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mercoledì 15 novembre 2017

Dolorose partenze

Noi salentini siamo viaggiatori riluttanti. Ogni partenza è un trauma natale che tocca pur attraversare! Nelle famiglie i racconti di viaggi sono spesso accompagnati da ricordi di povertà e di terre lontane e più generose da coltivare. Trasferte brevi che duravano una stagione, eppure dolorose da lasciare tracce nella memoria delle generazioni a venire, oppure trasferte dalla durata infinita, mai definitive, perché insieme alla partenza si accarezzava come il più amato dei figli l’idea del ritorno. Da queste terre si parte malvolentieri e si ritorna sempre. La storia del Salento, come di tanto Sud, non è storia di partenze ma di continui ritorni. Ogni viaggio è un viaggio iniziatico, un rito di ingresso in un nuovo mondo che ha come punto di arrivo esattamente il punto di partenza. E’ naturale che ogni iniziazione costi sacrificio e sudore, non solo dell’anima. E’ la stessa terra a chiedere un pegno di dolore, come tributo per il viaggio da intraprendere.

Prendiamo la stazione ferroviaria di Lecce per esempio, perché ogni partenza che meriti dignità di viaggio iniziatico si fa in treno, non sono ammessi altri mezzi di trasporto. La stazione di Lecce è un luogo concepito per rendere dolorosa la partenza, “ché a tacer tanto duolo è cosa dura, e poco ha doglia chi, dolendo, tace.” Quando si parte da questa stazione il distacco diventa lancinante anche perché le ferite dell’anima sono spesso sovrastate dalla fatica del corpo e resta nella memoria una feroce incertezza se faccia più male il cuore per essere dovuto partire o per aver dovuto prendere il treno per partire. Se la sventura vuole che il treno da prendere parta da un binario diverso dal primo, che si incontra appena dopo l’ingresso alla stazione, allora tocca fare una doppia rampa di scale per scendere nel corridoio sotterraneo e una per risalire al binario desiderato.

Alla stazione di Lecce le barriere architettoniche hanno la precisa e impeccabile funzione di rendere la partenza un evento più che mai doloroso. Niente scale mobili, nessun ascensore né carrelli elevatori. Ogni dettaglio concorre a rendere il distacco dalla propria terra un evento scioccante che lascia segni indelebili nello spirito e nel fisico non solo del viaggiatore ma anche dei parenti più stretti che lo avranno accompagnato alla stazione per gli immancabili saluti alla partenza e se la buona sorte ha voluto che gli amati parenti siano in età avanzata arrivano al binario addolorati per la partenza del caro congiunto e sfiatati per le amare scale che hanno dovuto percorrere di corsa. Non è uno scherzo riaversi dal trauma del distacco quando si parte dalla stazione di Lecce. E se i viaggiatori sono anziani, disabili o famiglie con passeggini, prendere il treno diventa soggetto per epiche narrazioni di erculee fatiche che si tramandano di padre in figlio per almeno sette generazioni. Un dolore incancellabile nella storia familiare anche perché quando parte un salentino, insieme a lui si muovono generi alimentari di lunga tradizione: vino, marmellate, pomodori e fichi secchi, tutto rigorosamente fatto in casa e accuratamente disposto in comode scatole di cartone approntate alla bisogna. E' uno strazio di inaudita crudeltà non poter portare con sé vettovaglie di sopravvivenza per gli ostacoli da attraversare prima di arrivare al treno. E' come se la stessa terra si opponesse all'esodo dei suoi prodotti e con essi a quello del viaggiatore. E' un'esperienza che chiede tempra, altrimenti che viaggio iniziatico sarebbe?

Alla stazione di Lecce tutto è pensato per il viaggiatore giovane, forte e in buona salute o per il viaggiatore perfetto, quello che viaggia leggero, ma noi salentini qualcosa da casa dobbiamo portarla con noi ed è facile che le nostre valigie si appesantiscano di sapori, odori e voci che ci portiamo dietro, insieme alla fatica che ci costa partire.

Matilde Surano e Antonio Caputo.

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