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sabato 20 maggio 2023

Si fa presto a dire scienza!

Per avere informazioni sui cambiamenti
climatici e i vari negazionismi seguite
l'ottimo sito Climalteranti.it
"(poiché quel che si sa non è nostro)" M. Proust, All'ombra delle fanciulle in fiore.

Ti faresti curare da un ortopedico per un’infezione polmonare? No? Perché no? Dopotutto sono entrambi medici! C’è anche chi si fa curare da ciarlatani che vendono fumo ma se decidi di rivolgerti a un medico non andrai da un ortopedico se hai una polmonite. Ecco, è tutto qui il dibattito “pro e contro” i cambiamenti climatici e in un mondo maturo qui finirebbe quella caricatura che con larga generosità e altrettanto larga ignoranza si continua a chiamare dibattito. 

I cambiamenti climatici e la causa antropica sono un fatto assodato. Nonostante quanto circola nei media la stragrande maggioranza di scienziati che si occupano di clima, pur nella sana dialettica che da sempre distingue il discorso scientifico, su questo punto è concorde e quel consenso converge nei rapporti pubblicati da IPCC. In un mondo culturalmente maturo questo basterebbe a evitare cagnare televisive condotte da inesperti e da non esperti del clima che vantano, anche a buon diritto, competenze nei campi più diversi, dalla fisica delle nubi alla fisica delle particelle subatomiche, dalla geologia alla chimica-fisica, ma non in climatologia. 

Ti faresti curare da un ortopedico per un’infezione polmonare? La domanda di apertura torna. La risposta anche. Si chiamerebbe in una trasmissione televisiva un epatologo per parlare del sarcoma osseo, o, con un salto ancora più ardito, un ingegnere idraulico per discutere di chimica della combustione? Indico i titoli di studio per dire il campo di attività professionale, accade che le due cose non coincidano ma la domanda è: chi si occupa di conservazione delle specie può essere chiamato in TV per discutere di fusione nucleare o più probabilmente il rovescio? Temo di sì. È quello che accade, che è accaduto e temo continuerà ad accadere a lungo per una visione immatura della scienza. Una visione che si richiama a quello che la scienza era ai suoi albori e forse anche prima, quando un uomo poteva coprire i più diversi ambiti dello scibile. In passato abbiamo avuto gli Aristotele, i Leonardo da Vinci ma già con quello che si ritiene l’atto di nascita ufficiale della scienza odierna, con Galileo, e con i successivi sconvolgenti paradigmi le discipline scientifiche si sono andate sempre più separando per il rapido accumularsi di conoscenze che è ormai impossibile padroneggiarle tutte. Quello che è rimasto comune, essenziale e irrinunciabile alle scienze, a tutte le scienze degne di questo nome, è il tessuto connettivo del metodo, quello di cui parlavano Cartesio, Galilei. 

Dando per scontati i fondamenti concettuali e sperimentali non si può non pensare che del metodo scientifico fa parte il confronto con gli esperti del settore, nelle sedi e nei modi stabiliti dalla comunità scientifica alla quale si vuole appartenere o con la quale si vuole interloquire. Tradotto in parole semplici: se un fisico delle nubi ha dubbi sull’origine antropica dei cambiamenti climatici ed è certo che l’azione dell’uomo non abbia alcuna influenza non basta sventolare le proprie competenze e il proprio nome, deve farlo pubblicando una contro argomentazione sulle riviste specializzate nella disciplina in questione o su riviste generaliste ma di levatura scientifica. Deve affrontare la revisione dei suoi pari, non in uno studio televisivo a favore di telecamera ma negli studi degli specialisti che valutano ogni aspetto del suo lavoro, ne chiedono conto ed è tenuto a rispondere. 

La scienza di oggi è arrivata a un livello di specializzazione per cui non possiamo più pensare che lo “scienziato”, qualunque sia la sua specializzazione, possa rispondere con autentica cognizione di causa a qualsiasi domanda oggetto della scienza. Forse potrebbe rispondere sul metodo ma anche qui andrebbe operato un distinguo tra metodo concettuale, solo collante tra gli scienziati, e metodo strumentale dove le discipline tornano a divergere. La visione comune dello “scienziato” e della scienza, tristemente riprodotta nel circo mediatico è ancora pre-galileiana, sia per l’assenza di criteri di scelta dei soggetti chiamati a rispondere ai problemi scientifici sia per le risposte desiderate, ancora intrise di certezze deterministiche per persino Laplace troverebbe infantili! 

Ma c’è di più e più importante delle zuffe televisive tra “scienziati”. Se la scienza si è disgregata in mille rivoli, ognuno con la propria irriducibile specializzazione, come possiamo tenere insieme un mondo sempre più complesso che per essere gestito al meglio chiede la partecipazione di tutto il nostro sapere? Come possiamo far confluire tutti i nostri saperi in un grande, organico, vivo e sempre sfuggente sapere? Un approccio pre-galileiano è il viatico perfetto per la catastrofe. Forse una strada per evitarla è riprendere la lezione di Socrate, avere l’onestà di sapere di non sapere. L’onestà di riconoscere dove arriva la mia competenza e capire che è un cono di luce in una vastità buia dove posso vedere grazie alla luce portata da altri. Gli scienziati non meno della gente cosiddetta comune sono chiamati a questa lezione, anzi direi che chi si occupa di scienza, qualunque sia la branca, ha un supplemento di dovere. 

Io non sono un climatologo e per questo leggo e accolgo quanto i climatologi scrivono. Non sospendo il giudizio circa i criteri, i metodi e l’interpretazione dei dati. Voglio dire che i risultati mi devono convincere, che devo trovare robusta l’argomentazione, pur nella limitatezza dei miei mezzi perché mi occupo d’altro. Insomma, assisto da fuori al confronto tra esperti del clima e prendo atto che in quel consesso non c’è alcun manifesto dissenso circa le cause antropiche dei cambiamenti climatici in corso ormai da tre decenni, anche se negli ultimi anni gli eventi estremi stanno accelerando in maniera spaventosa e purtroppo prevista. Tutto questo mi spaventa, sconvolge il mondo così come l’ho conosciuto e come desidero che continui ad essere, ma la mia formazione mi ha insegnato che non posso rigettare una argomentazione robusta e condivisa da chi su un punto ne sa più di me solo perché i risultati di quell’argomentazione mi spaventano o chiamano in causa l’intera umanità, e quindi anche me, come responsabile di un disastro. Il punto è questo. Le certezze che vacillano, le conoscenze consolidate che si sfaldano. Alla base di ogni negazionismo c’è un bimbo che piange. La mia formazione ha insegnato al bimbo che ognuno ha dentro che è inutile piangere, strepitare, battere i piedi. Non per questo i mostri del buio scappano. È più utile accendere la luce che ho a disposizione e se è debole cercare altra luce. 

L’origine antropica dei cambiamenti climatici è un fatto assodato perché chi si occupa di clima globale su questo punto ha una ragionevole certezza. Una ragionevole certezza. Questo è tutto quello che la scienza può dare. Dobbiamo farcelo bastare se vogliamo un futuro.

martedì 25 aprile 2023

Storia di una rivoluzione

 - Nel cassetto del mobile grande, sotto le lenzuola.

- Non la troverà?

- No, la nasconderemo in fondo al cassetto. Lì mamma non arriva.

La pistola veniva da lontano, la guerra era finita ma bisognava tenerla per la rivoluzione. Servono cuori ben armati per la rivoluzione, cuori e mani e occhi per non farsi accecare, occhi attenti come quelli della bambina che guardava il fratello maggiore e il cognato davanti al comò dove mamma conserva le lenzuola, le federe, le tovaglie. 

Hanno un oggetto strano tra le mani, cosa staranno facendo davanti al comò? - Piccola non dire niente alla mamma, mi raccomando, è un gioco, non ci tradire, altrimenti mamma si arrabbia.

La bambina non può tacere, i suoi occhi non sanno stare muti davanti agli occhi della madre che sa leggere gli sguardi.

In casa mia non le voglio queste cose, abbiamo visto abbastanza tragedie. Via, via da casa mia questi arnesi del diavolo.

La pistola fu gettata lontano dove non poteva essere ritrovata. Restò negli occhi della bambina che molti anni dopo mi raccontò come sua madre fermò la rivoluzione.

Buon 25 Aprile. Buona festa della Liberazione 🌹

giovedì 23 marzo 2023

Fenomenologia della riunione

Cos’è una riunione di lavoro? Un approccio meccanicistico e funzionalistico porterebbe a inquadrare il fenomeno in termini causali, ovvero tenderebbe a rispondere alla domanda: “a cosa serve una riunione?” 
Tentati dalla malia scientista elencheremmo una serie di ragioni, quali condividere un progetto, un risultato, un metodo, passare in rassegna i risultati intermedi conseguiti lungo un percorso stabilito in una precedente riunione, avviare un nuovo progetto. Tutte ragioni valide, ancorché ancillari dell'autentico scopo della riunione. Tali ragioni tralasciano l'essenza della riunione caricandola di tutti gli attributi della vita inautentica, persa nella chiacchiera del Si.
Per arrivare al cuore della riunione dobbiamo cogliere i sottili indizi che si rivelano da semplici domande come: “cosa ti aspetti da questa riunione?” Il soggetto intrappolato nella gabbia del determinismo sarebbe tentato di rispondere che alla domanda è tenuto a rispondere chi ha indetto la riunione, non chi è chiamato a partecipare ma così perderebbe il senso noumenico della riunione.
Nella riunione il per sé affronta il per sé dell'altro, gettando nell'agone la propria incertezza esistenziale e mettendola in relazione con l'altrui incertezza ambisce all'in sé che non può essere raggiunto. La riunione è il fenomeno in cui ci si trova nudi al cospetto dell'altrui sguardo, oggettivati dalla domanda di senso che l'altro ci rivolge e annichiliti dall'assenza di risposta. La riunione è la manifestazione della volontà di potenza latente da parte del soggetto che lascia intendere, come sasso gettato nello stagno, di avere una risposta al perché della riunione, quale disperato tentativo di affermare la propria soggettività e sollecitare una pur provvisoria risposta da parte dell'altro che dia conferma all’innato esercizio di dare senso alla propria esistenza, magari dopo aver ricevuto conferma che si esiste davvero.
Solo praticando una epochè, una messa tra parentesi delle cause e conseguenze mondane della riunione possiamo affrontarne il nocciolo fenomenologico, avvicinandoci così al nucleo ontologico, si potrebbe dire senza tema di eccessi, della spasmodica ricerca di riunioni apparentemente inutili che l’astuzia della storia rivela autenticamente inutili. 
 
 
Addendum - Si raccomanda attenta lettura all'inizio e alla fine di ogni riunione, non solo di lavoro.
 
LA RIUNIONE
La riunione fu fissata
per la vigilia di niente.
Tutti avevano segreti;
di certi erano solo paure,
di altri la vita errata
o la speranza perduta
che chiamiamo vita.
Ma nessuno arrivò.
Certi finivano in cielo,
altri cadevan nell’inferno,
e altri, in ritmo più proprio,
in un cammino più eterno.
Arrivai io, solo io;
e la sessione, che non c’era,
presiedetti, e mi nominai
segretario, e mi parlai.
Entrai nell’ordine del giorno.
Se questo è successo ora,
o se fu di ogni ora
che possa esservi al mondo,
non so, né voglio sapere,
provo una pace profonda
dalla riunione da fare.
18 ottobre 1934
Fernando Pessoa, Il mondo che non vedo, Poesie ortonime.
 

sabato 4 marzo 2023

Soglie e dismisura

Ognuno vive dentro le proprie soglie. Le soglie sono linee che si intersecano e quando lasciano poco spazio la persona ne è schiacciata. Cerca una via d’uscita e a volte la via d’uscita è tragica. Le soglie sono di molti tipi e hanno molte origini: intime o sociali, materiali o psicologiche. Tutte ugualmente pressanti e urgenti di attenzione.
Le soglie sono limiti e confini, all’interno ci sentiamo sicuri, attraversati fanno accedere a spazi più vasti che incutono timore ma possono rivelare mondi inattesi. La soglia di casa è un confine che passa tra dentro e fuori. Non portiamo la soglia dentro casa, altrimenti la nostra casa diventerebbe più piccola. Non portiamo la soglia lontano dalla porta della nostra casa, altrimenti non sarebbe la nostra soglia, non sarebbe la nostra casa.
I desideri sono le nostre soglie più preziose e insidiose. Il loro esaudimento è attraversamento di una soglia, l’uscio che ci fa entrare in un mondo immaginato che vogliamo visitare. Quanto è lontana da noi la soglia dei nostri desideri? Possono esserci distanze incolmabili e in queste distanze perdersi. Possono esserci distanze troppo brevi che non ci fanno sentire il desiderio di desiderare. Desiderare con misura è il solo modo per costruire soglie leggere, per spostarle, perché non siano irraggiungibili, per averle alla giusta distanza. Desiderare con misura perché di desideri si muore, quando portiamo la loro soglia troppo lontano da noi e quando è troppo vicina da non poterla vedere.
Non c’è nessuno che conosca meno le soglie dei propri desideri della persona che ci vive dentro e il dramma è che gli altri ne sanno ancora meno. Capita che ci siano persone che conoscono le soglie di altri ma è altamente improbabile che si incontrino e così può capitare di incrociare qualcuno di cui potremmo capire le soglie che lo opprimono ma potremmo non saperlo mai.
Chi può dire quale sia la misura dei desideri? Nessuno lo sa. La sola cosa da sapere è che c’è una dismisura dei desideri che può esserci fatale. Una dismisura che conduce a malessere, depressione, morte. Non si impara la misura dei desideri. Si ha o no la fortuna di costruirli secondo misura ma la dismisura accomuna chi ha quella fortuna e chi non ce l’ha, perché chi è fortunato non sa di esserlo e chi non è fortunato passa la vita nello sforzo titanico di accettare la propria dismisura, a non confonderla con la dismisura del mondo e degli altri. Uno sforzo titanico per rimanere al di qua della soglia, nella comune dismisura dei desideranti. È questa comunione, forse, la sola misura dei desideri che consente a chi resta al di qua della soglia di non rompere il filo che lo lega a chi quella soglia l’ha attraversata.

venerdì 13 gennaio 2023

Inganno del rimosso

Il sole sorge presto sul mio piatto di cicoria,
albeggia appena nel villaggio dall'altra parte della notte,
per ascoltare l'impasto di suoni nel vortice della luna
mi basterà bere il calice colmo di miele e ortica.
Con i sensi ancora rubri di vento napoletano
soffio vetro di farina e incandescente memoria.

Saliremo in cima al monte dell'abbazia promessa,
il cocchio è trainato dal cavallo imbizzarrito,
ora al galoppo scatenato, ora fermo come un masso,
ora goffo più di un pinguino inciampa e torna indietro.
Ha il passo del tempo che rintocca nella mia testa.

Gli basta desiderare strade sconosciute
per dimenticare quelle già percorse.
E in questo inganno del rimosso
il mondo si prepara al nuovo giorno,
quando tutto deve ancora accadere.
È questa la tragedia dell'eterno ritorno?

Come il bimbo sulla spiaggia
che costruisce castelli di sabbia,
l'onda li porta via e tornano i giorni nascosti
tra le pieghe della risacca.

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