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Lettere
Figlio mio,
ogni giorno rileggo le lettere che scrivi,
ma da anni ormai non odo la tua voce,
e l'ultimo ricordo che ho delle tue mani
fu quando mi stringesti e mi dicesti "Addio".
"Ragazzo mio, ti dissi, perché vuoi abbandonare
così la tua famiglia, la tua gente, la tua terra?
Sempre da tua madre hai trovato un riparo,
un piatto di fonio, un letto se eri stanco.
Con Oko'o ballavi alla festa del villaggio,
i suoi sguardi e il suo sorriso non erano che per te.
Vedi i tuoi fratellini, tu sei la loro guida,
e di te ha bisogno la terra dei tuoi avi.
Mi rispondesti: "Mamma, qui per me non c'è futuro,
l'avvenire è in occidente là è possibile avanzare;
andrò a Roma, terra di storia e civiltà:
i cristiani accoglieranno i fratelli africani.
Studierò duramente, troverò un buon lavoro,
ed a te e ai miei fratelli non mancherà più nulla.
Figlio mio, quel che ci manca è solo il tuo sorriso,
il tuo passo gioioso quando andavi nei campi,
le tue storie e tuoi canti la sera attorno al fuoco.
E quando in quel paese di storia e civiltà
avrai finito i tuoi studi, trovato il tuo lavoro,
ricordati di noi, e torna alla tua terra d'Africa.
Madre mia, non posso più mentirti,
il mio rimpianto è grande,
nel mio pensiero tornano sempre le tue parole,
e il ricordo del paese e della nostra gente
lascia spesso il mio cuore malato di nostalgia.
Questa terra promessa, questa terra sognata,
agognata, e che tanti sogneranno ancora
si è mostrata ingrata coi suoi fratelli stranieri
e il suo freddo penetra nel corpo e nell'anima.
Passo le mie giornate - ed è un dolore dirlo a te,
madre mia cara - solitario, vagando per strada,
senza meta, senza un posto dove stare,
fra la gente che guarda, diffidente o incuriosita.
Noi siamo gli stranieri, noi siamo i vagabondi,
senza casa, lavoro, senza una famiglia,
senza le carte in regola, senza nessun diritto,
nemmeno quello di non essere uccisi impunemente.
Come vorrei tornare nella mia terra avita,
ballare con Oko'o alla festa del villaggio,
gicar con i fratelli, raccontar loro storie
e cantare la sera attorno al focolare.
Ma ho vergogna ora a mendicare un passaggio
e tornare alla mia gente sconfitto ed avvilito.
Madre, perdonami, preferisco restare
dove nessuno mi conosce,
in questa fredda terra
d'Europa.
Justin Wandja, Bisogno di vivere, Synergica, 2004.
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E' stato un onore e una fortuna per me conoscere Justin e provo profondo dolore e vergogna per il mio paese che sembra aver dimenticato il valore dell'ospitalità*. Un paese che dimentica la storia dei propri padri non può costruire un futuro per i propri figli.
* A scanso di cretini che non mancano mai e da un po' di anni questo paese li ha elevati a propria guida. Justin è nato in Camerun nel 1961, vive regolarmente in Italia dal 1986 con sua moglie e i suoi due figli.
* A scanso di cretini che non mancano mai e da un po' di anni questo paese li ha elevati a propria guida. Justin è nato in Camerun nel 1961, vive regolarmente in Italia dal 1986 con sua moglie e i suoi due figli.
Attento ai centri sociali e alle poesie dei migranti: diffondono pensieri di rivoluzione.
RispondiEliminaL'importante è che non dico voli, ma che neppure strisci, la parola cultura. Non sarebbe tollerata.
RispondiEliminaconosco posti dove periodicamente si effettua la disinfestazione contro 'insetti alati' e 'vermi striscianti' ;-)
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