Nel Panopticon di Bentham, potente metafora architettonica poi ripresa da Foucault[1], si configurava la modalità di esercizio del potere centralizzato che tutto vede senza essere visto. Bauman è convinto che tale metafora non colga più le modalità di esplicazione del potere. Oggi saremmo “passati da una società di stile panottico a una di stile sinottico: la situazione si è rovesciata e ora sono i molti a controllare i pochi.”[2] Concetto che lascia molte perplessità. Davvero i molti controllano? Si può effettivamente parlare di controllo? Se è vero che il potere centrale è roba d’altri secoli ed è soppiantato da modelli di subordinazione diffusa, resta da capire se nella nostra situazione, in cui manca ogni cenno di potere disciplinativo, come possiamo ancora parlare di potere? Non sarà forse più idoneo parlare di una rete in cui si praticano una serie di operazioni concatenate in maniera meccanica e automatica? Ad una azione segue una reazione che scatena un’altra reazione e così via, in un flusso in cui si perde l'inizio, e probabilmente non più guidato da alcuna ragione cosciente che non sia il mero soddisfacimento di un bisogno facile e immediato che distrae da quanto abbiamo sostenuto caratterizzasse la specie umana. Se questo è vero non è più consentito parlare di potere e le differenze sociali sarebbero solo accidenti dovuti alla contingenza.
[1] M. Foucault, La società disciplinare. In: Antologia, Feltrinelli, 2006, p. 86.
[1] Z. Bauman, Modernità liquida. Laterza, 2002, p. 92
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