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sabato 15 dicembre 2012

Il dono più bello...

...una persona cui dedicare questi versi.


La canzone dei vecchi amanti

Certo ci fu qualche tempesta,
anni d'amore alla follia.
Mille volte tu dicesti basta,
mille volte io me ne andai via.
Ed ogni mobile ricorda
in questa stanza senza culla
i lampi dei vecchi contrasti,
non c'era più una cosa giusta,
avevi perso il tuo calore
ed io la febbre di conquista.
Mio amore, mio dolce mio meraviglioso amore,
dall'alba chiara finché il giorno muore.
Ti amo ancora, sai ti amo.
So tutto delle tue magie,
tu della mia intimità,
sapevo delle tue bugie,
tu delle mie tristi viltà.
So che hai avuto degli amanti,
bisogna pur passare il tempo,
bisogna pur che il corpo esulti
ma c'é voluto del talento
per riuscire ad invecchiare senza diventare adulti.
Mio amore, mio dolce, mio meraviglioso amore,
dall'alba chiara finché il giorno muore.
Ti amo ancora, sai ti amo.
Il tempo passa e ci scoraggia,
tormenti sulla nostra via,
ma dimmi c'é peggior insidia
che amarsi con monotonia.
Adesso piangi molto dopo,
io mi dispero con ritardo,
non abbiamo più misteri,
si lascia meno fare al caso,
scendiamo a patti con la terra
però é la stessa dolce guerra.

Mon amour
mon doux, mon tendre, mon merveilleux amour
de l'aube claire jusqu'à la fin du jour
je t'aime encore, tu sais, je t'ame.


Traduzione di Franco Battiato di La chanson des vieux amants di Jacques Brel (in Fleurs, 1999)

mercoledì 12 dicembre 2012

Io antidemocratico? Allora fuori dalle palle!

"La reazione immediata dei commentatori occidentali al crollo del sistema sovietico fu che esso ratificava il trionfo permanente sia del capitalismo sia della democrazia liberale, due concetti che gli analisti nordamericani meno sofisticati tendevano a confondere. [...] D’altro canto nessun osservatore serio nei primi anni ’90 potrebbe essere così ottimista sul futuro della democrazia liberale come lo è su quello del capitalismo. Il massimo che si possa prevedere con una certa fiducia (tranne, forse, per i regimi fondamentalisti di carattere teocratico) è che in pratica tutti gli stati continueranno a proclamare il loro profondo attaccamento alla democrazia, a organizzare elezioni di qualche tipo, a tollerare un’opposizione soltanto formale, proprio mentre ciascuno di essi interpreterà a suo modo la democrazia." Eric J. Hobsbawm, Il secolo breve. 1914-1991. BUR, 1997, pagg. 663-664.

"L'epilogo è stato la vittoria, che ha prospettive di lunga durata, di quella che i Greci chiamavano la «costituzione mista», in cui il «popolo» si esprime ma chi conta sono i ceti possidenti: tradotto in linguaggio più attuale, si tratta della vittoria di una oligarchia dinamica e incentrata sulle grandi ricchezze ma capace di costruire il consenso e farsi legittimare elettoralmente tenendo sotto controllo i meccanismi elettorali. Scenario beninteso limitato al mondo euro-atlantico e ad «isole» ad esso connesse nel resto del pianeta. Pianeta che, altrove, viene messo in riga le armi in pugno. [...]
[...] Per parte sua, anche la democrazia ha avuto i suoi momenti di grandezza. [...] Ma questi momenti alti non hanno alla fine prevalso se non temporaneamente. La democrazia (che è tutt'altra cosa dal sistema misto) è infatti un prodotto instabile: è il prevalere (temporaneo) dei non possidenti nel corso di un inesauribile conflitto per l'eguaglianza, nozione che a sua volta si dilata storicamente ed include sempre nuovi, e sempre più contrastati, «diritti»." Luciano Canfora, La democrazia. Storia di un'ideologia. Laterza, 2004, pagg. 331-332.

"Data la difficoltà di sostenere una qualche forma di democrazia che si avvicini al modello più ambizioso, bisogna accettare come inevitabile il declino della fase democratica, fatte salve nuove fasi di crisi e cambiamento che consentano un nuovo impegno o, il che è più realistico in una società in cui sia stato raggiunto il suffragio universale, l'emergere all'interno del sistema esistente di nuove identità in grado di mutare le forme della partecipazione popolare. [...] Per la maggior parte del tempo, tuttavia dobbiamo aspettarci una condizione di entropia della democrazia. [...] E' probabile che in futuro molte delle conquiste relative alla trasparenza dei governi fatte negli anni Ottanta e Novanta saranno revocate, tranne quelle che sono essenziali agli interessi finanziari." Colin Crouch, Postdemocrazia. Laterza, 2003, pag. 17.

***

Che la democrazia sia in crisi si sa da tempo. Questo è un argomento serio che ha impegnato e impegna molti pensatori, ognuno con la sua prospettiva, ma devo ammettere che nessuno ha esposto la crisi della democrazia, anzi la morte della democrazia, più chiaramente di Beppe Grillo. Adesso restiamo in attesa di qualche milione di veri democratici, di autentici sacerdoti della purezza grillina che voteranno il movimento a 5 stelle.

E' possibile immaginare che questo paese non si meriti di passare da un conducator all'altro? E' ragionevole desiderare un popolo che si appassioni agli argomenti di chi parla con la testa e con un po' di cuore anziché alle persone che parlano solo con la pancia? E' ancora possibile sperare che chiunque voglia impegnarsi in politica, direttamente o indirettamente, lo faccia avendo la consapevolezza che è una materia complessa, che merita una visione complessa e non quattro battutine messe in fila in un monologo scatarrato in un blog o in faccia ad un pubblico desideroso di cambiamento e qualche vaffanculo?

***

Per reverenza nei confronti di un Maestro devo dire che Norberto Bobbio era molto critico nei confronti delle tesi sulla fine della democrazia nonostante fosse ben consapevole delle promesse non mantenute della democrazia. Nella nota all'edizione del 1995 di Il futuro della democrazia (Einaudi, 1995) scriveva:
"Ed ecco che, mentre stavo scrivendo queste pagine, arriva sul mio tavolo la traduzione italiana di un libriccino francese che ha per titolo La fine della democrazia, e comincia con questa domanda «Sopravviveranno le democrazie sino al 2000?» Non vorrei sbagliare, ma è una caratteristica dei periodi di decadenza il vezzo di abbandonarsi, compiacendosene o deplorandola, all'idea della fine. Ieri abbiamo sentito parlare addirittura della fine della storia. L'altro ieri, di fine della rivoluzione. Da alcuni anni, di fine del mito del progresso. Chi ritiene che sia cominciatà l'età post-moderna, proclama la fine della modernità. L'idea della fine della democrazia rientra perfettamente in questo nuovo millenarismo. C'era da aspettarselo. La fine della democrazia è però soltanto una congettura esattamente come quella opposta. Non ho argomenti razionali sufficientemente fondati per difendere la prima ipotesi piuttosto che la seconda. Soltanto, se cerco di seguire non la mia debole facoltà di capire e quella ancor più debole di prevedere, ma la mia forte facoltà desiderare e, nonostante tutto, di sperare, non ho dubbi sulla risposta."

Io sono meno progressista di Bobbio, del resto anche le mie facoltà di capire e prevedere sono ancora più deboli di quelle di Bobbio ma "la mia forte facoltà desiderare e, nonostante tutto, di sperare" mi impone un approccio ben preciso nei confronti della democrazia. Un grande analista delle dinamiche sociali come Gaetano Mosca "fece ricorso, a sostegno della sua tesi, certo pessimistica, dell'inesistenza della democrazia, «all'apologo - come scrive - di quel padre che morendo confidava ai figli che nel campo avito era sepolto un tesoro, ciò che fece sì che quelli ne sollevassero tutte le zolle, non trovando il tesoro ma aumentando notevolmente la fertilità del terreno». L'apologo può essere messo a frutto in molti modi, per esempio a sostegno della tesi che la fiducia nella possibile esistenza della democrazia ha di per sé effetti migliorativi («democratici» appunto); certo esso esprime bene l'inesistenza fattuale, e insieme l'indispensabilità della «democrazia» (beninteso nel suo senso pieno e originario)". Luciano Canfora, op. cit., pag. 333.

venerdì 7 dicembre 2012

Il nuovo che è avanzato: a volte ritornano


sabato 21 aprile 2012 22:11

"Il PORNO STATO. Patonza da Volpedo, di VAURO, è stato pubblicato per la prima volta il 28 settembre 2011 come inserto (pagine 12 e 13) de Il Fatto Quotidiano. Lo stesso giorno Vauro lo ha pubblicato sulla sua pagina Facebook ufficiale, ma nella notte successiva è sparito misteriosamente dalla sua bacheca assieme alle numerosissime condivisioni effettuate dai suoi 250.000 amici..."

giovedì 6 dicembre 2012

Del conflitto costituzionale e della leale collaborazione

Riprendo un articolo scritto ad agosto da Gustavo Zagrebelsky, Presidente emerito della Corte Costituzionale, per evitare commenti dopo la sentenza della Consulta sulle intercettazioni del Quirinale. L'articolo è di una lucidità cristallina, io mi limiterò a mettere in evidenza alcuni passaggi che ritengo particolarmente significativi. Non che io ritenga che ad una sentenza non si applici l'esercizio di critica, semmai è una questione di opportunità, ma diciamo che non voglio neanche da semplice blogger avallare comportamenti che finora hanno distinto personaggi indegni della vita pubblica che fortunatamente, anche se tardivamente, si avviano ad un rapido processo di autodistruzione.
L'articolo di Gustavo Zagrebelsky è del 17 agosto, due giorni dopo Eugenio Scalfari scrisse un articolo in risposta, seguito a sua volta da una replica di Zagrebelsky. Vale la pena leggere i tre articoli.
Da parte mia dico che trovai all'epoca le argomentazioni di Zagrebelsky assolutamente condivisibili e oggi, dopo la sentenza della Corte Costituzionale, non ho motivo di cambiare opinione. Parafrasando il finale dell'articolo mi chiedo se c'era bisogno di un conflitto costituzionale che vincolasse la Consulta ad una sentenza che era necessario scrivere. E' tardi per porsi la domanda, era già tardi il giorno dopo la presentazione del ricorso da parte del Quirinale nei confronti della Procura di Palermo.


Napolitano, la Consulta e quel silenzio sulla Costituzione
di Gustavo Zagrebelsky
la Repubblica, 17 agosto 2012

Eterogenesi dei fini. Delle nostre azioni siamo, talora, noi i padroni. Ma il loro significato, nella trama di relazioni in cui siamo immersi, dipende da molte cose che, per lo più, non dipendono da noi. Sono le circostanze a dare il senso delle azioni. È davvero difficile immaginare che il presidente della Repubblica, sollevando il conflitto costituzionale nei confronti degli uffici giudiziari palermitani, abbia previsto che la sua iniziativa avrebbe finito per assumere il significato d'un tassello, anzi del perno, di tutt'intera un'operazione di discredito, isolamento morale e intimidazione di magistrati che operano per portare luce su ciò che, in base a sentenze definitive, possiamo considerare la "trattativa" tra uomini delle istituzioni e uomini della mafia. Sulla straordinaria importanza di queste indagini e sulla necessità che esse siano non intralciate, ma anzi incoraggiate e favorite, non c'è bisogno di dire parola, almeno per chi crede che nessuna onesta relazione sociale possa costruirsi se non a partire dalla verità dei fatti, dei nudi fatti. Tanto è grande l'esigenza di verità, quanto è scandaloso il tentativo di nasconderla.

Questa è una prima considerazione. Ma c'è dell'altro. Innanzitutto, ci sono i riflessi sulla Corte costituzionale e sulla posizione che è chiamata ad assumere. Non è dubbio che il presidente della Repubblica, come "potere dello Stato", possa intentare giudizi, per difendere le attribuzioni ch'egli ritenga insidiate da altri
poteri. Ma non si può ignorare che la Corte, in questo caso, è chiamata a pronunciarsi in una causa dai caratteri eccezionali, senza precedenti. Non si tratta, come ad esempio avvenne quando il presidente Ciampi rivendicò a sé il diritto di grazia, d'una controversia sui caratteri d'un singolo potere e sulla spettanza del suo esercizio. Qui, si tratta della posizione nel sistema costituzionale del Presidente, in una controversia che lo coinvolge tanto come istituzione, quanto come persona.

Non è questione, solo, di competenze, ma anche di comportamenti. Questa circostanza, del tutto straordinaria, non consente di dire che si tratti d'una normale disputa costituzionale che attende una normale pronuncia in un normale giudizio. È un giudizio nel quale una parte getta tutto il suo peso, istituzionale e personale, che è tanto, sull'altra, l'autorità giudiziaria, il cui peso, al confronto, è poco. Quali che siano gli argomenti giuridici, realisticamente l'esito è scontato. Presidente e Corte, ciascuno per la sua parte, sono entrambi "custodi della Costituzione". Sarebbe un fatto devastante, al limite della crisi costituzionale, che la seconda desse torto al primo; che si verificasse una così acuta contraddizione proprio sul terreno di principi che sia l'uno che l'altra sono chiamati a difendere. Così, nel momento stesso in cui il ricorso è stato proposto, è stato anche già vinto. Non è una contesa ad armi pari, ma, di fatto, la richiesta d'una alleanza in vista d'una sentenza schiacciante.

A perdere sarà anche la Corte: se, per improbabile ipotesi, desse torto al Presidente, sarà accusata d'irresponsabilità; dandogli ragione, sarà accusata di cortigianeria. Il giudice costituzionale, ovviamente, è obbligato al solo diritto. Ma perché così possa essere, è lecito attendersi che gli si risparmi, per quanto possibile, d'essere coinvolto in conflitti di tal genere, non nell'interesse della tranquillità della Corte e dei suoi giudici, ma nell'interesse della tranquillità del diritto.

C'è ancora dell'altro. Sulla fondatezza di un ricorso alla Corte, chi di essa ha fatto parte è bene che si astenga dall'esprimersi. Ma, almeno alcune cose possono dirsi, riguardando il campo non dell'opinabile, ma dei dati giuridici espliciti, e quindi incontestabili. Questi dati sono esigui. Una sola norma tratta espressamente delle conversazioni telefoniche del presidente della Repubblica e della loro intercettazione, con riguardo al Presidente sospeso dalla carica dopo essere stato posto sotto accusa per attentato alla Costituzione o alto tradimento.

"In ogni caso", dice la norma, l'intercettazione deve essere disposta da un tale "Comitato parlamentare" che interviene nel procedimento d'accusa con poteri simili a quelli d'un giudice istruttore. Nient'altro. Niente sulle intercettazioni fuori del procedimento d'accusa; niente sulle intercettazioni indirette o casuali (quelle riguardanti chi, non intercettato, è sorpreso a parlare con chi lo è); niente sull'utilizzabilità, sull'inutilizzabilità nei processi; niente sulla conservazione o sulla distruzione dei documenti che ne riportano i contenuti. Niente di niente.

A questo punto, si entra nel campo dell'altamente opinabile, potendosi ragionare in due modi. Primo modo: siamo di fronte a una lacuna, a un vuoto che si deve colmare e, per far ciò, si deve guardare ai principi e trarre da questi le regole che occorrono. Il presupposto di questo modo di ragionare è che si abbia a che fare con una dimenticanza o una reticenza degli autori della Costituzione, alle quali si debba ora porre rimedio. Secondo modo: siamo di fronte non a una lacuna, ma a un "consapevole silenzio" dei Costituenti, dal quale risulta la volontà di applicare al presidente della Repubblica, per tutto ciò che non è espressamente detto di diverso, le regole comuni, valide per tutti i cittadini. Il presidente della Repubblica, nel suo ricorso, ragiona nel primo modo, appellandosi al principio posto nell'art. 90 della Costituzione, secondo il quale egli, nell'esercizio delle sue funzioni, non è responsabile se non per alto tradimento e attentato alla Costituzione.

La "irresponsabilità" comporterebbe "inconoscibilità", "intoccabilità" assoluta da cui conseguirebbero, nella specie, obblighi particolari di comportamento degli uffici giudiziari, fuori dalle regole e delle garanzie ordinarie del processo penale. La Corte costituzionale è chiamata ad avallare quest'interpretazione, che è una delle due: l'una e l'altra hanno dalla loro parte l'opinione di molti costituzionalisti. Le si chiede di dire che l'irresponsabilità, di cui parla la Costituzione, equivale, per l'appunto, a garanzia di intoccabilità-inconoscibilità di ciò che riguarda il presidente della Repubblica, per il fatto d'essere presidente della Repubblica.

Ma, in presenza di tanti punti interrogativi e di un'alternativa così netta, una decisione che facesse pendere la bilancia da una parte o dall'altra non sarebbe, propriamente, applicazione della Costituzione ma legislazione costituzionale in forma di sentenza costituzionale. Anzi, se si crede che il silenzio dei Costituenti sia stato consapevole, sarebbe revisione, mutamento della Costituzione. Per di più, su un punto cruciale che tocca in profondità la forma di governo, con irradiazioni ben al di là della questione specifica delle intercettazioni e con conseguenze imprevedibili sui settennati presidenziali a venire, che nessuno può sapere da chi saranno incarnati. Il ritegno del Costituente sulla presente questione non suggerisce analogo, prudente, atteggiamento in coloro che alla Costituzione si richiamano?

Coinvolgimento in una "operazione", inconvenienti per la Corte costituzionale, conseguenze di sistema sulla Costituzione: ce n'è più che abbastanza per una riconsiderazione. Signor Presidente, non si lasci fuorviare dal coro dei pubblici consensi. Una cosa è l'ufficialità, dove talora prevale la forza seduttiva di ciò che è stato definito il pericoloso "plusvalore" di chi dispone dell'autorità; un'altra cosa è l'informalità, dove più spesso si manifesta la sincerità. Le perplessità, a quanto pare, superano di gran lunga le marmoree certezze. Il suo "decreto" del 16 luglio, facendo proprie le parole di Luigi Einaudi (più monarchiche, in verità, che repubblicane), si appella a un dovere stringente: impedire che si formino "precedenti" tali da intaccare la figura presidenziale, per poterla lasciare ai successori così come la si è ricevuta dai predecessori.

Nella Repubblica, l'integrità e la continuità che importano non sono lasciti ereditari, ma caratteri impersonali delle istituzioni nel loro complesso. Col ricorso alla Corte, già è stato segnato un punto che impedirà di dire in futuro che un fatto è stato accettato come precedente, con l'acquiescenza di chi ricopre pro tempore la carica presidenziale. D'altra parte, da quel che è noto per essere stato ufficialmente dichiarato dal procuratore della Repubblica di Palermo il 27 giugno, le intercettazioni di cui si tratta sono totalmente prive di rilievo per il processo. Che cosa impedisce, allora, nello spirito della tante volte invocata "leale collaborazione", di raggiungere lo stesso fine cui, in ultimo, il conflitto mira - la distruzione delle intercettazioni, per la parte riguardante il presidente della Repubblica - attraverso il procedimento ordinario e con le garanzie di riservatezza previste per tutti? Che bisogno c'è d'un conflitto costituzionale, che si porta con sé quella pericolosa eterogenesi dei fini, di cui sopra s'è detto? Forse che i magistrati di Palermo hanno detto di rifiutarsi d'applicare lealmente la legge?

mercoledì 5 dicembre 2012

Capitale Umano


Qual è il valore della ricerca pubblica nel nostro Paese? Chi ci guadagna a trasformare l'ISFOL - ente pubblico di ricerca che si occupa di lavoro, formazione e inclusione sociale - in una società per azioni? E quali interessi ruotano attorno ai fondi europei per la formazione? Sono alcune delle domande poste in "Capitale umano", docufilm sulla battaglia dei 618 lavoratori e lavoratrici dell'ISFOL, che in tanti hanno occupato per oltre un mese l'istituto riuscendo a salvarlo dalla chiusura.
Attraverso la voce dei protagonisti, "Capitale umano" racconta la storia di una vittoria: sono ancora tanti i "cervelli che non fuggono", che mettono intelligenza, passione ed impegno per una ricerca intesa come bene comune.

Regia: Rossella Lamina, Nicola Di Lecce
Riprese e montaggio: Nicola Di Lecce
Produzione: Ass. Cult. Mondi Visuali

***

Riporto qui quanto c'è nel sito di youtube, dove il video è pubblicato. Da parte mia in tema di precariato ho poco da aggiungere a quello che scrissi tempo fa al Presidente della Repubblica, temo che la situazione non sia cambiata, non per tutti.

venerdì 30 novembre 2012

Far di conto

Quel genio maledetto di Charles Bukowski una volta disse: "Non mi fido molto delle statistiche, perché un uomo con la testa nel forno acceso e i piedi nel congelatore statisticamente ha una temperatura media" e aveva ragione, soprattutto considerando che quasi sempre le statistiche le fanno caproni che non sanno neanche far di conto, quando poi le statistiche hanno a che fare con l'economia possono avere effetti devastanti. Insieme con il mantra del calo della competitività dell'Italia ci hanno tritato l'anima con il calo della produttività e già in altre occasioni ho detto cosa penso di questi concetti ma adesso ho letto questo articolo Paul Krugman, uno che i numeri li usa per davvero a differenza di molti economisti nostrani, e viene fuori che il calo della produttività potrebbe essere dovuto pure ad un errore statistico. Insomma, intorno ad un errore statistico facciamo riforme del lavoro per alzare la produttività!

Sia detto per inciso, le statistiche hanno strumenti per accorgersi che la temperatura di una estremità del corpo è troppo bassa e la temperatura dell'altra estremità è troppo alta, così come si può stabilire quale sia la distribuzione del consumo del proverbiale pollo di Trilussa. Questi strumenti si chiamano varianza, deviazione standard e compagnia bella, tutta roba che gli statistici dovrebbero conoscere come le loro tasche. Bene, non mi è mai capitato di vedere uno straccio di rapporto, che sia uno, stilato dall'ISTAT dove questi concetti siano applicati e tutti noi continuiamo a stare con la testa nel forno e il culo in ghiacciaia.

lunedì 26 novembre 2012

Appello

Mediaset: ritira la denuncia contro il giornalista Pablo Herreros. #SiamotuttiPablo
Un anno fa un programma della televisione spagnola Telecinco (società del gruppo Mediaset) pagò 10mila euro per intervistare la madre di uno degli imputati dell'assassinio di Marta Del Castillo, 17enne sivigliana uccisa da un ex fidanzato e un amico.
Il blogger Pablo Herreros, disgustato dalla trasmissione, lanciò un appello su Change.org affinché gli inserzionisti del programma si ritirassero, per non essere confusi con un programma "che paga gli assassini per intervistarli". Grazie alle decine di migliaia di firme raccolte, il programma venne chiuso dopo poche settimane.
Questa settimana, Mediaset ha denunciato Pablo per “minacce e coercizione nei confronti degli inserzionisti” chiedendo un risarcimento 3,7 milioni di euro e 3 anni di carcere per il giornalista.
Il "bavaglio" si vorrebbe così mettere a chi, come Pablo, rivendica il primato dell'etica e della deontologia professionale sul denaro e la speculazione sulle tragedie. Non possiamo rimanere inermi di fronte a questo attacco, firmiamo subito la petizione #SiamotuttiPablo.
Sono Stefano Corradino, direttore di Articolo21, un giornale on line che da oltre dieci anni si batte per un'informazione libera e autonoma, né sotto dittatura né sotto dettatura. Per questa ragione anche dall'Italia, Paese che conosce bene il padrone di Telecinco e le sue crociate contro la libertà di informazione, ho deciso di lanciare questa petizione a sostegno del blogger Herreros e del suo diritto alla critica e alla libertà di espressione chiedendo che i vertici di Mediaset ritirino subito la denuncia. Se in Italia il servizio d'ordine mediatico di Berlusconi chiede che Sallusti non vada in carcere quantomeno per coerenza dovrebbe rifiutare la galera anche per il collega spagnolo.
In Spagna sono state raccolte in pochi giorni 150.000 firme per difendere Pablo. Unisciti a me per chiedere come cittadini italiani che Mediaset ritiri la denuncia contro il blogger Pablo Herreros.
Grazie, la tua firma farà la differenza,
Stefano Corradino via Change.org

giovedì 22 novembre 2012

Girotondo


Oggi non si va a scuola,
oggi piove.

Cadono a terra mille soli
e pioggia di polvere
sporca le strade.

Un scoppio batte le ore
e quando i grandi gridano
noi giochiamo a nascondino
con i nostri pochi anni.

Oggi non si va a scuola,
oggi si muore.

lunedì 19 novembre 2012

Stiamo diventando sempre più stupidi

Mettere la doppia elica del DNA mi
sembrava troppo banale, così ho scelto
il pozzo di San Patrizio, anche per dare
l'idea dell'abisso.
In sintesi: stiamo diventando sempre più stupidi ed emotivamente analfabeti ma ce la metteremo tutta per impedirlo!
Come? Correggere tutte le mutazioni che possano mettere a repentaglio la nostra fulgida intelligenza! Trovate qui una presentazione divulgativa dello studio, io sarò molto rapido

Uno studio pubblicato da poco su Trends in Genetics  afferma che la pressione selettiva in seguito alla quale la specie sapiens ha sviluppato le sue capacità intellettive sta venendo sempre meno nei nostri ambienti monotoni, non che l'idea sia nuova, già Konrad Lorenz ne parlava in Declino dell'uomo o in Natura e Destino, non ricordo bene. Ad ogni modo l'osservazione non è affatto peregrina, ma più che la diminuzione delle capacità intellettive ed emotive mi preoccupano le soluzioni prospettate. "Credo che in futuro conosceremo ciascuna delle milioni di mutazioni umane che possono compromettere le nostre funzioni intellettive, e come queste mutazioni interagiscano con altri processi e con le influenze ambientali" sostiene Crabtree, autore dello studio. "In quel momento, forse saremo capaci di correggere magicamente ogni mutazione avvenuta in ogni cellula di ogni organismo in qualunque fase di sviluppo. A quel punto, il brutale processo di selezione naturale non sarà più necessario".

Che dire? Lo studio dimostra in maniera inconfutabile l'aumento di idiozia nella specie sapiens. A mio avviso l'autore non poteva fornire elementi più solidi alla sua tesi!

domenica 18 novembre 2012

Monti si promuove!

Avvertimento a chi pensa di muovere un rilievo al professor Monti, magari cercando di manifestare il proprio dissenso sotto il Parlamento.

Foto scattate da Alessandro Di Meo dell'agenzia Ansa
Largo ai giovani!

PS - Leggete il post di Garbo se volete leggere qualcosa di serio al riguardo, quello che scrive farebbe un gran bene persino agli imbecilli che citano Pasolini a sproposito.

mercoledì 14 novembre 2012

La tosse dell'operaio

Dopo le proteste dei lavoratori serbi la Fiat ha raggiunto un accordo per l'aumento dei salari. Che buoni che sono i colonizzatori della Fiat.



La tosse dell'operaio

Sento tossire l'operaio che lavora qui sotto;
la sua tosse arriva attraverso le grate che dal pianterreno
danno nel mio giardino. Sicché essa pare risuonare tra le piante,
toccate dal sole dell'ultima mattina di bel tempo. Egli,
l'operaio, là sotto, intento al suo lavoro, tossisce ogni tanto,
certamente sicuro che nessuno lo senta. E' un male di stagione
ma la sua tosse non è bella; è qualcosa di peggio che influenza.
Egli sopporta il male, e se lo cura, immagino, come noi
da ragazzi. La vita per lui è rimasta decisamente scomoda;
non l'aspetta nessun riposo, a casa, dopo il lavoro,
come noi, appunto, ragazzi o poveri o quasi poveri.
Guarda, la vita ci pareva consistere tutta in quella povertà,
in cui non si ha diritto neanche, e con naturalezza,
all'uso tranquillo di una latrina o alla solitudine di un letto;
e quando viene il male, esso è accolto eroicamente:
un operaio ha sempre diciotto anni, anche se ha figli
più grandi di lui, nuovi agli eroismi.
Insomma, a quei colpi di tosse
mi si rivela il tragico senso di questo bel sole di ottobre.

Pier Paolo Pasolini, "Tempo illustrato", 8 novembre 1969. In Poesie disperse I

venerdì 9 novembre 2012

Lui sì che è di sinistra

Nel PD l'ala bersaniana dice che se vince Renzi alle primarie allora non ci sarà più la sinistra...in effetti ho letto il programma di Renzi e l'unica cosa di sinistra che ci ho trovato è il margine!
Bersani invece dice che non vede ostacoli ad una partecipazione di Fornero e Passera ad un suo eventuale governo a patto che dichiarino di che area politica sono. Poveretto, ancora non l'ha capito!
Lui sì che è di sinistra.

mercoledì 7 novembre 2012

In giro per il mondo

Negli USA una bambina di 10 anni scrive al presidente Barack Obama per ringraziarlo del suo sostegno ai matrimoni gay e per sapere cosa fare a scuola con chi la prende in giro perché ha due papà. La risposta dalla Casa Bianca è arrivata dopo pochi giorni (leggi qui).

In Spagna la Corte costituzionale dichiara legittima la legge del governo Zapatero anche nella parte che consente l'adozione di figli per le coppie omosessuali. E' stata bocciata la linea del ricorso presentato a suo tempo dall'opposizione dell'attuale premier Rajoy (leggi qui).

In Francia il governo francese, riunito questa mattina, ha varato un disegno di legge che autorizza i matrimoni omosessuali e l'adozione di un bambino per le coppie gay (leggi qui).

Dopo USA, Spagna e Francia torniamo in Italia!
A Firenze, all’alba del 28 ottobre in pieno centro, due giovani sono stati aggrediti, picchiati e rapinati "perché gay". Sull’episodio sono in corso accertamenti dei Carabinieri, che indagano per aggressione a scopo di rapina: a un ragazzo il gruppo di malviventi, tutti italiani, avrebbero rubato il portafogli. (leggi qui).

sabato 27 ottobre 2012

Memoria spietata


O memoria spietata, che hai tu fatto
del mio paese?
Un paese di spettri
dove nulla è mutato fuor che i vivi
che usurpano il posto dei morti.
Qui tutto è fermo, incantato,
nel mio ricordo.
Anche il vento.
Quante volte, o paese mio nativo,
in te venni a cercare
ciò che più m'appartiene e ciò che ho perso.
Quel vento antico, quelle antiche voci,
e gli odori e le stagioni
d'un tempo, ahimè, vissuto.

Vincenzo Cardarelli, 1887-1959.

martedì 23 ottobre 2012

Scienza e Politica

La sentenza del Tribunale dell'Aquila che ha condannato a sei anni sette componenti della Commissione Grandi Rischi sta facendo discutere la comunità scientifica. Non entrerò nel merito della sentenza, non ne conosco i termini e attendo di leggere le motivazioni, tuttavia posso dire che la sentenza, giusta o sbagliata che sia, debba far riflettere in direzioni diverse da quelle che la discussione sta prendendo, possibilmente volando un po' più alto delle solidarietà di rito o delle manifestazioni di soddisfazione perché adesso si avrebbero i "colpevoli".

C'è chi parla di processo alla Scienza, c'è chi esulta per la condanna. Ripeto, non sta a me giudicare la sentenza  che peraltro potrebbe essere rovesciata dai successivi gradi di giudizio. Conosco i fatti come qualunque cittadino che legge i giornali e a quei fatti e alle impressioni che mi hanno suscitato mi atterrò, nel tentativo di suggerire qualche spunto di riflessione che non mi pare di aver ravvisato negli articoli che ho letto.

Luciano Maiani, l'attuale presidente della Commissione grandi rischi, si è dimesso perché non ritiene ci siano le condizioni per lavorare serenamente. Giuseppe Zamberletti, afferma che ''Il rischio è che gli scienziati non se la sentano più di esprimere liberamente il risultato delle proprie conoscenze. Che garanzie hanno che gli studi fatti non possano diventare oggetto di una responsabilità penale? Questo non avviene in nessuna parte del mondo...Il problema - ha rimarcato Zamberletti - è riuscire a dare una normativa che, salvo i casi di dolo o di grave negligenza o colpa, tuteli la ricerca. Adesso si è creato il terrore: se gli esperti esprimono un parere e c'è la minaccia di un procedimento penale, si perde serenità nel giudizio. Ci sono restrizioni che possono frenare la libera ricerca''.
Le affermazioni di Zamberletti non possono essere contestate, le dimissioni di Maiani sono condivisibili. In molti ambiti la scienza non può esprimersi  in termini di certezza ma solo in termini di probabilità, gli scienziati lo sanno benissimo. Ha ragione Piergiorgio Odifreddi a dire che c'è un atteggiamento schizofrenico di fronte alla scienza quando da un lato si pretende che sia onnisciente e dall'altro la si ritiene ignorante di fronte al pensiero religioso. La contrapposizione tra pensiero scientifico e religioso, si sa, piace molto a Odifreddi ma facevo notare anche nel suo blog che la contrapposizione tra scienza e religione non è un paradigma universale per spiegare tutto quello che accade nell’ambito scientifico di questo paese. Non nego che quello che scrive Odifreddi sia vero ma lo trovo poco adeguato al caso in questione perché seguendo il consiglio di Occam avrei un’ipotesi più semplice sulla quale riflettere, un'ipotesi che tira in ballo un terzo soggetto tra scienza e religione, ovvero la politica. E’ purtroppo vero che quando serve si confonde la scienza con l’onniscienza ma in questo caso abbiamo il dovere di porci una domanda: le conclusioni della famigerata riunione della Commissione grandi rischi sono state formulate in assoluta autonomia e senza subire pressioni di alcun tipo?
La domanda è doverosa considerando il contenuto dell'intercettazioni telefoniche di Bertolaso pubblicate da la Repubblica.it il 18 gennaio 2012, la telefonata avviene il giorno prima della riunione:

"Sono Guido Bertolaso...". La Stati: "Che onore...". Bertolaso: "Ti chiamerà De Bernardinis il mio vice, perché gli ho detto di fare una riunione lì all'Aquila domani, su questa vicenda di questo sciame sismico che continua, in modo da zittire subito qualsiasi imbecille, placare illazioni, preoccupazioni... Eccetera...". Ancora Bertolaso: "La cosa importante è che domani... Adesso De Bernardinis ti chiama per dirti dove volete fare la riunione. Io non vengo... ma vengono Zamberletti (l'unico che poi non parteciperà, ndr), Barberi, Boschi, quindi i luminari del terremoto in Italia. Li faccio venire all'Aquila o da te o in prefettura... Decidete voi, a me non me ne frega niente... In modo che è più un'operazione mediatica, hai capito? Così loro, che sono i massimi esperti di terremoti, diranno: è una situazione normale... sono fenomeni che si verificano... meglio che ci siano cento scosse di quattro scala Richter piuttosto che il silenzio, perché cento scosse servono a liberare energia e non ci sarà mai la scossa quella che fa male... Hai capito? (...) Tu parla con De Bernardinis e decidete dove fare questa riunione domani, poi fatelo sapere (alla stampa, ndr) che ci sarà questa riunione. E che non è perché siamo spaventati e preoccupati, ma è perché vogliamo tranquillizzare la gente. E invece di parlare io e te... facciamo parlare i massimi scienziati nel campo della sismologia". La Stati: "Va benissimo...".

Allora il dilemma da sciogliere è questo: il parere della Commissione è stato formulato in assoluta indipendenza dalla volontà di "tranquillizzare la gente" espressa da Bertolaso, magari su suggerimento di qualche suo illustre conoscente poco ferrato in tema di sismologia ma molto ottimista per natura? Se ci sono state pressioni per tranquillizzare la gente è legittimo pensare che il parere sarebbe potuto essere maggiormente improntato al principio di precauzione in assenza di tali pressioni?
Se il parere è stato formulato in assoluta autonomia e indipendenza allora ha ragione chi parla di sentenza aberrante, hanno ragione Maiani, Zamberletti e quanti vedono minacciata la possibilità da parte degli scienziati di esprimersi perché si chiedono loro certezze che non possono dare. Se invece il parere è stato dato, sia pure in buona fede, ma sotto una qualche pressione allora siamo di fronte ad una commistione tra scienza e politica che va sanata facendo nascere da questa sentenza un gigantesco dibattito per chiedere assoluta autonomia e terzietà della scienza rispetto alla politica. Un indizio riguardo alla mancanza di autonomia viene da Enzo Boschi che oggi ammette: "Lo scopo della riunione era quello di dire che non si potevano prevedere i terremoti, l’ho capito dopo" e alla domanda se pensa di essere stato strumentalizzato Boschi risponde: "Non lo so, devo rifletterci."
Da parte mia resta inspiegabile il vizio logico di scienziati che sostengono l'imprevedibilità di un terremoto per prevedere che non accadrà e siccome sono convinto che questo vizio non sia sfuggito a nessuno dei componenti della Commissione grandi rischi allora sono più propenso a pensare che il parere non sia stato indipendente da volontà di "ordine superiore", esigenze politiche, come si dice in questi casi. Quelle stesse esigenze che fanno riempire la bocca di principio di precauzione ad ogni riunione ma che evitano accuratamente di metterlo in pratica perché altrimenti si crea allarme. Meglio un allarme inutile di un'ecatombe e questo atteggiamento dovrebbero chiederlo a gran voce anche i cittadini anziché starnazzare a vuoto quando si annuncia un cataclisma che poi non avviene. La scienza non è certezza, questo bisogna che lo capiamo bene noi cittadini e che lo capiscano i politici e se questi ultimi non lo capiscono allora è dovere degli scienziati sottrarsi a pareri che non rispettano la natura della loro conoscenza, con obiezione di coscienza, con esposti preventivi alla magistratura, con ogni mezzo disponibile.

Bene, detto questo io credo che se la comunità scientifica non sarà in grado di trarre le necessarie conseguenze da questa sentenza in termini di autonomia dalla politica allora va bene che la scienza si estingua in questo paese perché non vedrei alcuna differenza con la più becera religione, per ritornare alla contrapposizione di cui parla Odifreddi.

lunedì 22 ottobre 2012

Il fantasma di Tom Joad

Spesso mi sono chiesto a cosa serve un blog. Mi sono dato tante risposte, nessuna che mi abbia soddisfatto davvero, in definitiva un blog è una versione aggiornata di quel bisogno antico di far sentire la propria voce. Lo stesso vecchio furore che preme da sempre e continuerà a premere, maledizione.

Un uomo ad Arezzo vive nella sua auto perché ha perso il lavoro, la casa. Si chiama Gianluca, la crisi gli ha portato via tutto. La sua voce è il blog con il quale ha deciso di raccontare la propria vita. Il fantasma di Tom Joad è il suo blog, leggetelo, leggetelo attentamente. In questo articolo trovate la sua storia. Se pensate di aver bisogno di quello che fa scrivetegli, se conoscete qualcuno che possa aiutarlo in questo senso fate girare la voce, allora forse potremo dire che i nostri blog saranno serviti a qualcosa.


sabato 20 ottobre 2012

Lei non sa chi sono io!

...e neanche mi interessa.

Mi piacerebbe che tutti i titoli venissero aboliti, proprio tutti. Potrebbe essere l'unico modo perché un imbecille resti un imbecille. Non che i titoli nascondano l'imbecille, anzi a volte lo esaltano. L'imbecille porta a garanzia della propria imbecillità i titoli di cui si fregia, perché quasi sempre l'imbecille ha uno smisurato bisogno di fregiarsi dei propri titoli, come per celare la propria imbecillità. Qui l'imbecille sbaglia perché l'imbecillità è una condizione che precede il titolo, l'imbecillità è sostanza il titolo è accidente, anche se spesso si viene sfiorati dall'idea che alcuni accidenti siano indissolubilmente legati alla sostanza. Mah, va a capire come funzionano certe cose!
Neanche ricordo più perché ho scritto queste considerazioni.

In realtà volevo solo riportare questa notizia che non ha alcuna relazione con quanto ho scritto: "Durante un incontro sull'allarme rifiuti tossici, il sacerdote anticamorra (e antidiscarica) don Maurizio Patriciello si rivolge a Carmela Pagano, prefetto di Caserta, chiamandola "signora". Scatenando l'ira del prefetto di Napoli Andrea De Martino" (Repubblica.it)
Per vedere come il parroco abbia "mancato di rispetto alle istituzioni" guardate il video contenuto in questo articolo.


A mio avviso il rispetto delle istituzioni comincia dal rispetto dei cittadini, se poi i soggetti che ricoprono incarichi istituzionali evitassero di fare figure penose le istituzioni ne guadagnerebbero in rispetto oltre modo.

giovedì 18 ottobre 2012

Adorazione


Raccoglitrici di olive, Agro di Melendugno, 1973.
Photo Sacchetto Luigi - AFIAP
Didascalia aggiunta il 31-12-2012.

Curva nera di tempo
genuflessa intorno al Dio dell'olio
nell'ora dell'adorazione.
Donne rotonde come il mondo
raccolgono olive
per la luce dei morti
e il pane dei vivi.

Non molto tempo fa, la foto è del 72 se ricordo bene, la raccolta delle olive era opera delle donne, gli uomini erano tra i rami, pettinavano con i rastrelli i ramoscelli per far cadere le olive che non erano andate giù da sole. Intorno all'albero si realizzava un'ara circolare e partendo dall'esterno le donne raccoglievano con le mani le olive, le fitte e le cijare (le fitte sono quelle più dense sotto l'albero, le cijare sono quelle più sparse). Non c'erano le reti, quelle sono venute dopo, le "reti poste intorno dai contadini a sposare se stessi a loro", immagine meravigliosa di Fabrizio, la raccolta avveniva ancora a mano e in molti posti del mio Salento continua ad essere così. Poi è venuto il tradimento, la raccolta non è più uno sposalizio con l'albero, ancor meno un'adorazione. Si stendono le reti, una macchina fa tremare gli alberi, li scuote, le olive cadono, si avvolgono le reti. Fine.

Fimmine fimmine ca sciati alle ulie
cujiti e fitte e puru le cijare


E' la strofa di una variante della canzone che ho messo in questo post.

Un uomo del Sud
come immagina Dio
se non come storto olivo
e perenne rovina?
Vittorio Bodini, Inediti 1949-1960. In Tutte le poesie a cura di Oreste Macrì. Ed. Besa, 2010.

Oggi in Salento si potrebbe consumare l'ennesimo scempio, la domanda che si poneva Bodini non ha più l'attesa risposta. Nel cuore del basso Salento, in Puglia, tra i comuni di Maglie e Otranto si vuole costruire un'autostrada. Quei comuni sono già serviti da una strada statale ampia e scorrevole a due corsie. Costruire l'autostrada significa passare sopra secoli di storia, sradicare migliaia di ulivi secolari, molti sono millenari.
Cosa io pensi della democrazia del click è cosa nota tra chi legge questo blog ma ad ogni modo gli strumenti vanno usati. In rete c'è una petizione promossa su Avaaz.org che chiede:

«Al Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio al Consiglio dei Ministri e a tutto il Parlamento.

Col presente appello-petizione si vuole chiedere di fermare la folle e insavia costruzione della mega autostrada a 4 corsie nel cuore del basso Salento fra i comuni pugliesi di Maglie e Otranto. Oltre 8000 ulivi ed essenze di pregio da estirpare sono la misura arborea di un'ecatombe intollerabile che prevede un simile martirio di territorio e la dissipazione e scempio di preziosissime e innumerevoli testimonianze della civiltà greco-romana e cristiana e del lavoro millenario della nostra civiltà contadina. Le nostre firme chiedono l'intervento per salvare, ora, l'entroterra otrantino e quindi con una moratoria di tutti, tanti, i previsti progetti di iper-ampliamento autostradale, di strade esistenti e fermare la costruzione di altre strade fortemente impattanti e certamente ridondanti per l'intera Puglia salentina e salvare il suo unico e meraviglioso mosaico paesaggistico storico naturale impregnato di cultura e mitologia.»

Vi prego firmate la petizione.

Chi non è salentino può chiedere con questa petizione di salvare quegli alberi, chi è salentino, se ancora  ricorda qualcuno inginocchiato sotto quegli alberi, allora dovrà fare di tutto per impedire la costruzione di una autostrada inutile e dannosa.

martedì 16 ottobre 2012

Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti

Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti

di Italo Calvino*

C’era un paese che si reggeva sull’illecito. Non che mancassero le leggi, né che il sistema politico non fosse basato su principi che tutti più o meno dicevano di condividere. Ma questo sistema, articolato su un gran numero di centri di potere, aveva bisogno di mezzi finanziari smisurati (ne aveva bisogno perché quando ci si abitua a disporre di molti soldi non si è più capaci di concepire la vita in altro modo) e questi mezzi si potevano avere solo illecitamente cioè chiedendoli a chi li aveva, in cambio di favori illeciti. Ossia, chi poteva dar soldi in cambio di favori in genere già aveva fatto questi soldi mediante favori ottenuti in precedenza; per cui ne risultava un sistema economico in qualche modo circolare e non privo d’una sua armonia.

Nel finanziarsi per via illecita, ogni centro di potere non era sfiorato da alcun senso di colpa, perché per la propria morale interna ciò che era fatto nell’interesse del gruppo era lecito; anzi, benemerito: in quanto ogni gruppo identificava il proprio potere col bene comune; l’illegalità formale quindi non escludeva una superiore legalità sostanziale. Vero è che in ogni transizione illecita a favore di entità collettive è usanza che una quota parte resti in mano di singoli individui, come equa ricompensa delle indispensabili prestazioni di procacciamento e mediazione: quindi l’illecito che per la morale interna del gruppo era lecito, portava con se una frangia di illecito anche per quella morale. Ma a guardar bene il privato che si trovava a intascare la sua tangente individuale sulla tangente collettiva, era sicuro d’aver fatto agire il proprio tornaconto individuale in favore del tornaconto collettivo, cioè poteva senza ipocrisia convincersi che la sua condotta era non solo lecita ma benemerita.

Il paese aveva nello stesso tempo anche un dispendioso bilancio ufficiale alimentato dalle imposte su ogni attività lecita, e finanziava lecitamente tutti coloro che lecitamente o illecitamente riuscivano a farsi finanziare. Perché in quel paese nessuno era disposto non diciamo a fare bancarotta ma neppure a rimetterci di suo (e non si vede in nome di che cosa si sarebbe potuto pretendere che qualcuno ci rimettesse) la finanza pubblica serviva a integrare lecitamente in nome del bene comune i disavanzi delle attività che sempre in nome del bene comune s’erano distinte per via illecita. La riscossione delle tasse che in altre epoche e civiltà poteva ambire di far leva sul dovere civico, qui ritornava alla sua schietta sostanza d’atto di forza (così come in certe località all’esazione da parte dello stato s’aggiungeva quella d’organizzazioni gangsteristiche o mafiose), atto di forza cui il contribuente sottostava per evitare guai maggiori pur provando anziché il sollievo della coscienza a posto la sensazione sgradevole d’una complicità passiva con la cattiva amministrazione della cosa pubblica e con il privilegio delle attività illecite, normalmente esentate da ogni imposta.

Di tanto in tanto, quando meno ce lo si aspettava, un tribunale decideva d’applicare le leggi, provocando piccoli terremoti in qualche centro di potere e anche arresti di persone che avevano avuto fino a allora le loro ragioni per considerarsi impunibili. In quei casi il sentimento dominante, anziché la soddisfazione per la rivincita della giustizia, era il sospetto che si trattasse d’un regolamento di conti d’un centro di potere contro un altro centro di potere.
Cosicché era difficile stabilire se le leggi fossero usabili ormai soltanto come armi tattiche e strategiche nelle battaglie intestine tra interessi illeciti, oppure se i tribunali per legittimare i loro compiti istituzionali dovessero accreditare l’idea che anche loro erano dei centri di potere e d’interessi illeciti come tutti gli altri.

Naturalmente una tale situazione era propizia anche per le associazioni a delinquere di tipo tradizionale che coi sequestri di persona e gli svaligiamenti di banche (e tante altre attività più modeste fino allo scippo in motoretta) s’inserivano come un elemento d’imprevedibilità nella giostra dei miliardi, facendone deviare il flusso verso percorsi sotterranei, da cui prima o poi certo riemergevano in mille forme inaspettate di finanza lecita o illecita.

In opposizione al sistema guadagnavano terreno le organizzazioni del terrore che, usando quegli stessi metodi di finanziamento della tradizione fuorilegge, e con un ben dosato stillicidio d’ammazzamenti distribuiti tra tutte le categorie di cittadini, illustri e oscuri, si proponevano come l’unica alternativa globale al sistema. Ma il loro vero effetto sul sistema era quello di rafforzarlo fino a diventarne il puntello indispensabile, confermandone la convinzione d’essere il migliore sistema possibile e di non dover cambiare in nulla.

Così tutte le forme d’illecito, da quelle più sornione a quelle più feroci si saldavano in un sistema che aveva una sua stabilità e compattezza e coerenza e nel quale moltissime persone potevano trovare il loro vantaggio pratico senza perdere il vantaggio morale di sentirsi con la coscienza a posto. Avrebbero potuto dunque dirsi unanimemente felici, gli abitanti di quel paese, non fosse stato per una pur sempre numerosa categoria di cittadini cui non si sapeva quale ruolo attribuire: gli onesti.

Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione (non potevano richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre più probabile.

Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, di tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna pretesa di diventare la società, ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato di sé (almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la controsocietà degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità, di sentirsi dissimile da tutto il resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti, per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato ancora detto e ancora non sappiamo cos’è.

* da Repubblica, 15 marzo 1980 e in “Romanzi e racconti, volume terzo, Racconti e apologhi sparsi”, Meridiani, Mondadori
Fonte: MicroMega online

venerdì 12 ottobre 2012

Paesaggi della memoria

...i campi di tabacco sono paesaggi della memoria, i canti che arrivano da quei campi hanno la cadenza del cuore.

Quei canti per me sono state ninne nanne cantate davanti al fuoco da mia nonna, per molto tempo sono stati i canti del focolare. Con il tempo ho capito l'immensa importanza di quei canti, creazione e sublimazione di una condizione umana dove non c'era tempo neanche per la depressione, altri bisogni incombevano e allora si cantava. Si cantava nei campi sotto un sole feroce, "c'è nu sule ca spacca e petre", si cantava mentre si infilavano foglie di tabacco, si cantava durante la mietitura del grano, si cantava durante la vendemmia e la raccolta delle olive, si cantava la sera a prendere il fresco, si cantava in attesa del morso di un ragno.

Oggi non cantiamo più, oggi abbiamo tutto il tempo per la depressione.




Qui non vorrei vivere dove vivere
mi tocca, mio paese,
così sgradito da doverti amare;
lento piano dove la luce pare
di carne cruda
e il nespolo va e viene fra noi e l'inverno.

Pigro
come una mezzaluna nel sole di maggio,
la tazza di caffè, le parole perdute,
vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano:
divento ulivo e ruota d'un lento carro,
siepe di fichi d'India, terra amara
dove cresce il tabacco.
Ma tu, mortale e torbida, così mia,
così sola,
dici che non è vero, che non è tutto.
Triste invidia di vivere,
in tutta questa pianura
non c'è un ramo su cui tu voglia posarti.

Vittorio Bodini. Da La luna dei Borboni, 1950-1951

martedì 9 ottobre 2012

Fimmine fimmine

tiraletti di tabacco

"s’ode un canto dai campi di tabacco". Ho fatto in tempo ad ascoltarli quei canti dai campi, ero piccolo e ancora oggi mentre vado per i campi li sento risuonare nelle mie orecchie. Oggi il tabacco non si coltiva più in Salento ma ancora vedo "antiche donne" che non ci sono più che cantano mentre infilano il tabacco e lo appendono ai "tiraletti" per farlo seccare al sole.
La mia non è rievocazione, è continuo andare e venire da me a me. I canti nei campi sono quasi sempre canti di donne, perché in fondo, contrariamente a quanto si può trovare negli studi sociologici o etnografici, le società del sud sono società matriarcali, lo sono sempre state e ai poveri uomini, bambini inconsolabili, non resta che continuare a credere di essere i capo-famiglia. "Le antiche donne", con le loro mani "aperte pietre sui grembi", hanno sempre saputo di dover celare con cura questo segreto agli uomini, troppo fragili per poterlo sopportare.


Una funesta mano con languore dai tetti
visita i forni spenti, le stalle in cui si desta
una lanterna o voce impolverata.
Come da un astro prossimo a morire
s'ode un canto dai campi di tabacco.
Sulle soglie, in ascolto, le antiche donne sedute
- o macchie che la luna ripercuote nell'aria
socchiudono pupille d'una astratta durezza
dai palmi delle mani, aperte pietre sui grembi.

Vittorio Bodini. In Foglie di tabacco (1945-47)




Fimmine fimmine ca sciati allu tabaccu
ne sciati doi e ne turnati quattru
ne sciati doi e ne turnati quattru

Ci te lu tisse cu chianti zagovina*
passa lu duca e te manna alla ruvina
passa lu duca e te manna alla ruvina

Ci te lu tisse cu chianti lu salluccu*
passa lu duca e te lu tira tuttu
passa lu duca e te lu tira tuttu


Ho riportato il testo secondo la dizione del mio paese, Melissano, questo spiega le differenze rispetto alla registrazione di Lomax. Una cosa che mi riempie costantemente di ammirazione dei dialetti salentini è la loro straordinaria varietà, anche a pochi chilometri di distanza e senza alcuna barriera geografica.

Donne donne che andate nei campi di tabacco
andate in due e tornate in quattro

Chi ti ha detto di piantare zagovina
passa il duca e ti manda in rovina

Chi ti ha detto di piantare salluccu
passa il duca e tira giù tutto.

*"La zagovina è la Erzegovina, una qualità di tabacco la cui coltura era evidentemente proibita. Per quanto riguarda salluccu, forse il termine si riferisce ad un'altra qualità di tabacco coltivata, anche se in misura limitata, nel Salento: l'Aya Saluk. In ogni caso è da notare l'allusione al duca che ci rimanda ai servi della gleba. O più semplicemente al Duce, di più recente, triste, memoria." Tabacco e tabacchine nella memoria storica. Una ricerca di storia orale a Tricase e nel Salento, a cura di V. Santoro, S. Torsello. Ed. Manni, 2002.

giovedì 4 ottobre 2012

Sulla coerenza

Spesso si invoca la coerenza quale criterio di solidità di un discorso, di un argomentare e non di rado anche riguardo al modo di vivere, e allora parliamo di una persona coerente, di pensiero coerente. Ma cos'è la coerenza? Secondo il vocabolario è coerente chi o cosa "presenta una stretta coesione di tutte le sue parti” ed è "esente da contraddizioni nei pensieri e nelle azioni”. In ambito morale la coesione implica una relazione tra le parti e questo implica a sua volta una azione reciproca che non può esaurirsi in sé stessa poiché l’azione muta i soggetti che ne fanno parte e la stessa relazione per generare altre relazioni. Se questo è vero bisogna stare in guardia da una coerenza che non riconosce la natura mutevole del coesistere e non vede la prolificità delle relazioni, la loro tendenza a diventare sempre altro. Diventa quindi necessario distinguere una coerenza interna ed una coerenza esterna.
Il pensiero che presenta una coerenza interna senza interrogarsi su cosa possa esserci all'esterno del sistema di valori che lo costituisce può esporre ai rischi di una tautologia nel migliore dei casi, all'auto-annientamento nel peggiore. In ogni caso si tratta di un pensiero che non potrà mai autenticamente scoprire la novità dell’altro da sé. Pirandello ci ha messo in guardia dal riparare la giara dal suo interno, sulla scia di tale consapevolezza persino la roccaforte matematica è stata espugnata dai teoremi di Gödel ed il territorio del “comportamento razionale” dell’economia è stato scosso dal terremoto di Amartya Sen.
Per capire il mondo dobbiamo uscire di casa. Una casa dalle mura strette e dal soffitto basso, una casa le cui mura non sono ormai che ruderi della nostra umanità, ma che ancora abbiamo il diritto di credere sontuosa come un castello perché è l’unica di cui possiamo disporre e l’unica che dobbiamo riedificare.

Mi rendo conto che queste brevi note possono essere intese come una sorta di liberatoria per l'incoerenza, niente di più sbagliato. In tal caso valga quanto scriveva Wittgenstein: "La tautologia non ha condizioni di verità, poiché è incondizionatamente vera; e la contraddizione è sotto nessuna condizione vera. Tautologia e contraddizione sono prive di senso." (4.461), seguito subito dopo da: "Tautologia e contraddizione non sono però insensate; esse appartengono al simbolismo, così come lo “0” al simbolismo dell’aritmetica." (4.4611) Tractatus logico-philosophicus.

martedì 2 ottobre 2012

Altre istantanee

Altre istantanee, le ultime sopravvissute prima del cambio di secolo e di millennio...un'altra epoca!
Qui ne metto solo una, le altre sono disponibili a questo indirizzo. Molte le avevo già riportate in questo post, con qualche rimaneggiamento.
Adesso la liberazione è completa!


Ho trasformato parole
per ripararle dal senso,
ho mutato pelle
come squame di serpente,
ho lavato giornate
come panni sporchi.
Ora siamo qui,
nudi, al centro del mio cuore
col terrore di farci male.

Dimmi chi sono
dimmi chi sei,
chi dei tanti me vuoi,
a volte li confondo
e in ognuno mi perdo
cercando quello che non c'è.
Muoio e rinasco
e di te ricordo qualcosa
per riempire scrigni
di storie da chiudere a chiave.
Tante le chiavi
che ho perduto
e di anni brevi come minuti felici
rimangono scatole
che non aprirò più.

mercoledì 26 settembre 2012

I pilastri del mondo

«La Natura è un tempio dove incerte parole
mormorano pilastri che son vivi,
una foresta di simboli che l’uomo
attraversa nel raggio dei loro sguardi familiari. [...]
»
Charles Baudelaire. Corrispondenze, I fiori del male, 1857.

«La saggezza di certi vecchi alberi mi riempie di venerazione. Ognuno, credo, è legato agli alberi della sua terra, come ogni uomo si accorge, un bel giorno, di essere suo padre e suo nonno e che questa è l'unica immortalità possibile.»
Ennio Flaiano, Diario notturno. Taccuino 1946.


27.7.11
Nell'immensa cattedrale
muovo passi rispettosi
sul mosaico di zolle rosse
arse di sole.
Navate di vive colonne
sorreggono capriate di nuvole
e abside di vento.
Un rosario di cicale
zittisce al visitatore profano.
Altari ai lati, di fichi d'india
e pale orlate di frutti in attesa.
Da balaustre di muri a secco
si affacciano rovi di more.
Fiotti di luce da vetrate di cielo
e aromi di fumo si levano,
foglie d'ulivo, incenso contadino
offerto in sacrificio.

Visitando questi templi ho la chiara consapevolezza che potevo nascere ovunque, ma solo nel mio Salento potevo venire al mondo.

15.5.12
Dove sono nato io, dove sui secoli e sugli uomini regnano l'ulivo e la vite, il tempo è un'arte, richiede anni di dedizione. Lo intrecciano mani sapienti nei cesti di vimini, lo impastano le mani di antiche donne nel pane di ieri, lo vediamo vorticare nei nodi del legno d'ulivo e infiltrarsi nella corteccia sfilacciata delle viti, lo vediamo cadere dalle facciate delle chiese e annerire sulle pietre dei muretti a secco che cingono vie di campagna.
Al caldo sole del Salento il tempo è un'arte e i contadini ne custodiscono, ignari, i segreti.

8.6.12
Gli alberi di ulivo nel Salento sono da sempre impegnati in un continuo corpo a corpo con il tempo, si guadagnano la terra e ogni vapore d'acqua. Le loro radici sono l'ostinata forza della vita e i loro rami contorti portano i segni della sofferenza. Gli ulivi non sono alberi ma sacrari vivi che tengono insieme il cielo e la terra. Se hai modo di guardare i rami di un ulivo del Salento e le sue radici capisci chiaramente cosa significa "come in cielo così in terra". I rami e le radici degli ulivi tengono insieme il cielo e la terra. Senza gli alberi di ulivo il cielo si allontanerebbe dalla terra, sarebbe la fine.
Chi strappa un albero di ulivo alla sua terra commette un crimine atroce. Difficilmente se ne può valutare la gravità senza una solida metafisica degli ulivi.

Il rapporto che un contadino ha con gli ulivi è lo stesso che ha con la propria memoria. L'ulivo è secolare, tanto passato, come gli antenati, tanto futuro, come i discendenti. L'ulivo è memoria e speranza, desiderio e storia. L'ulivo è sete di futuro e testimonianza di passato. La forma dell'ulivo è la forma del tempo. L'ulivo è il tempo.

Mi strafaccio di tempo. Non conosco droga più potente.

11.8.12
Trento, all'esterno della Badia di San Lorenzo. Far crescere gli ulivi dritti come tronchi di pioppo è come impedire ad un uomo di lamentarsi del suo dolore. E' un atto di una crudeltà inaudita.

15.8.12
Sale la china il sole
a fatica,
la luce rotola a valle,
valanga luminosa d'erba
e rintocchi di campane
muovono la ruota di un vecchio mulino
dimentico dell'antico mestiere.
Non si domanda l'acqua ragione
di tanto girare.
La montagna scioglie
le sue trecce di torrenti
e perle i sassi tra i capelli
il vento accarezza leggero.
Cammino tra larici e abeti
e scrosci d'acqua e silenzi,
sacre celebrazioni,
accolgo nelle mani
gocce di caduca eternità.

17.8.12
Larici e abeti sono sentinelle che misurano la distanza della terra dal cielo. Gli ulivi tengono insieme terra e cielo. Gli uni dita che indicano il cielo, gli altri mani che lo stringono perché non abbandoni la terra.

21.8.12
Prà di Saènt, Val di Rabbi (Trentino), sulla scarpata in
fondo a sinistra comincia la scalinata dei larici monumentali.
Due vite, Cinque tronchi, Grande arco. Sono alcuni dei nomi assegnati ai larici monumentali che dominano il ripido versante di Prà di Saènt, in Val di Rabbi. Solitamente i larici crescono dritti come fusi, puntando al cielo senza grandi ramificazioni laterali. Non è il caso di queste magnifiche creature, cresciute in condizioni particolarmente avverse, tra rocce sempre pronte a franare. Di norma in queste condizioni i larici non crescono imponenti, non ne hanno il tempo, eppure questi larici sono giganti che superano i 40 metri di altezza e alcuni hanno più di 400 anni, come Due vite.

Due vite. I due tronchi alla base hanno una
circonferenza di almeno 11 metri
La gemma apicale di Due vite è stata divisa quando era alto poco più di mezzo metro, quattro secoli fa, forse a causa del ghiaccio, forse a causa degli erbivori, forse per via di una frana. Il tronco di Grande arco, poco più giovane di Due vite, porta i segni delle frane che lo hanno piegato. Le chiome di questi alberi lasciano attoniti, le radici di Due vite abbracciano macigni enormi che altrimenti franerebbero a valle, i rami scendono lungo la scarpata a dare sostegno al tronco. Sono commoventi questi alberi e mi commuovono perché nei loro tronchi c'è la caparbietà di esserci, c'è tutto il tormento del tempo, la stessa sofferenza che vedo nei tronchi nodosi e nei rami contorti degli ulivi del mio Salento. Urla nei campi del Sud che riecheggiano sui monti del Nord. Queste creature meravigliose ci insegnano da secoli l'arte del tempo, la maestria dell'attesa.

Grande arco
Accarezzare questi tronchi mi procura un'emozione fortissima, indicibile, è come sentire in un solo momento il peso dei secoli, degli inverni, della vita e della morte. Questi alberi, come gli ulivi, sono Dèi e questi boschi sono sacrari.
Se volete conoscere questi posti andate alla Casa della Sorgente a Piazzola, lì troverete Adriana e Albert che sapranno parlarvi della loro valle e di questi alberi.

25.8.12
Il tempo si infiltra nelle fessure dei muri a secco, come serpe che riposa negli anfratti.
I muri a secco che vedo nelle valli montane mi riportano a quelli delle campagne salentine. A fondo valle i muri a secco sono argini alle bizzarrie della montagna. A distanze regolari creano terrazzamenti per coltivare il fieno e interrompono la pendenza. Nel Salento i muri a secco sono argini di ordine, linee di orti conclusi. Entrambi sono tracciati metafisici.

In primavera o in estate veniamo nelle valli montane dalle città per godere della bellezza del verde rigoglioso e della esuberante natura. Arriviamo qui freschi e borghesi e il pensiero del rigore dell'inverno di questi posti non ci sfiora se non di sfuggita. In questi posti la bellezza è innegabile ma questa è l'altra faccia del dolore. Qui l'inverno è una prigione fredda. Vedere solo una faccia è un lusso ignobile del quale sembrerebbe che non possiamo fare a meno per sopravvivere.

L'Italia contadina corre da Nord a Sud,
rinnega sé stessa tre volte prima dell'alba
e nel tradimento eredita il suo passato,
come quel tale che divenne vicario indegno
di colui che annunciò la buona novella.

Ostinata, solenne, disperata indifferenza degli alberi al tempo che gioca tra le foglie, al vento che non sa nulla degli uomini e delle loro voglie.

26.8.12
Potrei stare per anni a guardare la rugosa corteccia di un albero, dove sono segnati i sentieri dell'universo, scolpiti dalle dita del tempo. In quei sentieri ci si perde per incontrare finalmente sé stessi, con quelle stesse rughe.

martedì 25 settembre 2012

Ognuno ha la sua croce!

Republicans in USA, Bishops in Italy!

"La gente non perdonerà la poca considerazione verso la famiglia così come la conosciamo. Specialmente in tempo di crisi seria e profonda, si finisce per parlare d’altro, per esempio si discute di unioni civili che sono sostanzialmente un’imposizione simbolica, tanto poco in genere vi si è fatto ricorso là dove il registro è stato approvato...." Dalla prolusione di Bagnasco.

mercoledì 19 settembre 2012

lunedì 17 settembre 2012

A proposito di nazionalizzazione!

Era il 2010 quando la FIAT ha mandato in giro questo spot che in quanto a retorica da vomito fa il paio con quelli dell'8 per mille per la chiesa.


Come le cose stiano andando lo sanno tutti. Ok, abbiamo scherzato, tutti a casa. Illustri tecnici del governo, visto che finora siete stati ad aspettare il fantastico piano di rilancio della Fiat non siate scortesi, mandate una cartolina di saluti a Marchionne e all'allegra famiglia Agnelli-Elkann, sono gente beneducata, apprezzeranno.

La cosa che più mi fa voltare lo stomaco adesso sono le dichiarazioni dei sindacalisti per scherzo, dei progressisti per finta e della sinistra che non c'è. Questi vermi non hanno neanche l'onestà di tacere.

martedì 11 settembre 2012

Lo stimolo riflesso della stigmatizzazione

Posso capire che troppi politici dispongono di una cultura da baci perugina che per essere al passo con i tempi sono passati dai bigliettini dei cioccolatini ai tweet diventando sempre più twit, ma a parte le solite menate sulla condanna della violenza e della solidarietà a Fassina e alle forze dell'ordine chi sta in Parlamento è in grado o no di fornire qualche proposta vincolante al Governo per le vertenze Alcoa, Sulcis e Ilva?

La nazionalizzazione delle imprese ad esempio, a parte Paolo Ferrero (che non sta in Parlamento), sfiora o no le menti degli illustri "rappresentanti"? C'è ancora qualcuno che legge la Costituzione da quelle parti? Ormai sarà anche carta straccia di fronte alle ferree leggi del mercato ma l'articolo 43 dice ancora: "A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale."


Se delle persone normalmente pacifiche diventano violente, allora significa che gli è stata tagliata ogni altra forma di espressione, che non hanno più voce, nessun altro modo per farsi sentire. Giusto o sbagliato conta poco, è un gesto disperato, da bestia ferita e in gabbia, sicuramente controproducente ma se si mettono delle persone in quelle condizioni la colpa della violenza è di chi ha reso inutile ogni altra espressione, di chi ha depotenziato la validità e l'efficacia degli strumenti pacifici per affrontare e risolvere le vertenze.
Sono decine le dichiarazioni che distinguono tra "capire" e "giustificare" la violenza. Prima di essere capita, giustificata o stigmatizzata, la violenza va evitata creando tutte le condizioni perché venga considerata inutile e se quelle condizioni non vengono create allora la mia condanna va a chi ha il dovere di crearle. Ogni altra masturbazione simil-intellettuale mi interessa poco, anche perchè queste stigmatizzazioni a tempo hanno ormai l'aria degli stimoli riflessi, solitamente riguardano circuiti cerebrali elementari.
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