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domenica 7 ottobre 2018

La cattura del gatto [Note (53)]

“L’etica e i codici morali sono necessari all’uomo per via del conflitto tra intelligenza e impulso. Se l’uomo possedesse o la sola intelligenza o il solo impulso, non avrebbe bisogno dell’etica. […] Un’etica che consenta agli uomini di vivere felicemente deve collocarsi a metà strada tra i due poli dell’impulso e del controllo. E’ da questo conflitto insito nella natura umana che nasce l’esigenza dell’etica.”[1]
Senza entrare nei dettagli di un concetto polisemico come quello di intelligenza e nelle sue molteplici dimensioni (emotiva, razionale, individuale, sociale, ecc…), quella che l’uomo solitamente chiama in causa per distinguersi dal resto del mondo animale è un prodotto per niente scontato della natura. D’altra parte la volontà o gli impulsi, intesi come il conatus di Spinoza, costituiscono l’inevitabile desiderio di conservazione ed espansione dell’essere. Se la volontà trova facile fondamento nell’essere meno scontata è la fondabilità della volontà morale che presume la mediazione dell’intelligenza.
Nel discorso etico il pensiero di Hume ha tracciato un solco incolmabile tra le descrizioni, relative all’essere, di pertinenza della scienza, e le prescrizioni o valutazioni, relative al dover essere, di pertinenza dell’etica. Quella che George Edward Moore ha chiamato la “fallacia naturalistica” altro non è che l’effettiva indeducibilità del dover essere dall’essere che aveva individuato il filosofo scozzese.
Fernando Savater prende le distanze da questa posizione e in Etica come amor proprio si chiede, in maniera molto perentoria, “da dove diavolo potremmo tirar fuori qualsiasi dover essere se non dall’essere che abbiamo a disposizione?”[2] e considera la distinzione tra essere e dover essere uno pseudo-problema. Indubbiamente “ciò che per l’uomo vale, è quello che l’uomo vuole; però l’uomo non può volere qualsiasi cosa, deve volere in accordo con quello che è”[3], tuttavia il dovere essere, presuppone una scelta che resta indeducibile dall’essere. L’uomo può volere solo in accordo con quello che è perché non può oltrepassare i limiti stabiliti, di volta in volta e sempre mutevoli, dalla sua storia evolutiva e dalla contingenza, tuttavia il suo volere può volgersi in molte direzioni. Il fatto che l’uomo “deve volere” costituisce l’essenza del conatus spinoziano ma da questo non si deduce affatto né l’oggetto del suo volere né il tipo di accordo con l’essere.
Savater ha il merito di individuare il paradigma della fondabilità etica nell’amor proprio dell’individuo, un paradigma privo di una metafisica che solo un uomo come Kant poteva concepire senza mala fede, ma nonostante la condivisibilità della tesi centrale di Savater fatico a seguire il filosofo spagnolo nel ragionamento che sembra delineare una deducibilità del dover essere dall’essere. Se concepiamo volere e dovere come due sfere di dimensioni e posizioni mutevoli immerse nell’indefinito essere, con la sfera del volere che include quella del dovere, in questi termini tutti i possibili dover essere sono in qualche modo vincolati al volere e in ultima istanza all’essere, ma questo non dice nulla sulla loro deducibilità dall’essere. L’essere da cui possiamo concepire la deducibilità è già un voler essere, inoltre di tutti i possibili dover essere solo alcuni costituiscono oggetto di interesse per un comportamento etico.
Savater assegna il dover essere a una dimensione storicamente determinatasi e afferma che “l’uomo non può inventarsi completamente, ma neppure smettere completamente di inventarsi”[4], tuttavia il giusnaturalismo di Savater crea un ponte, a mio avviso pericolante, tra essere e volere, entrambi ontologicamente dati, e dover essere, sempre imprevedibile e la cui datità ontologica è tutt’altro che scontata. Ritornando a Hume, le verità sulle materie di fatto non possono essere inferite a priori dall’esperienza secondo criteri logici tipici delle relazioni tra idee[5] e i risultati della volontà sono spesso materie di fatto. Se siamo liberi l’unico ponte tra essere/volere e dovere è la scelta individuale nel contesto collettivo, scelta sempre imprevedibile e i cui esiti, in fin dei conti, sono sempre imprevedibili. L’etica è la ricerca di un accordo, frutto di un’intelligenza sociale, in cui la scelta individuale possa esprimersi, mentre la volontà dell’essere è una proprietà del vivente che non ha necessità di estendersi oltre l’individuo. La vita che vuole sé stessa fonda sicuramente la speranza, l’incerta letizia di Spinoza, ma non dice nulla sulla sua qualità né su chi parteciperà di quella speranza.

[1] B. Russell, Un’etica per la politica. (1954). Laterza, Bari, 1994, p. 8-9.
[2] F. Savater, Etica come amor proprio. (1988). Laterza, Bari, 1998, p. 7.
[3] Op. cit., p. 8.
[4] Ivi.
[5] D. Hume, Ricerche sull’intelletto umano e sui principii della morale. Laterza 1980, p. 41.

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