Da Alì dagli occhi azzurri, Garzanti, Milano 1996.
A Jean-Paul Sartre, che mi ha raccontato
la storia di Alì dagli Occhi Azzurri
Era nel mondo un figlio
e un giorno andò in Calabria:
era estate, ed erano
vuote le casupole,
nuove, a pandizucchero,
da fiabe di fate color
della fame. Vuote.
Come porcili senza porci, nel centro di orti senza insalata, di campi
senza terra, di greti senza acqua. Coltivate dalla luna, le campagne.
Le spighe cresciute per bocche di scheletri. Il vento dallo Jonio
scuoteva paglia nera
come nei sogni profetici:
e la luna color della fame
coltivava terreni
che mai l’estate amò.
Ed era nei tempi del figlio
che questo amore poteva
cominciare, e non cominciò.
Il figlio aveva degli occhi
di paglia bruciata, occhi
senza paura, e vide tutto
ciò che era male: nulla
sapeva dell’agricoltura,
delle riforme, della lotta
sindacale, degli Enti Benefattori,
lui - ma aveva quegli occhi.
Ogni oscuro contadino
aveva abbandonato
quelle sue casupole nuove
come porcili senza porci,
su radure color della fame,
sotto montagnole rotonde
in vista dello Jonio profetico.
Tre millenni passarono
non tre secoli, non tre anni, e si sentiva di nuovo nell’aria malarica
l’attesa dei coloni greci. Ah, per quanto ancora, operaio di Milano,
lotterai solo per il salario? Non lo vedi come questi qui ti venerano?
Quasi come un padrone.
Ti porterebbero su
dalla loro antica regione,
frutti e animali, i loro
feticci oscuri, a deporli
con l’orgoglio del rito
nelle tue stanzette novecento,
tra frigorifero e televisione,
attratti dalla tua divinità,
Tu, delle Commissioni Interne,
tu della CGIL, Divinità alleata,
nel sicuro sole del Nord.
Nella loro Terra di razze
diverse, la luna coltiva
una campagna che tu
gli hai procurata inutilmente.
Nella loro Terra di Bestie
Famigliari, la luna
è maestra d’anime che tu
hai modernizzato inutilmente. Ah, ma il figlio sa: la grazia del sapere
è un vento che cambia corso, nel cielo. Soffia ora forse dall’Africa
e tu ascolta ciò che per grazia il figlio sa. Se egli poi non sorride
è perchè la speranza per lui
non fu luce ma razionalità.
E la luce del sentimento
dell’Africa, che d’improvviso
spazza le Calabrie, sia un segno
senza significato, valevole
per i tempi futuri! Ecco:
tu smetterai di lottare
per il salario e armerai
la mano dei Calabresi.
Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su navi
a vela e a remi. Saranno
con lui migliaia di uomini
coi corpicini e gli occhi
di poveri cani dei padri
sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i bambini,
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua.
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci
asiatici, e di camicie americane.
Subito i Calabresi diranno,
come da malandrini a malandrini:
«Ecco i vecchi fratelli,
coi figli e il pane e formaggio!»
Da Crotone o Palmi saliranno
a Napoli, e da lì a Barcellona,
a Salonicco e a Marsiglia,
nelle Città della Malavita.
Anime e angeli, topi e pidocchi,
col germe della Storia Antica
voleranno davanti alle willaye.
Essi sempre umili
Essi sempre deboli
essi sempre timidi
essi sempre infimi
essi sempre colpevoli
essi sempre sudditi
essi sempre piccoli,
essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare,
essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi
in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo,
essi che si costruirono
leggi fuori dalla legge,
essi che si adattarono
a un mondo sotto il mondo
essi che credettero
in un Dio servo di Dio,
essi che cantavano
ai massacri dei re,
essi che ballavano
alle guerre borghesi,
essi che pregavano
alle lotte operaie...
… deponendo l’onestà
delle religioni contadine,
dimenticando l’onore
della malavita,
tradendo il candore
dei popoli barbari,
dietro ai loro Alì
dagli Occhi Azzurri - usciranno da sotto la terra per uccidere –
usciranno dal fondo del mare per aggredire - scenderanno
dall’alto del cielo per derubare - e prima di giungere a Parigi
per insegnare la gioia di vivere,
prima di giungere a Londra
per insegnare a essere liberi,
prima di giungere a New York,
per insegnare come si è fratelli
- distruggeranno Roma
e sulle sue rovine
deporranno il germe
della Storia Antica.
Poi col Papa e ogni sacramento
andranno su come zingari
verso nord-ovest
con le bandiere rosse
di Trotzky al vento...
Non è più di questi tempi ascoltare i profeti, il massimo che ci è concesso sono le previsioni meteo, che il brutto tempo potrebbe rovinare la gita nei fine settimana.
RispondiEliminaIl tempo messianico soppiantato da quello meteorologico.
RispondiEliminaNé profeti né poeti. La poesia è stata buttata ai margini.
RispondiEliminaGià, così ci siamo (o ci hanno?) ridotti.
RispondiEliminaUn giorno del 1969 un Belga a Bruxelles mi disse: "lo sai vero che voi (italiani) avete Pasolini?" Lo sapevo, ma solo oggi lo so veramente.
RispondiEliminaGrazie Antonio per averlo ricordato con questi versi profetici. Lo avevamo e ce l'hanno ucciso, i maledetti!
Io con Pasolini ci ho litigato spesso, più da morto che da vivo, perché quando era in vita io ero troppo giovane per leggerlo e per conoscerlo; ci ho litigato perché non lo capivo, perché non condividevo le sue analisi taglienti ... eppure ho tutti i suoi film, ho parecchi dei suoi libri e sono fra i più sottolineati e fra i più "appuntati" ... eppure è l'unico poeta, scrittore, regista, critico dei nostri tempi che sono andato a trovare nel cimitero dov'è sepolto, a Casarsa della Delizia e ho messo una rosa rossa sulla sua lapide. La stessa cosa l'ho fatta solo per Dante a Ravenna e per Tasso a Ferrara e a Sant'Onofrio al Gianicolo a Roma. E' strano come dei perfetti sconosciuti giacessero in dei mausolei enormi e il sepolcro di Pier Paolo fosse contraddistinto solo da venti centimetri quadrati di mattonella come lapide.
RispondiEliminaCiao
Con Pasolini ci hanno litigato in tanti e ancora ci litigano, troppo cattolico per i laici, troppo laico per i cattolici, indicibilmente complesso per i borghesi, poco rivoluzionario per i marxisti, troppo marxista per i conservatori. Scandaloso, omosessuale, sprezzante con il potere, popolare, perturbante per le coscienze quiete, eccessivamente dilaniato per quelle autoproclamatesi liberate. La nuova preistoria che stiamo vivendo lui la vide con largo anticipo. Nulla di tutto questo poteva essergli perdonato. Eppure ancora si aggira tra noi "più moderno d'ogni moderno" e ancora non abbiamo fatto i conti con quelle sei croci che piantò con la sua profezia.
RispondiEliminaProfeta e poeta insieme, un vero scandalo.
RispondiEliminachapeau!
RispondiEliminaCiao Antonio,
RispondiEliminail finale mi spianta. Non a caso Pasolini sceglie Trotzky, lo sconfitto, il picconato, e lo associa una possibile chiesa che ritrova colui che fu messo in croce. Il finale non so se oggi possiamo chiamarlo profezia, ha il sapore di una speranza.