il simbolo dell'importanza della terra nelle civiltà agricole antiche, ma anche del ruolo della donna nel procreare ed allevare i figli. E’ il significato ancestrale della mitologia il legame che unisce il lavoro di Alero al Progetto TERRE, e non è che l’inizio di un viaggio che fa dei nostri culti primordiali, i nostri miti più antichi, la stella polare che guida verso nord… Essendo i materiali usati dall’artista deperibili, la storia raccontata cambia continuamente, ma in maniera impercettibile: la terra e la cera usati come base nel dipinto tenderanno in decine di anni a perdere dei piccolissimi pezzi, cambiare tonalità o altro, fino probabilmente ad offuscare o reagire in modi che non è possibile prevedere. Eracle, i Ciclopi, il Minotauro, Narciso diventeranno altro, ma nel frattempo avranno messo radici profonde dentro ognuno di noi…
  • Venerdi 1 dicembre ore 21, sede della Grafica Campioli. La terra più lontana e inaccessibile, incontaminata e sublime, difficile da raggiungere e quasi impossibile da vivere. "La terra al sud del mondo”: il racconto di un percorso per gli occhi e per lo spirito… l’Antartide di Vincenzo Romano e Alberto Salvati.
  • Domenica 3 dicembre ore 11,40, Roma, Vittoriano (appuntamento mezz’ora prima e prenotazione in sede, tel. 069064456). Sul tema della terra che dà fiori e che grazie al colore crea magie: visita guidata alla mostra “MONET”. Per costi, prenotazioni e appuntamento consultare il programma delle visite guidate della Grafica Campioli, dove sono incluse anche ulteriori date.
  • Dicembre/gennaio orario e data da stabilire, sede della Grafica Campioli: "Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d'arte che si possa desiderare" (Andy Warhol): Letture scelte per bambini e ragazzi dedicate al tema della terra e laboratori a tema, a cura della Libreria CARTACANTA, il luogo dove i libri riprendono vita.

Gennaio. TERRE Volume III: “Terre da raccontare”
  • Sabato 13 gennaio ore 18 in poi, sede della Grafica Campioli: inaugurazione della mostra “Totem degli Appennini: i giorni dell’Omega”. Antologica di Emilio Anselmi MITIA. Il racconto di un artista che costruisce totem lasciando segni vitali ed impronte che sono un omaggio agli Indiani d’America, ma che hanno un’origine lontana sull’Appennino emiliano…

  • Domenica 14 gennaio ore 11,20, Roma, Scuderie del Quirinale (appuntamento mezz’ora prima e prenotazione in sede, tel. 069064456). Il racconto della vita e dell’opera di un artista che ha riscoperto il mondo guardandolo in modo “primitivo” e che alla terra d’Italia ha dedicato una svolta importante nel proprio percorso stilistico. Visita guidata alla mostra “PICASSO. Tra Cubismo e Neoclassicismo 1915-1925”. Per costi, prenotazioni e appuntamento consultare il programma delle visite guidate della Grafica Campioli, dove sono incluse anche ulteriori date.
  • Domenica 21 gennaio ore Intera giornata: Roma. Visita guidata dedicata all’arte dei Primitivi, fonte di ispirazione perché figli fedeli della Terra: dal Museo Pigorini (Sezione Africa e Oceania) ci sposteremo alla GNAM (Galleria Nazionale Arte Moderna) per scoprire l’influsso delle civiltà cosiddette “primitive” sulle correnti artistiche contemporanee. Prima visita ore 11, seconda visita ore 15,30 (appuntamento mezz’ora prima e prenotazione in sede, tel. 069064456). Per costi, prenotazioni e appuntamento consultare il programma delle visite guidate della Grafica Campioli.

    TERRE continua… 
    …da febbraio a luglio 2018 sette Volumi per nuovi appuntamenti, ancora tante voci e tanto spazio da riempire.

giovedì 12 ottobre 2017

La privacy dei ricchi e l'acquario di Balbec

Briatore si lamenta perché la privacy dei ricchi non è salvaguardata.
Chi l'avrebbe mai detto che la risposta a una delle creature più semplici del XXI secolo l'avrebbe data anzitempo uno degli uomini più complessi vissuto tra XIX e XX secolo?

"E, di sera, noi pranzavamo in albergo, dove le lampade elettriche, inondando di luce la grande sala da pranzo, la trasformavano in una sorta d'immenso e meraviglioso acquario che chiamava la popolazione operaia di Balbec, i pescatori e anche le famiglie piccoloborghesi, invisibili nell'ombra, a schiacciarsi contro la sua parete di vetro per contemplare, lentamente ondeggiante in turbini d'oro, la vita lussuosa di quella gente, per i poveri non meno straordinaria di quella dei pesci e dei molluschi più strani (una grossa questione sociale: sapere se la parete di vetro proteggerà sempre il festino degli animali meravigliosi, se l'oscura folla che scruta avidamente nella notte non verrà a coglierli nel loro acquario e a mangiarseli)."
M. Proust, in All'ombra delle fanciulle in fiore.

martedì 5 settembre 2017

Il saggio e l'idiota

Quando il saggio indica la merendina l'idiota guarda l'asteroide!

Lasciate che i pargoli si imbottiscano di grassi idrogenati e zuccheri, non allarmatevi per un asteroide ché la probabilità di essere colpiti è milioni di volte inferiore a quella di beccarsi il diabete alimentare. Mangiate pure frugoletti cresciuti a merendine e tablet. Date retta a mamma e papà che queste cose non le avevano e per merenda si arrangiavano con pane e pomodoro o addirittura una mela. Preparatevi fanciulli al concorso di consumo di farmaci per diabete e colesterolemia per il piacere del medico di famiglia che è un medico vero e segna vagonate di medicinali e integratori, non come quelli che consigliano alimentazione sana e una passeggiata all'aria aperta tutti i giorni. Ciarlatani! Più pillole prendi più ti senti forte, mi colpisse un asteroide se non è vero! E poi consumando pillole cresce il Pil che alla nazione serve tanto. Lo sapevi che mangiando pillole e merendine fai girare l'economia? Tu mangi pillole e merendine, la fabbrica produce pillole e merendine e tanta gente lavora per produrre pillole e merendine, poi ci sono quelli che portano le pillole in farmacia e le merendine al supermercato... o è il rovescio? Non ricordo bene! Alla fine arrivano quelli che lavorano dietro al bancone per vendere pillole e merendine e quelli che aprono palestre per farti dimagrire dalle merendine e quelli che ti vendono altre pillole per disintossicarti dalle pillole di prima. Dì la verità, non sapevi che mangiando pillole e merendine davi lavoro a tanta gente, vero? Quindi non smettere di mangiare merendine figliolo, solo così tu potrai essere l'innesco di un processo virtuoso. La rivoluzione comincia mangiando una merendina. Non passare a quelle stupide merende di una volta, tipo pane e pomodoro o un frutto, quella è roba a bassa intensità di capitale... è un concetto difficile? Fa niente, fidati. Se mangi una merendina l'economia gira di più che se mangi una mela.

Basta con questa pubblicità "diseducativa". E' noto che dell'educazione dei figli se ne occupa la pubblicità che viene continuamente interrotta da quei fastidiosi cartoni animati che piacciono tanto ai bambini. Meno male che adesso ci sono i cellulari per distrarli un po’ da quel maledetto televisore. Prima i bambini stavano tutto il tempo davanti al televisore, adesso invece passano qualche ora anche con i videogiochi on line del cellulare, che sollievo! E' davvero un piacere sapere che mentre loro giocano si contribuisce alla crescita economica del paese con gli smartphone e le fantastiche offerte mensili per gigabyte a non finire da pagare in comode rate con un lavoro precario a tempo indeterminato appena avuto con il giobbact di Renzi. Che meraviglia, prima i bambini giocavano senza produrre reddito, adesso anche loro contribuiscono a far girare l'economia mentre giocano. E  mentre loro si divertono i genitori possono lavorare tranquillamente per portare a casa il pane e la connessione WIFI.

Uniamoci a corte, siam pronti alla morte. Consumatori di tutto il mondo unitevi! Vigiliamo sui nostri pargoli, proteggiamoli dai traumi della pubblicità e dagli uomini neri che attraversano il mare per rubare le nostre merendine e il nostro stile di vita. Costruiamo un mulino bianco per i nostri fanciulli dove Cappuccetto Rosso viene salvata dal tagliaboschi, mica come nella fiaba originale di Perrault dove quella scema viene mangiata dal lupo e la storia finisce lì, con tanto di morale che con i lupi non ci devi parlare altrimenti fai una brutta fine e non c'è nessun tagliaboschi che abbia tempo da perdere per venirti a salvare, sforzo peraltro inutile da parte dell'eventuale tagliaboschi volenteroso perché una volta che il lupo ti divora mica resti lì nella sua pancia tutto intero. Il lupo ti digerisce e in breve tempo ti restituisce alla terra nella sola forma in cui la terra ti apprezza.

Salvatevi dai lupi cattivi bambini, rimanete chiusi in casa che in giro ci sono gli asteroidi che cadono, Corto Maltese che fuma, spacciatori rigorosamente stranieri e corruttori siberiani che hanno traviato persino noi italiani, geneticamente votati al sacrificio, alla poesia e all'arte. Non abbiate paura bambini che sulla vostra buona stella vigiliamo noi adulti che in un mondo al collasso non ci facciamo sfuggire spot pubblicitari che non infondano buoni sentimenti e imperituri valori di amore e solidarietà verso l'universo mondo.

domenica 3 settembre 2017

Porte


Porte che non attirano l'attenzione di nessuno. Chi nasconderebbe qualcosa di prezioso dietro una porta così fragile? Nessuno si domanda cosa può esserci stato dietro quelle porte, questo le rende custodi del tempo. La loro forza è la fragilità degli assi di legno consumati, delle serrature arrugginite, dei muri incrostati. Dietro quelle porte c'è il tempo, il diamante nero che nessuno può rubare.

sabato 2 settembre 2017

Partenze

Dove le partenze sono un mestiere abbiamo le stazioni ferroviarie vicino al campo santo. Da questi paesi si parte soltanto e si ritorna sempre.


sabato 26 agosto 2017

Le bagnarole


Queste sono le bagnarole di Leuca, costruite in riva al mare. Le figlie dell'alta società entravano qui per fare il bagno in una buca scavata perché prendere il sole non era elegante e poi farsi vedere da noi era sconveniente. Noi, figli di contadini, venivamo poche volte al mare ma il sole lo vedevamo tutto l'anno e lui era felice di vederci, ah se lo era, quando ci vedeva si metteva a urlare di gioia e bruciava la pelle che i nostri nonni erano vecchi turchi appena sbarcati per assediare queste coste. Il mare lo vedevamo poco che scavalcata la serra neanche pensavamo esistesse ancora il mondo. Il mare lo vedevamo poco ma quando capitava...che meraviglia, una vasca enorme di acqua verde, azzurra, rossa del fuoco del sole al tramonto. Una vasca immensa tutta per noi, piena di pesci che li potevi inseguire e di alghe, buone da succhiare. Poveri ricchi, chiusi in quelle bagnarole, che vita misera vi è toccata.

martedì 15 agosto 2017

Noi avevamo sorgenti profonde


Noi avevamo sorgenti profonde
di acque avare
conservate nel ventre della terra.
Noi avevamo pozzi artesiani
per attingere dalle nostre viscere
rigurgiti di tempo.
Noi avevamo altari di cicoria
per inginocchiarci,
pellegrini in preghiera.

domenica 6 agosto 2017

Ombre siamo

Ombre siamo
che poca luce proietta,
ora avanti ora indietro,
mentre passiamo,
distrattamente.


lunedì 24 luglio 2017

Lunghi viaggi a due passi da casa

Il Quarticciolo è tra i quartieri di Roma che amo di più. A pochi passi da casa ma ogni volta che passeggio tra i suoi palazzi percorro distanze infinite. Mi piacciono i suoi viali coperti di foglie, i muri incrostati, le finestre aperte e i panni stesi. Mi piace la sua storia, la sua gente.


I palazzi sono navi alla fonda e sui fianchi sventolano bandiere di mille colori.




I bambini giocano protetti da un cortile, vigilati da sentinelle silenziose affacciate alla finestra.


Tra le giostre i bambini si rincorrono ignari del triste commercio poco distante, sotto lo sguardo di antiche madonne e occhi che dicono quello che la bocca tace ai piedi di quella che una volta era la casa del fascio.



Un colosseo abitato in fondo a un viale evoca meste immagini subito allontanate da risate e corse forsennate di bambini in bicicletta.


All'ombra della sera gli anziani si riuniscono in cerchio a far rivivere i fatti della giornata, a dir male e bene della gente, del governo e del padreterno mentre le campane della chiesa coprono preghiere e bestemmie di uomini e cicale.



lunedì 17 luglio 2017

Sublimazioni

A volte dire a qualcuno che ha rotto le scatole non dà quella soddisfazione necessaria per sentirsi completamente sollevato. Serve qualcosa di più liberatorio, una sublimazione dell'invettiva. Inevitabile ricorrere alla lingua di origine per queste cose, in quella abitiamo.


Certa gente è fastitiusa
comu nu stozzu te carne menzu i tenti,
te tanni cu la lingua
e nunn'è cosa esse nenti.
Poi nc'ete quiddhi comu spilazzi te finucchiu,
se critune carne te cavaddhu
e nu su mancu carne te pitucchiu.
Nu nc'è nazioni nu nci su confini
ddhunca vai vai t'ane rumpire i cujuni.
Nu la fannu riputata
è comu n'istintu, na calata,
ca puru ca nu boi
te ttuppa a lingua prima o poi.
Nonnama ticia: "armamune te pacenzia,
ca nu nc'è rimediu, nu nc'è tenzia,
ci oi cu campi serenu comu nu vagnone,
tanne retta mie, fanne sine sine e none none."

***

A proposito di lingua d'origine. Di recente ho scoperto un cantautore straordinario, Mino De Santis. Ha già pubblicato quattro dischi dal 2011 ma l'ho scoperto da poco. Nelle canzoni di Mino De Santis c'è l'influenza di grandi autori come De Andrè, Gaber ma la sua originalità è prorompente. Ironia e compassione, un timbro unico e lontano dai cliché di moda di un Salento di notti della taranta a base di coca cola! Canta in dialetto salentino e in italiano. Il dialetto non è così stretto da non essere compreso anche altrove e, vi assicuro, è davvero un peccato che le sue canzoni non abbiano diffusione nazionale, ma sono sicuro che è solo una questione di tempo.



giovedì 6 luglio 2017

La cattura del gatto [Note(8)]

A fronte dell’accrescimento delle nostre conoscenze, che diciamo avviate dal programma di Bacone, è evidente che non è diventato più facile nutrire l’uomo né dal punto di vista dei bisogni primari né per la fame di significati. L’uomo cosiddetto occidentale o più precisamente nord-occidentale soffre, più o meno consapevolmente, un “male oscuro” dovuto all’asimmetria tra l’idealità e la realtà di uno sviluppo storico che l’avrebbe affrancato dai suoi bisogni.
Un primo livello di malessere è interno alle società occidentali stesse. In un contesto in cui molti individui possono accedere alla soddisfazione delle proprie esigenze (di bisogni primari e di riconoscimento sociale), il divario con le cosiddette minoranze (ve ne sono molteplici), vero o percepito che sia, diventa ancora più insostenibile e acuto per queste ultime. Un secondo livello di malessere è esterno alle società occidentali. A livello planetario non è onestamente possibile riconoscere uno sviluppo degno di tale nome se le risorse restano nelle mani di una esigua minoranza e la maggioranza dell’umanità è sotto i limiti della sopravvivenza.
Negli anni ’70 nell’ambito del dibattito tra etica e ambiente si invocava una coscienza di specie, ovvero la consapevolezza di essere il risultato di un processo evolutivo comune al genere homo che se da un lato non consente di distinguere l’umanità in base alle aree geografiche e ai percorsi storici che si sono realizzati, dall’altro lato non consente di ignorare la continuità con gli altri organismi viventi. Ma restando solo al primo aspetto, inerente il principio di solidarietà esteso oltre i confini delle nazioni, occorre sottolineare che per imboccare consapevolmente la strada di una coscienza di specie è necessario ancora risolvere i bisogni dell’uomo, quelli alimentari e quelli sociali.
Senza soddisfare quei bisogni, dati per risolti ma ancora pressanti fuori e dentro la società occidentale, si correrà il rischio che grosse fasce dell’umanità vivano le varie crisi occidentali come un gioco tutto realizzato tra soggetti delle classi più agiate in cui le crisi, della scienza, dell’ambiente e quant'altro, nascono, crescono, muoiono e resuscitano a seconda delle più opportune esigenze dei tempi per compensare un tedium vitae salottiero da circolo intellettuale.
Il collasso in corso nel mondo occidentale sta nel credo che lo sviluppo, sensu crescita economica, è la base per la soluzione dei mali dell’uomo e nell'abbandono delle istanze di solidarietà che hanno operato dal secondo dopoguerra fino all'inizio degli anni '70, almeno all'interno del mondo occidentale. Oggi è diventato evidente che Mida non può fare niente per spegnere la fame di Tantalo ed è altrettanto evidente che bisogna operare una accorta distinzione tra una parte buona dello sviluppo, sensu togliere dal viluppo, relativa all’affrancamento dai bisogni e alle conquiste sul terreno dei diritti e una parte meschina dello sviluppo dai risultati devastanti, relativa alla bramosia dell’accumulo che non risponde alla domanda di bisogni ma a quella di dominio.

martedì 4 luglio 2017

La cattura del gatto [Note(7)]

Desideriamo il bene comune come desideriamo una casa, un’automobile o un libro? Nel '700 John Locke riconobbe, con una certa riprovazione, che il piacere individuale è il principio guida del comportamento umano. Nello stesso secolo Adam Smith istituì su questo principio le regole dell’economia così come oggi siamo convinti di conoscerla.
Le successive letture di Locke e Smith, allegre quanto quella che dell’asceta Epicuro ne fa un laido sensista dedito ai piaceri più sconci, sono la regola per un'umanità non avvezza alla complessità dell’esistenza e sempre bramosa di qualcosa a patto che non sia troppo impegnativo ottenere.
Anni fa una campagna pubblicitaria di carburanti poneva l’inquietante domanda se conosciamo le potenzialità del nostro motore, sottintendendo ovviamente di avere il segreto per ottenere le massime prestazioni da quel gioiello della tecnica che con duro lavoro e tanti sacrifici abbiamo acquistato. Quella domanda, inquietante al punto giusto, potrà essere sicuramente soddisfatta mentre altre domande, più inquietanti perché prive di risposta, seguono la strada della rimozione e della banalizzazione.
Di fronte all'assoluta certezza del poco tempo impiegato per raggiungere i 100 all’ora gli insipidi richiami alle antiche virtù non sono che un basso continuo camuffato da contrappunto, richiami stanchi di quel “nano piccolo e brutto” che Walter Benjamin riconosceva già nella teologia dei suoi tempi. Chissà come vedrebbe quel nano oggi! Di fronte al vuoto di domanda sulle potenzialità umane si alzano le starnazzanti risposte delle new age di ogni epoca, consolidate o nascenti, che fioriscono sulle macerie umane, creando mondi e visioni che siano facili surrogati di ciò che ci molesta con la sua imbarazzante evidenza e la sua sconsolante complessità. Di fronte alla titanica impresa si fa quel che si può, in occidente la tradizione religiosa a fronte dell’incapacità a trattare temi etici si gingilla da secoli con raffinati sofismi dottrinali mentre la sua controparte secolare dimentica della politica si intrattiene nelle transazioni economiche, avatar del mercato.
La domanda inevasa è se il bene comune è nell’elenco dei nostri desiderata o non fa parte dei nostri bisogni perché troppo complicato da teorizzare, formalizzare, figuriamoci da praticare. E allora consoliamoci con facili comandamenti, con un buon carburante e del raffinatissimo olio lubrificante che farà rombare il nostro motore evitando di farci ascoltare quel fastidioso ronzio dell’anima che nonostante tutto ci portiamo dietro senza neanche chiedergli il pedaggio.

domenica 18 giugno 2017

La classe disintegrata


Siamo consapevoli della disintegrazione del lavoro, siamo meno o per niente consapevoli della disintegrazione delle sue sedi. Avessimo questa consapevolezza parleremmo del rogo della Grenfell Tower di Londra pensando a quello della Thyssen Krupp, con tutte le responsabilità annesse, disintegrate anche quelle. Ecco perché serve non essere consapevoli, serve a una classe dirigente acefala perché la classe disintegrata non si riconosca. Serve una nuova coscienza di classe, una coscienza per una classe disintegrata.

sabato 17 giugno 2017

L'uomo e la maschera

Tra i numerosi filoni della ricerca artistica del Maestro Ezio Flammia lo studio della maschera è tra i più importanti nella sua cifra poetica. Maschere di carta e stoffa del teatro fliacico della Grecia del IV-III sec. a.C., maschere labirintiche realizzate con fili di ferro saldati per fusione elettrica, maschere di cartapesta, materiale di elezione di Flammia. Avere la fortuna e il privilegio di vedere le sue opere dove sono nate, nel suo laboratorio, è un'emozione che lascia senza parole mentre ci si perde tra i volti che le maschere mostrano e quelli che nascondono. Già, perché l'universo della maschera è continuamente ambivalente tra un dentro e un fuori, tra realtà e messa in scena. La maschera produce lo straniamento del contraddittorio, lo spaesamento quasi consapevole per cui più di quello che mostra conta quello che cela.

Arete regina, maschera fliacica.

La maschera nasconde il volto, lo protegge, consente al volto sottostante di assumere qualunque forma. Sotto la maschera la smorfia è libera. Ma se questo è il dentro di una maschera il fuori spaventa, allontana, affascina, attira. La maschera rende ridicolo il terribile, serio il fatuo. La maschera è membrana di transizione tra dentro e fuori. La maschera è terra di nessuno. E' la superficie di profondità abissali.

Diavolo-giullare, maschera medievale.

La maschera dà forma al nulla. Di tutti i significati cui la maschera rimanda quest'ultimo è a mio avviso il più rilevante. La maschera è forma intorno al nulla, è la forma del nulla. E' questo che inquieta della maschera. Il nulla diventa visibile e non lascia alibi alla razionalità ordinatrice. La farsa della razionalizzazione diventa evidente, è sotto gli occhi e ridere della maschera significa ridere della necessità del vuoto di farsi forma. In definitiva è ridere della necessità di esistere e di darsene ragione. Per questo il riso è liberatorio e imbarazzato. Il riso è portatore di una sorpresa interiore che non si coglie immediatamente. Il vuoto è lo scheletro della maschera. La maschera rivela che il nostro scheletro è il vuoto. Il terrore che dietro una maschera ci sia il nulla è più grande dello spavento che la maschera può suscitare. In questo disequilibrio risiede il potere apotropaico della maschera per allontanare il tremendo. E' un bluff, una scommessa al rialzo senza carte vincenti, nella speranza che il tremendo non accetti la scommessa e abbandoni il gioco, terrorizzato a sua volta di quello che può trovare dietro la maschera.

Diavolo-giullare con lingua, maschera medievale.

Con le maschere labirintiche è l'ombra a esprimere forma e volume. Il non esistente dà forma all'esistente. E' un gioco inquietante. Se la maschera gioca con l'illusione di un dentro/fuori e mostra una superficie che nasconde l'insondabile, la maschera labirintica denuda anche questa illusione. Le maschere labirintiche sono maschere di maschere.

In questa pagina sono visibili alcune opere
di Ezio Flammia dedicate a Totò.

E' inevitabile davanti alle maschere labirintiche pensare a Teseo che seguendo il filo ritrova la via del ritorno. Qui seguendo il filo si finisce con il percorrere il proprio volto. E' un percorso che porta a sé stessi.

E' un incontro naturale quello tra Flammia e Totò, maschera esso stesso, doppio che rinvia continuamente alla tragedia di cui il comico è superficie esposta.


Siamo uomini o caporali, dice Totò nel film in cui, più che in ogni altro, si compie la sua poetica. In quella poetica trova eco la "mistica della maschera" di Flammia. Il comico come dispositivo necessario per affrontare il tragico che c'è fuori e custodire il tragico che c'è dentro.


Venerdì 23 giugno sarà inaugurata una mostra del Maestro Ezio Flammia: “Omaggio a Totò”. La mostra è nell’ambito della manifestazione Notti d’estate a Villa Laura” a Moiano (BN), patrocinata dal FAI. Ho avuto il privilegio di vedere le opere dedicate a Totò e molte altre. Cosa posso dire? Chi può andare a Mogliano per questa occasione ci vada, sarà sicuramente felice di averlo fatto.

Clicca sull'immagine per ingrandire la brochure della mostra

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...