Possiamo affermare che tutti i cigni sono bianchi? Possiamo affermarlo fino a quando non troviamo almeno un cigno nero. Possiamo vedere milioni di cigni bianchi poi basta un solo cigno nero, uno solo, per confutare l’asserzione che tutti i cigni sono bianchi. In altre parole una asserzione non è provata definitivamente da milioni di conferme ma può essere rigettata definitivamente per una sola confutazione. Intorno a questa asimmetria epistemologica ruotava il ragionamento di Karl Popper quando diceva che una teoria scientifica deve essere “falsificabile” piuttosto che “verificabile”. La verifica definitiva è virtualmente impossibile, mentre è possibile cercare di falsificare una teoria, per eliminare l'errore e correggerlo. Popper assesta un colpo fatale al concetto di verifica scientifica scalzandolo dal podio della prova definitiva ad una posizione di temporanea validità. Fino a prova contraria appunto! Tornando al cigno nero, si potrebbe dire che ciò che non conosciamo è più importante per la conoscenza di ciò che conosciamo.
Niente di nuovo sotto il sole. Socrate aveva già capito tutto 2500 anni fa quando diceva che l’unica cosa che sapeva era ciò che non sapeva. Ovvero, ciò che sapeva con certezza era che non sapeva.
Il cigno nero di Popper è un topos della filosofia della scienza sul quale non si finirebbe mai di ragionare ma qui dirò di un cigno nero diverso, sebbene in qualche modo imparentato con quello di Popper, il cigno di cui parla Nassim Nicholas Taleb in un libro del 2007 intitolato appunto Il Cigno nero e pubblicato in Italia da il Saggiatore nel 2008.
Il libro di Taleb è uno di quei libri con cui si discute molto. Quando dico discutere con un libro intendo sottolinearlo più e più volte, riempirlo di note a margine, punti interrogativi ed esclamativi, mandarlo a quel paese, riavvicinarsi, insomma un libro con il quale affrontare un corpo a corpo che stanca ma che lascia anche soddisfatti. Per questo consiglio vivamente la lettura di questo libro.
Taleb parla dei cigni neri ma non nel senso logico-filosofico che K. Popper e altri filosofi prima di lui, come J.S. Mill e C.S. Peirce, avevano assegnato alla metafora ma in termini empirici. L’edizione italiana del libro di Taleb ha un sottotitolo perfetto: “Come l’improbabile governa la nostra vita”. Ed è proprio l’improbabile il soggetto del libro, l’evento che non ti aspetti ma che cambia radicalmente l’esistenza. Qualcuno potrebbe dire che l’idea non è originalissima ed è vero ma è anche vero che nonostante a volte si prenda atto dell’importanza degli eventi eccezionali - pensate all’attuale crisi economica ma, volendo essere più aulici, pensate a quando vi siete innamorati - solitamente ci si comporta come se questi eventi non esistessero affatto e la vita procedesse costante e immutata secondo i soliti schemi. Questa rimozione riguarda soprattutto eventi futuri: quasi mai ci si aspetta un evento straordinario che possa sconvolgere la vita persino quando un evento simile è già accaduto in passato e ci sono i presupposti perché si verifichi di nuovo, figuriamoci quando si tratta di un evento sconosciuto e imprevedibile.
Taleb mostra in maniera convincente i punti deboli della fiducia nella regolarità mettendo in discussione la “piega platonica” tra ciò che viene dato per scontato e ciò che ignoriamo del tutto. Anche qui qualcuno potrebbe dire che non c’è proprio niente di nuovo, Taleb non fa altro che criticare il processo induttivo, quel processo mentale che attraverso la valutazione dei casi particolari noti tenta di stabilire una legge universale per predire eventi ignoti. Prima di Taleb decine di filosofi hanno mosso critiche al processo induttivo. David Hume mise addirittura in discussione il fondamento logico della relazione causa-effetto, che non sarebbe altro che il risultato dell’abitudine ad osservare la contiguità tra due eventi. Bertrand Russell da parte sua fu spietato quando concepì la metafora del tacchino induttivista che riceveva il pasto tutte le mattine e trasse la conclusione che ogni mattina avrebbe ricevuto il pasto, conclusione che si dimostrò falsa solo il giorno della vigilia di Natale! Taleb non tralascia di riconoscere il suo debito ai pensatori che l’hanno preceduto su questo sentiero, Hume, Russell, Popper, ma Taleb offre queste tematiche con linguaggio piacevole, per certi versi scanzonato e, come ho già detto, porta questi temi da un piano logico-filosofico ad un piano empirico arricchendo l’esposizione di casi dell’esperienza quotidiana ed in particolare dal mondo dell’economia e della finanza. La predilezione per l’economia e la finanza è dovuta sicuramente al vecchio mestiere di Taleb che prima di diventare un accademico dell’incertezza è stato trader di borsa.
Il Cigno nero di Taleb (il cigno è con la maiuscola per distinguerlo dall’altro cigno nero) è un evento che possiede tre caratteristiche: “In primo luogo, è un evento isolato, che non rientra nel campo delle normali aspettative, poiché niente nel passato può indicare in modo plausibile la sua possibilità. In secondo luogo, ha un impatto enorme. In terzo luogo, nonostante il suo carattere di evento isolato, la natura umana ci spinge ad elaborare a posteriori giustificazioni della sua comparsa, per renderlo spiegabile e prevedibile.” Rarità, impatto enorme e prevedibilità retrospettiva (ma non prospettiva), queste le tre caratteristiche del Cigno nero.
Considerando l’abitudine a trattare i fenomeni eccezionali come “deviazioni” dalla norma Taleb presenta la necessità di cambiare paradigma per valutare il corso degli eventi più correttamente poiché i fenomeni eccezionali, lungi dall’essere deviazioni sporadiche che possono essere trascurate, sono strutturali per molti fenomeni naturali e sociali e spesso ne determinano le dinamiche. Nella “piega platonica” rimane invischiato anche il discorso scientifico quando utilizza modelli analitici che non considerano il ruolo determinante dei fenomeni eccezionali.
Taleb formula la metafora di due paesi in cui gli eventi si comportano in modo differente, il Mediocristan e l’Estremistan. Nel primo paese non ci sono singoli casi in grado di cambiare radicalmente la situazione generale, mentre nel secondo paese uno o pochi casi sono sufficienti per sovvertire la situazione. Un esempio chiarirà la faccenda. Prendete mille persone a caso e misurate il peso di ciascuno, pochi soggetti saranno particolarmente magri e pochi soggetti saranno particolarmente pesanti, la gran parte di soggetti avrà un peso intermedio tra i due estremi. Se sommate il peso di ciascun individuo otterrete un peso totale. Ora prendete la persona più pesante del mondo e aggiungetela alle mille persone che avete raggruppato, il peso di questa persona inciderà molto poco sul peso totale. Questo è il Mediocristan. Adesso spostiamoci nell’Estremistan, prendete il patrimonio economico di mille persone a caso e fate le stesse operazioni di prima: alcuni avranno tanto, alcuni avranno poco e la gran parte si posizionerà intorno a valori intermedi. Sommate il patrimonio di tutti e otterrete un valore totale. Adesso prendete il patrimonio della persona più ricca del pianeta, tipo Bill Gates, e sommatelo alla cifra totale, scoprirete che il patrimonio di questa persona inciderà tantissimo sul patrimonio totale, anzi la quasi totalità del patrimonio sarà posseduto da questa sola persona.
Che in economia la ripartizione delle ricchezze seguisse questo tipo di andamento l’aveva già scoperto Vilfredo Pareto nel 1897 quando studiò la distribuzione dei redditi e dimostrò empiricamente che in una data regione pochi individui possedevano la maggior parte della ricchezza. Questa osservazione portò alla formulazione del principio di Pareto, noto come “legge 80/20”, ovvero l'80% delle ricchezze è in mano al 20% della popolazione.
Taleb mette in guardia dall’utilizzo di strumenti analitici che appartengono al Mediocristan per studiare fenomeni tipici dell’Estremistan e dice chiaramente che il mondo economico e finanziario di oggi è dominato da pochi eventi significativi piuttosto che da moltitudini di eventi “normali”. Come dargli torto? In termini tecnici la distribuzione dei fenomeni del Mediocristan possono essere descritti da una curva a campana, detta anche gaussiana dal nome di Gauss che ne studiò le caratteristiche o distribuzione normale.
In questa curva le grandezze si distribuiscono secondo uno schema preciso: pochi fenomeni sono scarsa rilevanza, pochi fenomeni sono di grande rilevanza e una moltitudine di fenomeni si distribuiscono intorno ad un valore medio. Questa curva descrive bene la distribuzione delle altezze, dei pesi, delle fasce di età di individui che seguono un certo spettacolo, ecc. ecc. Lungo l'asse orizzontale c'è il valore della grandezza misurata e lungo l'asse verticale c'è la frequenza di quel valore. Nel caso della statura si considerano le diverse classi di altezza lungo l'asse orizzontale (ad es. 150-160 cm, 160-170 cm,170-180 cm,180-190 cm) e il numero di soggetti per ciascuna classe di altezza lungo l'asse verticale.
I fenomeni dell’Estremistan invece sono descritti dalla legge di potenza dove pochi fenomeni sono di eccezionale rilevanza e molti fenomeni sono via via meno rilevanti. La legge di potenza ricorre nelle distribuzioni di probabilità di molti fenomeni fisici come la magnitudo dei terremoti, e di molti fenomeni sociali come la distribuzione della ricchezza, il numero dei morti nelle guerre, la popolazione delle città, il numero di collegamenti ai siti web, ecc. ecc. Solitamente lungo l'asse orizzontale ci sono gli oggetti/eventi in ordine decrescente per ordine di importanza e lungo l'asse verticale c'è l'incidenza dell'oggetto/evento. Nel caso della distribuzione della ricchezza si mettono lungo l'asse orizzontale le diverse classi di reddito annuo in ordine decrescente (ad es. oltre 1 milione di €, da 500.000 a 1 milione di €, da 100.000 a 500.000 €, da 50.000 a 100.000, sotto i 50.000 €) e lungo l'asse verticale si mette la quota di reddito totale che ciascuna classe di reddito rappresenta.
Sono possibili diverse rappresentazioni grafiche per le grandezze descritte dalla legge di potenza a seconda delle parametri rappresentati (ordine crescente o decrescente, oppure il valore effettivo della grandezza). Nel caso delle reti viene rappresentato in ascisse il numero di contatti che ha un nodo (che può essere anche un sito) e in ordinata il numero di nodi che che hanno il rispettivo numero di contatti. Le reti funzionano secondo la legge di potenza (grafico a destra), pochi nodi sono degli hub con una quantità enorme di contatti e una moltitudine di nodi con pochi contatti.
A destra distribuzione di contatti nei nodi delle reti negli USA. |
Indipendentemente dalla rappresentazione della legge di potenza il senso della faccenda non cambia: pochi fenomeni sono di eccezionale rilevanza e molti fenomeni sono via via meno rilevanti. E’ evidente che è utile sapere in quale paese ci troviamo per usare gli strumenti analitici giusti, altrimenti rischiamo di fare misurazioni sbagliate confidando nell’accuratezza di strumenti di misura che invece non sono idonei. Taleb critica l’uso degli strumenti del Mediocristan anche per l’Estremistan e ritiene che tale errore sia fondamentalmente dovuto alla nostra abitudine o speranza di vivere in un ambiente senza brutte sorprese. Poiché “la natura umana non è programmata per i Cigni neri” (p. 70) approntiamo una serie di meccanismi, spesso fallaci, per eliminarli. Tra questi meccanismi c’è la “fallacia narrativa”, ovvero la necessità di interpretare gli eventi in termini di sequenze causali, spesso aggiungendovi spiegazioni ad hoc. Il ruolo dell’interpretazione diventa in questo modo una razionalizzazione a posteriori che non trova riscontro nella realtà. In tale situazione diventa fondamentale discernere la conoscenza dalla “narrazione” che comporta l’errore di assegnare relazioni causali laddove non siano effettivamente operanti. Di fatto “per il nostro cervello è impossibile osservare tutto in forma grezza, senza formulare interpretazioni” (p. 84), l’interpretazione costituisce quindi uno schema di semplificazione della complessità che comporta la ricerca di elementi di conferma nella realtà, mentre vengono trascurati gli elementi che discordano con lo schema narrativo. Lo schema narrativo e le interpretazioni non sono altro che modelli concettuali che in ambito scientifico sono espressi in forma matematica. Tali modelli sono una categorizzazione della realtà che inevitabilmente ne riduce la complessità. Categorizzazione bollata da Taleb come una manifestazione dell’incrollabile platonicità della mente umana che legge la realtà attraverso schemi ideali. Si tratta in definitiva di un meccanismo mentale che addomestica l’imprevedibile, l’ignoto, cercando di confinare il caso nei vincoli di una qualche ragione. E’ un meccanismo che gli psicologi conoscono bene e chi conosce la storia del pensiero evoluzionistico può vedere il meccanismo all’opera quando si ricorre alle spiegazioni teleologiche partorendo disegni più o meno intelligenti per dare conto dell’evoluzione della nostra specie, fulgido esempio di “superiorità” tra tutte le specie create! A proposito del ruolo del caso nella nostra storia evolutiva invito a leggere il recente articolo di Telmo Pievani su MicroMega 1/2012.
Il discorso di Taleb sulla fallacia narrativa è convincente ed è corroborato da risultati sperimentali nel campo della psicologia cognitiva. L’avversione dell'autore per ogni tipo di storicismo mi irrita un po’ ma il nocciolo del suo discorso resta valido. Taleb propone una spiegazione dei motivi sottostanti la fallacia narrativa attingendo alle ricerche di Kahneman e Tversky. Secondo questi autori si possono riconoscere due modalità di pensiero, quello sperimentale e quello riflessivo. Taleb scrive “Il Sistema 1, quello sperimentale, non richiede alcuno sforzo, è automatico, veloce, opaco (non siamo consapevoli di utilizzarlo), procede attraverso un’elaborazione parallela e può prestarsi all’errore. [...] Il Sistema 1 è estremamente emozionale, proprio perché è veloce. [...]
Il Sistema 2, quello cognitivo, è ciò che naturalmente chiamiamo «pensiero». [...] è ragionato, lento, logico, seriale, progressivo e autoconsapevole (possiamo seguire i passaggi del ragionamento). Commette meno errori del sistema sperimentale: sapendo come si ottengono i risultati, si possono ripercorrere i passaggi e correggerli in modo adattativo. La maggior parte dei nostri errori di ragionamento deriva da situazioni in cui utilizziamo il Sistema 1 credendo di usare il Sistema 2. [...]
Evidentemente, per tirarci fuori dai guai, Madre Natura ci spinge a utilizzare il veloce Sistema 1 per evitare che perdiamo tempo a interrogarci se quella che abbiamo davanti pronta ad attaccarci è una tigre vera o un’illusione ottica. Ci mettiamo immediatamente a correre prima ancora di essere «coscienti» della presenza della tigre.
Le emozioni sono ritenute l’arma che il Sistema 1 utilizza per impartirci istruzioni e obbligarci ad agire velocemente. Tale sistema è molto più efficace nel farci evitare i rischi rispetto a quello riflessivo. [...]
Molti problemi della natura umana sono imputabili alla nostra incapacità di utilizzare con una certa frequenza il Sistema 2 o di utilizzarlo in modo prolungato senza doverci prendere una lunga vacanza al mare. E spesso ci dimentichiamo del tutto di utilizzarlo.” (pp. 100-101)
Qui cominciano i problemi con il ragionamento di Taleb. La lettura che propone sulle modalità di pensiero può essere plausibile ma si tratta a sua volta di una interpretazione, ovvero una narrazione il cui fondamento ideale non è difficilmente individuabile in un dualismo che contrappone le emozioni alla ragione (da notare le emozioni è plurale ma la ragione è singolare, meno male che non è maiuscola!), dualismo di vecchia data che rivela come il nostro autore se da un lato tenta di evitare le “pieghe platoniche” dall’altro lato non sia del tutto esente dalle “pieghe cartesiane”, sebbene quando afferma che “la nostra mente è vittima della nostra corporeità fisica” (p. 87) mostra di essere anche ben inviluppato nella “piega platonica” che pure vuole evitare a tutti i costi. La distinzione proposta è piuttosto semplicistica e ignora il valore cognitivo delle emozioni, che secondo la filosofa Nussbaum sono “forme di consapevolezza intelligente” e secondo il neurobiologo Damasio sono “altrettanto cognitive quanto gli altri percetti”. Le emozioni sono atti di transazione con l’ambiente che ci circonda attraverso un processo di assegnazione di valori e significati. Inoltre se il discorso evolutivo che vede le emozioni primitive rispetto alla progredita ragione ha qualche fondamento allora dovremmo farci alcune domande riguardo al pessimo uso che faremmo della ragione. Si tratta forse di un sistema ancora instabile, non del tutto evoluto? Allora come potremmo fidarcene? Ma ci sono altre considerazioni da fare. Se il sistema emotivo è quello che Madre Natura ci avrebbe dato “per tirarci fuori dai guai” ed ha funzionato bene per milioni di anni (fino a tre-quattro generazioni fa) allora il fatto che la crescente complessità dell’età odierna lo mandi in tilt dovrebbe farci riflettere anche su questa complessità, oltre che sulla supposta superiorità del sistema razionale rispetto a quello emotivo. La complessità cui mi riferisco è quella che Taleb richiama spesso nel suo libro, ovvero la complessità delle relazioni economiche e delle dinamiche finanziarie, la complessità della cosiddetta globalizzazione.
Considerando che Taleb ha maturato le sue idee nell’ambito delle transazioni borsistiche e ha studiato l’incertezza che caratterizza le previsioni in quest’ambito è anche comprensibile che abbia sviluppato una particolare sensibilità all’Estremistan. Secondo Taleb “nessuno è minacciato di estinzione completa” in Estremistan e “il nostro attuale ambiente permette al piccolo di aspettare il momento opportuno nell’anticamera del successo: finché c’è vita c’è speranza.” (p. 236) In sostanza Taleb prende atto che “stiamo scivolando nel disordine, ma non necessariamente in un disordine cattivo.” (p. 238) Un contadino salentino o dell’Honduras, un precario di 50 anni, un uomo senza lavoro non penserebbero esattamente la stessa cosa ma Taleb osserva uno stato di fatto e il suo scopo è proporre strumenti idonei per venirne a capo.
Taleb non nasconde un atteggiamento incline alla competizione che mostra chiaramente quando scrive “in America mi sono sentito subito a casa proprio perchè la cultura americana incoraggia il processo del fallimento, contrariamente alla cultura europea e asiatica in cui il fallimento è motivo di disonore e imbarazzo”, (p. 217) affermazione sorprendente che se è vera per la cultura asiatica, si pensi al tasso di suicidi per fallimenti economici in Giappone, diventa assurda se applicata in Europa, dove c’è uno stato sociale - ancora per poco! - e in USA dove invece manca anche una assistenza sanitaria pubblica che copra tutte le categorie sociali.
La casualità tipica dell’Estremistan, quella dei Cigni neri, rappresenta per Taleb un elemento che a volte può essere positivo. “La fortuna è molto più egualitaria dell’intelligenza. Se le persone venissero ricompensate esclusivamente in base alle loro capacità, le cose sarebbero ancora più ingiuste: la gente non sceglie i propri talenti. Il caso ha l’effetto benefico di rimescolare le carte della società, mettendo al tappeto i potenti.” (p. 235) Per Taleb quindi l’Estremistan è “un ambiente fertile per la diversità.” (p. 237)
La visione di Taleb è completamente priva di una analisi di scala, non distingue tra effetti a livello individuale ed effetti a livello di popolazione e comunità. Se è vero che in Estremistan è possibile che un evento rovesci la situazione anche per i meno fortunati non è detto che tutti i meno fortunati siano vivi quando l’evento fortunato si realizza e in ogni modo ci saranno sempre “piccoli” a disposizione per confermare l’idea di Taleb. Dal punto di vista del falsificazionismo di Popper la teoria presenta gravi deficit di scientificità! Inoltre, nelle società umane la fortuna non è la sola alternativa al talento per sancire un criterio di uguaglianza, né il talento è caratteristica dominante per tale principio, per fortuna! Ed è proprio questo il punto che mi fa dissentire radicalmente dalla visione di Taleb ma prima di esporlo chiaramente è necessario considerare alcune implicazioni riguardo alla curva a campana ed alla legge di potenza.
Taleb mostra una profonda avversione per la curva a campana perché non adeguata ad analizzare i fenomeni che avvengono in Estremistan e perché viene generalmente ed erroneamente utilizzata per fare previsioni in Estremistan. La curva a campana è considerata da Taleb la «grande frode intellettuale» perché considera i Cigni neri altamente improbabili ed elimina il caso dalle nostre vite. Taleb mette in rilievo le ragioni profonde dell’abuso della curva di Gauss. “La mostruosità «curva gaussiana» non è di fatto opera di Gauss. Sebbene ci abbia lavorato, Gauss era un matematico e si occupava di un concetto teorico, non faceva affermazioni sulla struttura della realtà come gli scienziati orientati verso la statistica.” (p. 253) Fu Adolphe Quételet ad elaborare il concetto di “uomo medio”, un concetto normativo che doveva far rientrare il concetto matematico di media nella dimensione etica della “normalità”, la media aritmetica divenne “normale”. Infatti la curva di Gauss è anche detta curva normale. “Quételet fornì un prodotto di cui gli appetiti ideologici della sua epoca avevano molto bisogno. Visse tra il 1796 e il 1874, quindi ebbe tra i suoi contemporanei Saint-Simon (1760-1825), Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) e Karl Marx (1818-1883, tutti e tre fondatori di versioni diverse del socialismo. Tutti, in quel momento storico post-illuministico, anelavano all’aurea mediocritas, ovvero a una condizione intermedia ottimale: nella salute, nella statura, nel peso e via dicendo. Tale desiderio contiene alcuni elementi di velleitarismo mescolati ad una buona dose di armonia e... platonicità [...] In che modo ciò ispirò Marx, che cita Quételet a proposito del concetto di uomo normale medio, è ovvio «Le deviazioni sociali in termini di distribuzione della ricchezza, devono essere ridotte» scrisse nel Capitale.” (p. 254) Quest’affermazione di Marx deve essere sembrata una bestemmia particolarmente grave alle orecchie di Nassim Nicholas Taleb se, almeno apparentemente, l’ha reso cieco alle implicazioni etiche della curva di potenza e all’appetito ideologico che questa potrebbe saziare ma andiamo con ordine.
Una distribuzione che obbedisce alla legge di potenza è detta distribuzione ad invarianza di scala, infatti la peculiarità di questa distribuzione è proprio l'assenza di scala. Invarianza di scala significa che le informazioni ottenute osservando un pezzo di dimensione qualsiasi della distribuzione sono le stesse che avremmo cambiando le dimensioni del pezzo che osserviamo. Per fare un esempio pensate ad un fiocco di neve, la sua forma è “modulare”, nel senso che è possibile individuare una figura geometrica semplice, un modulo, che si moltiplica innumerevoli volte fino a costituire una figura complessa. Di seguito c'è un fiocco di neve virtuale che si sviluppa a partire da una figura triangolare che si ripete più e più volte.
Ho fatto l’esempio del fiocco di neve perché si tratta di un oggetto frattale e l’invarianza di scala è una proprietà particolarmente evidente e facile da comprendere negli oggetti frattali, descritti anch’essi da distribuzioni di potenza. In sintesi un frattale è un oggetto che si realizza a partire da una struttura elementare che si ripete su scale differenti, ossia presenta gli stessi caratteri a qualunque scala lo si osservi, questa peculiarità è detta “autoaffinità”. Il termine frattale fu coniato da Benoît Mandelbrot nel 1975 per descrivere la geometria di molti fenomeni naturali in cui una parte somiglia all’intero. Le venature delle foglie somigliano ai rami, i rami somigliano a piccoli alberi e se ci addentrassimo nel mondo microscopico non sapremmo distinguerlo dal mondo macroscopico. Se guardiamo la foto ingrandita della superficie di una pietra non sapremmo distinguerla dai rilievi di una montagna. Un modello simile può essere utilizzato per analizzare i dati economici ed in particolare la distribuzione del reddito, dove i dati seguono la legge di potenza. Dire che la distribuzione del reddito rispecchia la legge di potenza (una paretiana, o una maldebrotiana come dice Taleb), significa dire che se ogni quattro individui con reddito annuo di diecimila euro, ne esiste uno con reddito di ventimila euro, allora ci sarà una persona che guadagna 2 milioni di euro per ogni quattro soggetti che guadagnano 1 milione di euro ciascuno. Diversamente dalla curva a campana dove le probabilità di eventi estremi (ricchezza enorme o povertà inaccettabile in questo caso) sono trascurabili e trascurate, nella legge di potenza tali probabilità sono facilmente calcolabili lungo tutta la curva poiché seguono un andamento costante. Un’altra importante proprietà della legge di potenza è la "coda lunga". La coda lunga è rappresentata dalla miriade di "eventi", singolarmente pressoché irrilevanti, ma nel complesso numericamente assai elevati.
Le implicazioni della legge di potenza e della sua coda lunga sono numerose e la rete è uno dei luoghi dove la coda lunga fa sentire i suoi effetti benefici in maniera notevole. L'esempio più noto di coda lunga è quello delle vendite di libri on line, Amazon è in grado di guadagnare molto più dalla vendita di singole copie di libri o di cd poco noti piuttosto che dai picchi di vendita di migliaia di copie dei bestseller. I clienti che comprano volumi poco conosciuti sono tantissimi e ognuno di essi rappresenta un "evento" che si verifica raramente, o addirittura una volta sola. Il modello a coda lunga in questo ambito è sicuramente un vantaggio sia per chi fornisce servizi on line, sia per chi ne usufruisce, poiché in questo modo è possibile soddisfare un bisogno in maniera più personalizzata di quanto non sia possibile fare in una libreria tradizionale (tralascio le considerazioni dei “libridinosi” come me che hanno bisogno di un contatto fisico con i libri). Ma la coda lunga è un modello universale? Se sì, è sempre vantaggioso?
L’analisi epistemologica di Taleb è impeccabile, la sua messa in guarda dalla sottovalutazione degli eventi casuali eccezionali (o caotici) che siamo pronti a rimuovere e integrare in un contesto narrativo ha solidi fondamenti sia dal punto di vista concettuale che sperimentale. Le dinamiche sociali, caratterizzate da fenomeni “contagiosi”, che esplodono in maniera imprevista e con effetti devastanti seguono indubbiamente la legge di potenza ma ciò che convince poco del discorso di Taleb è come la legge di potenza venga portata nell’ambito economico-finanziario senza considerare anche per questa legge le implicazioni etiche, come è stato fatto per rigettare la curva normale. Una argomentazione forte di Taleb per rigettare la curva a campana si basa proprio sulle implicazioni etico-normative che questa avrebbe assunto nella storia, in maniera speculare verrebbe da chiedere se l’assunzione della legge di potenza non si basi sugli stessi presupposti.
Qui si passa da un ambito matematico ad un ambito più strettamente filosofico e sarà necessario distinguere brevemente i concetti descrittivi dai concetti normativi, un concetto descrittivo descrive la realtà a prescindere (o tentando di prescindere) da un sistema di valori, mentre un concetto normativo è l’espressa applicazione di un sistema di valori per definire una regola, una legge. Da qui si può concludere in maniera (troppo) schematica che la scienza si propone una descrizione oggettiva dei fenomeni laddove l’etica è l’ambito eminentemente normativo del pensiero. Detto questo si potrebbe affermare che, diversamente dalla curva a campana, la curva di potenza descrive bene i fenomeni sociali e quindi, forte della sua capacità descrittiva, non sarebbe inficiata da visioni normative e tanto meno ideologiche, questo almeno sembra dire Taleb. A questa osservazione andrebbe tuttavia fatto rilevare che molti fenomeni sociali sono eminentemente normativi, e la distribuzione della ricchezza è tra questi, pertanto lo scienziato intellettualmente onesto si dovrebbe porre il problema se la supposta “oggettività scientifica” di uno strumento analitico sia precedente o successiva alla norma che starebbe descrivendo. Muoversi in questi meandri non è facile, una volta entrati si rischia di non uscirne e persino il glorioso concetto di oggettività rischia di venirne fuori a pezzi, il problema di Taleb è che ha accuratamente evitato anche solo di avvicinarsi a questo labirinto. Troppo comodo, persino per un ex trader di borsa votato alla scienza matematica!
In un interessante post di qualche anno fa l’autore si interrogava sulla “tirannia della legge di potenza”. Econophysics blog sottolinea l’idoneità della legge di potenza come modello descrittivo, la sua ubiquità e la sua capacita di descrivere come “funzionano molte cose” è fuori discussione, “comunque, come approccio normativo o prescrittivo di come le cose dovrebbero funzionare, credo che la popolarità che sta guadagnando la legge di potenza contiene alcuni pericoli così come benefici. Dopotutto, dovremmo trovare accettabile – anche se è una descrizione accurata di come le cose sono realmente – che il 20% della gente più ricca controlli l’80% delle risorse in una società?”, successivamente l’autore si chiede “è davvero definitivamente benefico, efficiente e razionale per una società avere poche persone al vertice della legge di potenza - almeno quelli che sono arrivati lì per privilegio ereditato e/o incidente genetico – che abbiano il predominio sulla vita del molti di coloro che vivono lungo la 'coda lunga' della legge di potenza?” L’uso sbagliato della legge di potenza e la confusione tra aspetti descrittivi e normativi porta ad una società ingiusta laddove il suo corretto uso può rivelarsi utile in alcuni ambiti. L’autore resta nel campo dell’e-commerce e degli investimenti e conclude la sua analisi dicendo che il miglior modo di trarre profitto dalla legge di potenza è diventando più eclettici: “encouraging eclecticism and accommodating niches”. La conclusione non è differente da quella di Taleb, ma almeno qualche dubbio l’autore del blog se lo è fatto venire.
Se la legge di potenza o gli oggetti frattali sono modelli che descrivono perfettamente un determinato fenomeno non è ozioso chiedersi se quel fenomeno appartenga al dominio naturale o a quello etico. La confusione tra i due domini ha sempre caratterizzato un pensiero che ha fatto costantemente ricorso alle supposte “leggi di natura” per sancire concetti etici. Taleb ha parlato molto bene di molte fallacie cognitive ma quella che Taleb non ha affatto considerato è la “fallacia naturalistica” termine coniato da George Edward Moore ma che risale a David Hume, autore caro a Taleb. La fallacia naturalistica è appunto l’errore di derivare prescrizioni da descrizioni. Se in natura una cosa ha un certo stato non consegue che doveva avere quello stato, si tratta in altre parole della confusione tra ciò che è e ciò che deve essere.
Il ricorso alla natura è estremamente pericoloso, innanzitutto perché in natura potremmo trovare ogni sorta di legge a conferma e smentita dei nostri comportamenti e poi perché, come ho detto altrove, non conosco concetto più culturale di quello di natura. Anche Friedrich von Hayek, esponente di spicco del liberismo, che Taleb cita con ossequio (cita anche Keynes ma lo fa per dovere di studioso) ricorreva all’argomentazione naturalistica per giustificare il libero mercato!
Di fronte a quest’uso sconsiderato delle cosiddette leggi di natura io rivendico la prometeica ambizione di oppormi con gli strumenti della politica che è l’arte dell’organizzazione sociale per perseguire criteri di giustizia, concetto umano di cui non c’è traccia in natura. La natura non si cura di estinzioni di massa né c’è differenza che non sia del giudizio umano tra un deserto con poche specie e la florida foresta tropicale. Facciamo uso e abuso della natura per nostro piacere e consumo, salvo quando dobbiamo interrogarci sulle responsabilità che abbiamo nei confronti della natura. Ricorriamo ad ogni sorta di strumento retorico per giustificare i nostri appetiti, religione, scienza, filosofia... solitamente pessima religione, pessima scienza, pessima filosofia. Per un discorso di ampio respiro, una vera boccata di ossigeno, sull'incontro tra scienza e politica sul terreno delle responsabilità consiglio la lettura del bellissimo articolo di Gustavo Zagrebelsky pubblicato da la Repubblica qualche giorno fa.
La cosiddetta legge dell’80/20 è una legge descrittiva o una legge normativo-prescrittiva? In altre parole quando parliamo della legge di potenza in relazione agli aspetti economici stiamo parlando sicuramente di un fenomeno descritto da un certo modello ma in economia c’è un confine che separa i domini dell’essere da quello del dover essere? L’economia è una scienza esatta o una scienza normativa? Se un fenomeno sociale come quello economico, nello specifico la distribuzione della ricchezza, è descritto perfettamente da un modello, questo significa che debba essere così?
Il discorso dovrebbe essere chiaro a questo punto. Lasciamo perdere tutti i casi in natura che sono descritti meglio da un modello piuttosto che un altro, quando parliamo di faccende umane e la distribuzione della ricchezza è una di quelle, stiamo parlando di qualcosa di dato in natura o di qualcosa che appartiene al dominio delle norme che da noi ci siamo dati in una certa contingenza storica? Il fatto che esistano pochi individui che abbiano tanto e molti che abbiano poco è un fatto dettato dalle “leggi di natura” o dalle leggi umane? A queste domande non vedo risposta in Taleb, anzi non vedo neanche le domande. Quando si passa dall’osservazione dello “stato” delle cose al “che fare” o, come si direbbe in linguaggio più raffinato, dalla ragion pura alla ragion pratica Taleb da buoni consigli per affrontare il Cigno nero dicendo che alcuni strumenti matematici permettono di trattare con i “cigni grigi”, tradotto in parole povere il consiglio è “diversificare” gli investimenti più di quanto non dicano i seguaci della curva normale! Che dire? Consiglio perfetto per un ex trader esperto in derivati. Chi potrà investire i propri risparmi farà tesoro di questi consigli, e gli altri? Cosa faranno quelli che stanno comodamente adagiati lungo la coda della curva di potenza? Basterà trovare su Amazon il libro personalizzato?
I modelli matematici andrebbero utilizzati con estrema cautela quando si parla di fenomeni sociali poiché neanche la fedeltà ai dati osservati in questi casi è garanzia sufficiente dell’idoneità dei modelli. Se questo può sembrare una bestemmia per una mente “scientifica” sarà necessario invocare maggiore scientificità, non meno, per capire che è un’idea bislacca. Quando si descrivono fenomeni inerenti l’organizzazione sociale degli esseri umani spesso viene trascurato che questi, a differenza dei sassi, delle venature delle foglie, dei fiocchi di neve, ecc, possono anche desiderare di non voler rispettare un certo modello, possono anche decidere di rovesciare una certa legge. Attenzione questa non è velleità di liberarsi dai vincoli naturali, questo è il nocciolo di tutto il pensiero politico, almeno da quando Aristotele disse che «l'uomo è per natura un animale politico».
Invarianza di scala e coda lunga sono le caratteristiche peculiari della legge di potenza. Prima ho detto che la visione di Taleb manca di una analisi di scala, non distingue tra effetti a livello individuale ed effetti a livello di popolazione e comunità. Ebbene, non è una conclusione difficile, faceva parte delle premesse di Taleb e queste premesse non sono prive di pericolose implicazioni quando passano dal dominio descrittivo a quello normativo. Dicevo che manca di una analisi di scala perché l’economia è un fatto politico, una volta si chiamava economia politica, e la politica non può prescindere dagli effetti di scala né può trascurare la lunghezza della coda. Indubbiamente si possono concepire politiche che salvano un paese e che sono devastanti per i singoli gruppi sociali e di questi tempi l’esempio non è certo difficile da afferrare, si possono concepire politiche che fanno aumentare la ricchezza totale degli abitanti e che non si occupano affatto della distribuzione della ricchezza ma queste scelte non sono prive di effetti. Se è indifferente guardare un sasso da una distanza di dieci centimetri o una montagna da un distanza di un chilometro non è la stessa cosa osservare un paese da Bruxelles oppure osservarlo passando per le sue strade, girando per i sobborghi periferici e parlando con la gente. Nella realtà quotidiana l’invarianza di scala è una bestemmia inaccettabile, sarebbe come dire che il ricco è povero rispetto al ricchissimo quanto il povero è ricco rispetto al poverissimo.
Nella curva di potenza applicata alla distribuzione della ricchezza io vedo un’eccessiva accumulazione di capitali in pochi soggetti, nella coda lunga vedo una “ricchezza” eccessivamente frammentata e irrisoria per una moltitudine di soggetti. M’importa assai poco sotto un profilo etico che dal punto di vista matematico l’area sotto la coda lunga sia maggiore dell’area che sta sotto i primi valori, che sarebbe come dire che la somma dei redditi di tutti quelli che guadagnano sotto 20.000 euro annui nel mondo è maggiore del reddito di Bill Gates. E quindi? Ci voleva la matematica frattale per questo? Mi perdoni Taleb e Mandelbrot ma questo l’aveva già capito Ettore Petrolini quando disse che «i soldi bisogna prenderli dai poveri, ne hanno pochi, ma sono in tanti»! Appare misera la soluzione di diventare eclettici, versatili, in definitiva flessibili. A livello di società c’è l’imperativo di accorciare la coda lunga, sollevarla e di ridurre l’incidenza dei valori più elevati. Ogni ricorso alla matematica per evitare questa prometeica impresa è un’abdicazione da quella che Aristotele diceva essere la nostra natura.
La lettura del libro di Taleb è stata per me estremamente stimolante forse proprio perché ci ho visto l’apoteosi più sottile e subdola del liberismo economico che io abbia mai letto e non potete capire quanto questo mi abbia fatto infuriare. Chiudo con due meravigliose citazioni sulla scienza e la conoscenza delle leggi che ci governerebbero.
“… In quell'Impero, l'Arte della Cartografia raggiunse tale Perfezione che la mappa di una sola Provincia occupava un'intera Città, e la mappa dell'Impero un'intera Provincia. Col tempo, queste Mappe Smisurate non soddisfecero più e i Collegi dei Cartografi crearono una Mappa dell'Impero che aveva la grandezza stessa dell'Impero e con esso coincideva esattamente. Meno Dedite allo Studio della Cartografia, le Generazioni Successive capirono che quella immensa Mappa era Inutile e non senza Empietà l'abbandonarono alle Inclemenze del Sole e degli Inverni. Nei deserti dell'Ovest restano ancora lacere Rovine della Mappa, abitate da Animali e Mendicanti; nell'intero Paese non vi sono altre reliquie delle Discipline Geografiche.”
Suarez Miranda, Viajes de varones prudentes, Libro IV, cap. XLV, Lérida, 1658.
Jorge Luis Borges, Del rigore nella scienza, 1960.
“«La coscienza della vita è superiore alla vita, la conoscenza delle leggi della felicità è superiore alla felicità»: ecco ciò contro cui bisogna battersi! E mi batterò.”
Fedor Dostoevskij, Il sogno di un uomo ridicolo, 1877.
Note bibliografiche
Oltre ai link che ho disseminato lungo il testo ho citato questi testi.
A. Damasio, L'errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano. Adelphi, 1995.
A. Damasio, Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello. Adelphi, 2003.
M.C. Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni. il Mulino, 2004.
e naturalmente
N.N. Taleb, Il Cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita. il Saggiatore, 2008.
Aveva capito molte cose in anticipo sui tempi, Suarez Miranda!
RispondiEliminaPost lungo ma estremamente interessante!!:))
RispondiEliminainfatti é o sarebbe necessario conoscere ed esplorare LE NOSTRE "OMBRE"
RispondiEliminaCiao, Antonio.
RispondiEliminaFrancamente, non mai capito il perchè della gran fortuna di Popper... almeno in Italia.
Intanto, le sue conoscenze di storia della filosofia mi sembrano piuttosto approssimative: se non erro, è arrivato al punto di vedere un'anticipazione del nazismo nella "Repubblica" di Platone!
Le sue critiche alla dialettica (che vanno almeno da Hegel a Marx, quando non comprendono lo stesso Platone) mi sembrano generiche... questo, nel migliore dei casi.
La sua santificazione della democrazia occidentale, poi, è roba da tutto va ben madama la marchesa.
La falsificabilità (il suo contributo teorico più interessante) mi pare che non superi la soglia di un empirismo che definirei "ingenuo-radicale."
Talvolta, mi pare addirittura che in lui si trovi un habitus mentale da scienziato positivista.
Ma sto scrivendo in fretta e temo che da questo commento emerga solo la mia antipatia per Popper (si può provare antipatia anche per i pensatori e questo non significa farsi influenzare, nella critica, da tale antipatia).
Comunque devo rileggermi l'articolo, che è molto ben scritto, anche nelle sue parti più tecniche.
Chapeau... e non scherzo.
Ciao.
Riccardo, ti ringrazio per il commento e benvenuto in questo blog. In effetti devo ammettere che dal tuo commento traspare una certa antipatia per Popper ;-) Sarai però d'accordo con me che in ambito politico la faccenda è piuttosto delicata e come per tutti gli esponenti del pensiero liberale sono convinto dovremmo avvicinarci al suo pensiero rinunciando alle generalizzazioni della vulgata che li associa troppo disinvoltamente al solo liberismo economico.
RispondiEliminaPer quanto riguarda il suo pensiero epistemologico invece ti seguo poco. Il suo contributo è stato decisivo proprio per superare l'empirismo induttivista che lui trovava ingenuo come il tacchino del celebre apologo di Bertrand Russell. La falsificabilità è stato sicuramente un elemento decisivo per mettere in discussione il concetto di verificabilità che si richiamava ad una verità trascendente, ma è questo assunto che io trovo ingenuo. Tra l'altro la sua epistemologia è in perfetta sintonia con il suo pensiero politico che non poteva accettare una essenza immutabile dell'uomo ma una continua ricerca che per lui era possibile solo nell'ambito delle democrazie liberali. Ok, il discorso è parecchio più complicato di come la metto io ma facciamo finta che possa bastarci ;-)
Ciao.
Grazie a te per l'accoglienza.
RispondiEliminaMah, in "Congetture e confutazioni" dice cose sulla dialettica che a me sembrano tratte da un bignamino... anche mal scritto.
Quanto al cotè epistemologico, il suo concetto di falsificabilità avrebbe potuto (io credo) rivelarsi ben più fecondo se avesse saputo dialettizzarlo... ma gli mancava la sufficiente potenza o ampiezza di sguardo filosofico.
Quando leggo il Nostro, mi sembra uno Hume o un Locke che cerca di fare il furbo; ma almeno, Hume sapeva essere arguto.
Però dici bene: il discorso è parecchio più complicato e non vorrei annoiarti con repliche da grillo parlante!
Ciao.
Una recensione e un commento davvero molto interessanti e stimolanti.
RispondiEliminaPersonalmente condivido anche il fine delle critiche mosse a Taleb (in sostanza il fatto che nell'organizzazione politica della vita sociale non si può stimolare le disparità perché maggiormente rispondenti dal punto di vista grafico dell'importanza di eventi casuali e rari), ma non le giustifico nel testo di Taleb.
Mi pare cioè che sia stato dato al Cigno nero un valore che non ha e non vuole avere. Taleb a mio parere è riassumibile molto semplicemente con l'affermazione che il caso governa le nostre vite molto più di quanto ci piace credere e che quindi, se non consideriamo questa realtà nel fare le nostre previsioni, il rischio di avere brutte soprese è alto, così come rischiamo che sia viziata, e di parecchio, la nostra interpretazione del passato. E, limitandomi io a questa deduzione dal Cigno nero, non posso che apprezzare il messaggio di Taleb.
Mi scuso per non essermi accorto del commento in moderazione per tutto questo tempo e per averlo pubblicato solo ora. Non sono più così assiduo sul mio blog come un tempo. Apprezzo molto il commento, è vero, il messaggio in definitiva è che il caso governa più di quanto ci piace pensare ma a questo assioma nel testo di Taleb, in questo come in altri, non si accompagna nessun messaggio relativo al ruolo della politica come 'correttore' alla legge del caso. Se così è allora gli effetti di terremoti, pandemie e altri accidenti andrebbero acquisiti per quello che sono, leggi di natura. Ed è proprio qui il discrimine politico, tra natura e cultura. Taleb appartiene a mio avviso a una scuola di pensiero in cui questo discrimine è troppo blando, a volte convenientemente blando, spesso colpevolmente blando.
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