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mercoledì 17 luglio 2019

Il giorno che i morti persero la strada di casa

"Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari.
Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.

Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all’alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l’avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall’aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre.

I dolci erano quelli rituali, detti “dei morti”: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, “rami di meli” fatti di farina e miele, “mustazzola” di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il “pupo di zucchero” che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest’anno i morti?». Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l’anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo.

Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un’affettuosa consuetudine. Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l’albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e “stampato”, come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire."

Il giorno che i morti persero la strada di casa, da Racconti quotidiani di Andrea Camilleri.

martedì 16 luglio 2019

Eclisse


Ho coltivato il cuore a sale e maggese,
campo aperto concimato di vento.
Negli occhi ho seminato  tramonti
per il raccolto della stagione feroce
quando il sole torna sui suoi passi
e preghiera di cicale si alza al Dio assente.

Nelle sere di luna piena
cadono frutti acerbi,
gonfi di giorni e spine.
Rosa bianca che attendi il mattino
da qualche distanza nel buio
stasera vedremo lo stesso cielo.

mercoledì 10 luglio 2019

Il finale della commedia borghese

Balzac fu osservatore acuto dell'epopea borghese. La sua opera è una summa della commedia umana, come egli stesso chiamò il suo corpo di scritti, nell'ascesa della classe borghese. Se si vuol capire come il denaro possa essere il motore "che move il sole e l'altre stelle" della borghesia allora Balzac è autore irrinunciabile. Con il Robinson Crusoe di Defoe comincia a delinearsi l'homo economicus e il minuzioso calcolo di efficienza e ottimizzazione delle risorse ma è con Balzac che vediamo la degenerazione di questo processo che, se all'inizio aveva lo scopo di elevarsi dalle angherie della sorte e della natura, alla fine avrà come solo scopo il continuo, asintotico, maniacale miglioramento delle prestazioni raggiunte. Balzac è lontano dalla matematizzazione dell'accumulo eppure vede con chiarezza profetica l'esito dell'affannosa affermazione tramite l'equivalente generale del denaro. Significativamente lo vede in un'opera che resta incompiuta perché la trama stava diventando sempre più complicata. I piccoli borghesi è un'opera metaletteraria perché più che nello sviluppo il suo valore è nell'essere rimasta incompiuta. L'artificioso e serpentino succedersi di eventi, l'accatastarsi di sorprese, colpi di scena e di espedienti meschini doveva interrompersi bruscamente. Balzac non ci pensa troppo, l'intreccio è diventato una matassa inestricabile, Balzac non sa come continuare, interrompe e comincia un'altra opera ma I piccoli borghesi continuano a dire che l'esito di quella storia non poteva essere altro che una brusca interruzione. I piccoli borghesi finiscono nel solo modo in cui potevano finire, annichiliti nel nulla costruito con le loro stesse mani attraverso la penna del loro autore. Lo scrittore passa ad altro e i personaggi di quell'opera finiscono nel nulla. Alla morte di Balzac altri tenteranno di completare l'opera ma saranno goffe caricature dell'affresco di Balzac e saranno presto dimenticate.
I personaggi di I piccoli borghesi sono incastonati in un flusso di eredità, investimenti, spese, acquisti di titoli e immobili, passaggi di cambiali e proprietà. Il carattere stesso dei personaggi è definito dalla storia e dalla geografia dei loro possedimenti, dai passaggi di proprietà e di carriere che rendono necessaria e inevitabile la stessa esistenza dei personaggi. La borghesia, con i suoi interminabili e affannosi traffici, con le sue ansie di affermazione, appare l'esito di una qualche razionalità superiore. Con Marx è l'esito del conflitto storico tra classi, con Balzac, che Marx ammirava, la borghesia è il quadro razionale di un meccanismo che assicura la circolazione della ricchezza. Il meccanismo trascende la stessa razionalità del divenire storico in cui le classi hanno un ruolo attivo e i personaggi appaiono mere pedine di una macchina il cui movimento è assicurato dalla circolazione del denaro. Con Balzac si potrebbe riscrivere la celebre provocazione di Richard Dawkins in Il gene egoista: «Noi siamo macchine da sopravvivenza, robot semoventi programmati ciecamente per preservare quelle molecole egoiste note sotto il nome di moneta». Dawkins non parlava della moneta ma dei geni ma la metafora con Balzac funziona benissimo.
La critica che Aristotele indirizza alla  crematistica ci dice che stiamo parlando di meccanismi antichi ma le rivoluzioni borghesi di molti secoli dopo determinano la diffusione della classe sociale che fa della "ricchezza che non ha alcun limite" il senso dell'esistenza. Molti si sono accorti delle degenerazioni di Mammona, soprattutto quel Marx che umanisticamente vagheggiò dell'emancipazione dai bisogni ma come spesso accade nella storia i sogni diventano incubi e il tentativo di raddrizzare il legno storto dell'umanità ha originato tragedie peggiori del male che si voleva curare. Pur tra mille incidenti e brusche virate della storia è stato costruito un tessuto di principi che garantisse la civile convivenza, l'eguaglianza e la solidarietà. Le classi popolari, un tempo fuori dalla storia, sono assurte a protagonisti della storia diventando borghesi ma i discendenti della famiglia Phellion sono stati rapidamente messi in minoranza. Sono i "professoroni" che si appellano a principi stantii. Ora è il tempo dei Théodose de La Peyrade, dei Thuillier e delle Brigitte. Le antiche pulsioni hanno prevalso e si è finiti presto nelle mani di banchieri del popolo di ogni risma. E le classi popolari? Le classi popolari, colpevoli e vittime di questo rivolgimento, dopo aver partorito il proprio divoratore sono state nuovamente espulse dalla storia. Espulse da truffatori e arrivisti che indossano gli abiti del popolo, da vecchi e nuovi aristocratici che restano invisibili e continuano a prosperare sulle miserie del mondo.
I mascalzoni del popolo che beneficiano del disagio sociale sono fantocci perfetti per vincere, sia pure temporaneamente, la sfiducia che serpeggia nel tessuto sociale e lo sfibra. Sfiducia nella politica, nella scienza, nelle istituzioni, sfiducia alimentata ad arte per rivolgere la rabbia dei penultimi contro gli ultimi e distrarre l'attenzione già poco coltivata nelle classi popolari dai problemi che strangolano la società. I finti amici del popolo, imbottiti di miliardi e supponenza, diventano presidenti degli Stati Uniti, diventano ministri degli interni plenipotenziari, mangiano alle sagre popolari e fanno affari con le lobby delle armi e del petrolio, promettono la riduzione delle tasse e avvelenano l'atmosfera dei figli del popolo con fumi tossici di anidride carbonica e di odio. I finti amici del popolo si mettono alla guida di macchine complesse senza aver passato l'esame della scuola guida perché sono convinti che basta essere giovani e figli del popolo per fare bene gli interessi del popolo. La classe borghese progressista ha dimenticato il ruolo che ha avuto nelle rivoluzioni borghesi, si è allontanata dal popolo e il popolo, l'informe Proteo, l'ha sfiduciata. Il popolo ha sfiduciato una parte di sé stesso come in una malattia autoimmune in cui i confini tra corpo estraneo e corpo aggredito non sono più distinguibili e la cura è un'impresa non sempre possibile.
La colpevole, fugace e intermittente fiducia del popolo va da un Masaniello all'altro che, al grido "Viva 'o Re 'e Spagna, mora 'o malgoverno", guida la rivolta di...
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