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giovedì 15 dicembre 2016

:-D

Agile scanso auto e schivo buche,
vana maestria contro fanfaluche.
Tocchi di campane dalla cattedrale,
i miei chiedono una festa nazionale!

'Sto passaggio si fa sempre più stretto,
eppure in principio era tutto perfetto.
Da bambino, come tutti, ero immortale,
più tardi arriva la notizia ferale.

Fieri tra giochi, guerre e altre amenità
festeggiamo lieti tra bellezza e oscenità.
Si favoleggia di peccati e risarcimenti
per affrontare prove da eterni esordienti.

Servisse lagnarsi di questa farsa
pochi protagonisti, nessuna comparsa,
come è vero che son nato nel sessantotto
oggi, lo giuro, farei un quarantotto!

 

lunedì 5 dicembre 2016

Buon inizio di settimana

Di solito non accendo mai la tv la mattina, questa mattina l'ho fatto, su rainews. Il primo commento è stato di brunetta che affermava avesse vinto la democrazia, lui, che insieme al suo padroncino nel 2006 era firmatario di una riforma costituzionale meno democratica di quella che si votava ieri. Poi è toccato a di maio che diceva che senza quorum la gente va a votare...della serie non possiamo dire che i dinosauri si sono estinti per il meteorite perché quella notte pioveva, e se fosse stata la pioggia? Intanto scorrevano le strisce di fondo dove ho letto i risultati, mi sono bastati quelli e ho spento.
Il mio no non è quello di questa gente e neanche quello di chi ha scritto e/o votato questa riforma per poi scoprire il senso dell'autonomia. Non si vota pro o contro una riforma costituzionale in base alle alleanze di breve termine. Le ragioni miopi di questa gente le ha fornite lo stesso renzi. Per quanto mi riguarda renzi è un brufolo di gioventù, la Costituzione è altra cosa, ciò che adesso temo è che tolto il brufolo ci toccherà passare un periodo con l'acne giovanile, speriamo non lasci troppe cicatrici come ha già fatto la mignottocrazia.
Tra i rari commenti seri che questa mattina ho letto spicca quello di Spinoza: "La Costituzione è salva. Ora possiamo tornare a ignorarla. [semola]"

venerdì 25 novembre 2016

In piedi, signori.

In rete la trovate attribuita a Shakespeare ma il linguaggio del testo non consente di attribuire questo testo al grande poeta inglese. Ad oggi è anonima.


domenica 20 novembre 2016

Compere

Ricordo da bambino la merceria dove mia madre comprava gli articoli che le servivano per i lavori di cucito. Mi piaceva andare con lei alla merceria perché era un negozio particolare, diverso da tutti gli altri. Entravo in un mondo incantato con cassetti colmi di gemme di bottoni dalle mille forme e colori, cataste di gomitoli di lana e rocchetti di cotone, rotoli di tessuti ricamati e scampoli di stoffa. Ripiani alti e fitti di oggetti che serviva una scala per raggiungerli e una memoria prodigiosa per ricordarli tutti. Alla richiesta di una sigaretta di cotone di un preciso colore o di un rotolo di tessuto la negoziante dietro il bancone non aveva esitazioni, indirizzava la sua mano nel cassetto che conteneva l'oggetto richiesto oppure andava immediatamente alla scala per raggiungere il ripiano giusto. Era come se l'intera merceria fosse contenuta nella sua mente o, ipotesi ancora più stupefacente, come se gli infiniti oggetti della merceria fossero il frutto della sua mente. Lei immaginava che l'oggetto richiesto fosse esattamente dove sarebbe andata a cercarlo ed ecco che il bottone della più improbabile forma si trovava proprio nel cassetto che avrebbe aperto. Accadeva anche che il bottone giusto non fosse nel primo cassetto ma questo accadeva per uno scopo preciso, certo non perché la venditrice avesse dimenticato dove trovare quello che cercava. Apriva il primo cassetto e diceva "qui no", apriva il secondo e con un sorriso diceva "qui no", quasi mai andava oltre il terzo cassetto e quei "qui no" ero certo li dicesse per me. Lo faceva per portarmi fuori strada e per cancellare dalla mia immaginazione la possibilità che gli oggetti fossero proprio dove lei li cercava.
Negozi affascinanti le mercerie, non ne vedo più tante oggi. Sembrano essere sparite e forse continuano a esserci solo nella memoria o nei sogni.


- Buongiorno signora. Cosa le do oggi?
- Buongiorno a lei. Dopo tutto quello che ho comprato da lei è venuto il momento di prendere un rotolo di tempo.
- E' sicura? Ci ha pensato bene? E' una decisione importante.
- Lei sa benissimo che non è questione da pensarci e non si tratta neanche di una vera decisione. Quando arriva il momento, volente o nolente, tocca prendere il rotolo di tempo.
- Lo so. Lei sa anche che del rotolo non può scegliere nulla. Non il peso, il colore, la tessitura o altro.
- Sì, lo so e questo mi rincresce.
- Lei lo può srotolare solo quando è a casa sua. Se non le piace può gettarlo via, se decide di tenerlo potrà cucirsi il suo abito. In entrambi i casi non può chiedere altri rotoli e noi non ci vedremo più.
- Anche questo mi rincresce.

La signora prende il suo rotolo di tempo e va via ansiosa di arrivare a casa per srotolarlo. Dietro al bancone uno sguardo pieno di tenerezza e comprensione la accompagna mentre esce dal negozio per l'ultima volta.

lunedì 14 novembre 2016

Sondaggi


- Buongiorno, vuole partecipare a un sondaggio sulle prossime elezioni?
- Vattene affanculo, ho altro da fare.
- E lei che sembra più distinto, vuole partecipare?
- Certo, mi faccia pure le domande.

In brutale sintesi è tutta qui la "capacità predittiva" dei sondaggi!
Un po' quello che accade per altri studi sociali che risentono della raccolta di dati esclusivamente tra soggetti cosiddetti WEIRD, Western, Educated, Industrialized, Rich, Democratic: occidentali, istruiti, industrializzati, ricchi e democratici.

Insomma, ci diciamo quello che vogliamo ascoltare e le voci che vengono da fuori non arrivano. I salotti le attutiscono!

martedì 8 novembre 2016

Brevi note sulla riforma costituzionale e il referendum

Approfitto di uno scambio con un caro amico per condividere alcune brevi note sulla riforma costituzionale e sul referendum. Premetto che trovo la classe politica a sostegno del no imbarazzante quanto quella a sostegno del sì, quindi per le mia decisione di votare no al referendum mi accompagno alle considerazioni che potrete trovare in rete di autori come Zagrebelsky, Onida, Rodotà, Settis, Canfora, De Siervo, Pace, La Valle, Carlassare, ecc. ecc. A quanti decidono il proprio voto seguendo i suggerimenti di questo o quel partito dico che con una riforma costituzionale non si vota questo o quel partito ma si votano tutti, quelli presenti e quelli futuri.
Questa riforma è la più grande mai fatta, 47 articoli se non ricordo male, quindi richiederebbe condizioni di convergenza politica che non sono presenti né nel panorama sociopolitico del paese né nel parlamento, perché eletto con una legge incostituzionale. Questa riforma è nata con voti di fiducia e altre amenità simili, tutte sotto il segno della demagogia come ridurre i costi della politica e accelerare il processo normativo. Nessuno di questi argomenti reggerebbe un minuto sotto i colpi di critiche serie. Le riforme costituzionali toccano la nervatura di un paese e non si fanno per sottrarre argomenti all'avversario, vedi l'assillo dei costi per i grillini che tanto varrebbe si facessero pagare di più pur di fare qualcosa di concreto! Nel 2005 fu fatta una riforma meno incisiva di questa per sottrarre l'argomento federalismo alla Lega e ne è venuto fuori un pasticcio in cui non si sa bene chi cavolo deve occuparsi di cosa e quando guardiamo fuori dalla finestra non sappiamo se vediamo un paesaggio, l'ambiente, un territorio o un bene culturale e via e via, ovviamente ognuno con le sue competenze specifiche e conflittuali. Poi abbiamo visto che regioni e province producono corruzione e conflitti normativi. Adesso si ritorna al caro vecchio centralismo, prima tanto vituperato. Allora, dov'è il conflitto normativo e la lungaggine burocratica? Nell'assetto costituzionale o in qualcos'altro? I costi si riducono con leggi ordinarie, la corruzione si riduce con leggi ordinarie. La riforma costituzionale è fumo negli occhi come fumo negli occhi sono gli argomenti di quanti chiedono riforme all'Italia, i cosiddetti osservatori esteri che tanto osservatori non sono se intervengono a gamba tesa! Le radici di questa riforma sono solo in parte nella necessità di rivedere la Carta, necessità che Renzi & co hanno sprecato perché se passa è una pessima riforma che avremo per anni con altri conflitti normativi. Le altre ragioni della riforma sono in un documento di JP Morgan di qualche anno fa in cui si auspicava una serie di riforme nell'aera euro per smantellare quelle fastidiose costituzioni che ancora conservano uno spirito socialista che impedisce la liberazione delle meravigliose e progressive sorti che solo il liberismo può scatenare!

venerdì 28 ottobre 2016

Frammenti

Bertrand Russell faceva notare che l’atteggiamento intellettualmente scettico della scienza mostra qualità completamente opposte come forza tecnica[1]. Per il pensiero scientifico anteporre l’unità al molteplice costituisce una necessità procedurale il cui fondamento è rintracciabile nel mondo delle idee di Platone. Tuttavia la necessità epistemologica può avere deleterie ripercussioni sull'ontologia. Tra unità e molteplicità si inserisce il vizio della conoscenza. L'intrecco tra epistemologia e ontologia è inevitabile, ci avviciniamo agli enti solo attraverso gli strumenti della conoscenza eppure attraverso gli stessi possiamo allontanarcene. Difficile in questo intreccio discernere se la matrice platonica sia causa del vizio o comodo sostegno a ragioni tutt'altro che inerenti alla conoscenza e più affini al potere politico.

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Contrariamente a quanto solitamente sostenuto il dominio della scienza è il dubbio e l'incertezza. Il desiderio di conoscenza fa abbandonare velocemente la conoscenza acquisita per avventurarsi in zone ancora inesplorate. Il dominio della tecnica è quello della conoscenza sclerotizzata per obbedire a esigenze estranee al desiderio di conoscenza. La scienza non è più né determinista né riduzionista. Da tempo gli ambiti di validità del determinismo e del riduzionismo sono stati circoscritti ed è stata abbandonata l'idea che possano essere strumenti di una conoscenza completa. Possiamo dire la stessa cosa della tecnica?

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Il determinismo di cui si accusa la scienza e che ne caratterizza una buona parte può essere discusso e criticato ma non è della stessa natura del determinismo tecnico. L’uno ha origine metodologica e ha carattere di temporaneità, l’altro affonda le sue radici nell’antropologia del potere che per definizione non può concedersi aleatorietà. Nelle applicazioni tecniche della ricerca scientifica svanisce ogni principio che faccia capo al dubbio e all'incertezza, così come svanisce ogni riferimento al molteplice, spazzato via dall'unità. La variabilità è considerata un "errore" e in questa confusione concettuale non aiuta il linguaggio delle discipline statistiche ereditato dall'ottocento. E' fuor di dubbio che quando prendiamo un aereo abbiamo solide ragioni per pretendere una massiccia dose di determinismo e non siamo disponibili a concedere margini troppo ampi all'incertezza, che pure resta presente, ma ci sono ambiti in cui l'applicazione di una cornice determinista è una gabbia per la conoscenza, quando non la garanzia di commettere errori madornali, non tutti involontari per le ragioni politiche che appunto vi sono implicate. Mi riferisco in particolare all'applicazione di questa cornice alle scelte individuali e agli sviluppi sociali che diventano oggetto di indagine economica e sociologica. Qui si aprirebbe il discorso sullo statuto scientifico di tali discipline ma scienza o no, informano l'agire politico ed è questo quanto intendo sottolineare.

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Si accusa, non a torto, il pensiero marxista di determinismo storico ma siamo sicuri che l'economia liberista sia esente dalla stessa accusa? Non sarebbe piuttosto possibile discernere un determinismo di lungo termine da un lato contro un determinismo a breve termine dall'altro? Se il pensiero economico marxista aveva come oggetto di indagine le classi che si avvicendavano nella storia, l'economia liberista ha come oggetto l'individuo o un gruppo di individui che si avvicendano al supermercato! Ma anche l'attenzione all'individuo o al gruppo di individui è solo apparente. In realtà l'oggetto di attenzione del liberismo è la massa indeterminata prima di operare una scelta, una massa che prende forma solo dopo aver effettuato una scelta, una forma necessariamente effimera disponibile ad assumere altre forme con nuove e diverse scelte. In base alle proprie scelte l'individuo può fare parte di diverse entità sociali. Le classi di un tempo hanno perso confini ma attenzione a considerare questo espressione di libertà. La molteplicità delle scelte dell'individuo è sussunta nella super categoria del consumo, l'unica che veramente interessi le analisi economiche. I beni e i valori che non rientrano in tale super categoria sfuggono dalle maglie dell'analisi. Sfuggono i valori etici, ambientali, emotivi. Vi rientrano marginalmente quando sono ormai compromessi. Sfugge ciò che fa di noi quello che siamo. Quello che resta è una molteplicità di modi di consumare per contare qualcosa. La soggettività si perde nelle numerose curve di domanda e offerta, ognuna con il proprio prezzo ottimale che la scelta di ogni individuo concorrerebbe a determinare. Lo scopo è portare il numero più elevato possibile di soggetti sotto la campana dei consumi e specificamente sotto il valore medio.

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Se, in ordine ai problemi della modernità, occorre procedere a una critica del pensiero scientifico è in relazione alla prevalenza di una razionalità strumentale sganciata dall’assegnazione di un senso dell’agire. A una attenta considerazione il problema non sembra essere la razionalità quanto il suo dispiegamento politico. Sebbene oggi tutto sembri organizzato secondo canoni razionali, in realtà si seguono vecchi istinti irrazionali più di quanto non si ami dire. Anche nell’economica, paradigma prevalente della nostra organizzazione sociale, Amartya Sen è lungi dal vedere il dispiegamento e l’applicazione di criteri razionali[2].
Usiamo macchine, la nostra vita appare organizzata secondo i meccanismi e ritmi di un orologio ma gli apparecchi che usiamo e i sistemi in cui siamo immersi sono la cristallizzazione di una razionalità di cui non ci chiediamo nulla, degli effetti quanto delle cause. Sono l'espressione di una razionalità che è sempre di altri e pericolosamente pochi, una razionalità che la gran parte delle persone subisce da utente inconsapevole, come un automa. Alla base di questo abbandono della consapevolezza Günther Anders[3] pone l’inadeguatezza del nostro apparato emotivo di fronte all'apparato tecnico. Ci percepiamo come costruzioni difettose più imprecise delle nostre stesse macchine. Concordo con questa lettura che tuttavia non esclude che la nostra “vergogna prometeica” sia dovuta a un difetto di razionalità più che a un eccesso poiché o la nostra razionalità è inscritta nel nostro apparato emotivo oppure si tratta d'altro. La razionalità tecnica non esita a incunearsi nel vuoto emotivo e a sfruttarla per scopi biopolitici[4]. Da tempo è in corso uno sfruttamento "razionale" delle emozioni. La povertà emozionale è povertà di riconoscere le proprie emozioni e  lasciarle in balia di uno psicopotere/biopotere utile al proprio stesso asservimento.

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Viviamo in smart city, progettiamo smart grid, usiamo smart phone, guidiamo smart car, ci scambiamo smart box! Tutto è smart. Da parte mia penso che basterebbe desiderare cose a misura di bambino e di vecchio per avere un mondo veramente smart, un mondo per umani. Sotto la patina smart c'è un mondo fatto per l'adulto nella fascia di età produttiva, in ottima salute, vincente e di successo, competitivo e spregiudicato (salvo quando deve trasmettere l'immagine salvifica dell'altruista). Se non sei più, o ancora, tutto questo allora sei uno scarto, un peso sulle spalle della società che produce e devi farti da parte. Questo racconta Ken Loach in Io, Daniel Blake, e lo fa con semplicità schiacciante. Loach racconta i fatti senza orpelli e apparentemente senza emozioni ma le emozioni che Loach mette nei suoi film sono le tue e la cosa che ti è più chiara alla fine del film è che non siamo arrabbiati abbastanza per esserci fatti intrappolare in una rete dove ogni nodo che non conta un cazzo è usato per dire all'altro nodo che non conta un cazzo. Strappiamo questa rete prima che sia troppo tardi ma forse è già tardi. La democrazia doveva risolvere i conflitti, invece è stata usata dalle oligarchie per depotenziarli.


[1] B. Russell, La visione scientifica del mondo, Laterza, 1934, p. 144.
[2] A. K. Sen, Etica ed economia, Laterza, 2002.
[3] G. Anders, L’uomo è antiquato, Vol. I, Bollati Boringhieri, 2003.
[4] L. Demichelis, Byung-Chul Han, il capitalismo delle emozioni, alfabeta2.

domenica 18 settembre 2016

Note sui riccioli di burro

Nel corso del XVIII si ebbe in Europa quella stagione del pensiero nota come Illuminismo e quel lasso di tempo è spesso chiamato Secolo dei Lumi, del quale ci diciamo fieramente figli, anche se Voltaire, Diderot, Rousseau[1], Hume, Kant ecc. non sono più tra i best-seller delle librerie. I valori promossi dall’Illuminismo, sintetizzati dal motto della rivoluzione francese Liberté, Ègalité, Fraternité, sono il riconosciuto, non da tutti, fondamento dell’Europa così come oggi la conosciamo, anzi come la vorremmo conoscere. Alcuni a questo fondamento preferiscono anteporre le radici cristiane ma dopo le guerre di religione sono stati i Lumi, per quanto posteriori e non privi di errori, a porre l’attenzione ai principi di tolleranza e a consentire la coesistenza dei fondamenti, non la cristianità.
Nell’epoca dei Lumi, secondo l’affermazione di Kant, la ragione diventa maggiorenne proprio perché riconosce i suoi limiti. La stagione in cui ragione, critica e tolleranza costituivano i valori guida non fu esente dalle derive totalitarie in cui scivolò lo “spettacolo” (così la chiamava Kant) della rivoluzione francese. Le principali critiche alla cultura illuministica sono indirizzate alla dea Ragione, confondendo Robespierre con i philosophes e il mercato con l’Illuminismo. D’altra parte la dea Ragione con la R maiuscola e il titolo di dea non dovrebbe faticare troppo a farsi riconoscere la matrice sospettosamente religiosa più che illuminista, ma come si sa, la storia è anche interpretazione e se l’interpretazione non è troppo complicata è meglio!
 Agli inizi del secolo scorso Musil aveva individuato un intimo rapporto tra ragione e atteggiamento eroico, nel senso caro ai greci. Nel saggio L’uomo matematico Musil affermava: “Proprio così, i matematici guardarono giù al fondo e videro che tutto l’edificio è sospeso in aria. Eppure le macchine funzionano! Insomma, siamo costretti ad ammettere che la nostra esistenza è un fantasma. Noi la viviamo, ma soltanto sulla base di un errore; senza di esso non esisterebbe. Solo il matematico, oggigiorno, può provare sensazioni così fantastiche.
"A questo scandalo intellettuale il matematico reagisce in modo esemplare: lo sopporta con orgogliosa fiducia nella diabolica pericolosità dell’intelletto. ….Noialtri dopo l’Illuminismo ci siamo persi di coraggio. E’ bastato un piccolo fallimento per farci voltare le spalle all’intelletto, e permettiamo a ogni esaltato zuccone di tacciare di vano razionalismo le aspirazioni di d’Alembert e di Diderot. Andiamo in visibilio per il sentimento e diamo addosso all’intelletto, dimenticando che il sentimento senza l’intelletto – fatte le debite eccezioni – è grasso come un ricciolo di burro.”[2] Per Musil, nel 1913, “i matematici sono un’analogia dell’uomo spirituale dell’avvenire” ma tristemente i sedicenti uomini spirituali di oggi, non sapendo distinguere tra ragione, scienza e tecnica, fanno di tutto per tenere il ‘ricciolo di burro’ a basse temperature invocando, più per efficacia dello slogan che per pura convinzione, la perdita di valori della società contemporanea. E' tristemente evidente, come affermava sempre Musil, che “l’intelletto non potrebbe dissolverli [i valori] se essi non fossero già incrinati nei loro presupposti emotivi. L’aspetto emotivo non dipende dalla natura dell’intelletto, ma da quella dei valori! L’intelletto, per sua natura, può essere tanto coesivo quanto disgregatore. Esso, anzi, è la più potente forza coesiva nei rapporti umani, e questo, stranamente, i ‘begli spiriti’ che accusano l’intelletto spesso se lo dimenticano. Il problema, insomma, può essere soltanto questo: un cattivo rapporto tra intelletto e ‘anima’, che vivono l’uno accanto all’altro senza incontrarsi. Non possediamo troppo intelletto e troppo poca anima, ma usiamo troppo poco l’intelletto nelle faccende dell’anima.”[3]
Si dibatte ancora sull’attualità dell’Illuminismo[4] e si rievocano spesso le degenerazioni e i limiti della “sola” ragione. Cosa faccia più paura, se le degenerazioni o i limiti non si osa sapere!

[1] Per molti aspetti Rousseau può essere considerato il precursore del Romanticismo, B. Russell, Storia della filosofia occidentale, Mondadori, 1984. p. 652-666.
[2] R. Musil, L’uomo matematico, 1913. In Sulla stupidità e altri scritti, Mondadori, 1986. p. 47-48.
[3] R. Musil, L’Europa abbandonata a se stessa ovvero Viaggio di palo in frasca, 1922. In Sulla stupidità e altri scritti, Mondadori, 1986. p. 126-127.
[4] E. Scalfari, Attualità dell’Illuminismo, Laterza, 2001.

martedì 13 settembre 2016

L'argo ai giovani!

Il combinato disposto tra legge elettorale e riforma costituzionale non ci consente di votare a favore.” Roberto Speranza, 2016.

Curiosa argomentazione quella di chi subordina il sì al referendum costituzionale alla modifica della legge elettorale! E' vero che la minoranza pd ci ha abituato a ben altri bizantinismi con coraggioso sprezzo del ridicolo e infaticabile dedizione alla farsa ma alcune trovate sono davvero da scenetta di varietà. In altre parole se si modificasse la legge elettorale, una legge ordinaria, allora sarebbero disponibili a far passare la riforma costituzionale. Mah! Come essere disposti a farsi cambiare la struttura scheletrica se ci assicurassero che il cibo che mangeremmo dopo sarebbe ricco di calcio!

Lasciamo perdere la tempistica più che opportuna - direi opportunista - con cui padrini nobili della attuale riforma costituzionale riconoscono che l'italicum va modificato per ricucire lo strappo nel pd e salvare la riforma costituzionale. Ma è ragionevole accettare la riforma costituzionale se si cambia la legge elettorale? Sarebbe ragionevole se la riforma costituzionale fosse una buona riforma a prescindere dalla legge elettorale. Sarebbe ragionevole inoltre se dopo la riforma costituzionale non si potesse fare una legge elettorale in tutto simile a quella che adesso si andrebbe a modificare. Nessuna delle due condizioni è vera.

Sulla riforma costituzionale diversi costituzionalisti affermano che apre più problemi di quanti ne risolva (rimando a questo articolo per una breve panoramica). Leggete l'articolo 70, è una sciarada psichedelica che anche Bartezzaghi si perderebbe, forse Borges riuscirebbe a tirarne fuori uno schema per un labirinto fantastico e certamente Finnegans wake vincerebbe una gara in chiarezza! Basta leggere quel capolavoro di letteratura astrusa per capire che ci sarà un parapiglia di contese tra un ramo e l'altro del futuro parlamento.
Per quanto riguarda la legge elettorale, chi ci assicura che dopo la riforma costituzionale non sarà ripresentata determinando quel "combinato disposto" di cui si parla oggi? Se è un combinato quello che si teme allora la nuova Costituzione si presterebbe nuovamente a quel combinato. Siccome si legifera in totale disprezzo della Costituzione già sappiamo che il cosiddetto italicum ripete i rilievi di incostituzionalità per cui la Corte Costituzionale ha bocciato il porcellum, chi ci assicura che dopo la riforma non verrà scritto un italicum bis?

Per questi motivi non regge l'argomentazione di quanti voterebbero sì al referendum per la riforma costituzionale se si modificasse l'italicum. Non regge logicamente! Ma è vero che ormai ci hanno abituati all'estensione ben oltre i confini originali di quell'antico adagio che diceva "credo quia absurdum".


Mario Schifano - No, 1960.


martedì 2 agosto 2016

Alle pendici dell'Etna

Una volta visitata la Sicilia devi ritornarci, per vedere quello che non hai visto o per rivedere meglio quello che hai visto.

Sulle rive dell’Alcantara cresce la ferula. Qui, come in altre aree mediterranee, si narra la leggenda di S. Antonio abate, trasposizione del mito di Prometeo nella tradizione popolare cattolica a riprova che il cattolicesimo del sud è il paganesimo con altro sembiante. S. Antonio abate, patrono del “fuoco sacro” (il fuoco di S. Antonio è la varicella nella sua manifestazione più virulenta), si reca all’inferno per rubare il fuoco e portarlo sulla terra dove si muore di freddo. S. Antonio conserva il fuoco appena rubato nel suo bastone di ferula che ha il midollo cavo e spugnoso. Il fuoco della conoscenza di Prometeo diventa un ciocco di legno con cui scaldarsi nella tradizione cattolica. In entrambi i casi ci si scotta a giocarci con troppa disinvoltura.


Etna, la grande madre che tutto dona e tutto si riprende. Vivere alle sue pendici è combattere continuamente con un complesso di Edipo irrisolvibile e grande come una montagna, è proprio il caso di dire. In realtà non si combatte neanche più, lo si accetta, non senza conflitto, come componente ineluttabile del proprio esistere. Intorno all’Etna tutto è una gigantesca clessidra e la polvere viene continuamente spazzata per rimuovere il tempo che passa. Catania è la perla nera di tutto questo e la gente ha una fame di vita difficile da vedere altrove nell’isola. Catania sembra dire “godiamone fin che ce n’è”, perché se si sveglia la grande madre c’è solo da scappare per ricominciare di nuovo ma sempre qui, all’ombra della montagna, perché altrove si perderebbe la propria essenza.


Precarietà esistenziale, eterno scontro tra vita e morte, mai ovvia scelta di quale sia delle due la parte migliore. Il nero delle viscere della terra e il verde lussureggiante dei boschi. I colori della fucina di metalli partoriti in esplosioni inenarrabili per dare vita a una vegetazione esuberante. Morte e vita intimamente intrecciate. Non esiste l’una senza l’altra. Non sono che due facce della stessa medaglia. Tutto questo rende queste lande terribilmente belle come terribile è lo sguardo di Medusa che eterna nella pietra ma scatena l’anelito del risveglio, quella Medusa che è nel simbolo della Trinacria.

La Sicilia cambia fisionomia intorno all’Etna. La sua geografia è cambiata nei secoli. Castello Ursino costruito sulla riva del mare a Catania adesso ha il mare a 1,5 km. Sono scherzi che lasciano il segno. 1693, l’apocalisse del terremoto dopo l’eruzione di vent’anni prima. Quello che lascia senza fiato è la serena lentezza con cui avanza il fronte lavico dell’Etna. L’Etna non è come il Vesuvio. Se del Vesuvio fa paura la sorpresa di un’esplosione per troppo tempo rimandata, dell’Etna fa paura la fermezza di una decisione presa con fredda determinazione.


A Catania il cielo è estremo come la terra. Il sole brucia se è in salute, altrimenti è un sole malato. La terra rovente ruggisce nelle viscere. Non ci sono vie di mezzo nel sud. Il sud è terra estrema, nella geografia dell’anima come in quella del territorio. Se tutto è calmo è segno che qualcosa sotto terra ribolle. Al mercato del pesce il gesto del pescatore che taglia il tonno con l’enorme mannaia si carica di una violenza rassegnata, una violenza che parla d’altro. Il sangue intride la spugna e scorre lungo i canali di scolo tracciando di rosso la pietra solida che un tempo è stata lava rovente. Al sud tutto è estremo, morte e vita che a malapena comprendiamo se ci può stare qualcosa in mezzo. Tutto è eccesso di gioia e dolore, come il nostro barocco. Il nostro teatro non ha colori tenui. I colori sono accesi, estremi. Il verde urla vita, il rosso è sangue di terra che tutto divora e il nero è polvere di tempo che tutto copre e tutto svela.


Se al mercato il sangue del tonno ci parla della violenza primigenia è difficile immaginare quale mattanza sia la tonnara. Nella tonnara va in scena qualcosa di primitivo, una tragedia in cui l’uomo-dio consuma il proprio sacrificio nel pesce-uomo, antico simbolo di un cristianesimo originario. Le urla devono essere terribili, la bestia che si dibatte per fuggire da una sorte senza pietà. Il mercato del pesce risuona ancora di quelle urla, ma è solo una pallida eco, quella del vincitore dopo una lotta efferata, un fiato al confronto, a testimonianza di essere rimasti in vita per scongiurare che nella messa in scena della tonnara non ci sia stato alcuno scambio dei ruoli tra gli sventurati attori della tragedia.

La precarietà esistenziale della Sicilia è culturale a Palermo, naturale a Catania. In entrambe le città tutto cambia continuamente perché tutto resti uguale ma per motivi diversi. Da una parte governa la Storia, dall’altra l’Etna.

Alle pendici dell’Etna al termine di ogni colata lavica sorge una chiesa perché la colata si è fermata in quel punto per intercessione divina. Se la colata avesse fatto altri metri la chiesa sarebbe sorta più a valle.

Tra una fumata e l'altra dell'Etna Taormina continua a fare finta di niente recitando la parte della Sicilia extra moenia.

domenica 31 luglio 2016

Fenomenologia del rottamatore

Q8 §15. Passato e presente. Una generazione può essere giudicata dallo stesso giudizio che essa dà della generazione precedente, un periodo storico dal suo stesso modo di considerare il periodo da cui è stato preceduto. Una generazione che deprime la generazione precedente, che non riesce a vederne le grandezze e il significato necessario, non può che essere meschina e senza fiducia in se stessa, anche se assume pose gladiatorie e smania per la grandezza. È il solito rapporto tra il grande uomo e il cameriere. Fare il deserto per emergere e distinguersi. Una generazione vitale e forte, che si propone di lavorare e di affermarsi, tende invece a sopravalutare la generazione precedente perché la propria energia le dà la sicurezza che andrà anche più oltre; semplicemente vegetare è già superamento di ciò che è dipinto come morto.
Si rimprovera al passato di non aver compiuto il compito del presente: come sarebbe più comodo se i genitori avessero già fatto il lavoro dei figli. Nella svalutazione del passato è implicita una giustificazione della nullità del presente: chissà cosa avremmo fatto noi se i nostri genitori avessero fatto questo e quest’altro..., ma essi non l’hanno fatto e quindi noi non abbiamo fatto nulla di più. Una soffitta su un pianterreno è meno soffitta di quella sul decimo o trentesimo piano? Una generazione che sa far solo soffitte si lamenta che i predecessori non abbiano già costruito palazzi di dieci o trenta piani. Dite di esser capaci di costruire cattedrali ma non siete capaci che di costruire soffitte.
Differenza col Manifesto che esalta la grandezza della classe moritura. (Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, 1948.)

giovedì 28 luglio 2016

Autocoscienza o autoscienza?

La coscienza è un incidente di percorso dell’evoluzione ma è fuor di dubbio che le conifere fossero in ansiosa attesa che qualcuno le distinguesse dalle angiosperme, altrimenti la loro fotosintesi ne avrebbe risentito. Le supernova non sarebbero esplose con lo stesso vigore senza qualcuno che le osservasse e l’espansione dell’universo non sarebbe potuta avvenire senza qualcuno che la teorizzasse.

E’ incredibile che tutto nell’universo abbia concorso all’incidente della coscienza, altrimenti nessuno avrebbe potuto concionare di spirito assoluto e di autocoscienza dell'universo.

Certe volte gli incidenti, per quanto imprevedibili, sembrano proprio programmati ad arte!

martedì 26 luglio 2016

Il fallito di successo

Con la definitiva acquisizione del denaro come unico equivalente generale di prestigio sociale prende piede la figura del “fallito di successo”, ovvero colui che fa soldi per avere prestigio a scapito di chi si guadagnava prestigio e come non necessario effetto collaterale faceva soldi. Un tempo il prestigio sociale era legato a un ideale da perseguire, un ideale sociale o individuale, un ideale di giustizia o di rigore ma pur sempre un ideale. Poi gli ideali sono stati mandati in discarica e sale alla ribalta il parvenu frustrato dalla storia che trova finalmente modo di riscattarsi con il conto in banca. Così arriva il fallito di successo circondato da altrettanti falliti ma senza successo che aspirano a emularlo.

Per dirla in due parole il fallito di successo è convinto di poter comprare virtute e canoscenza e volentieri fa passare la sua ricchezza economica come crisma di grazia divina. Per farla altrettanto breve fisso in queste due parole il crisma dell'autentico prestigio: virtute e canoscenza.

Alla genia dei falliti di successo appartengono personaggi il cui solo merito è appunto la loro ricchezza, spesso acquisita con metodi spregiudicati e poco encomiabili. Inutile fare l’elenco, di molti di loro si parla e si scrive. L’ultimo stadio dell’ascesa del fallito di successo è la conquista della politica per farne una faccenda privata. E’ accaduto in Italia, può accadere in USA.

Il fallito di successo è il vero morto di fame che non si sazia neanche dopo aver divorato l’universo. La sua fame è insaziabile. E’ questa la gente che sta divorando il mondo ma il problema più grave è che questi morti di fame del mondo cosiddetto sviluppato sono invidiati dai molti morti di fama e di fame che nello stesso mondo aspirano a diventare falliti di successo, passando così da una fame biologica e sociale a una fame ontologica, metafisica. Una fame inestinguibile fino al disastro.

Fossi un sociologo dedicherei alla figura del fallito di successo uno studio sistematico, una disamina delle caratteristiche salienti. Una mappatura della sua diffusione.

lunedì 18 luglio 2016

La coscienza della durata

Q15 §4 Machiavelli. Elementi di politica. (...) Svolgimento del concetto generale che è contenuto nell’espressione «spirito statale». Questa espressione ha un significato ben preciso, storicamente determinato. Ma si pone il problema: esiste qualcosa (di simile) a ciò che si chiama «spirito statale» in ogni movimento serio, cioè che non sia l’espressione arbitraria di individualismi, più o meno giustificati? Intanto lo «spirito statale» presuppone la «continuità» sia verso il passato, ossia verso la tradizione, sia verso l’avvenire, cioè presuppone che ogni atto sia il momento di un processo complesso, che è già iniziato e che continuerà. La responsabilità di questo processo, di essere attori di questo processo, di essere solidali con forze «ignote» materialmente, ma che pur si sentono operanti e attive e di cui si tiene conto, come se fossero «materiali» e presenti corporalmente, si chiama appunto in certi casi «spirito statale». È evidente che tale coscienza della «durata» deve essere concreta e non astratta, cioè, in certo senso, non deve oltrepassare certi limiti; mettiamo che i più piccoli limiti siano una generazione precedente e una generazione futura, ciò che non è dir poco, poiché le generazioni si conteranno per ognuna non trenta anni prima e trenta anni dopo di oggi, ma organicamente, in senso storico, ciò che per il passato almeno è facile da comprendere: ci sentiamo solidali con gli uomini che oggi sono vecchissimi e che per noi rappresentano il «passato» che ancora vive fra noi, che occorre conoscere, con cui occorre fare i conti, che è uno degli elementi del presente e delle premesse del futuro. E coi bambini, con le generazioni nascenti e crescenti, di cui siamo responsabili. (Altro è il «culto» della «tradizione» che ha un valore tendenzioso, implica una scelta e un fine determinato, cioè è a base di una ideologia). Eppure, se si può dire che uno «spirito statale» così inteso è in tutti, occorre volta a volta combattere contro deformazioni di esso e deviazioni da esso. «Il gesto per il gesto», la lotta per la lotta ecc. e specialmente l’individualismo gretto e piccino, che poi è un capriccioso soddisfare impulsi momentanei ecc. (In realtà il punto è sempre quello dell’«apoliticismo» italiano che assume queste varie forme pittoresche e bizzarre).
L’individualismo è solo apoliticismo animalesco; il settarismo è «apoliticismo» e se ben si osserva, infatti, il settarismo è una forma di «clientela» personale, mentre manca lo spirito di partito, che è l’elemento fondamentale dello «spirito statale». La dimostrazione che lo spirito di partito è l’elemento fondamentale dello spirito statale è uno degli assunti più cospicui da sostenere e di maggiore importanza; e viceversa che l’«individualismo» è un elemento animalesco, «ammirato dai forestieri» come gli atti degli abitanti di un giardino zoologico. (Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, 1948.)

venerdì 15 luglio 2016

Curiose coincidenze!

Questa mattina facebook mi ricordava un post che avevo pubblicato esattamente un anno fa.

Linkando un articolo pubblicato dal The Guardian avevo scritto: Here you are another finding on "trickle down effect"! A god no one has seen in the real world yet. But never mind, don't care the facts, the neolib economy is true!

La cosa curiosa è che nel mio taccuino avevo appena scritto questa nota. La rete ci tiene d'occhio?


La fallacia del liberismo economico (totale libertà dell'iniziativa privata, zero controlli e vincoli dello Stato, ecc) è parente stretta della fallacia naturalistica: ciò che è diventa garanzia e dettame di ciò che deve essere. Questo tipo di economia considera la competizione economica alla stregua della competizione naturale stabilendo un nesso inconsistente tra ecologia ed economia, ma la prima è una scienza naturale che studia relazioni che non hanno necessariamente carattere morale, la seconda è una scienza umanistica di chiara impronta morale. Dimenticare questo ha creato l'imbarazzante coacervo di errori e arroganza che è l'economia liberista. In natura chi non sa competere muore, senza troppi problemi. E' questo quello che vogliamo nella società? Il discorso è tutto qui. Quanto della natura possiamo e dobbiamo portare nella comunità umana e come fare della società un terreno di accoglienza e difesa per chi in natura perirebbe. Non basta il filantropismo, per quanto utile non basta. La forma più alta di fratellanza è la giustizia.

lunedì 11 luglio 2016

Il rumore del tempo

Quali parole potrò mai inventare
per portarti nella mia casa?
Quali nomi potrò dare alle cose
perché tu le veda con i miei occhi?

Restiamo in silenzio
ad ascoltare il rumore che fa il tempo.

sabato 9 luglio 2016

Appunti

Bail-in, sistema di salvataggio delle banche ricorrendo alle risorse dei privati. Anche questo è nel filone della privatizzazione, nulla deve essere più pubblico, nulla è condiviso. Questo è l'atto finale di una privatizzazione avanzata a tappe forzate. Il privato dà i soldi alla banca perché li conservi prima ancora che per guadagnarci. A me solo quel privato interessa. La banca fa scommesse azzardate che il privato non conosce e non autorizzerebbe, scommesse su cui non c'è vigilanza. Poi tutto si sgonfia e la banca va in tilt. La banca soffre! Diranno che soffre perché i mutui concessi non rientrano. I soldi persi il privato se li dimentica, né può rivendicarli perché la bad bank in cui finirà non ha più i soldi, la good bank è un'altra cosa e non ha alcuna pendenza. Fine della storia.

Il problema non era risolvere il bail-out ma impedire alle banche giochi azzardati, non solo vigilare ma impedire. Invece il sistema è tale che non c'è vigilanza che tenga. Le banche possono fare i loro comodi in quanto private, basta che usino l'opportuna formula per "informare" i clienti.
Adesso è arrivato il conto: i privati pagano il conto delle attività private. Il cerchio è chiuso, tutto torna!


giovedì 7 luglio 2016

non ho titoli

Facciamola finita con queste gimkane retoriche dei balordi, degli ultrà e panzane cantando. Chiediamoci piuttosto perché questi sedicenti balordi trovino accoglienza politica e (im)morale in movimenti di chiara matrice fascista e razzista. Chiediamoci come mai anche quando sarebbero moderati trovino sostegno in personaggi che non hanno nulla da insegnare se non odio e discriminazione. Da parte mia sottoscrivo di nuovo quanto detto da Michela Murgia: "I cattivi maestri del fascista e razzista che ha ucciso Emmanuel Chidi Namdi e picchiato sua moglie Chinyery siedono in Senato: sono quelli che dieci mesi fa hanno negato l'autorizzazione a procedere contro Calderoli quando diede dell'orango a Cecile Kyenge Era critica politica, affermarono, mica razzismo, e lo dissero senza distinzione di partito, compresi 81 senatori del PD e 3 di Sel che oggi si dichiareranno certamente sconvolti e turbati davanti a tutti i microfoni dei media. Questo succede a pensare che le parole non abbiano conseguenze. Ipocriti."
Aggiungo che questi fascisti e razzisti continuano a trovare sostegno in quanti per ignoranza o disegno, anche in rete con i miserabili post da puntini sulle i, continuano a ignorare la matrice politica e sociale di questo crimine.

giovedì 30 giugno 2016

Non è una poesia!


Qualche giorno fa il ministro inglese Jeremy Hunt ha chiesto un secondo referendum in caso di accordo sulle frontiere. Ho proposto in fb una traccia per una possibile risposta. La ripropongo qui per lettori più attenti.


Mio caro ministro,
Avendo letto la sua lettera
A me spetta l’onere di rispondere,
Non avendo altri cui delegare
Di tale compito l’esecuzione.
A noi sta il compito
Tiranno di dare seguito
E compimento al voto
Volontario e democratico
Espresso pochi giorni fa
Nel Regno Unito
E senza indugio evitare
Attese deleterie per questa già
Fragile Europa.
Faccia i suoi giochi altrove
Affrontando l’esito dell’azzardo
Nei confronti della
Comunità nominalmente
Unita.
Lei capirà se non mi dilungo oltre,
Ossequi.

PS - Occhio alla prima lettera di ogni verso.

sabato 25 giugno 2016

Domande

Premesso che considero antistorico il risultato del voto referendario UK per lasciare l'UE, l'Europa rimasta ritroverà il suo originario progetto o questo è l'inizio del collasso dell'ideale europeo?

mercoledì 22 giugno 2016

I pedoni, il semaforo e la democrazia

E' evidente che la mia quotidiana attesa per attraversare le strisce pedonali della Palmiro Togliatti è sempre molto stimolante!


Quando cominciarono a circolare le automobili si è posto il problema dell'attraversamento della strada dei pedoni senza che questi fossero investiti. All’inizio il rischio non era elevato, le auto erano poche e i pedoni potevano attraversare facendo un po’ di attenzione. Le strisce pedonali assicuravano quell’attenzione necessaria da parte degli automobilisti perché rallentassero la loro corsa e lasciassero passare i pedoni in tutta tranquillità. Poi le auto aumentarono, insieme alla loro velocità, e fu necessario mettere i semafori perché si fermassero a intervalli regolari per lasciar passare i pedoni.

Successivamente sembrò opportuno dotare i semafori di dispositivi che il pedone poteva usare. Quando il pedone aveva bisogno di attraversare la strada avrebbe premuto il pulsante e dopo pochi secondi il semaforo sarebbe diventato rosso per le auto. In questo modo i pedoni non si sarebbero più affollati intorno al semaforo in attesa di poter attraversare la strada. In principio questa soluzione funzionava benissimo, poi le auto divennero sempre più numerose e veloci e arrestarne la corsa ogni volta che un singolo pedone aveva bisogno di attraversare la strada divenne poco praticabile. La vecchia soluzione era chiaramente antieconomica.

Le automobili sarebbero state penalizzate e, considerando che intorno alle auto gravitava un’economia di gran lunga più imponente rispetto a quella che potevano muovere i pedoni, divenne chiaro che la vecchia soluzione per fare attraversare la strada ai pedoni non era più adatta ai tempi. Sarebbe stato oltremodo assurdo favorire i pedoni il cui contributo all’economia, per quanto significativo, non poteva competere con quello dell’industria automobilistica, dell’indotto dei ricambi e riparazioni, dei consumi di carburanti. Fu così che si decise di svuotare gli apparecchi che avrebbero regolato il passaggio dei pedoni ai semafori. Sarebbe restata la scatola vuota perché i pedoni continuassero a credere di poter fermare le auto per attraversare la strada.

La soluzione si presentava efficace. Le auto avrebbero transitato senza troppe interruzioni e i pedoni avrebbero avuto il loro bel dispositivo per continuare a credere che si sarebbero fermate per consentire l’attraversamento della strada con la semplice pressione di un pulsante. Dopotutto il semaforo avrebbe continuato a diventare rosso per le auto a intervalli regolari e nessun pedone avrebbe pensato che il proprio attraversamento non fosse dipeso dalla pressione sul pulsante. Il ritardo faceva parte del meccanismo, non si poteva pretendere che il semaforo si azionasse immediatamente. Non c’era nulla di cui preoccuparsi, bastava aspettare e le auto si sarebbero fermate.

Ora, la domanda per i 5s e per chiunque voglia ridare vita alla politica e alla democrazia di questo paese (e non solo) è: intendete rimettere a posto i dispositivi per il passaggio pedonale oppure continuiamo a credere che il rosso per le auto è scattato per la semplice pressione sul pulsante di una scatola vuota?

venerdì 17 giugno 2016

Direttamente su fb

Un post brevissimo solo per informare che è possibile seguire Direttamente-Onlus su facebook  all'indirizzo https://www.facebook.com/direttamenteonlus/ anche se non sei registrato.

Nella pagina facebook troverete foto dei bambini, filmati e qualsiasi aggiornamento io abbia da  Hands of Love Educational Centre, la scuola per bambini disagiati di Kariobangi (Nairobi) che Direttamente sostiene da quando è nata.
Condividete i nostri post, fate conoscere la realtà di Kariobangi, parlatene soprattutto ai più piccoli, fateli sentire vicini ai loro coetanei lontani.
Nella pagina facebook troverete inoltre notizie delle iniziative di raccolta fondi pubblicate anche sul sito di Direttamente e rilanciate da questo blog.

Informati sulle attività di Direttamente, ti daremo tutte le informazioni che desideri. Se sei di Roma contattaci, potresti partecipare a una delle nostre iniziative di raccolta fondi.

Ricorda che puoi sostenere Hands of Love Educational Centre con il 5 x 1000 o con piccole donazioni tramite bonifico su conto corrente bancario intestato a Direttamente-Onlus presso Banca Etica, Filiale di Roma.
IBAN: IT24 Y050 1803 2000 00011769734 (causale: erogazione liberale).

Dona il tuo 5 x 1000

Codice Fiscale: 97790950584

mercoledì 15 giugno 2016

Fortuna che la monarchia non c'è più!

Clicca sull'immagine per ingrandire.
Isaia Sales - Napoli e Marsiglia, storie criminali urbane a confronto. 
Limes, Indagine sulle periferie, 4/2016.

venerdì 10 giugno 2016

Rivoluzione digitale!

Sono nato in Puglia ma risiedo a Roma da più di 10 anni, pure Vito, uguale uguale. Pochi giorni fa riceviamo la tessera sanitaria nuova, tutte e due con logo della Puglia. Vito, più accorto di me, pensa che qualcosa non va e chiama il numero verde del portale della tessera sanitaria. L'operatrice, informata del problema, riferisce gentilmente che le tessere vanno cambiate e che tra regione Puglia e regione Lazio ci deve essere stato un problema di comunicazione in merito al cambio di residenza. Come risolvere il problema? Andare alla ASL di riferimento e comunicare il cambio (avvenuto 10 anni fa!). In altre parole due regioni non si parlano e le persone devono perdere una mattinata di lavoro o di riposo per andare a comunicare che hanno cambiato residenza. Vito chiede se non ci sia un modo diverso, diciamo più digitale, per risolvere il problema. No, non c'è. Ma allora il portale a cosa serve? Il numero verde a cosa serve? A raccogliere le lamentele!
Mi sembra che l'unica rivoluzione digitale portata veramente a termine è quella del dito medio esteso verso l'alto quando tutte le altre sono strette verso la mano!


mercoledì 8 giugno 2016

Ultimamente mi girano così!



Endecasillabi del dopo voto

Se escludo salto generazionale
punto e selettivo per voto avverso
con severa cadenza quinquennale
come altro spiegare chi cambia verso?

sabato 4 giugno 2016

Dedicato



Tra selfie e cinguettii
dipana neopoetiche,
tutto pappa e gorgia
di riforme profetiche.
Largo di ciarle e squittii
giuggia la storia perdente.
Niuna paura suoi fidi,
lui infutura il niente.




Visto che l'articolo di Franco Berardi Bifo evoca di passaggio i cretinetti renziani, ne consiglio la lettura da questo post.

domenica 29 maggio 2016

Note sull'arte contemporanea, frammentarie e incompiute

«Il nostro destino è di vivere in un’epoca estranea a Dio e senza profeti.» (M. Weber, La scienza come professione, 1919)

«Nel giro di lunghi periodi storici, insieme coi modi complessivi di esistenza delle collettività umane, si modificano anche i modi e i generi della loro percezione sensoriale. Il modo secondo cui si organizza la percezione sensoriale umana – il medium in cui essa ha luogo –, non è condizionato soltanto in senso naturale, ma anche storico. L’epoca delle invasioni barbariche, durante la quale sorge l’industria artistica tardo-romana e la Genesi di Vienna, possedeva non soltanto un’arte diversa da quella antica, ma anche un’altra percezione.» (W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, 1955)

***

Se l'epoca moderna comincia con la scoperta dell'America, la riforma protestante, la rivoluzione copernicana, quando inizia l'epoca contemporanea? Dalle rivoluzioni americana prima e francese poi? L'ordine aristocratico e clericale mostra la sua artificiosità e si dissolve. "Con una testa decapitata, quella regale di Luigi XVI, si inaugura l’anatomia acefala del moderno." Così iniziava un bell'articolo di Alberto Boatto di qualche tempo fa. Non fu solo la testa del monarca a rotolare, altre teste ben più pesanti trovarono la stessa fine. Fino a quelle decapitazioni l'arte è stata espressione di un ordine sociale aristocratico e clericale, salvo felici eccezioni, soprattutto ad opera dei fiamminghi. Una nuova classe, la borghesia, sale alla ribalta della storia. L'ancien régime tenta di riprendere il controllo ma durerà poco, presto scoppieranno le rivoluzioni borghesi ma anche la cosiddetta primavera dei popoli troverà presto la sua “crisi di valori” scontrandosi con le masse, la borghesia ne uscirà vittoriosa ma le lacerazioni restano tuttora. L'irruzione delle masse toglie il velo a quella che si proclama vittoria della democrazia e mostra quale edificio di menzogne si nasconde dietro l'imperialismo delle élite. Arrivano presto gli Oblomov, gli “inetti” e i decadenti. La produzione industriale, i consumi di massa già a cavallo tra '800 e '900 rendono implacabile l'evidenza che i valori ritenuti incrollabili sono una menzogna.

lunedì 16 maggio 2016

Prossime iniziative di Direttamente

Direttamente Onlus propone nuove iniziative per raccogliere fondi per Hands of Love Educational Centre, la scuola di Nairobi per bambini disagiati.
Ognuno scelga secondo il proprio gusto ma partecipate, perché è grazie alla vostra partecipazione che possiamo continuare a sostenere la scuola di Nairobi.


Poesia e musica
venerdì 27 maggio ore 21.00
(Programma)


Una serata a cura di Vincenzo Errico e Anna Maria Curci

al Villaggio Cultura - Pentatonic, Viale Oscar Sinigaglia 18, Roma (http://www.villaggiocultura.it/).
Ingresso con tessera ARCI 2016 (possibilità di tesseramento in sede, costo 5 euro).
Il locale può ospitare fino a 50 persone.
Per prenotare un tavolo inviare una email a direttamenteonlus@gmail.com
Offerta libera per Direttamente.


Una passeggiata sull'Appia Antica
domenica 5 giugno, ore 10.45
(Programma)


La Regina Viarum in un itinerario guidato tra sepolcri romani di età repubblicana e imperiale, che ci porterà dal Mausoleo di Cecilia Metella alle più interessanti sepolture, attraverso le tenute suburbane della Roma post-rinascimentale.
Biglietto di ingresso al Mausoleo di Cecilia Metella:
6 euro (3 euro fra 18 e 25 anni, gratis sotto i 18).
Appuntamento davanti al Mausoleo di Cecilia Metella - durata visita 2 ore e pic-nic offerto da Direttamente nei pressi del Mausoleo.
Per prenotare inviare una email a direttamenteonlus@gmail.com
Offerta libera per Direttamente.

domenica 8 maggio 2016

Appunti sul rito

Se l’uomo sia da considerare animale definitivamente post-istintuale è materia aperta, nonostante gran parte delle spiegazioni dell’antropologia filosofica propendano per una certezza troppo frettolosa. Anche in un quadro interpretativo di post-istintualità è difficile non scorgere le analogie tra comportamenti istintivi animali e comportamenti rituali umani. Considerando la prevalenza culturale della prassi rituale rispetto al comportamento istintivo, si tratta solo di analogie, ma pur evitando di azzardare possibili omologie filogenetiche dei moduli comportamentali ciò è sufficiente per stimolare un simpatico dibattito tra filosofi intorno alle letture ritenute troppo naturalistiche dei comportamenti umani.
Il condivisibile approccio della ricerca filosofica verso “un genere di naturalismo non riduttivo” nello studio di fenomeni della dimensione antropologica, solitamente dilaniata tra “natura” e “spirito”, prende le mosse dalla considerazione che le spiegazioni del naturalismo riduttivo siano insufficienti per motivi che tuttavia non sono altrettanto condivisibili.
In un saggio illuminante Massimo De Carolis ritiene che la possibile analogia tra ritualizzazione e istintualizzazione “non può realmente spiegare la ritualità umana in modo esaustivo e sufficiente”[1], soprattutto in ragione della presunta univocità del linguaggio umano, per cui verrebbe meno la funzione del rito di stabilire un modello comportamentale che riduca al minimo i possibili equivoci comunicativi, come Lorenz ha mostrato[2].
Arnold Gehlen, sottolineando la prevalenza culturale del comportamento umano, ha mostrato che la funzione rituale isola una porzione di mondo mettendo l’uomo al riparo dalla variabilità degli stimoli da cui è sommerso, in sostanza rendendo il comportamento rituale molto simile a un comportamento istintivo.
Se si condivide che tale quadro esplicativo non possa essere sufficiente a spiegare la complessità e varietà della prassi rituale umana, tuttavia viene da esprimere una riserva sulle ragioni della sua mancata forza esplicativa, ovvero l’assodato “accordo linguistico, tra esseri umani” che garantirebbe “l’univocità dei messaggi, per cui sarebbe logico aspettarsi che la funzione genericamente animale della ritualizzazione, nel nostro caso tenda ad essere irrilevante o nulla”[3].
Per quanto riguarda “l’univocità dei messaggi”, che caratterizzerebbe la “specificità della condizione umana”, già Wittgenstain del Tractatus, riconosce le ambiguità dei linguaggi naturali che possono essere superate solo con un linguaggio segnico univoco e mette in guardia a non confondere il significato di un enunciato con il suo riferimento: “comprendere una proposizione vuole dire saper che accada se essa è vera. (La si può dunque comprendere senza sapere se essa è vera)” (4.024)[4]. Successivamente, nelle Ricerche filosofiche, il filosofo pone, in maniera ancora più evidente, la sua attenzione proprio sul linguaggio “di tutti i giorni” come strumento comunicativo e sulla formazione del significato delle proposizioni in relazione, non solo al rapporto aprioristico delle espressioni con gli oggetti designati, come lasciava intendere il Tractatus, ma ai “giochi linguistici” che si sviluppano nel contesto della comunicazione intersoggettiva. In questa sede Wittgenstain riconosce chiaramente che “l’ordine perfetto deve dunque essere presente anche nella proposizione più vaga”[5]. Pertanto “i risultati della filosofia sono la scoperta di un qualche schietto non-senso e di bernoccoli che l’intelletto si è fatto cozzando contro i limiti del linguaggio.”[6]
Considerando che il sogno di Leibniz riguardo al “calculemos” non sembra ampiamente praticato, ovvero che solitamente non comunichiamo con un linguaggio segnico univoco e nelle comunicazioni quotidiane non adottiamo il rigore invocato dalla logica e dalla filosofia del linguaggio, direi che a occhio e croce siamo pieni di bernoccoli senza peraltro avvertirne il dolore. Se la logica pertiene al regno del vero e del falso, che già pare materia complicata, nella comunicazione entrano altri divertenti regni come quello del bello e del brutto, del giusto e ingiusto e via dicendo. Per questi motivi mi pare quanto meno rischioso liquidare il ruolo di pregnanza e univocità del messaggio che Lorenz assegnò alla comunicazione ritualizzata.
Nonostante io non riesca a condividere le premesse del lavoro di De Carolis, tuttavia trovo attraente l'ipotesi che “la prassi rituale sia connessa in modo specifico a questa esigenza, centrale in ogni cultura umana, di costruire l’esemplarità su cui poggia ogni norma esplicitamente formulata. Secondo questa ipotesi, il rito andrebbe visto come una fabbrica di esempi.”[7] Il rito quindi come cristallizzazione formale di una «norma esplicitamente formulata». Ciò naturalmente implica una funzione del rituale posteriore a un atto di formulazione della norma, contrariamente a quanto avviene per il mondo animale. Questa implicazione tuttavia rende l’ipotesi di De Carolis lontana dal fornire un quadro esplicativo “esaustivo e sufficiente” del comportamento rituale nell’uomo, ma rivela un approccio antropologico che Anders denunciava come fondato su un presupposto teistico che stabilisce la “differentia specifica”[8] per l’uomo.
Un aspetto interessante dell’ipotesi di De Carolis è la sua utilità per interpretare la crisi della forma rituale nell’attuale era della tecnica poiché “la tecnicizzazione prevede il dissolvimento di ogni tratto di esemplarità virtuale, e agisce quindi in direzione esattamente opposta alla ritualizzazione”.[9] Se osserviamo il comportamento rituale nelle varie epoche noteremo mutamenti incontestabili ma possiamo veramente affermare che nell’era moderna la forma rituale sia svanita o sia ridotta rispetto al passato? Non è piuttosto evidente una sua radicale trasformazione?
La routine postmoderna è la forma più onnipervasiva della ritualizzazione. Se il rito secondo la tradizione isola un momento topico facendolo diventare incrocio di significati, che evoca l’aleph borgesiano, la routine della vita contemporanea, non riconoscendo particolari significati tuttavia non li azzera ma li disaggrega nelle banali azioni quotidiane. Il comportamento rituale oggi ha mutato i suoi canoni. Quello tradizionale aveva confini ben definiti rispetto al comportamento non rituale e celava la sua regolarità dilatando il tempo presentandosi ogni volta come evento unico. Il rito attuale ha dinamiche più veloci e diffuse rispetto alle capacità psichiche e emotive umane, ha abbattuto i confini circoscritti di una volta nei topoi dello spazio e del tempo per diffondersi ovunque assumendo una sorta di costanza apparente, dettata in realtà dalla rapidità del ripetersi delle azioni rispetto alla nostra “antiquatezza”. Questo è l’apparente scomparsa del rito di oggi, ovvero la ritualizzazione totale ancorché non percepita. In definitiva si potrebbe concepire l’età della tecnica come la ritualizzazione del nulla che fa da sfondo a ogni azione.

[1] Massimo De Carolis, Natura umana e costruzione del mondo nel rituale. MicroMega, 1/2006, p. 117-127.
[2] K. Lorenz, La formazione filogenetica e storico-culturale dei riti. In: Natura e destino, Mondadori, Milano, 1985, p. 161-186.
[3] M. De Carolis, p. 120.
[4] Ludwig Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916. Einaudi, Torino, 1983, cit. da Giovanni Fornero, Salvatore Tassinari, Le filosofie del novecento. Bruno Mondadori, Milano. Vol 1, p. 787.
[5] Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche. Einaudi, Torino, 1981, cit. da Giovanni Fornero, Salvatore Tassinari, Le filosofie del novecento. Bruno Mondadori, Milano. Vol 1, p. 798.
[6] Op. cit., p. 795.
[7] M. De Carolis, p. 124.
[8] G. Anders, L’uomo è antiquato, Vol. II, Bollati Boringhieri, MI-RM, 2007, p. 116-118
[9] M. De Carolis, p. 126.

sabato 30 aprile 2016

Buon 1° maggio!

Provo un certo disagio a pensare a tutti i tromboni che domani parleranno del lavoro di qua, del lavoro di là, dell'importanza del lavoro, dei diritti del lavoro e via e via. Dei diritti appunto! Diritti... qui... dopo averli calpestati a uno a uno, eliminati uno a uno dopo averli fatti passare per privilegi, secondo la recente narrazione dell'ultimo pifferaio di palazzo chigi.
Da parte mia faccio gli auguri di buon 1° maggio alle centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze francesi che da un mese stanno manifestando contro una riforma del lavoro non diversa da quello che in Italia è stata chiamata jobs act e che qui ci siamo bevuti come vecchi alcolizzati che ormai non distinguono il buon vino dall'aceto. Auguri a tutti quei francesi e buon riposo a tutti i media italiani che per non disturbare il manovratore parlano di quelle rivolte a mezza bocca. Sono sicuro che riempiranno pagine e pagine sul concerto del 1° maggio a Roma, dove tanti giovani ascolteranno buona musica e qualcuno di loro saprà addirittura che cosa si celebra il primo maggio.

martedì 19 aprile 2016

Un mondo esclusivo!

Dopo l'esclusione di alcuni bambini autistici dalla partecipazione a gite scolastiche invito tutti a pensare seriamente che tipo di mondo costruiremo se l'esclusione resterà l'unico criterio di organizzazione delle nostre società. Cosa resterà dentro il recinto da cui saranno eslusi i reietti? Escluderemo gli autistici, i poco produttivi, quelli che non si integrano nel codice condiviso dell'era contemporanea del produttivismo e dell'efficienza. Escluderemo i poveri che non spendono e rivendicano diritti, escluderemo i disabili che fanno aumentare le spese mediche, escluderemo i vecchi che non servono più al mondo del lavoro. Che mondo sarà il mondo dell'esclusione? Sarà un mondo esclusivo! Mentre butto giù questo triste sfogo ascolto la musica scritta da un sordo e nel video scorrono le immagini di un folle. Che mondo sarà il mondo senza la sorpresa di chi non potrà mai essere inquadrabile nello schema che riteniamo normale, efficiente, produttivo? Prima è stato escluso Giulio, pochi giorni dopo una bambina che sarebbe dovuta andare a Mathausen dove tempo fa si celebrò il falò degli esclusi. Che mondo stiamo costruendo?


domenica 10 aprile 2016

Delle trivelle e altro

Il 16 aprile prossimo ci saranno due eventi da ricordare.

Direttamente Onlus organizza una vendita di libri usati presso gli amici della Giufà Libreria Caffè per sostenere le attività della scuola di Nairobi. L’appuntamento è dalle 10.30 alle 17.00 circa, Via degli Aurunci, 38, 00185 Roma (zona San Lorenzo). Se vivete a Roma o siete di passaggio vi aspettiamo numerosi e vi chiediamo naturalmente di fare passa parola.

L'altro evento ha sicuramente maggiore risonanza ed è il referendum del 17 aprile per proporre l'abrogazione della norma che concede di protrarre le concessioni per estrarre idrocarburi entro 12 miglia nautiche dalla costa italiana sino a esaurimento della vita utile dei rispettivi giacimenti. Se il referendum approverà l'abrogazione, le concessioni giungeranno alla scadenza prevista senza poter essere rinnovate ulteriormente. Io andrò a votare e voterò SI' perché ritengo necessario stabilire un limite, sia pure convenzionale, alle attività economiche. Alcuni osservatori fanno notare che in caso di vittoria dei sì le trivelle potrebbero spostarsi poco oltre le 12 miglia. A questa osservazione è facile replicare che con la vittoria del no o con il fallimento del referendum le trivelle potrebbero spostarsi in futuro ben prima delle 12 miglia. Ad ogni modo il messaggio da dare in maniera stentorea è che non tutto è possibile.

Per una informazione dettagliata sulle ragioni del sì leggete questo sito.

***

Da ACT 

Una grande onda, come quella di Hokusai, ma nera, e sullo sfondo una trivella. Questa è l'opera di Shepad Fairey alla Galo Art Gallery, nome d’arte Obey the Giant, ossia uno dei più grandi street artist al mondo e colui ha dipinto il volto di Obama per il famosissimo manifesto Hope.


Marco Grimaldi, consigliere regionale in Piemonte ha scritto una lettera a Obey chiedendo di utilizzare quest'opera per la campagna sul referendum del 17 aprile.

Ha detto sì, come noi diremo sì al blocco delle concessioni per estrarre gas e petrolio entro 12 miglia dalla costa italiana, per difendere il Mediterraneo e il suo ecosistema.

venerdì 8 aprile 2016

Indignazione intermittente

A seguito dell'ondata di indignazione che ha scosso le italiche coscienze dopo l'ennesima trasmissione di porta a porta, propongo la lettura di un saggio di Umberto Eco del 1961. Varrebbe la pena di leggerlo facendo l'esercizio mentale di sostituire al nome del presentatore di quiz quello del presentatore di mafiosi ma soprattutto immaginando che il telespettatore di cui Eco parla sia ognuno di noi. Solo così forse l'italica indignazione avrebbe parvenza di sincerità. Già, perché non riesco proprio a credere nella sincerità di queste indignazioni a intermittenza ogni volta che la merda tracima quando tutto mi dice che nella merda ci sguazziamo come ippopotami nel fango, sempre pronti a seguire un capobranco.

L'italietta borghese ha bisogno di indignarsi di tanto in tanto, giusto per mantenere in esercizio quell'attività in cui eccelle, salvare la faccia in pubblico e intrallazzarsi nella merda e nel petrolio in privato. In questa danza dell'ipocrisia nazionale l'untuosissimo vespa è una figura salvifica, assolve egregiamente il compito di concentrare in sè il lerciume di cui il telespettatore voyer si vuole liberare sprofondato nella comoda poltrona di casa. Tale compito è consustanziale al presentatore di mafiosi e soddisfa la domanda di indignazione della nazione!


Da: Umberto Eco, Fenomenologia di Mike Bongiorno. In Diario Minimo, 1961.

L'uomo circuito dai mass media è in fondo, fra tutti i suoi simili, il più rispettato: non gli si chiede mai di diventare che ciò che egli è già. In altre parole gli vengono provocati desideri studiati sulla falsariga delle sue tendenze. Tuttavia, poiché uno dei compensi narcotici a cui ha diritto è l'evasione nel sogno, gli vengono presentati di solito degli ideali tra lui e i quali si possa stabilire una tensione. Per togliergli ogni responsabilità si provvede però a far sì che questi ideali siano di fatto irraggiungibili, in modo che la tensione si risolva in una proiezione e non in una serie di operazioni effettive volte a modificare lo stato delle cose. Insomma, gli si chiede di diventare un uomo con il frigorifero e un televisore da 21 pollici, e cioè gli si chiede di rimanere com'è aggiungendo agli oggetti che possiede un frigorifero e un televisore; in compenso gli si propone come ideale Kirk Douglas o Superman. L'ideale del consumatore di mass media è un superuomo che egli non pretenderà mai di diventare, ma che si diletta a impersonare fantasticamente, come si indossa per alcuni minuti davanti a uno specchio un abito altrui, senza neppur pensare di possederlo un giorno.

mercoledì 6 aprile 2016

Dallo zibaldino

Secondo alcuni osservatori i problemi della cultura laica e liberale sarebbero riconducibili a visioni totali e distorte del razionalismo e dell’individualismo. Nel caso del razionalismo non mi è chiaro se sia la sua degenerazione o la sua realizzazione a far paura. Per quanto riguarda l’individualismo mi è poco chiaro se sia un disperato tentativo di opporsi all’omologazione di massa o se si tratta di una delle maschere più riuscite della cultura di massa.
Leopardi, nel Dialogo di Tristano e di un amico, afferma, per bocca di Tristano “Gli individui sono spariti dinanzi alle masse, dicono elegantemente i pensatori moderni”. L’individuo “Lasci fare alle masse; le quali che cosa sieno per fare senza individui essendo composte d’individui, desidero e spero che me lo spieghino gl’intendenti d’individui e di masse, che oggi illuminano il mondo.”[1]
Oggi non ci facciamo mancare nulla. Come controcanto alla critica dell’individualismo si leva la condanna alla massificazione e la perdita di individualità. Dal suo “secol superbo e sciocco” la perplessità del poeta, quasi due secoli dopo, aumenterebbe a dismisura e, in assenza di ‘intendenti’, sarebbe stato contento di non dover più leggere libri di filosofia che “siccome costano quel che vagliono, così durano a proporzione di quel che costano.”[2]

[1] G. Leopardi, Operette morali - Dialogo di Tristano e di un amico. Garzanti, 1984, p. 329.
[2] Ibidem

venerdì 1 aprile 2016

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