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mercoledì 5 settembre 2018

La cattura del gatto [Note (21)]

Qualunque sistema di potere che presupponga la fissità del proprio ordinamento sopprime la libertà e per celare l’assassinio alza il vessillo dell’immortalità. In questo contesto è intellettualmente avvilente la supposizione di una inesistenza dell’etica laica e sono convinto che sia moralmente più impegnativa una coscienza etica laica di una coscienza etica religiosa. Il mio sospetto che l’uomo sia prevalentemente guidato nelle sue scelte da cose semplici e poco impegnative mi fa tuttavia pensare che il dibattito è dettato più dalla pigrizia intellettuale che dalla dialettica morale. L’inquietante “Se Dio non c’è allora tutto è possibile” di Dostojieski può essere letto anche nella sua forma speculare “Se Dio c’è allora nulla è possibile”, di fronte alla fissità del nulla l’etica laica deve saper evitare la fissità contraria e camuffata da movimento del tutto.

2 commenti:

  1. Più dio è (onni-)potente è meno l'uomo può essere qualcosa, le divinità greche con i loro vizi, le loro stupidità e la loro potenza, tutto sommato limitata, ti lasciavano essere pur sempre qualcosa, un uomo, un eroe, purché non ti mettevi in testa di essere come loro, di eguagliarli, di sfidarli, di esercitare la hybris. Il dio ebraico-cristiano-musulmano pretende il totale asservimento della tua volontà alla sua, anzi ti dice che anche il tuo corpo gli appartiene, perché da lui sei nato e a lui ritornerai. Perciò trovo straordinario il tuo capovolgimento del motto che Dostoevskij sembra attribuire a Ivan, cioè al fratello ateo e all'ateismo in generale; fra l'altro lo scrittore russo sembra dirci che l'ateismo non può sfociare altrimenti che nella follia, quella di Ivan che si sdoppia nel diavolo e quella di Raskol'nikov che uccide con l'ascia la vecchia usuraia, solo perché se dio non esiste, allora sono io stesso dio e posso fare ciò che voglio: Napoleone scatena una guerra dove muoiono migliaia di persone, Rraskol'nikov nel suo piccolo vuole provare l'ebbrezza di spegnere una vita con le sue proprie mani.
    Le etiche religiose fondano la verità in dio, le etiche laiche fondano la verità sul benessere collettivo, ma i principi laici difficilmente possono essere così inoppugnabili come quelli divini. Abbiamo chiesto aiuto al buon senso, alla ragione, alla scienza, ma tutto ciò che ci è sembrato solido si è prima o poi sgretolato, oppure abbiamo fatto della consuetudine, della ragione e delle verità scientifiche una nuova divinità, e dei saggi, dei filosofi e degli scienziati, i nuovi sacerdoti.
    Forse ha ragione Cartesio, quando propone al posto dell'etica una morale, e per giunta provvisoria; oppure, bisognerebbe avere il coraggio di slegare l'etica da principi universali e cercare (o meglio creare) una nostra etica personale (provvisoria perché sarebbe necessariamente una work in progress), così come dovremmo cercare un senso personale alla nostra vita, senza cedere alla tentazione di indossare un senso prêt-à-porter acquistato, magari con gli sconti, in qualche supermercato (e ce ne sono tanti, religiosi e laici) che per pochi denari ti forniscono una identità e uno scopo di vita. Questo è il lavoro veramente impegnativo, perché prima di iniziarlo devi attraversare il senso di vertigine del nulla, che non esistano verità oltre quelle che tu puoi dare a te stesso.
    Ciao

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  2. I principi laici sono infondabili perché diamo per scontata la fondabilità dei principi divini ma le fondamenta di questi come l'infondabilità di quelli sono atto di fede poiché la stessa infondabilità è infondabile. Il benessere dell'individuo, il benessere della collettività, per quanto spinosa sia la loro definizione, sono fatti concreti, sono scritti nel volto di ciascuno, nelle mani, nei piedi. Sono il solo fondamento che possiamo e dobbiamo onorare. Il dramma di Dostoevskij è quello di chi intravede quanto dici alla fine, di chi si accorge anzi tempo del disincanto e ne sonda gli abissi, le novità, i pericoli. L'etica del viandante la chiama Galimberti, l'etica di chi non sa cosa il futuro riserva, di chi sa che il futuro non potrà mai bastare. Dostoevskij vede tutto questo e ne vede l'esito. Sì, Ivan impazzisce, a chiudere i Karamazov è Alëša, la sua spiritualità necessaria per continuare il viaggio del viandante mano nella mano con gli altri viandanti. Questa era la dimensione necessaria di un uomo di fine '800. La nostra dimensione? L'altrettanto necessaria spiritualità della terra, della mano del viandante che ognuno ha accanto, la spiritualità del tempo, la sacralità della strada che abbiamo da fare insieme. Altrimenti a chiudere questo romanzo senza più testo sarà la follia di Ivan. Ti saluto.

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