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giovedì 22 gennaio 2009

Maggio romano

4 maggio 2007

Spett.le Osservatore Romano,

Mi permetto di inviare poche righe quale contributo per una serena riflessione, aiutata forse dalla distanza dall’articolo da voi pubblicato il 3 maggio in seguito ad alcune frasi pronunciate al concerto del 1° maggio a Piazza San Giovanni in occasione della Festa del Lavoro.

Terrorismo – 1. Il Governo del Terrore in Francia; estens., ogni metodo di governo fondato sul terrore. 2. Lotta politica, basata su violenze indiscriminate e destabilizzanti (uccisioni, sabotaggi, attentati dinamitardi, ecc.) impiegato da gruppi clandestini rivoluzionari…, atteggiamento intimidatorio basato su pressioni psicologiche ■ Norma di comportamento imposta coi modi dell’intimidazione e del ricatto. Der. di terrore
Terrore – 1. Senso intenso e sconvolgente di paura o di sgomento; 2. Persona o cosa che incute terrore; 3. Metodo crudele di esercitare l’autorità ■ Dal lat. terror-oris, der. di terrēre ‘atterrire’.

Questi i significati dei termini terrorismo e terrore secondo il Dizionario della Lingua Italiana di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli (Ed. 2004-2005). Data la presenza dell’elemento coercitivo e intimidatorio nel significato dei termini terrorismo e terrore mi pare decisamente imprudente (se non irresponsabile) da parte dell’Osservatore Romano considerare terrorismo le parole da un presentatore in occasione del concerto di Piazza San Giovanni. Certamente la lingua Italiana è così ricca di sfumature che è possibile concepire contesti in cui i termini possono essere utilizzati in senso lato e allora non è assurdo pensare a locuzioni come “terrorismo verbale” usate con troppa leggerezza quando non implicano l’elemento intimidatorio, in ogni caso la smisurata disponibilità di strumenti verbali non autorizza persone dotate di buon senso ad allontanarsi troppo dalla radice dei significati, pena la perdita delle origini semantiche ma, ancor più grave, delle strutture psicologiche che i termini evocano in chi ne fa uso.
Appare persino banale dire che terrorismo evoca tragedie irrisolvibili, vite spezzate e dolori insanabili mentre le affermazioni del giovane presentatore apparivano come espressioni di una opinione che niente hanno di terroristico per quanto tale opinione possa non essere condivisa; le modalità di espressione, il contesto giocoso in cui quelle frasi sono state pronunciate non possono seriamente far pensare a nulla di terroristico salvo facendo violenza alle parole pronunciate ed al loro contesto (chiedo venia dell’inevitabile rovesciamento della situazione).
Certamente in alcuni contesti le parole possono suscitare paura per le conseguenze che possono determinare ma l’opinione espressa a Piazza San Giovanni dal giovane presentatore, e mi riferisco in particolare al cosiddetto caso Welby, più che suscitare odio nei confronti della Chiesa, qualora considerate con sufficiente serenità, sommuovono le coscienze, fanno pensare a quel messaggio originario di amore universale di cui la Chiesa dovrebbe farsi carico e sentirne il peso e l’impegno.
E’ desolante da parte mia considerare credibile l’ipotesi, che la reazione dell’Osservatore Romano al presentatore del concerto del 1° maggio, reazione che non è certamente isolata, possa essere il frutto di un atteggiamento di disagio più che paura, uno stato d’ansia che nasce dall’effettiva incapacità da parte delle alte gerarchie ecclesiastiche di assolvere al proprio impegno, ovvero predicare quel messaggio di amore universale tra gli uomini, ritenuto forse secondario rispetto ad aspetti puramente teologici e dottrinali. I motivi di tale disagio sono complessi e molteplici e possono essere brutalmente sintetizzati invocando vari demoni: modernizzazione, primato di una razionalità puramente strumentale, riduzione dell’uomo a strumento sostituibile dell’apparato tecnico-economico e quant’altro attanaglia la nostra epoca in una morsa mortale. E’ comprensibile che non sentirsi all’altezza del proprio impegno genera frustrazione, rancore e a volte sentimenti di rabbia, ma è incomprensibile che non ci si accorga che tali sentimenti proclamano proprio la sconfitta di quell’impegno, intendo la sconfitta dell’impegno a predicare i valori di amore e fratellanza non la sconfitta dei valori, di cui per fortuna non si hanno depositari di nessuna ufficialità che non siano gli uomini e le donne nel loro diffuso e quotidiano vivere, pur “nella loro semplicità e nel loro disordine innato”.
Mi rendo conto che tale disagio è estremamente arduo da risolvere e spero che abbiate l’umiltà di voler affrontare la fatica, di voler considerare quanto l’atteggiamento di rifiuto delle opinioni altrui sia immensamente distante dall’ama il prossimo tuo. Da parte mia vi auguro tutta la lucidità possibile per poter superare l’impresa.
Sinceri saluti.

Roma, 04/05/2007
Antonio Caputo

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