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giovedì 31 gennaio 2013

Un mangiadischi arancione

Il mangiadischi. Nel museo delle parole estinte ormai ci sarà anche mangiadischi, magari accanto a mangianastri. Chi usa più queste parole nell'era digitale?
Quando ero piccolo non eravamo ancora digitali, eravamo a malapena manuali! Poi abbiamo perso la mano e sono rimaste solo le dita!
Divagavo, come al solito.

Ricordo un piccolo mangiadischi arancione. Era a casa di mia nonna e insieme a mia zia ascoltavamo i dischi, erano 45 giri. Chissà dov'è adesso, chissà se c'è ancora. Nella cantina della memoria funziona ancora alla perfezione. Tra le canzoni che ascoltavo spesso c'era Un aquilone di Ricky Gianco. Mi inquietava quella canzone, non capivo bene perché ma mi inquietava, soprattutto il ritornello. Forse era l'idea che un aquilone potesse portare via una bambina che mi metteva ansia, perché nella mia immaginazione l'aquilone portava via una bambina.


Avevo sette anni quando mi dissero che la bisnonna era volata via. La grande madre non c'era più e forse l'aveva portata via un aquilone. Da allora ho capito perché quella canzone mi inquietava.

domenica 27 gennaio 2013

La crociata dei ragazzi



La crociata dei ragazzi

In Polonia, nel Trentanove,
una battaglia grande ci fu
che fece rovina e deserto
di tanti paesi e città.

La sorella ci perse il fratello,
la moglie il marito soldato,
tra fuoco e macerie i figliuoli
i genitori non trovano più.

Di Polonia non venne più nulla,
né notizie ai giornali né lettere.
Ma nei paesi dell’Est
una storia strana raccontano.

Nevicava, quando in quei posti
si sentì che la gente parlava
d’una crociata di ragazzi
che in Polonia era cominciata.

Trottavano sugli stradali
ragazzi affamati attruppati,
e dai villaggi bombardati
altri portavano con sé.

Dalle battaglie volevano
fuggire, da tutti quegli incubi
e finalmente un giorno,
venire a una terra di pace.

Avevano un piccolo capo
che li aveva guidati fin là.
Ma una gran pena aveva in cuore:
la strada non la sapeva.

Una d’undici anni menava
un bambino di quattro anni
Come una mamma farebbe; ma non
fino a una paese di pace.

Marciava nel gruppo un piccolo ebreo
col suo bavero di velluto;
lui, avvezzo al pane più bianco,
da coraggioso s’era battuto.

E due fratelli venivano avanti,
che erano grandi strateghi
per assalire fattorie
deserte, lasciate alla pioggia.

E c’era uno, grigio, sottile,
che andava da solo pei campi
con una colpa tremenda: veniva
da un’ambasciata dei nazi.

E un musicista tra loro
che in un negozio distrutto aveva trovato un tamburo
ma, per non farli scoprire,
non lo poteva suonare.

E anche c’era un cane:
per ammazzarlo l’avevano preso
ma gli era mancato il coraggio
e ora mangiava con loro.

E c’era una scuola ed un piccolo
maestro che si sgolava.
Sulla corazza di un carro, uno scolaro
sillabava, di «pace», «p» e «a».

E al fragore di un freddo torrente
anche un concerto ci fu:
nessuno li avrebbe sentiti
e il tamburo allora suonò.

E anche c’era un amore,
lei dodici, lui quindici anni.
In un cortile di macerie, lei
i capelli gli pettinava.

L’amore non poté resistere,
il freddo che venne fu troppo.
Come le piante possono fiorire
se cade tanta neve?

E anche una guerra ci fu,
perché un’altra banda comparve,
ma la guerra fu presto finita,
ché non c’era ragione di farla.

Ma mentre ancora infuriava
intorno a un casello distrutto,
si dice che uno dei gruppi
a un tratto fu a corto di viveri.

E quando gli altri lo seppero
mandarono uno dei loro
con un sacco di patate; perché
chi non mangia la guerra non fa.

E ci fu anche un processo,
e ardevano due candele.
E fu un’inchiesta penosa.
Il giudice venne condannato.

E il funerale ci fu di un ragazzo
che portava il colletto di velluto.
Lo calarono due tedeschi
e due polacchi nella fossa.

C’erano protestanti, cattolici e nazi
per consegnarlo alla terra.
E alla fine un piccolo socialista
parlò del futuro dei vivi.

Così c’erano fede e speranza,
ma non c’era né carne né pane.
Chi non gli dette un tetto
non mi venga ora a dire che rubavano.

E nessuno dia colpa a quei poveri
che non li invitarono a tavola.
Per cinquanta ragazzi, farina
ci voleva, non solo bontà.

Pareva che andassero a sud.
Il sud è dove il sole
all’ora di mezzogiorno
proprio ti sta davanti.

Trovarono anche un soldato
tra gli aghi dei pini, ferito.
Lo curarono per sette giorni
perché gli indicasse la via.

Lui disse: «A Bilgoray!».
Tremava tutto di febbre,
l’ottavo giorno morì
e così anche lui seppellirono.

Sebbene coperti di neve
c’erano frecce e cartelli.
Non mostravano più la via giusta,
qualcuno li aveva scambiati.

Non era uno scherzo malvagio,
era per ragioni di guerra:
cercando così Bilgoray
nessuno mai ci arrivò.

Erano in cerchio intorno al loro capo.
Lui guardava nell’aria di neve.
Accennò con la piccola mano
e disse: «Dev'essere laggiù».

Una notte videro un fuoco
ma non gli andarono incontro.
Tre carri armati, una volta,
passarono e dentro c’erano uomini.

E una volta giunsero presso
a una città, e le girarono attorno,
camminando soltanto di notte
finché la città non passò.

Dove una volta c’era la Polonia
del sud, furono visti nella neve
della tormenta, quei cinquantacinque,
per un’ultima volta.

Quando io chiudo gli occhi
li vedo come vagano
dalle rovine di una fattoria
alle rovine di un’altra.

Su di loro, lassù nelle nuvole,
vedo altri cortei, nuovi, grandi!
Vanno a fatica contro i venti freddi,
i senza patria, i senza meta,

cercando una terra di pace,
senza il tuono, senza l’incendio,
non come quella che lasciano.
E immenso diventa il corteo.

E dentro il buio del crepuscolo
non mi pare già più quel che era.
Altri piccoli visi vi scorgo,
spagnuoli, francesi, orientali.

In Polonia, in quel mese di gennaio,
un cane per caso fu preso.
C’era un cartello appeso
al suo collo smagrito,

e c’era scritto: «Aiutateci,
abbiamo perduta la strada.
Siamo cinquantacinque.
Il cane vi guiderà.

Se non potete venire,
lasciatelo andar via.
Non gli sparate. Dove
siamo, lui solo lo sa».

Era una scrittura infantile.
La lessero quei contadini.
Un anno e mezzo da allora è passato.
Il cane moriva di fame.

Bertolt Brecht (Augsburg 1898 - Berlino 1956)
In: POESIE 1933-1956, Einaudi, 1977.

giovedì 24 gennaio 2013

Parole a matita

Disegno di Francesca Quatraro

Libere parole

Vorrei afferrare le parole
Lanciarle come sassi
Giù dal monte
In libertà
Le parole sono fuoco
Sono aria e granito
Sono anima che si espande.
Piangono le parole e ridono,
tagliano e feriscono.
Sanno le parole!
Sono
La realtà
Che si fa.

Franca Fusetti alias Nou

***

Già tempo fa ho "rubato" a Nou una perla per metterla in questo blog, lo rifarò.
Tempo fa Nou mi ha regalato un volumetto con le sue poesie. Ho sostato a lungo sui suoi acquerelli in versi ad osservare il faccione della luna che sorride sul delta del Po, l'ombra lunga del melograno che attende visitatori desiderosi di riposo, ho seguito con tenerezza una bambina seduta sul manubrio di una bicicletta e scopre di non essere più leggera come l'aria, mi sono soffermato in silenzio sulle note cupe dell'ultimo dolore che rende vana la parola. Libere parole è forse la meno descrittiva delle poesie di Nou ma leggendola viene in mente l'immagine di una bambina in cima ad un cocuzzolo che lancia in aria le parole. Io e Vito abbiamo cercato a lungo un'immagine che fosse vicina a quello che la poesia evoca e quando abbiamo trovato in rete il disegno di Francesca Quatraro ce ne siamo innamorati. I deliziosi disegni a matita di Francesca, che ringrazio per la sua disponibilità, sono stati una scoperta straordinaria, un sollievo per l'anima. Visitate il suo sito, guardate i suoi disegni. Sono sicuro che Nou troverà in quei disegni qualcosa del suo adorato Chagall.

Nou non scrive solo poesie, scrive anche racconti che ho letto come ascoltavo i racconti che da piccolo raccontavano i "grandi" riuniti nelle sere d'estate sul ciglio della strada a prendere il fresco. Nel mio paesino c'erano poche automobili che disturbavano quei racconti, quasi nessuna. Dei racconti di Nou quello che preferisco è Ognissanti ma la versione che amo l'ha scritta in dialetto veneto e per quanto sia lontano dal mio dialetto salentino mi ha investito come un treno, forse perché la matrice contadina abbraccia i diversi dialetti.
Per chi viene da una cultura contadina quella matrice è stata lingua comune ben prima che nascesse l'italiano.

giovedì 17 gennaio 2013

Monti, voglio farti un discorso sulla famiglia...

"Voglio farti un discorso sulla famiglia: quella santa istituzione inventata per educare i selvaggi alla virtù... E adesso ripeti insieme a me [...]: santa famiglia, sacrario di buoni cittadini, dove i bambini sono torturati finché non dicono la prima bugia, dove la volontà è spezzata dalla repressione, la libertà è assassinata dall’egoismo...", Marlon Brando sul pavimento con Maria Schneider in Ultimo tango a Parigi, di Bernardo Bertolucci, 1972.

George Grosz,
I pilastri della società, 1926
Di solito sono meno brusco ma è l'effetto del disgusto. Per considerazioni più argomentate rimando a questo post, scritto da Elfo Bruno prima della spigliatissima dichiarazione di Mario Monti.

Visto che per dire quelle perle di saggezza l'europeista Monti è dovuto arrancare tra gli appunti gli si potrebbe suggerire di scambiare quattro chiacchiere con i suoi colleghi europei, possibilmente quelli dei paesi più avanzati in tema di diritti civili, magari diventa più sciolto sull'argomento e scopre che in Europa sulla famiglia hanno una visione più elaborata della sua.

lunedì 14 gennaio 2013

Circoli virtuali

Tempo fa ho deciso di aprire un circolo. Un circolo virtuale, come è virtuale questo blog. Del circolo avrebbero fatto parte pochi intimi che la mattina avrebbero ricevuto nella posta elettronica una poesia o qualcosa di simile con poche righe di introduzione. Una sorta di buongiorno in versi.
In alcune occasioni al buongiorno sono seguite delle gradite risposte. Ne è nata un'antologia che ho deciso di pubblicare in questo blog e che è disponibile in questo sito.

Il circolo si sarebbe potuto chiamare Poetry in the morning ma non ha avuto un nome fino a quando ho deciso di chiuderlo o almeno di non considerarlo più una mia creatura.

Le cose virtuali sono fatte così, oggi ci sono domani non più, grosso modo come noi.

martedì 8 gennaio 2013

La disproporzione del femminile

La disproporzione del femminile è nell’abisso che lega indissolubilmente vita e morte. Della donna l’uomo invidia la possibilità di dare la vita e ne teme l’immagine speculare, la morte. La geometria del rapporto tra uomo e donna è inscritta nel diverso rapporto con la morte e con il corpo. La donna sperimenta sul proprio corpo la morte, ciclicamente. Il passaggio alla condizione adulta è segnato da un trauma. Poco più che bambina ha paura di morire, il sangue la segna e ogni mese il segno ritorna. La donna si misura continuamente con la morte, fino a quando la sua fertilità ha un termine. L’uomo passa nella condizione adulta quasi senza accorgersene e per molti il passaggio resta un mistero! La fertilità dell’uomo resta potenzialmente attiva per tutta la vita e l’assenza di un termine lo illude di immortalità. Sono differenze decisive. La donna conosce la morte, impara a conoscerla. All’uomo è dato solo temerla.

Della conoscenza della morte, che è della donna, l’uomo ha paura. L’uomo non sopporta che la donna possa dare la vita e teme chi conosce la morte. Questo rende molti uomini portatori di morte.

La donna è terra e luna, ne segue i ritmi e li detta e quando ignora o dimentica la sua antica sapienza diventa una banale imitazione dell'uomo. L'uomo non è il sole ma vive per tutta la vita credendo fermamente di esserlo.

mercoledì 2 gennaio 2013

Destra e sinistra non esistono più

La lista di chi dice che destra e sinistra non ci sono più si è allungata. Ricordo tempo fa che era solito ripeterlo Bossi, diceva che lui sta in alto. Poi Grillo, evidentemente a corto di battute originali, ha detto la stessa cosa, destra e sinistra non ci sono più io sto in alto. Anche Monti ha detto che destra e sinistra non ci sono più, evidentemente sarà sembrato poco elegante al professore dire che sta in alto, doveva pur distinguersi dagli illustri predecessori e poi c'è sempre il fantomatico centro cui appellarsi.

Di solito i film prevedibili mi annoiano e l'esito di Monti al riguardo era più che prevedibile, perdonatemi l'autocitazione ma un anno fa scrissi di «una sorta di oggettivazione della tecnica che a questo punto non sarebbe "né di destra né di sinistra"». Il film era talmente banale che la previsione era fin troppo facile. C'è da dire che la situazione di quella che si chiama destra in Italia è talmente miserabile che tocca pure esultare se Monti si propone alla guida di una destra presentabile ma detto questo mi pare che l'agone elettorale non stia risparmiando neanche il compassato Monti dal fascino delle battute ad effetto e possibilmente senza troppi argomenti. Magari prima o poi si comincerà con le promesse elettorali del tipo che verranno abbassate le tasse!

Durante il periodo festivo ho letto un libro che ho apprezzato molto e che consiglio fortemente di leggere. Il titolo italiano è La misura dell'anima. Perché le disuguaglianze rendono le società più infelici, di R. Wilkinson, K. Pickett, edito da Feltrinelli nel 2009 e in edizione economica nel 2012.  Qui trovate una recensione del libro. Gli autori sono due epidemiologi con solide basi in economia. Il libro è fitto di dati e grafici che dimostrano come il grado di benessere nei paesi sviluppati non sia guidato dal reddito assoluto ma dal grado di diseguaglianza in ogni società. In altre parole non conta il reddito assoluto ma la posizione sociale all'interno del proprio contesto. Quando si parla di benessere sociale si intendono indicatori quali tassi di mortalità, durata della vita, incidenza di ansia, malattie cardiache, salute mentale, obesità, incidenza delle gravidanze adolescenziali, tassi di criminalità, uso di sostanze stupefacenti, mobilità sociale ecc. ecc. Nei cosiddetti paesi sviluppati tutti questi parametri sono correlati con la disuguaglianza economica, ovvero all'aumentare della forbice tra ricchi e poveri c'è una diminuzione del benessere e la cosa più stupefacente è che in molti casi la riduzione del benessere è trasversale, tocca i poveri in maggior misura ma anche i ricchi. Oltre un certo livello dei redditi non è la povertà assoluta a determinare i disagi sociali ma la disuguaglianza relativa dei redditi. Una correlazione non è sempre indicativa di una relazione causa-effetto ma il libro fornisce solide e convincenti argomentazioni per ritenere fondato che tra disuguaglianza e disagio ci sia una relazione di causalità. Ai risultati presentati nel libro è dedicato il sito http://www.equalitytrust.org.uk/ di cui è disponibile una versione in italiano.
Tra i paesi con minore disuguaglianza dei redditi c'è la Svezia e il Giappone, sono modelli economici e politici diversi, quasi antitetici, la prima con una forte tassazione ed una politica redistributiva, il secondo con un contenimento a monte dei redditi. Tra i paesi con maggiore disuguaglianza ci sono gli Stati Uniti, dove la tassazione è vista come fumo negli occhi, la politica redistributiva è scarsa e il contenimento dei redditi è praticametne nullo. L'Italia occupa una posizione intermedia tra questi estremi. Sarebbe interessante sapere in quale direzione porterebbe l'Italia la politica di Monti.

Il nocciolo del discorso politico moderno parte da quelle tre parole che furono la bandiera della Rivoluzione francese: Libertà, Uguaglianza, Fraternità. Ora, per farla brutalmente breve, se uno ritiene che l'uguaglianza sia premessa fondamentale per ottenere libertà e fraternità allora è di sinistra, se uno ritiene che la libertà è premessa fondamentale per ottenere uguaglianza e fraternità allora è di destra. I dati dicono che a partire dagli anni '80 c'è stata un'impennata della disuguaglianza sia tra paesi sia all'interno dei paesi sviluppati, la storia dice che in questi ultimi paesi la visione politica imperante è stata di stampo neoliberista che io definisco di destra ma magari il professore Monti definisce di centro. Monti all'inizio del suo mandato ha parlato di equità, come siano andate le cose è sotto gli occhi di tutti. E' vero che la maggioranza relativa in Parlamento era la stessa che votava per «Ruby rubacuori nipote di Mubarak» ma non mi pare che le iniziative di Monti fossero orientate a stabilire con forza la priorità dell'uguaglianza sulla libertà. La lotta all'evasione andrebbe sicuramente nella direzione della solidarietà ma solo se i proventi servissero a ridurre le disuguaglianze.

Fino a quando ci sarà qualcuno che parla di storia dei paesi e altri parleranno di storia delle genti allora ci sarà destra e sinistra, fino a quando ci sarà chi considera l'uguaglianza la premessa della libertà e della solidarietà allora ci sarà la sinistra, fino a quando ci sarà chi pensa che il benessere di molti è il risultato dell'arricchimento di pochi (assunto peraltro più volte smentito dai fatti) allora ci sarà la destra. Fino a quando ci sarà chi pensa che salvare un paese significa salvare la sua gente allora ci sarà la destra e fino a quando ci sarà chi pensa che salvare la gente significa salvare il paese allora ci sarà la sinistra.

martedì 1 gennaio 2013

Capodanno

Brindiamo ancora una volta al capodanno,
fieri marinai che doppiano Capo Horn.

Rabbocchiamo il calice di tempo nuovo
e beviamolo d'un sorso,
ci servirà immaginarlo dolce questo fiele.

Si attraversano gli anni
su un ponte tibetano
e all'altro versante
saremo appena contenti
di non essere caduti.

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