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domenica 24 giugno 2018

La cattura del gatto [Note(10)]

Anche se un riferimento al rapporto tra l'intero e le sue parti compare già nella Metafisica di Aristotele alla piena consapevolezza di tale importante distinzione la scienza è definitivamente approdata alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, quando Ludwig von Bertalanffy pubblicò la Teoria Generale dei Sistemi[1] sebbene già nel 1913 Alexander Bogdanov[2] intuì le proprietà dei sistemi. Ad ogni modo il pensiero cosiddetto sistemico ha aperto nuove prospettive epistemologiche portando, attraverso l’approccio olistico, l’attenzione verso le proprietà cosiddette emergenti dei sistemi e, ancora più importante, consentendo di rilevare la complessità organizzativa dei sistemi, aspetti dell’essente che l’approccio riduzionistico non consente di rilevare.
Questo pensiero è stato estremamente fecondo e si è intrecciato con i più diversi ambiti del sapere e dell’agire umano, dalla cibernetica alla biologia evoluzionistica, dalla psicologia all’economia, dalla linguistica alla politica. In quest’ultimo ambito ha avuto particolare successo una forma alterata dell’approccio olistico e il ricorso alle proprietà dei sistemi ha visto entusiasti esponenti delle più svariate correnti politiche che nei momenti di crisi sventolano la bandiera del sistema che deve sembrare sicuramente più decorosa degli stracci sporchi delle catene di azioni dei singoli soggetti. Nel desolante tentativo di liberarsi di quel grandioso concetto che si è sviluppato in seno alla cultura cristiana, ovvero l’individuo, e delle responsabilità che questo concetto comporta si è ricorso, si ricorre e si ricorrerà, in maniera sfacciatamente disinvolta ad argomentazioni di carattere sistemico, che ovviamente non rivelano un approccio razionale alla complessità dei fenomeni sociali e politici bensì rendono manifesta una imbarazzante mediocrità a occultare malefatte e atti di dubbia eticità.
Il ricorso al sistema, nell’accezione degenerata qui richiamata, ha raggiunto particolare risonanza quando, negli anni ’90, l’inchiesta Mani Pulite avviata dal tribunale di Milano, smantellò un’intera classe politica che reggeva le sue attività sulla corruzione e che aveva fatto delle mazzette la regola della prassi politica. Allora non furono in pochi a costruire le proprie difese sull’argomentazione che il sistema funziona così e che non si può fermare il sistema. Si ricordi l'appello di Bettino Craxi al marciume del sistema sventolato come argomento autoassolutorio, roba peraltro largamente anticipata dalla cultura popolare del mal comune mezzo gaudio.
Sono trascorsi più di 20 anni da allora, il sistema si è evoluto. L’Italia è passata dalla prima alla seconda repubblica e ci avviamo verso la terza, che qualcuno considera già insediata. Qualche uomo politico degli anni '90 è in via di beatificazione postuma e dopo i governi Berlusconi, una sequela di governi tecnici, il magma pentastellato e la fabbrica dell'odio leghista la cosiddetta società civile, che fino a ieri dormiva sonni tranquilli ignorando i principi più elementari della democrazia, oggi si è data una pseudo-organizzazione continuando a ignorare i principi più elementari della democrazia e non solo. Il concetto di sistema è servito per portare al potere i cosiddetti partiti antisistema, trascurando che anche impedire ai cretini di avere ruoli di comando può avere effetti benefici per la gestione della cosa pubblica. Berlusconi, per una astuzia della ragione che sfuggirebbe al più disincantato Hegel, torna a essere considerato il salvatore della nazione. I sistemi solitamente si organizzano secondo un criterio di parsimonia energetica, a questo principio proprio dei sistemi fisici toccherà aggiungerne altri squisitamente sociali, di parsimonia intellettuale per descrivere l'attuale situazione e di parsimonia morale quando Berlusconi farà da contrappeso a Salvini.

[1] Ludwig von Bertalanffy, Teoria Generale dei Sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni. Mondadori, 1983.
[2] A. Bogdanov, Saggi di scienza dell’organizzazione, Edizioni Theoria, 1988.

sabato 2 giugno 2018

Santa Terra

Q4 §80. Letteratura e vita nazionale. Plinio ricorda che Timante di Sicione aveva dipinto la scena del sacrificio di Ifigenia effigiando Agamennone velato. Il Lessing, nel Laocoonte, per primo (?) riconobbe in questo artificio non l’incapacità del pittore a rappresentare il dolore del padre, ma il sentimento profondo dell’artista che attraverso gli atteggiamenti più strazianti del volto, non avrebbe saputo dare un’impressione tanto penosa d’infinita mestizia come con questa figura velata, il cui viso è coperto dalla mano. Anche nella pittura pompeiana del sacrifizio d’Ifigenia, diversa per la composizione generale dal dipinto di Timante, la figura di Agamennone è velata.
[...]
Nelle pitture pompeiane esistono altri esempi di figure velate: es. Medea che uccide i figli. La quistione è stata trattata dopo il Lessing, la cui interpretazione non è completamente soddisfacente?
(Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, 1948.)


Una fotografia mostra ciò che di per sé è evidente. Non si danno fotografie che negano l’immagine all’occhio che guarda, non sarebbero fotografie. Eppure sappiamo che la nostra vista non coglie tutto, ci sarà sempre qualcosa che si nega alla vista. Ci sarà sempre, anche in una fotografia, qualcosa che si cela.
Le foto di Giovanna portano in primo piano non ciò che si nega, ché resterà sempre negato, bensì la chiara consapevolezza che ciò che si mostra non può essere tutto quello che vediamo. Se dovessimo tradurre le foto di Giovanna con le parole diremmo che più di ciò che si dice è importante ciò che si tace, non per gioco intellettuale ma per pudore, discrezione, intimità e profondità dell’insondabile emotivo e biografico.
La presenza dell’assente è ingombrante in queste foto e fa tornare alla mente la poesia di Attilio Bertolucci, “Assenza, / più acuta presenza. / Vago pensier di te / vaghi ricordi / turbano l'ora calma / e il dolce sole. / Dolente il petto, / ti porta come una pietra / leggera.”
L’assenza diventa acuminata presenza, si sottrae alla vista eppure la sentiamo con ogni fibra del corpo. Giovanna azzarda un’impresa difficile, fotografare l’assenza e lo fa in maniera rispettosa, perché quell’assenza parli senza essere violata. Giovanna è consapevole del rischio di scontrarsi contro un macigno di cose non dette, si muove con discrezione per non urtare assenze che occupano ogni anfratto dell’anima.
Giovanna entra nel sacrario in punta di piedi, in religioso silenzio. Qui si entra in una galleria di uomini e donne appena cacciati dal giardino incantato e che hanno ormai smesso di chiedersi ragione di tanto dolore. In questa galleria di memorie vediamo volti ammantati di silenzio e il silenzio ha la forma delle foglie della vite, più spesso dell'ulivo, le divinità che da sempre governano i destini dei salentini, anche quando vivono lontano dalla loro terra. Ogni volto è avvolto nel suo sudario di silenzio. Non ci sono silenzi comuni, ognuno ha il suo, ognuno la sua foglia per coprire la vergogna di una vita offesa dalla storia, per velare lo strazio del sommo sacrificio, quello in cui ognuno immola sé stesso. Le foglie coprono i volti in foto rubate nei momenti di festa, volti ritratti in studiate pose di Grazie contadine che si tengono le mani in un intreccio di fatalità, volti di giovani pieni di vita che sfidano il futuro dimenticando per un attimo le sue rappresaglie, volti di eterne matriarche che cullano gli ultimi nati, i soli a non avere ancora il volto coperto.
I volti ritratti da Giovanna non sono volti negati, sono volti insondabili come la terra con cui hanno vissuto in risonanza, come la terra che ha ancora le impronte dei loro sguardi che qui intravediamo. Una terra percorsa da muri a secco di pietre tenute insieme dalle tele dei ragni, da sentieri sterrati come i volti da rughe, mappe segrete di viaggi sempre troppo lontani da casa, mappe ingiallite dal tempo e volti nascosti che oggi abbiamo paura di guardare.

Osservando attentamente queste foto scopriamo che le foglie non sono solo maschere che coprono sancta sanctorum di intimità, forse quelle foglie servono soprattutto per proteggere noi stessi dal terrore che abbiamo di annegare nell'abisso di quei volti.

***

Giovanna Marsano presenta la sua mostra fotografica SANTA TERRA nel contesto del progetto TERRE curato Anna Chiara Anselmi. La mostra sarà inaugurata alle 18:00 di sabato 16 giugno 2018 nella galleria Grafica Campioli a Monterotondo e sarà visitabile da martedì a venerdì dalle dalle 17:00 alle 20:00 fino al 7 luglio. La galleria è nel centro storico di Monterotondo, adiacente a Palazzo Orsini (ora Palazzo Comunale) in Via Vincenzo Bellini, 46, a soli 25 chilometri da Roma.

Giovanna Marsano nella presentazione del suo progetto SANTA TERRA scrive:
«Esiste, ancora, un mondo nel quale il cielo scandisce il tempo e “le stagioni scorrono sulla fatica contadina”, un mondo nel quale, donne e uomini vivono la loro vita in simbiosi con quella della vite, degli ulivi, dei frutti e delle piante, come plasmati dalla stessa terra. Una sorta di giardino dell’Eden in cui il patto con la natura non è ancora stato rotto.
In tanti hanno calpestato quei campi, tante mani hanno toccato quei tronchi.
Se solo quel silenzio potesse parlare racconterebbe di lacrime, sudore, preoccupazioni, racconterebbe di vita, di morte e dell’instancabile lavoro di tutti coloro che vivono la terra tra odio e amore.
Gli uomini e le donne di “Santa Terra”, vogliono essere, simbolicamente, tutti gli uomini e tutte le donne del Sud, le maschere nascondono la loro identità, lasciando intravedere solo lo sguardo, ma svelano la loro essenza e il legame ombelicale che li unisce alla terra.
“Santa Terra” vuole essere un omaggio a loro, al loro lavoro e ai loro occhi pieni di albe e tramonti che non hanno conosciuto altro tempo se non quello della terra.»


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