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giovedì 27 febbraio 2020

Sulla nuova peste

Trionfo della morte, Palazzo Sclafani, 
Galleria regionale di Palazzo Abatellis, Palermo (1446).
A proposito di quanto sta accadendo in questi giorni propongo un articolo molto interessante e ben scritto di Mattia Madonia. Al di là di trovare una primogenitura nella letteratura distopica o storica è condivisibile l’analisi di fondo della natura umana. In questi giorni sono molti i titoli che tornano alla mente, uno su tutti il Decameron di cui va per la maggiore una lettura frivola e ridanciana, dovuta più alla superficialità dei lettori che all’intento dell’autore che pareggia Dante laddove questi scrisse la commedia divina e lui scrisse la commedia umana, fatta di inganni, mezzucci, espedienti, cattiveria frammista a sapienza e amore, e l’impossibilità di distinguerle, come i tre anelli di Melchisedech. Lui, Boccaccio, la peste la vide per davvero e di quello che scrisse nell’introduzione alla prima giornata fu testimone oculare «...pervenne la mortifera pestilenza: la quale, per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle d’inumerabile quantità de’ viventi avendo private, senza ristare d’un luogo in uno altro continuandosi, verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata. [...] E lasciamo stare che l’uno cittadino l’altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell’altro cura e i parenti insieme rade volte o non mai si visitassero e di lontano: era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata ne’ petti degli uomini e delle donne, che l’un fratello l’altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo marito; e (che maggior cosa è e quasi non credibile), li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di servire schifavano.». Nella sua scarna prosa c’è già tutto quello che della natura umana hanno detto autori immensi come Manzoni, Camus, Saramago, ma non dimenticherei Huxley con il suo mondo nuovo o Golding con il suo signore delle mosche. Camus e Saramago hanno una peculiarità che non appartiene agli altri non solo perché fanno una disamina antropologica più che storica (e qui non sono d’accordo con Madonia che confina Camus a un periodo storico), lo fa anche Golding, ma perché entrambi prendono le mosse da una visione umanistica di sinistra. Una visione disillusa (il pessimismo della ragione) che pure s’aggrappa con le unghie e con i denti alle istanze sociali nel tentativo di dare una spiegazione e una soluzione (l’ottimismo della volontà) per raddrizzare il legno storto dell’umanità, come lo chiamava Kant. Noi ci siamo chiamati sapiens perché per un accidente evolutivo abbiamo ricoperto di neocorteccia gli strati più bassi del nostro cervello privilegiando un quantum evolutivamente marginale facendone la totalità e affermando addirittura che abbiamo perso gli istinti. È falso. Non c’è niente di più falso e non averne coscienza è il peccato originale di arroganza che ci fa cadere dalle nuvole vedendo episodi come quelli di questi giorni. Episodi di cui partecipa la politica (con i soliti bulli che non è neanche igienico nominare), l'informazione (altro che "un po’ colpevoli" come diceva ieri sera un autoassolutorio Severgnini. Tanto colpevoli!), la stessa scienza (con l’insostenibile protagonismo di professionisti pur esimi come Burioni). È tempo di autocritica, per tutti, ma non ci sarà. Saranno i soliti inascoltati pochi a farla, inutilmente peraltro perché se la fanno è perché l’hanno già superata, sulla loro pelle, come Camus. Gli strati più bassi del cervello, che non significa inferiori, continuano a lavorare e guai se così non fosse e quegli strati alti possono essere facilmente silenziati. Gli strati più alti sono recenti, abbiamo scoperto che vanno educati, formati, custoditi, anche frenati (per non finire nel mondo nuovo di Huxley o in quello di Orwell). Abbiamo inventato la scuola per questo. Abbiamo fondato filosofia, etica, scienza, politica. Tutte cose che chiedono continua cura, per non essere dimenticate, per non tornare allo stato selvatico in cui vince la forza bruta. Dove sono tutte queste cose? Che fine hanno fatto tutte queste cose? Solo con quegli strumenti possiamo guardare al di là del nostro naso, solo con quegli strumenti possiamo pensare al mondo dei prossimi decenni e non solo all'amuchina che troveremo tra cinque minuti.
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