Hannah Arendt |
C'è qualcosa di terapeutico nel "confinare" il male, nel circoscriverlo al mostro, all'immondo (fuori dal mondo), invece il male è nel mondo. Il male non è il mostro facilmente riconoscibile, il male è la quotidiana prevaricazione, la banale soverchieria, la comune indifferenza che dilaga ogni volta che rinunciamo al pensiero e alle emozioni per diventare parte di un sistema che chiede la nostra adesione. Il male è nelle pieghe quotidiane dei sistemi statali, politici, religiosi, nella burocrazia dell'obbedienza e del compiacimento. Il male è nella risata compiaciuta con il capo nei confronti di un collega, nella retorica della "normalità" con gli omosessuali, nell'assenza di empatia con gli immigrati, nell'evasione fiscale perché le tasse sono troppo alte, nelle disuguaglianze economiche e sociali perché i meritevoli si guadagnano la ricchezza, nelle piccole corruzioni quotidiane, riflesso di quelle più grandi per cui è facile indignarsi. Il male è considerare gli altri responsabili delle nostre azioni, è nel senso del dovere che fonda la coscienza morale e non viceversa, è nelle leggi che nascono da questo rovesciamento. Questo è il male del mondo, un male banale, spesso inevitabile, un male con cui fare i conti continuamente. Se il male è espulso dal mondo, se diventa il male immondo, allora il male banale può crescere indisturbato.
Il giorno della memoria assume la funzione di "confinamento" del male e in questi termini il male viene depotenziato, poiché espulso e espiato, ma il male è inespiabile e l'unica cosa che è possibile fare è riconoscere il male che si annida nel quotidiano. Il giorno della memoria, come ogni celebrazione ricorrente, assume valenza di ritualità in cui si possono riconoscere le analogie con il "confinamento" del sacro di cui parla Galimberti nel suo Orme del sacro. Tutto il male confinato ci libera dal male e ci lava da ogni peccato, pronti e puliti per commettere il prossimo. Il male è l'indefinito che abitiamo e che ci abita. Abbiamo bisogno di definire il male attraverso un processo razionale che lo confini in un luogo/tempo remoto ma questo confinamento è pieno di pericoli.
La Shoah è il simbolo più potente del male nella nostra epoca ma il simbolo può diventare simulacro che rappresenta tutto il male, il vaso di Pandora che lo contiene e ogni vaso di Pandora, prima o poi, viene aperto.
Concordo su tutto. E' un ottimo alibi attribuire al male le qualità della mostruosità, e in questo modo alienarlo e non sentirlo parte di noi, consentendoci di dire "noi con il male non c'entriamo". Non vediamo l'ora di essere deresponsabilizzati dal male e cogliamo ogni occasione per esserlo.
RispondiEliminaOttima integrazione al mio post. :-)
Ciao Antonio, un intervento questo tuo che va ben memorizzato, per questo lo vado a ripetere su Arpa eolica. http://www.arpaeolica.blogspot.it/
RispondiEliminaMarziano, ho avuto il piacere di condividere con te e con Nou le riflessioni che poi sono confluite in questo post. Alienare il male è un meccanismo umano, comprensibile, ma è lo stesso meccanismo che ci fa scivolare verso l'indifferenza e l'inconsapevolezza del male vicino, quel male che si avverte nel "non posso farci niente", nel sentirsi parte di un apparato tecnico che ci prescinde e che ci impone di essere quello che siamo. Se le ricorrenze, paradossalmente, diventano il meccanismo dell'alienazione non riesco a immaginare offesa maggiore per chi ha vissuto l'orrore della storia.
RispondiEliminaFrancesco ti tingrazio per la tua sensibilità e gentilezza.
Vi saluto entrambi.
«... il male nasce, e rinasce, ogni volta che una persona sia trasformata in cosa: in una cosa; e questo avviene, o può avvenire ogni giorno. Ogni volta, cioè, che togliamo all’altro la sua libertà, ogni volta che pietrifichiamo l’altro, o che lo immergiamo nelle acque della disperazione senza fine, con le nostre azioni o con i nostri gesti, ma anche solo con le nostre parole, noi siamo, e diveniamo, creatori di male, fabbricanti di male, operatori di male, e non di attenzione e di accoglienza, di bene e di solidarietà.
RispondiEliminaCon le nostre parole, certo, ma anche con i nostri sguardi gorgonici divorati dalla indifferenza e dalla impazienza, dalla fretta e dalla incapacità ad ascoltare, dal silenzio ghiacciato e impersonale, dallo svuotamento della vita interiore, noi diveniamo ancora portatori insanabili di male». (Eugenio Borgna, Come in uno specchio oscuramente, Feltrinelli, Milano, 2007, p. 93).
Eugenio Borgna sta parlando della storia della psichiatria, del trattamento dei malati mentali, dei manicomi, delle cure psichiatriche affidate a dei protocolli e non all’umanità della persone, ma non è difficile fare un paragone con i campi di concentramento nazisti (e non solo).
Ogni qualvolta l’altro è considerato inutile, superfluo, insignificante, pura massa intercambiabile al servizio di qualcosa di più grande di lui, si crea il male.
Il fatto che questo male sia banale è condivisibile, anzi la visione della Harendt ci apre orizzonti inediti, l’operatore del male non è da ricercare nel mostro, nel matto, nell’alieno, nello straniero, nell’inspiegabile, l’operatore del male è più spesso un grigio e triste burocrate, un tizio che pur dotato di intelletto e di sentimento ha smesso di farne uso (non tanto all’intelletto, per pianificare la “soluzione finale” ce n’era bisogno, quanto al sentimento, all’empatia, devi smettere di sentire l’altro come persona, uguale a te, che può provare dolore o che tu potresti provare dolore al suo posto … una scissione (spaltung) dice Heichmann durante il suo processo, una scissione (Spaltung) dice Freud per significare che l’affetto viene separato dalla sua rappresentazione.
(segue)
La questione è qui che Heichmann è tanto vittima del suo sistema tanto quanto Primo Levi, entrambi diventano puri ingranaggi di un sistema più grande di loro a cui loro partecipano volenti o nolenti, aderendovi o meno, ma entrambi ne pagano lo stesso prezzo in alienazione (non soltanto con la vita).
RispondiEliminaEd è estremamente facile scivolare in questi semplici meccanismi, non c’è intelligenza che possa fungere da baluardo (altrimenti non si spiega l’adesione di Heidegger al nazismo e di Pirandello al fascismo), credo che abbia a che fare invece con dinamiche molto semplici, banali, individuate da millenni.
Nella necropoli reale di Saqqara, poco distante dal Cairo, in cui riposano i faraoni fino alla terza dinastia (tremila anni prima di Cristo), è stata rinvenuta un’immagine che rappresenta un uomo seduto che osserva accanto a un occhio. Le parole a commento di questa immagine sono: Il soggetto, che come l’occhio vede tutto me non vede se stesso, si determina interamente negli oggetti visti”.
E’ molto facile vedersi come cosa fra le cose, oggetto fra gli oggetti; esseri umani non nasciamo, lo diventiamo, e per rimanere tali dobbiamo conservare la capacità di vederci in tal modo, dobbiamo conservare quell’occhio che vede se stesso, che ci permette di vederci come persone e di vedere anche gli altri come persone in relazione a noi.
Gli ebrei stessi sono scivolati, non solo oggi che attaccano il popolo palestinese, ma già allora che attaccavano la Harendt e chiunque non aderisse ciecamente all’immagine vittimistica che si erano dati, in cui loro erano il bene assoluto e il nazismo il male assoluto (negando un’evidenza enorme: che nessun nazismo sarebbe riuscito a sterminare 6 milioni di ebrei senza l’aiuto decisivo non solo di stati alleati come l’Italia, ma di stati nemici ed occupati come ad esempio la Francia e quello inconfessabile dei capi di molte comunità ebraiche che la stessa Harendt accusò e che era emerso nel processo Heichmann).
C’è chi continua a fare liste di proscrizione su chi sono oggi gli “antisemiti” (e non dubito che anch’io per questo scritto ne sarei annoverato), io mi chiederei piuttosto chi sono gli ebrei oggi?
Ciao
Garbo la domanda che poni alla fine del tuo commento raccoglie tutto il senso del mio breve post e di questo nostro scambio. Chi dovesse annoverarti tra gli antisemiti mostrerebbe solo di aver letto con imperdonabile superficialità quanto scrivi, non troverebbe gradita accoglienza qui.
EliminaMi preme soffermarmi solo su un passaggio del tuo commento, quando dici che vittima e carnefice sono entrambi ingranaggi di un sistema. Questo è vero ed è necessario capirlo per non ripetere la stessa storia ma non intendo assumere lo sguardo di Dio al riguardo. Rivendico lo sguardo dell'uomo che deve distinguere tra un ingranaggio e l'altro, è l'etica che mi impone questo sguardo. Contrariamente alle baggianate che si dicono da un paio di millenni, Dio è entità a-etica perché se misuriamo le conseguenze delle azioni sulla scala dell'eternità, allora tendono tutte ad essere uguali e insignificanti, come per quelle relazioni matematiche al limite, che tendono a zero per x che tende all'infinito.
Torniamo, con Borgna (ti ringrazio per averlo citato), al caro vecchio Kant e al suo immenso imperativo categorico, "ogni uomo è un fine, mai unicamente un mezzo", non abbiamo mai veramente capito questa pietra filosofale. A presto.
Contro il male ci è richiesta una militanza continua perché parte dalla banale quotidianità del nostro agire e del nostro pensare. Ne sono fermamente convinta. Ci è richiesto di riflettere e di capire sul risvolto delle nostre azioni. Anche le piccole azioni, gli atteggiamenti come nella risata compiaciuta con il capo nei confronti di un collega o anche nella risata compiaciuta fra allievo e insegnante nei confronti di un altro allievo, la soverchieria di chi si sente “più” e la compiacenza di chi dovrebbe essere maturo e imparziale: costoro non sanno che stanno esibendo il male ma considerano “normale” il pensiero rovesciato e se uno capisce subito e l’altro ci impiega di più non è certo colpa loro; se gli altri sono poveri non è certo colpa loro, se gli altri sono disperati è in se stessi che devono trovare le forze, non dipende certo da loro.
RispondiEliminaPenso che la giornata della memoria serva per creare motivo di riflessione sul come volere o potere essere solidali nella vita attuale oltre che a ricordare lo sterminio nei lager , i genocidi e le attuali tragedie in corso. Penso che voglia significare che dobbiamo migliorare come esseri umani.
Se invece fosse stata istituita per confinare il male così da renderlo lontano, astratto, inoffensivo così da renderci indifferenti, ci dobbiamo assolutamente opporre e cercare di scalfirne la retorica con ogni mezzo.
Caro Antonio hai ri-postato esprimendo con grande chiarezza gli argomenti su - La memoria terapeutica e La banalità del male – Ti ringrazio.
Ciao:-)
Cara Nou, è proprio per scalfire la retorica del male assoluto che invito a pensare al male banale che lo alimenta. L'istituzione del giorno della memoria, come qualsiasi altra ricorrenza, si inserisce in un quadro antropologico e in tale contesto cerco tutte le possibili sfaccettature e significati che può assumere. Il confinamento del male ha radici molto antiche, non possiamo pensare che non produca ancora rami robusti. Il "male assoluto" ci assolve e noi siamo sempre in cerca di questa "pietra filosofale" che trasforma il nostro piombo in oro. Sono io che ringrazio te, anche per quello che hai scritto nel tuo post.
EliminaA presto.