“… l’ingiustizia va in gran parte ricondotta a una concezione maschile della donna come mero contenitore di embrioni, nonché merce di scambio ideologico.”, Giuseppe Civati, pp. 48-49
“… ridurre le disuguaglianze non significa rispolverare senza riflessione critica vecchie ideologie …”, Giuseppe Civati, p. 62
“Attualmente si tratta di meno di 2000 euro [la cosiddetta “tassa per il licenziamento”, NdR], e non è l’indennizzo diretto al lavoratore, dovuto per esempio in Germania: tuttavia è un primo modo, non ideologico, di ricondurre concretamente la responsabilità del mantenimento del posto di lavoro in capo all’impresa.”, Giuseppe Civati, p. 65
“L’ideologia secondo la quale il privato è sempre più efficiente del pubblico e il mercato determina da sé l’allocazione migliore delle risorse ha dilapidato una parte consistente del patrimonio industriale e produttivo del Paese, allargando la forbice tra Nord e Sud, provocando una caduta brusca della competitività e depauperando saperi, civismo, beni pubblici.”, Gianni Cuperlo, p. 4
“[Il PD] Deve riconoscere l’autonomia della scienza e la forza del suo metodo critico, respingendo ogni chiusura ideologica.”, Gianni Cuperlo, p. 16
“Per ragioni ideologiche sono state applicate politiche di austerità miope che, deprimendo le economie, hanno esacerbato il problema del debito pubblico.”, Gianni Pittella, p. 23
“La rinuncia alla costruzione di un partito identitario ed ideologico non può in alcun modo voler dire rassegnarsi a idee e proposte che mancano di chiarezza e definizione pur di salvaguardare la soddisfazione parziale di ciascuna sensibilità interna al partito.”, Gianni Pittella, p. 29
Nel documento di Matteo Renzi non c’è il termine ideologia o i suoi derivati, ça va sans dire!
***
Cos’è un’ideologia? Per farla breve è un sistema di idee utile a leggere la complessità della realtà. Oggi è di moda dire di non avere ideologie e non è difficile pensare che sia un’affermazione sincera (sebbene non vera), vista la penuria di idee e ancor più la penuria di visione sistemica. Il termine ideologia è legato alla complessità in maniera duplice. Nella misura in cui un’ideologia tenta di riprodurre la complessità e nella misura in cui l’ideologia tenta di ridurre la complessità per gestirla. Le due dimensioni sono in qualche modo indissolubili. In altre parole, ad essere onesti, un’ideologia è la forma più complessa per semplificare la realtà. Chi dice di non avere ideologie o si inganna o cerca di ingannare oppure è sincero e non dispone di proprie idee organizzate, conseguentemente non ha strumenti per riprodurre/ridurre la complessità e si accoda all’ideologia già consolidata e in solida posizione egemonica. E’ il trionfo del pensiero monodimensionale di cui parlava Marcuse a suo tempo.
Dopo la “fine delle ideologie” in politica resta il linguaggio che semplifica e banalizza la realtà, un linguaggio privo (o ignaro) di cornici sistemiche, fatto di messaggi brevi, in altre parole il metodo più subdolo per appiattire le menti e reprimere il pensiero dialettico. Questo tipo di linguaggio riduce la realtà in pillole, usa schemi linguistici elementari, formule generiche, aggira accuratamente dettagli e circostanze, insomma adopera ogni espediente utile a dire qualsiasi cosa senza vincolarsi alle condizioni che rendono possibile la realizzazione di qualcosa. Questo tipo di linguaggio è usato ormai quotidianamente dai giannizzeri della politica di ogni schieramento ma il suo trionfo si celebra durante le campagne elettorali, quando mostra la sua curiosa familiarità con il linguaggio della propaganda, antico termine usato quando le ideologie erano vive e vegete!
L'esperienza mostra che è premiato il candidato capace di gestire questo tipo di linguaggio elementare, sintetizzato solitamente con “parlare alla pancia”. Il dramma della faccenda sta nel fatto che è proprio durante le campagne elettorali che gran parte del corpo elettorale formula una scelta per un candidato o per un altro, presumibilmente sulla base di due criteri, il primo è la qualità del programma presentato dal candidato (come sia valutato dalla pancia dell'elettore mi rimane un mistero!), il secondo criterio è la capacità del candidato di realizzare quel programma. Io sostengo che troppo spesso né l'uno né l'altro criterio sono incontrati nelle campagne elettorali e dirò perché.
Comincio con il candidato. Spesso la scelta ricade sul candidato che sa presentarsi meglio, che sa vendersi, come si dice. Allora ciò che determina la scelta è il registro retorico, la rapidità della battuta, la prontezza di spirito del candidato. C'è forse qualche equivalenza, qualche corrispondenza tra queste caratteristiche comportamentali e la capacità di realizzare un progetto politico? No, che io sappia non ve ne sono e la storia della politica è piena di personaggi spiritosi e del tutto incompetenti in politica (esempi nostrani: Berlusconi e Grillo) ed è altrettanto piena di personaggi poco spiritosi (poco comunicativi!) eppure capaci di guardare lontano (per rimanere in Italia non mi risulta che Gramsci e Sturzo fossero particolarmente gaudenti, e neanche Berlinguer e Moro). Eppure la comunicazione è essenziale e nell'era delle immagini non è possibile prescindervi. Come è possibile evitare questa trappola? Togliendo spazio al linguaggio fatto di messaggi brevi e fumosi che si usa nelle campagne elettorali. Qui arriva l'altro criterio per scegliere un candidato o un altro: il suo programma, il suo progetto. La scelta del candidato deve basarsi su un progetto chiaro e verificabile.
Se nessuno vuole parlare di ideologie non parliamone. Possiamo parlare almeno di progetto politico? Di disegno per il futuro? Resto convinto che tra pensiero debole e debolezza di pensiero c'è un abisso ma a volte tocca chiudere un occhio per prendere meglio la mira e per quanto progetto, programma e ideologia siano cose ben differenti non resta che puntare a una se l'altra è preclusa. Per semplicità diciamo che il programma descrive il progetto politico. Allora che sia questo l'oggetto di una campagna elettorale: il progetto per la società delle prossime generazioni.
Quindi una volta eliminate le ideologie dal panorama politico entrano in scena termini più maneggevoli ma non per questo gestiti con maggiore perizia. Quando in campagna elettorale si parla di progetto politico spesso si cade in categorie fumose ma quando si fa un progetto per ottenere un finanziamento da un qualsiasi ente o istituto, sia essa la comunità europea o una banca, si devono fornire tutti gli elementi utili per valutare la bontà della proposta, la sua fattibilità, quante persone saranno coinvolte, quali mansioni avranno, quante ore di lavoro sono previste, quali strumenti saranno impegnati. Questo dettaglio è impossibile per un progetto politico ma questo significa relegare il linguaggio delle campagne elettorali ad una sequela di slogan? La fiducia che il corpo elettorale accorda temporaneamente al candidato vale meno del denaro che una banca concede per finanziare un progetto? La fiducia dell'elettore chiede meno garanzie di essere onorata?
Se la risposta alle tre domande è negativa allora il progetto politico deve essere scritto cercando di avvicinarsi il più possibile ai requisiti richiesti ad un qualunque soggetto intento ad ottenere un finanziamento per una borsa di studio o per un progetto di lavoro. Per quale motivo il politico non deve dichiarare chiaramente il suo progetto? E qui, passando attraverso la pur debole consonanza tra progetto e ideologia, faccio una piccola digressione. La democrazia rappresentativa prevede una delega e per quanto il delegato deve essere sempre giudicato dai deleganti si troverà inevitabilmente a dover prendere decisioni senza poterli consultare. Allora come può il delegato decidere cercando di conciliare il principio di libertà di coscienza con il principio di lealtà nei confronti dei propri elettori? Lo può fare solo avendo chiaramente esplicitato l'ideologia nella quale si inscrive il suo progetto politico, altrimenti si muoverebbe come si muovono gli eletti del M5s, trattati da minorati dal loro bicefalo capocomico, trattamento evidentemente consono all’amor proprio di cui ciascuno di loro dispone.
Tornando al progetto politico, se è vero che non può essere dettagliato come un progetto per un finanziamento è anche vero che non può essere solo una sequela di dichiarazioni generiche e vuote senza alcun elemento concreto su come si intende realizzarlo. Lo Stato ha una contabilità, delle voci di spesa e chi si accinge a guidare un paese ha il dovere di conoscere quei conti e ha il dovere di dire chiaramente dove e come intende intervenire, cosa e quanto intende tagliare o incentivare, dando possibilmente cifre e valutazioni di impatto delle politiche che propone. Non sa o non può farlo? Ebbene, significa che deve fare un altro mestiere. Guidare il paese è più complicato che guidare un'auto eppure per guidare un'auto sono richieste specifiche capacità, se non si è idonei alla guida vorrà dire che non sarà consentito guidare, tutto qui. Qui io sto parlando dei candidati per la segreteria del PD, partito che potrebbe esprimere il prossimo presidente del consiglio. Questi candidati devono avere una conoscenza pressoché totale del paese ed una visione sistemica della politica. Non si candidano alla guida di un partito per esprimere interessi particolari ma per esprimere e realizzare una visione generale del paese e della società.
Io pretendo, e tutti dovrebbero pretendere, che il candidato alla guida di un partito che si accinge a reggere le sorti del paese dica chiaramente cosa intende fare su problemi concreti e come intende farlo. Politica industriale, quali e quante risorse intende muovere? Come intende intervenire sulla stretta creditizia e sui debiti dello Stato nei confronti delle aziende private? Quali azioni intende mettere in campo nei confronti delle banche? Politica del lavoro, quali progetti ha in mente per ridurre la disoccupazione? Quali le proposte nel settore privato e in quello pubblico? Come pensa di risolvere il lavoro precario? Politica delle pensioni, come intende equilibrare le evidenti disparità del sistema pensionistico? Politica fiscale, se ritiene inaccettabile la distanza tra ricchi e poveri come intende ridurla? Attraverso una tassazione dei redditi o attraverso una soglia ai tributi? Come intende ridistribuire la ricchezza? Attraverso contributi o attraverso servizi sociali? Come si intendere eradicare l’evasione fiscale e portarla ai livelli degli altri paesi europei? Quali misure intende mettere in campo per fermare la corruzione che fa decuplicare i costi delle opere pubbliche rispetto ad ogni altro paese civile? Politica ambientale, quali risorse mobilitare per il dissesto idrogeologico? Come intende fermare l’erosione del suolo e l’abusivismo edilizio? Ha un’idea delle conseguenze del riscaldamento globale? Come intende affrontarle? Con quali strumenti? Diritti civili, enunci chiaramente il candidato la propria visione, senza giri di parole e formule “non divisive”. Per l’istruzione e la ricerca, sia essa pubblica o privata, il candidato intende attenersi al dettato costituzionale che non prevede oneri per lo Stato per le scuole private o intende trasgredirlo come hanno fatto tutti finora? Se ritiene necessario l’intervento dello Stato, dica in che misura, con quali priorità. Semplificazione istituzionale, tutti parlano di abolizione delle province, ma quante risorse si liberano? Dei lavoratori delle province soppresse che ne facciamo? E le competenze delle province dove vanno, con quali costi? E via e via e via, le domande non si fermano qui, potrebbero continuare ma credo di aver reso l’idea. Un progetto di un candidato alla segreteria di partito deve rispondere a queste e molte altre domande e lo deve fare nella maniera più circostanziata possibile. Non puoi dire solo che sarà ridotta la disoccupazione, che saranno ridotte le disuguaglianze, devi dire anche come intendi farlo, sia pure a grandi linee. Mi si dirà che questo approccio serve per stilare un programma di governo, vero, ma intanto non mi pare di aver mai letto un programma di governo che rispondesse a queste domande e per quanto le due circostanze siano differenti la distanza tra un programma di governo e un programma per la segreteria di un partito maggioritario non dovrebbe essere quella che c’è tra un preventivo dettagliato (quando mai!) e una sfilza di buone dichiarazioni di intenti che se venissero lette troverebbero d'accordo tutti, pure quelli che voterebbero per altri partiti. (Forse molti candidati puntano sul fatto che a leggere i programmi sono in pochi e in Italia è una scommessa facile da vincere!)
Se i programmi per la segreteria di partito sono esclusivamente mirati all’organizzazione o riorganizzazione del partito senza affrontare i problemi del paese in maniera concreta allora il partito resta lontano dalla gente. Solo i militanti, sempre di meno, saranno interessati a quei documenti ma il partito verrà votato dagli elettori e se il partito li vuole appassionare non riuscirà a farlo nei pochi mesi dedicati alla campagna elettorale per le elezioni politiche. Il partito dovrà parlare alla gente anche quando si riorganizza al suo interno, altrimenti resta un discorso per pochi aficionados e alla fine l'unica partecipazione sarà quella intercettata da incompetenti che farebbero politica a suon di “tutti a casa”.
Gli elettori devono avere risposte precise alle domande di cui sopra, hanno il diritto e il dovere di averle e il candidato ha il dovere di fornirle in maniera circostanziata, producendo numeri laddove sono richiesti e necessari, sia pure con stime di massima ma comunque numeri, perché se è vero che non tutta la politica si fa con i numeri è altrettanto vero che nessuna politica si può fare senza neanche un numero e i programmi politici non hanno quasi mai un solo numero. Io non penso affatto che tutta la politica possa essere ridotta ai numeri, sarebbe il trionfo della visione economicista che di fatto imperversa. La gran parte della politica si sostanzia di qualia, di principi che nulla hanno a che fare con i quanta, ma è credibile una politica che prescinda del tutto dalla dimensione quantitativa delle proposte? La dittatura dei numeri non è forse il disastroso risultato dell'incapacità di usare i numeri con la dovuta cautela e competenza? Non è il risultato di campagne elettorali condotte esclusivamente a colpi di parole per piacere a tutti senza dire niente, dove gli stessi principi sono una parodia?
Se sono ben scritti i programmi sono imparentati con i manifesti culturali (ad essere buoni), ma chi si candida alla guida del paese deve sì dichiarare il proprio manifesto ma deve aggiungere un progetto concreto su come realizzare quel manifesto. Il politico non ha il compito di risvegliare le coscienze, questo è il compito degli intellettuali attraverso i manifesti, il politico deve conoscere quei manifesti, farli suoi e mettere in moto tutte le energie e risorse necessarie perché le coscienze non si addormentino. Ben vengano gli intellettuali in politica, ad avercene, ma che abbiano chiara la distinzione dei ruoli.
Se i progetti devono fare i conti con le risorse economiche allora devono essere espressi anche in questi termini, almeno a grandi linee. Invece si riempiono pagine con frasi ad effetto buone per ogni stagione del tipo “dobbiamo semplificare le regole del gioco” ed eludendo puntualmente la domanda “come?”. Senza il come ogni proposta è fumo, aria fritta. Non me ne frega un accidente se tra 20 anni un candidato farà ancora politica oppure no, a me interessa come sarà questo paese tra 10 anni se sarà guidato da quel candidato. Non basta voler muovere questo paese, devi dire dove lo vuoi portare e come ce lo vuoi portare, devi dire che società hai in mente, in due parole devi dire che ideologia hai, se puoi permettertene una. Non c'è più un cane a riconoscere statuto alle ideologie ma l'ideologia di oggi è quella empirica, operativa, tecnica, quella che chiede “come?”. Oggi la domanda “come fare?” precede la domanda “che fare?” e la politica ha ancora il compito di stabilire la priorità del cosa fare ma non può più eludere il come fare.
Si dice che la gente ha bisogno di sogni, vero, ma il disincanto è tale che immediatamente dopo chiede cosa ritroverà al risveglio.
Queste annotazioni, più o meno disordinate, per dire che dei quattro programmi presentati dai quattro candidati alla segreteria del PD l'unico programma degno di attenzione è quello di Civati. Gli altri tre programmi, di Cuperlo, di Pittella e di Renzi sono infarciti di dichiarazioni di intenti, di buone intenzioni, senza alcun riferimento alle modalità di realizzazione, neppure a grandi linee, nessun elemento è fornito sul piano d'azione. Senza dubbio ognuno dei tre candidati esprime, più o meno consapevolmente, una propria ideologia e non sto qui a fare la graduatoria di chi è più di sinistra o di chi non lo è affatto, dico soltanto che se i loro documenti fossero progetti per una semplice borsa di studio verrebbero bocciati come generici e fumosi. Gli iscritti al PD dovrebbero prestare attenzione a questo ma sono sicuro che la gran parte di loro voterà senza leggere i documenti congressuali, si affideranno a quello che passa la televisione e tutti pagheremo il tributo al post berlusconismo.
L'unica ideologia monologante è quella del capitale, che ha saturato ogni spazio. Allora tutto diventa fato, destino. La contingenza (cioè la politica) è espulsa. "Un altro mondo è impossibile": il ritornello (ultra-ideologico) dei tecnici.
RispondiEliminaNo, non è fato, destino, è calcolo e prassi. Il fato reggeva anche le sorti degli dèi nella Grecia antica, persino Zeus era sottoposto ad ananké e un sistema sociale che si basava sulla schiavitù poteva concedersi la teoria, l'osservazione, non la prassi, lasciata agli schiavi perché umiliante. I greci, con Platone, seppero riconoscere che la politica nasce dall'abbandono degli dèi, dando inizio al sapere strumentale ma era un modo per riparare l'hýbris prometeica. La storia recente, almeno dal 1776 in America e dal 1789 in Europa, direbbe che sono entrati in gioco i diritti umani, sociali, civili, direbbe che gli schiavi non ci sono più, allora per non far sollevare i nuovi schiavi con diritti tocca cambiare registro. Il corso degli eventi non è più fato incontrollabile ma calcolo verificabile perché la prassi lo dimostra così la prassi resta saldamente in mano agli schiavi, oggi come ieri, ma dotati di diritti e quindi di doveri e se le cose vanno male è colpa loro, per soprammercato. Chiamare fato il calcolo è un errore dovuto al retaggio, sebbene entrambi mostrino l’ineluttabilità. E’ il curioso rincorrersi “dialettico” della storia, un po’ come la filosofia della prassi che sostituisce l’ideologia (tedesca) per essere tacciata di ideologia a sua volta e sostituita dai nuovi pragmatici!
EliminaHIV, il tuo commento è stimolante e sul punto di fondo saremmo anche d’accordo, ma sui programmi dei candidati alla segreteria del pd che mi dici?
Tecnica come destino, come gabbia che risolve la politica in prassi burocratico-amministrativa, e che scaturisce da quella ratio strumentale – e calcolante – caratteristica del pensiero occidentale. In sintesi, punto di fondo e accordo su questo.
EliminaI programmi dei candidati PD mi riprometto di leggerli.
Il caos del PD e nel PD farà quasi scomparire il partito col nome diverso al quale aderivo. Penso non si sia ripreso sin dalla morte di Berlinguer e di altri tra i quali io annovero sempre Petroselli Sindaco di Roma.
RispondiEliminaUn caro saluto,
aldo.
Caro Aldo, bentornato, tu fai grandi nomi della storia ma abbiamo bisogno di saper riconoscere i nomi di oggi, è questa la difficoltà della storia mentre si realizza.
EliminaVisto quello che è successo con le tessere se non c'è una rivoluzione culturale e morale si va verso lo sfascio. E non vedo come questa rivoluzione possa avvenire.
RispondiEliminaNeanche io lo vedo, forse non abbiamo ancora toccato il fondo.
EliminaQuesto post è una magnifica, fluente, armoniosa sinfonia. Sei sicuramente una persona superiormente riflessiva e preparata, una punta di diamante, e lo dico per consolarmi: perché non ce n'è uno, tra gli esponenti dei partiti e dei movimenti o tra la maggioranza dei giornalisti e addetti ai lavori vari nel nostro paese che sappia oggi articolare un discorso di tale esaustività e sensatezza. Detto questo, tiro fuori i miei due soldi di opinioni:
RispondiElimina1), il processo di de-ideologizzazione, la sostituzione della progettualità e della complessità del dibattito politico con slogan ad effetto più o meno demagogici tesi a suscitare riflessi pavloviani condizionanti la scelta di quel tale candidato come negli spot pubblicitari l'acquisto di quel tale prodotto, è stato drammaticamente accelerato, a mio avviso, dall'introduzione del maggioritario, diabolico veicolo di banalizzazione, più che di semplificazione, del dialogo democratico, e, come s'è visto, totalmente fallace nella "mission" che si credeva potesse adempiere, ossia il contrasto alla corruzione, agli accordi sottobanco, e al proliferare di galassie di mini e micropartitini.
2), ammetto di non aver letto una riga di alcun programma dei quattro candidati alle primarie, e confesso che non andrò a votare: ma detto questo, l'affermazione di Cuperlo sulla malsanità dell'ideologia che il privato sarebbe stato meglio del pubblico tout court, siccome la vivo ogni giorno sulla mia pelle sia da privata cittadina che da funzionaria pubblica è, per motivi certo bassamente personali, quella che suscita la mia più entusiastica adesione, e quasi mi commuove. Perciò credo che, se votassi, voterei Cuperlo anche solo per questo (a questo mi sono ridotta anch'io, purtroppo). Per fortuna, ripeto, non andrò a votare...
Cri, sorvolo sulle lusinghe alle quali, per formazione, sono immune. Non essendo un esponente di partito, di movimento, giornalista o addetto ai lavori mi accontento di essere un cittadino, è già abbastanza impegnativo. Sul primo punto il discorso è lungo e mi permetto di rimandarti ad altri post (1, 2, 3, 4), forse il maggioritario avrà contribuito ma una bandierina in cima alla torre eiffel non ne altera l'assetto!
EliminaSul secondo punto invece le citazioni mi sembravano paradigmatiche dell'atteggiamento dei candidati nei confronti delle "ideologie". E' evidente che Renzi non ha gli strumenti per vederle. Anch'io sono d'accordo con la frase di Cuperlo e sono d'accordo anche quelle di Pittella ma non mi è mai bastata una frase estrapolata per trovare convincente un discorso e se quelle frasi le leggo dentro un programma fatto di nulla rimangono belle frasi, fine. Nel post ho fatto la distinzione tra un manifesto e un programma, se uno scrive un buon manifesto dove invece deve presentare un programma con annesso manifesto sarà un ottimo intellettuale ma è andato fuori tema o almeno ha presentato un documento incompleto. Ecco, se vogliamo fare una brutale sintesi il documento di Civati è un manifesto con annesso programma/progetto, i documenti di Cuperlo e Pittella sono dei manifesti, il documento di Renzi è un manifestino perfetto per un rappresentante di classe, non per un partito, ma so anche che in Italia i rappresentanti di classe vanno alla grande! Sul voto/non voto fai tu, io da parte mia non ho mai votato pd e non comincerò a farlo dopo il pasticcio Rodotà/Prodi ma come saprai se leggi questo blog non ho in gran considerazione la "filosofia" dell'astensionismo. Un saluto.
Ribatto solo per specificare che non intendevo lusingare: ho solo scritto, frettolosamente e genericamente, quello che provo. Non è mio costume "lisciare il pelo" a gente della cui stima m'importa ;)
Eliminanessun problema, sono io che a volte sono intrattabile come un gatto ;-)
Eliminaun gatto selvatico, naturalmente :-D
EliminaUn articolo che casca a pennello. Ideologi e pragmatici d'oltre oceano. L'articolo è in inglese.
RispondiEliminaQualche parola per sottolineare le differenze fra il mio pensiero e ciò che scrivi tu: quelle che tu chiami “ideologie” per me sono semplici teorie, modelli, mappe, euristiche, chiavi di lettura che avanzano ipotesi di realtà riguardo a cose e situazioni. Ne esistono di esplicite e di implicite, di ingenue e di scientifiche, di costruzioni nostre e di teorie già presenti nella nostra cultura che semplicemente noi facciamo nostre aderendovi (a questo proposito voglio sottolineare come non sia difficile scorgere un po’ ovunque ipotesi prefabbricate, esistono dei veri e propri supermercati che producono e vendono teorie pret-a-porter già immediatamente utilizzabili con poche modifiche personalizzate e a basso costo, forse una cultura nel suo complesso non è altro che un sistema più o meno articolato e più o meno coerente di tali ipotesi) .
RispondiEliminaIl problema non è tanto la costruzione o l’uso di queste teorie per muoversi nel proprio ambiente e per comprendere ciò che ci sta accadendo, le teorie sono importanti, George Gadamer sostiene che senza teorie (senza pre-giudizi) non vedremmo assolutamente nulla della realtà, sono le cornici che ci permettono di affacciarci nel mondo e cercare di dargli un senso, il problema si pone quando io scambio una di queste teorie (cioè una mia costruzione della realtà o una costruzione altrui che io faccio mia) per la realtà stessa (sarebbe come scambiare la lettura del menù di un ristorante per un lauto pranzo).
Ma questo equivoco è solo il punto iniziale perché una teoria si trasformi in ideologia, da solo però non basta, occorre anche che la teoria sia indebitamente estesa a tutta la realtà o a tutta la classe di quei fenomeni che pretende di spiegare, come un letto di Procuste o la coperta del soldato, che se la tiri su per coprirti il collo scopri i piedi.
Pian piano la teoria iniziale perde elasticità, flessibilità, perde la sua funzione iniziale di ipotesi provvisoria almeno finché non ne trovo un’altra migliore, il suo corretto utilizzo è proprio come la liana di Tarzan, che deve essere abbandonata per quella successiva se Tarzan vuole proseguire nella giungla.
L’irrigidirsi di un modello e di una teoria avviene sempre con il sottrarre il suo nucleo e i suoi aspetti più importanti sia alla dialettica sia al vaglio di una realizzazione concreta, della trasformazione in strutture efficaci, nella prova sperimentale che valuterebbe se la teoria realizza davvero ciò che promette di realizzare.
L’idea iniziale di una ideologia, la teoria primigenia, può anche essere buona o addirittura geniale, ad esempio se distillassimo il comunismo per prenderne soltanto l’essenza di base ne ricaveremmo che esso coincide sostanzialmente con la formula: “Dare a ciascuno secondo i propri bisogni!”; a questo livello del discorso quasi tutti gli individui potrebbero dirsi comunisti, cosa c’è, infatti, di sbagliato nel dare ad un individuo ciò che gli necessita per vivere, nel fatto che il senso della società sia e debba essere essenzialmente il permettere l’esistenza stessa di un individuo facendosi carico dei suoi bisogni primari.
(segue)
Se questa formula diventa un dogma assoluto, una cosa che deve valere sempre e comunque per tutti, in qualsiasi momento, una verità da imporre anche con la forza, anche a chi non la condivide, se diventa l’unica verità, allora è già ideologia, è empiriocriticismo, è stalinismo, è costruzione dei soviet e del soviet supremo, è crescita dei gulag, eliminazione fisica di ogni voce critica, è deportazione in Siberia, è divisione del mondo in due, è guerra fredda, sono i carri armati che invadono Budapest o Praga, sono la rieducazione del popolo di Mao Tse Tung, ecc.
RispondiEliminaLo stesso vale per l’essenza del cristianesimo: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, si può imporre a tutti di amare il prossimo, si può imporre un sentimento? E non si dovrebbe educare le persone ad amare prima se stesse, per poter poi amare il prossimo? E che fine fa l’aggressività e la violenza se io le cancello in nome di un amore che dovrei sforzarmi di raggiungere? In duemila anni di cristianesimo hai notato qualche miglioramento per quanto riguarda il controllo delle pulsioni aggressive e della violenza?
E che dire poi dell’ideologia liberista e capitalista secondo cui bisogna: “Dare a ciascuno secondo i propri meriti o secondo il suo impegno o in base a ciò che realizza o produce”? Per questa via si può giungere a pensare che esistono individue che non solo non producono, ma che anzi sono un peso per gli individui che producono, si può arrivare a pensare che gli handicappati, i vecchi e chiunque non si uniformi allo stile di produzione imperante siano superflui e si possono eliminare. Devo ricordarti che tutto questo è già, purtroppo, successo e che quando sento certi discorsi leghisti temo che stia accadendo ancora?
Io ritengo che le ipotesi, le teorie, siano importanti in ogni campo, da quello scientifico a quello politico a quello sociale, queste teorie dovrebbero essere non meri e fumosi dogmi di fede, bisognerebbe che fossimo educati a valutare l’evanescenza delle idee proposte in ogni ambiente, che siano “operazionalizzabili”, come si suol dire in gergo scientifico (cioè espressi in modo tale che si possa approntare un banco di prova per verificarle, o meglio per falsificarle se è possibile).
Credo che esistano dei criteri atti a valutare la logica interna di una formulazione e altri che la mettono in confronto diretto con gli esiti di casi simili già sperimentati, che ci permettono di valutare un’ipotesi ancora prima di investire tempo, denaro e risorse umane nella sua realizzazione.
In quanto alla questione “testa”, “pancia” o anche “attributi”, che salta fuori da alcuni discorsi recenti in cui ci siamo impegnati, io traggo l’idea da ciò che scrivi che tu ritenga degne di considerazione soltanto ipotesi fondate razionalmente, mentre quelle che derivano dall’emotività, dalla “pancia” o dagli “attributi” siano sostanzialmente di ordine inferiore se non fuorvianti o addirittura pericolose.
(segue)
Il nazismo e il fascismo non furono un’infatuazione emotiva soltanto, Hitler e Mussolini erano molo distanti dall’essere dei grandi comunicatori o persone dotate di uno charme particolare, anzi, è vero esattamente l’opposto; Mussolini tendeva al ridicolo, una specie di macchietta da avanspettacolo e Hitler sembrava l’impiegato del catasto, in quel contesto storico erano molto più affascinanti i leader socialisti in Italia e in Germania, ma forse Italia e Germania non avevano bisogno di persone straordinarie e straordinariamente dotate, ma di individui comuni, del Mike Bongiorno della politica e non dei fuoriclasse in quel preciso momento storico.
RispondiEliminaIn ogni caso, sia con Hitler sia con Mussolini prevalsero argomenti più razionali (la chiesa, i grandi interessi industriali e agricoli, la nobiltà, l’esercito, la media borghesia di solito depositaria del buon senso di una Nazione, scelsero la dittatura, una dittatura che in entrambi i casi si comportò in maniera estremamente logica e razionale, così come avviene nell’individuo paranoico).
Io credo che ogni idea sia fatta di testa, di pancia e anche di qualche etto di attributi, perché qualsiasi cosa nasce dall’individuo intero e mai da una sua sola parte (del resto sai meglio di me che gran parte dei neuroni di un essere umano sono esterni alla scatola cranica e che in fondo l’encefalo è una parte minoritaria del cervello umano e molte cose che accadono in un individuo non sono regolate per nulla dalla neo-corteccia, quindi non pensiamo solo con la testa ma con tutto il corpo).
Non credo che un’idea in cui il razionale predomini sull’emotivo sia migliore, superiore, più realizzabile di un’idea più intrisa di emotività, né credo altresì che bisogna andare “dove ci porta il cuore”, in alternativa alla razionalità, perché sarebbe un’altra assurdità che ho combattuto fin dal suo esordio nella seconda metà degli anni ottanta primi anni novanta quando ho iniziato il mio lavoro.
Pur non perdendo mai di vista i miei pensieri (sia quelli espliciti sia quelli impliciti), non trascuro la mia reazione emotiva alle situazioni e alle persone, perché credo che i sentimenti non siano semplicemente stati d’animo che si provano ma degli strumenti conoscitivi molto raffinati; infine, anche le richieste che vengono dagli attributi sessuali sono importantissimi, molti degli scambi relazionali con le persone sono sessualizzati, che ce ne rendiamo conto o meno, e ho imparato a non trascurare qualsiasi segnale sessuale mio o altrui per capire un determinato rapporto.
(ciao)
Concludo spostando l’asse dell’inganno che ci tendono le religioni dogmatiche, le ideologie, gli uomini politici; venditori di enciclopedie porta a porta, imbonitori di ogni specie e, perché no, anche qualcuno che può dirsi interessato ad una relazione con noi mentre in realtà vuole solo usarci per qualche suo scopo recondito, dall’inganno all’autoinganno.
RispondiEliminaSe vogliamo capire come mai siamo stati fegati, com’è che ci siamo fatti influenzare da qualcuno, perché ci troviamo in casa l’enciclopedia Treccano compresi gli aggiornamenti fino al 2050 che ci arriveranno in dispense semestrali, o perché quella Tizia o quel tizio ci ha lasciati subito dopo aver ottenuto per nostro tramite qualcosa a cui teneva tanto, non dobbiamo concentrarci soltanto sulle strategie di comunicazione, sui metodi di inganno o sulle tecniche suggestive e seduttive, ma sulle nostre debolezze che hanno permesso l’ingesso di quel cavallo di Troia.
Gli studi sull’ipnosi dimostrano che ogni suggestione è sempre un’auto-suggestione che preferiamo attribuire all’esterno, ora questo elemento esterno può essere talmente insignificante da essere rappresentato da persone le cui caratteristiche non spiegherebbero di per sé l’evento, o da figure a distanza, o da finzioni conclamate come può accadere con un film o con un evento teatrale, oppure ancora da nessuna figura umana immediatamente rintracciabile come quando ascoltiamo della musica alla radio, in tutti questi casi proviamo emozioni e pensiamo e reagiamo esattamente come se stessimo vivendo quelle vicende, auto-suggestionandoci appunto.
Ah, le vicende interne al PD non mi interessano più da un pezzo in prima persona, non è più il mio partito da tempo e non riesco ad appassionarmi a questa periodica frenesia in base alla quale sembra che l’unico problema del partito e dell’Italia sia quello di decidere chi sarà il leader del partito. Il problema principale del PD è quello di non essere un partito e di non essere neanche democratico, si tratta dell’alleanza temporanea di bande rivali portatrici di interessi di parte che predominano sugli interessi collettivi, più intenti a sbranarsi fra di loro, come branchi di cani selvatici, che ad esempio a contrastare un’anomalia economica, democratica e giudiziaria come Berlusconi e il PDL.
Un abbraccio
Caro Garbo, spenderò anch'io qualche parola per sottolineare le poche differenze fra il mio pensiero e quello che scrivi a proposito del termine ideologia (rimanendo ovviamente nel contesto del post). Io parlo di un paradigma cognitivo, di un filtro, una menzogna necessaria avrebbe detto Nietzsche?, che in ambito politico o filosofico può prendere il nome di ideologia e in ambito scientifico può prendere il nome di teoria. Da cornice cognitiva a gabbia cognitiva il passo non è lungo, purtroppo, e quello che dici sulla confusione tra menù e pasto è capitato molte volte nella storia (e qui il pensiero va al secolo breve trascorso da tempo) ma continua a capitare sotto mentite spoglie, nonostante la supposta morte delle ideologie, la lezione, mal recepita, dell'ermeneutica e quella, ancor più travisata, del post-modernismo. Anzi quelle lezioni, mal recepite ripeto, hanno dato a qualunque imbecille incapace di visione sistemica una patente di pragmaticità che nell'epoca della razionalità tecnica varrebbe come attestato di apertura mentale, tanto più aperto quanto più scevro da ideologie (e teorie)! In realtà, come dici giustamente tu citando Gadamer, senza teorie non vedremmo assolutamente nulla della realtà ed è esattamente in questi termini che ho usato la parola ideologia nel post, lasciando molte cose non dette, come del resto faccio sempre più spesso. Che il termine ideologia non ricorresse affatto nel compitino di Renzi forse era solo una coincidenza(?), ma quando ho finito di leggere quel compitino ho pensato che si trattava di un discorso di corto respiro, privo di una visione sistemica. D'altro canto nei documenti di Cuperlo e Pittella ho intravisto l'esposizione di una “ideologia” (intesa come serie di idee), senza che vi fosse il necessario apporto di un progetto concreto con elementi utili a valutarlo. In questo contesto ho dato quell'incipit al post
RispondiEliminaQuello che scrivi sul pericolo intrinseco ai dogmi di fede (siano essi religiosi, politico-economici, aggiungo scientifici) lo condivido pienamente e spiega bene quanto accennavi nel precedente scambio quando dicevi che "non bisognerebbe contrapporre ideologia all’ideologia". Anche qui va detto brevemente qualcosa che spiega il mio “forse è il caso di rivendicare qualche ideologia da opporre all'ideologia imperante” e che si riallaccia a questo scambio. Non la farò lunga ma è necessario tornare rapidamente a prima della caduta del muro di Berlino. Di quel periodo ricordiamo solo la guerra fredda, e forse neanche quella, ma certamente non ricordiamo più che le più grandi conquiste dell'occidente in termini di diritti sociali e del lavoro sono avvenute in quel periodo. Lo scontro dialettico delle ideologie è avvenuto in termini inclusivi, almeno in occidente. In altre parole il blocco occidentale si è opposto all'ideologia del blocco sovietico e includendo le rivendicazioni che si erano fatte strada nel proprio tessuto sociale (per poi espellerle prontamente alla caduta del muro). Forse anche il blocco sovietico, con Gorbaciov, si stava preparando a fare altrettanto ma la storia ha imboccato una strada diversa. Intendiamoci non era tutto una favola, è stato un periodo terribile, il blocco sovietico era una dittatura, quello occidentale viveva di psicosi anticomuniste (più o meno come adesso per quelle antiterroriste, ma adesso è tutta un'altra cosa!!!), il mondo ha rischiato più di una volta l'apocalisse nucleare ma da questo stallo planetario è risultato un equilibrio dei conflitti interni ai paesi, almeno in quelli occidentali ripeto, che adesso vedo crescere e se non esplode è perché sono cambiati anche i soggetti del conflitto e i loro confini ma questo sarebbe un discorso ancora più lungo. Insomma, per farla breve adesso abbiamo l'unico mondo possibile, un panglossismo tecnico razionale senza alternative e senza dialettica, un affollatissimo monologo collettivo.
(segue)
Poche parole su “testa” e “pancia” (“attributi” no che la filosofia tomista è complicata e gli attributi di Dio esulano da questo post ;-). Io non considero affatto “degne di considerazione soltanto ipotesi fondate razionalmente”, piuttosto non considero degne di considerazione le ipotesi che non siano fondate razionalmente, non è la stessa cosa. Noi siamo il nostro corpo, pensiamo e conosciamo con il nostro corpo e l'emotività è la fisiologia della conoscenza ma ho terrore di chi parla solo con la pancia (soprattutto se intenzionalmente e quindi razionalmente, facendo leva sul bisogno di autoinganno che dici), così come avrei terrore di dare il comando di un aereo ad un pilota privo di neocorteccia ma dotato di uno splendido sistema limbico. Il discorso sulla componente emotiva/razionale del fascismo e del nazismo ci costringerebbe a entrare nel merito della razionalità, della matrice emotiva, delle tante forme di razionalità (che da quello che scrivi si evince trattarsi di interessi e posizioni di potere di ben definite classi sociali), ad ogni modo è un intreccio per me inestricabile perché, come dici tu, un'idea non può essere scissa nelle sue componenti emotivo/razionale, soprattutto da uno come me che pensa che la razionalità è il nome elegante che diamo all'emotività, per darsi un tocco sapiens! Se Un po' come
RispondiEliminaLe vicende del Pd mi interessano solo perché sarebbe il partito di maggioranza diversa da quella del galeotto e dei suoi corifei. Per il resto si tratta di una chimera senza carattere che non ho mai avuto la tentazione di votare e dubito che mi verrà dopo il disastro Rodotà e Prodi. Sul futuro di quel partito non sono più ottimista che sul suo passato, se il futuro è Renzi posso essere contento per gli elettori di destra, ché non resteranno orfani a lungo del loro leader.
Un abbraccio a te