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Se c'è una cosa di cui sono debitore a Marx è avermi insegnato che ogni individuo è soggetto storicamente determinato. Non parlo del determinismo storico giustamente criticato da Popper, quello che intende tradurre la storia in una serie di eventi scientificamente prevedibili. No, non parlo di quel determinismo, "La storia non si snoda / come una catena / di anelli ininterrotta", dice Montale, "In ogni caso / molti anelli non tengono". Trovo fallace quel determinismo e nel migliore dei casi confonde la speranza con la previsione. Non di meno resta valido il concetto che ogni individuo è soggetto storicamente determinato, imprevedibilmente determinato ma pur sempre determinato perché forgiato dagli avvenimenti storici che ha vissuto, sui quali ha ragionato e sentito, forgiato nel crogiuolo urbanistico in cui è nato e cresciuto, che è a sua volta il coagulo geografico della storia, dove il tempo si rapprende in spazio. Se Marx mi ha reso consapevole di questo, è l'essere nato in una provincia contadina che me ne ha dato le prove. Nel giro di quaranta anni ho avuto modo di vedere come è cambiata la gente intorno a me, come è dovuta cambiare pur credendo di rimanere la stessa. Da una piccola finestra ho visto come lavora la storia, i suoi sussulti, gli arresti, le brusche virate. Le città cambiano meno velocemente, con meno sussulti, con più regolarità. Forse è per questo che nelle città l'unico storicismo che può svilupparsi è quello della prevedibilità degli eventi, quello che, rovesciandosi, ha dato origine al florido edificio della manipolazione delle opinioni perché gli eventi da prevedibili diventassero, a forza, determinati. Quanti non si avventurano in questa idiozia restano nell'altra, quella che li fa percepire come esseri atemporali e aspaziali. Di tanto in tanto viaggiano, perché godono di buone condizioni economiche, ma più spesso non fanno altro che spostarsi da un posto all'altro. Eppure è nelle città che si fa la storia ufficiale. La vita provinciale rimane indietro rispetto alla storia delle città poi, all'improvviso, come per recuperare il tempo e lo spazio perduto, comincia a correre a perdifiato, spesso imboccando direzioni che la fanno perdere per vie impervie, vicoli ciechi e luoghi disabitati dove si ritrova senza riferimenti e con il fiato corto.
Sembra un'ovvietà ma la consapevolezza che noi in altri contesti storici e geografici, avendo vissuto altre vite, avremmo probabilmente, almeno probabilmente, imboccato altre strade, fatto altre scelte, non è così scontata. Ci si percepisce come entità immutabili in qualunque contesto perché spesso l'unico esercizio mentale che si fa è immaginarsi teletrasportati altrove, ma non basta per capire cosa saresti altrove, è un esercizio mentale errato, per menti stanche e viziate da troppa televisione.
Se fossi nato e cresciuto a Gaza, sotto occupazione israeliana e fossi sempre vissuto lì cosa sarei, chi sarei? Se le mie condizioni sociali fossero state tali da non poter neanche concepire una via di fuga cosa starei facendo in questo momento? Starei qui a scribacchiare su una tastiera di un pc pensando che una discussione razionale è la via maestra per risolvere i conflitti? Io credo di no. La probabilità che stessi facendo qualcosa che io, qui, in questo momento, trovo biasimevole sarebbe altissima. Non capirlo forse è conseguenza dell'essere nati e cresciuti nel ventre della vacca, per usare un'espressione della mia lontana provincia.
E' vero, c'è sempre la possibilità di una strada diversa, non ci sono strade che inesorabilmente e necessariamente vanno imboccate per lo stesso motivo per cui il determinismo storico non esiste, ma è improprio assumere questa possibilità a certezza, è un errore etico prima che logico.
Ciao Antonio, aspetto di leggere qualche commento. Per me l'argomento è troppo difficile e quindi tralascio anche se leggere mi piace molto.
RispondiEliminaUn abbraccio
Nou
P.S. non conosco la lingua inglese
RispondiElimina«Ho visto ragazzini adescati e uccisi dai soldati israeliani nel campo profughi di Gaza di Khan Younis. I soldati imprecavano contro i ragazzi in arabo dagli altoparlanti della loro jeep corazzata. I ragazzi, circa 10 anni, allora lanciavano pietre contro un veicolo israeliano e i soldati aprivano il fuoco, uccidendo alcuni, ferendone altri. Ero presente più di una volta quando le truppe israeliane attiravano e sparavano ai bambini palestinesi in questo modo. Tali incidenti, nel lessico israeliano, diventano bambini coinvolti nel fuoco incrociato. Ero a Gaza, quando jet d'attacco F-16 lanciavano bombe a frammentazione di 1.000 chili sui tuguri sovraffollati a Gaza City. Ho visto i cadaveri delle vittime, compresi i bambini. Questo è diventato un attacco chirurgico su una fabbrica di bombe. Ho visto Israele demolire case e interi condomini per creare ampie zone cuscinetto tra i palestinesi e le truppe israeliane che circondano Gaza. Ho intervistato le famiglie indigenti e senzatetto, alcuni accampati in rifugi rudimentali eretti tra le macerie. La distruzione diventa la demolizione delle case dei terroristi. Sono stato nei resti delle scuole - Israele ha colpito due scuole delle Nazioni Unite negli ultimi sei giorni, provocando almeno 10 morti in una a Rafah domenica e almeno 19 nell'altra nel campo profughi di Jebaliya mercoledì - così come cliniche mediche e le moschee. Ho sentito Israele sostenere che i razzi erranti o i colpi di mortaio provenienti dai palestinesi hanno causato queste ed altre morti, o che le zone attaccate venivano utilizzate come depositi di armi o siti di lancio. Io, insieme ad ogni altro giornalista che conosco che ha lavorato a Gaza, non ho mai visto alcuna prova che Hamas usi i civili come "scudi umani".» Chris Hedges, Perché Israele mente, 3 agosto 2014.
RispondiEliminaÈ mia opinione, lo è sempre stata, che Israele mente perché ha cattiva coscienza e troppi soldi da sprecare in armi. I conflitti in medioriente così durevoli e irrisolvibili sono una spina nel cuore per chi è lontano e vita di terrore per la popolazione. Di certo l'Occidente non fa abbastanza per convincere a porre fine a guerre assurde.
RispondiEliminaGrazie per la traduzione.
A presto
Nou
Grazie a te per esserti fermata qui. a presto.
EliminaE’ terribile la testimonianza di Chris Hedges che introduce il tuo post, l’uomo, sia esso israeliano, tedesco, americano o italiano, in particolari contesti (come quello di una guerra) può dare il peggio ( il meglio) di sé; il fatto è che questo peggio (il meglio meno, a dire il vero) si propaga anche al di fuori del contesto specifico e non è raro che qualcuno dall’esterno possa scrivere sul suo blog che quella è una guerra giusta, che stanno combattendo il bene contro il male, che è necessario bombardare Gaza, che è inevitabile che muoiano dei civili (bambini compresi), che si lanci la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, che questa è una guerra che eliminerà tutte le altre guerre, e altre varie amenità di questo tipo.
RispondiEliminaNello specifico del conflitto israeliano-palestinese, io credo che oltre alle motivazioni parziali e locali, inerenti ai due popoli in conflitto e alla zona dove questo sembra avvenire, bisognerebbe estendere l’analisi al più vasto scenario dei rapporti di forza mondiali per comprendere meglio cosa sta accadendo.
Intanto, secondo me, non è vero che stanno combattendo soltanto israeliani contro palestinesi, in passato hanno partecipato attivamente al conflitto anche inglesi, americani, egiziani, siriani, giordani, iracheni, …, poi ci sono i “simpatizzanti”, interi stati, o gruppi politici (o extra-politici), oppure persone singole che fanno il tifo per gli uni o per gli altri.
C’è chi li arma, chi li sostiene economicamente, chi butta legna sul fuoco … non staremmo qui a parlarne se non comprendessimo o intuissimo che questo è un conflitto cruciale, in cui non sono in gioco solo le sorti di due popoli, ma si sta giocando qualcosa di molto più grande.
Non basterebbero i morti o la durata del conflitto ad accendere su di esso i riflettori ogni volta che c’è una recrudescenza, in Darfour, nel Sahel, in Somalia, in Libia, in Siria e in altre parti dell’Africa o del globo muoiono di guerre, carestie e saccheggi molte più persone che a Gaza, eppure, questo sembra un conflitto più importante e più urgente di tutti gli altri insieme.
Da un lato c’è una parte del mondo piuttosto piccola rispetto alla popolazione rimanente, diciamo all’incirca un buon 20%, l’Occidente, che dotato di una tecnologia bellica e civile superiore al resto del mondo, provvisto di un certo spirito predatorio e di avventura, sprovvisto di scrupoli, si muove nel mondo alla ricerca delle materie prime essenziali per poter vivere bene (si calcola che questo misero 20% di popolazione mondiale consumi o sprechi l’80% circa delle risorse mondiali).
La storia dell’Occidente (per non dire la storia mondiale) inizia con queste escursioni o queste guerre di rapina e di saccheggio, a partire dalla spedizione degli argonauti in argolide, dalla guerra di Troia, ad Alessandro Magno, all’impero romano, ai conquistadores spagnoli, al colonialismo britannico, francese, italiano, olandese, …., alla tratta degli schiavi, fino al moderno colonialismo fatto di sfruttamento del suolo come discarica di scorie industriali e nucleari, sfruttamento dell’uomo, sfruttamento delle materie prime possedute dai paesi poveri o non tecnologicamente avanzati.
Fra queste materie prime, cruciale è il possesso e la gestione del petrolio, sarebbe impensabile la nostra civiltà senza l’oro nero, il commercio, la produzione dei beni di prima necessità, lo svago, è affidato al petrolio; il possesso o meno di più o meno petrolio decreta chi vincerà o perderà una guerra … a battere Rommel in Africa non furono soltanto la superiorità numerica schiacciante di uomini e mezzi alleati, ma il fatto che i panzer tedeschi dovettero essere abbandonati nel deserto perché non c’era più benzina.
(segue)
Gli USA possiedono ingenti quantità di petrolio nel loro territorio, ma comprendono bene che se vogliono dominare il mondo devono impossessarsi anche del petrolio che non si trova nel loro territorio; la zona al mondo più ricca di questo idrocarburo è il Medio Oriente, ed è dalla disgregazione dell’impero ottomano che l’Occidente cerca di metterci le mani sopra.
RispondiEliminaGli USA sembrano esserci riusciti piuttosto bene sostenendo governi fantoccio, esportando democrazia altrove, creando pericolosi terroristi da combattere, bombardando, blandendo e spiando gli stati pecore nere e gli stati canaglia.
La Palestina non possiede petrolio, però si trova in una zona ottimale per controllare il Medio Oriente e uno stato come quello di Israele, che non sarebbe sopravvissuto senza l’aiuto indiretto dell’occidente (USA e Gran Bretagna in testa), che per forza di cose è costretto all’alleanza con chi lo sostiene e ad esservi leale oltre ogni limite, perché da questo dipende la sua stessa esistenza, fa comodo agli USA e all’Occidente tutto come baluardo delle “democrazie” occidentali, e come base strategica da cui far partire raid e incursioni punitive.
Della sorte dei palestinesi sembra non importare niente a nessuno, non all’Occidente che comprende benissimo come il proprio “stile di vita” dipenda dalle sorti del dominio occidentale in Medio Oriente, non agli stati arabi, sempre divisi e frammentati in una miriade di popoli e nelle infinite ramificazioni e sottoramificazioni dell’Islamismo, che talvolta sembrano sostenere la causa palestinese, spesso in maniera interessata, talaltra la dimenticano con una facilità incredibile.
Anche in Italia non troverai molti sostenitori della causa palestinese, pochi gruppuscoli di sinistra, ma non certo la “sinistra” ufficiale, quella che si definisce sinistra in Parlamento, e qualche singola “anima bella”, novello Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento e che inevitabilmente si attira le accuse (ormai scontate) di antisemitismo e pure qualche insulto o qualche commento cretino sul blog.
Ma, per avvicinarmi di più a ciò che scrivi riguardo al “determinismo storico”, alla contestualizzazione e alla storicizzazione (non solo ontologica) del comportamento umano, voglio concludere con una frase estratta da Piattelli-Palmarini (Livelli di realtà, Feltrinelli, 1984): “La gente non vive in mondi fisici diversi, bensì in mondi conoscibili diversi” (p. 429).
In altre parole e con un esempio, se durante una notte d’estate vengo svegliato da una finestra che sbatte, mi comporterò in maniera completamente diversa e proverò emozioni molto differenti se penso che a far sbattere la finestra sia stato il vento che preannuncia un temporale estivo, il gatto, i ladri, un serial killer, i marziani, …
Ben tornato, un abbraccio.
Su questo conflitto si è detto e soprattutto taciuto di tutto. I media mainstream hanno diffuso solo quello che era sicuro i loro ascoltatori avrebbero accolto, loro sono i terroristi noi i civili, loro sono i cattivi noi i buoni e siccome l'occidente è buono va da sé che chi si dice occidentale è buono e con questo spero che il solito imbecille di passaggio non concluda che sto dicendo che i buoni stanno dall'altra parte! Si parla solo delle "emergenze" della storia, le radici si ignorano. I pochi Chomsky o Hedges vengono ignorati. La loro lettura che anticipa il futuro passa inascoltata. In queste occasioni vanno alla grande criptonazisti appassionati d'arte, blogger specializzati in pepate di cozze, interpunzione impeccabile e che non ammettono nei loro blog quegli imperdonabili segni demotici :-|
RispondiEliminaA presto.