Hegel ravvisa la progressiva manifestazione dello spirito nello stridore del mattatoio della storia. Nel processo dialettico hegeliano e nella sua filosofia della storia c’è, oltre ad una buona dose di provincialismo umano, la grandiosa ricucitura delle contraddizioni del vivere cui l’uomo, animale incompiuto lo chiamava Nietzsche, è sottoposto, come pegno dello scarto tra quello che gli è dato vivere e quello che desidera, lacerazione vissuta sulle carni tra il già stato e il non ancora.
Di tanta storia non può non esserci motivo e, più ancora, di tanto chiedere non può non esserci risposta e per averne una occorre fare ordine tra gli eventi, disporli con attenzione, proporli con metodo, porli con giudizio e infine imporli con la logica e la razionalità del tutto. Così la storia, spogliata dell’accidentale, si dipana come un tappeto rosso sul quale, noi, accidenti d’oggi, possiamo finalmente camminare verso il domani. La storia non è degli individui ma dello spirito, dice Hegel, ma per quanto mi sforzi il mio occhio concettuale non è in grado di vedere il manifestarsi dello spirito e il mio orecchio concettuale è assordato dalle urla di dolore frammiste alle grida di gioia, spettacolo indecente eppure meraviglioso di una umanità che non può fare a meno di esistersi.
Il tappeto della storia, lastricato di corpi di chi non ha mai avuto modo e privilegio di pensare al senso ultimo, somiglia ai lastroni delle stradine di Pompei, dove il tempo si è arrestato e da duemila anni è lì per dirci solo che ci siamo ancora e che abbiamo il dovere di farlo al meglio.
Breve ed intenso, questo piccolo post apre tante riflessioni sul "senso ultimo", se c'è. E poi qual è il senso di questa ricerca di senso? Forse solo il solito, fottutissimo "horror vacui"? Ma fa parte di noi: o lo accettiamo insieme a tutto il resto o lo rigettiamo insieme a tutto il resto...
RispondiElimina@NoirPink. Con un sorriso mi verrebbe da rispondere alle tue domande con "e io che ne so! mica posso dire tutto io", ma questa è roba seria, direbbe qualcuno, allora mi tocca tentare di dare una risposta seria, ma, mi raccomando, non prendermi sul serio!
RispondiEliminaLa domanda di senso, ultimo o primo - dipende da dove ti posizioni per ascoltare la risposta desiderata! - è una domanda singolare. La domanda di senso, o più in generale i 'perché', implicano almeno due facce, una chiede il meccanismo e il motivo dei fenomeni e delle cose e l'altra cela il desiderio, tutto psicologico, di un sigillo alla propria vita, una sorta di richiesta di risarcimento per il danno dell'esistenza, responsabilità che solo un Dio può assumersi. Come vedi questa seconda faccia della domanda di senso ha qualcosa di retorico, perché in qualche modo implica già la risposta ed è terreno di riflessione teologica, io mi muovo più agevolmente con i più modesti perché cui rimanda la prima faccia della domanda di senso, che è terreno della riflessione scientifica. Siccome non voglio affidare ad un commento le mie considerazioni sul nesso tra i due ambiti di pensiero mi concedo, ancora una volta indegnamente, qualche invasione nel terreno della riflessione filosofica citando un filosofo che adoro: "No, il sentimento della «insensatezza della vita» non è un sintomo patologico, che ha bisogno di essere curato, bensì un sentimento pienamente giustificato nei confronti del fatto della insensatezza, un segno di disposizione ancora integra alla verità, per non dire addirittura un sintomo di salute." Günther Anders, L'uomo è antiquato, Vol. II, Bollati Boringhieri, 2007, p. 343).
Comunque, chiudendo ancora più seriamente, a proposito delle grandi domande della vita, "La risposta è dentro di te, ed è quella sblagliata!", come diceva Quelo di Guzzanti.