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sabato 30 aprile 2011

Frammenti di un altro aprile

Questo è un post disordinato, ripreso dalle pagine del mio taccuino, senza troppi aggiustamenti, pagine di qualche tempo fa. Un post liberatorio per certi versi.

April is the cruellest month, breeding
Lilacs out of the dead land, mixing
Memory and desire, stirring
Dull roots with spring rain.
Winter kept us warm, covering
Earth in forgetful snow, feeding
A little life with dried tubers.

Aprile è il mese più crudele, generando
Lillà dalla terra morta, mischiando
Memoria e desiderio, eccitando
Spente radici con pioggia di primavera.
L'inverno ci tenne caldi, coprendo
La terra di neve smemorata, nutrendo
Una piccola vita con tuberi secchi.


Così comincia The waste land (La terra desolata), lo straordinario poema di Thomas Stearns Eliot. "Quali segreti scoprì in te il poeta che ti chiamò crudele" si chiede Guccini nella Canzone dei dodici mesi. I suoi segreti sono a disposizione di tutti ma io sono contento che the cruellest month has gone.

Prima pagina dattiloscritta della versione originaria del poema di Eliot.

***

Chi afferma con troppa leggerezza o boria di leggere la storia con razionalità e logica, senza sospettare che si sta illudendo di essere razionale e di applicare razionalmente quell’illusione, non sta vedendo la storia, la sta scrivendo.
Se non si percorre il vortice tra illusione e razionalità, senza annegarci dentro, non si possono vedere le vicende umane. Detto di O. Wilde: “Tutti possono fare la storia. Solo un grande uomo può scriverla.”

Il rapporto/differenza uomo/donna si inscrive nel diverso rapporto che i due sessi hanno con la morte e con i cicli del corpo. La donna sperimenta su di sé la riproposizione della morte, ciclicamente, e il suo passaggio alla condizione fertile è segnato spesso da un vero e proprio trauma. Poco più che bambina ha paura di morire, il sangue la segna e tutti i mesi questo segno si ripresenta fino a quando il ciclo termina. Tutto questo non si ha per l’uomo, che da questo punto di vista passa nella condizione adulta senza quasi accorgersene (e per molti rimane un mistero per tutta la vita!), inoltre la sua fertilità resta potenzialmente attiva per tutta la vita. Queste sono differenze decisive e se non ricordo male Galimberti in Il corpo dedica molte pagine a questi aspetti. Il rapporto con la morte periodica e con quella a mezza età fanno della donna un soggetto più maturo dell’uomo, almeno potenzialmente.
Una qualsiasi condizione di crisi esistenziale che non si confronti in qualche modo con la morte è una crisi “a la Muccino”, anche se, del resto, il passaggio del tempo e l’incapacità di lasciare una traccia è l’ombrellone sotto cui stanno tutti, anche i ragazzini 40enni di Muccino.

Avere un corpo in scadenza è cosa nota, che la scadenza sia periodica è particolarmente seccante.

Se Hegel fosse vissuto nell’Italia di oggi avrebbe potuto pensare che lo Stato rappresenta il compimento dello Spirito?

Forma/Sostanza – Diade inconsistente se prescindiamo da una filosofia dell’abitino e ci muoviamo nel territorio dell’etica intesa come estetica della nudità. La forma delimita la sostanza, contiene la sostanza, la forma è sostanza, è il suo limite con l’altra sostanza, il suo confine, la forma è l’identità della sostanza. La forma consente il riconoscimento della sostanza dell’altro da sé, questo vale in biologia, vale in chimica, dove la formula descrive la sostanza, vale in democrazia, dove le regole danno forma alla società, delimitandone i contenuti ed impedendo che i contenuti di un soggetto invadano quelli dell’altro. Qualcuno dovrebbe spiegare queste cose a Schifani (ammetto che l’impresa è ardua ma un tentativo andrebbe fatto). Non nego che nell’applicazione delle leggi esistano rilievi formali e sostanziali ma in questa accezione non stiamo usando la forma con lo stesso significato di morfo.

Ci sono creature che sentono i terremoti anzitempo, l’approssimarsi di una tempesta. Altre creature sentono prima i sommovimenti dell’anima, non possono fare a meno di annegare nell’abisso degli occhi.

Sulle interpretazioni senza i fatti in sé. Se assimiliamo i fatti ai fenomeni kantianamente intesi, ossia qualcosa che non ci è dato sapere, allora possiamo prescindere dai fatti come qualcosa di dato senza tuttavia rinunciare ad un contesto veritativo degli eventi. Tale contesto è stabilito dall’intreccio, dalla rete intricata nel tempo e nello spazio delle interpretazioni della storia, dalla tradizione delle interpretazioni, dall’apertura verso il non ancora delle interpretazioni. Quale sia il grado di rottura, di strappo possibile della rete interpretativa del nostro mondo è determinato dai vincoli dei fatti che accadono senza un sé, lo “zoccolo duro” di cui parla Eco per le nostre interpretazioni.
Insomma i fatti sarebbero una sorta di principio primo (o ultimo) di cui possiamo discettare solo attraverso il filtro, a volte fallace, delle nostre interpretazioni. Non credo che tutte le letture fallaci siano ineluttabilmente destinate a cadere, una parte può durare in maniera indefinita se la maglia delle interpretazioni non si rompe, se si rispetta una sorta di coerenza interna tra le interpretazioni, ma questo è evidente che non costituisce una garanzia della non fallacia (può capitare che in un manicomio i pazzi si intendano perfettamente). Da biologo posso pensare che il principale vincolo alle interpretazioni sia la persistenza della specie ma ultimamente non sono poi così convinto che questo vincolo stia operando.

Tra le braccia
stringevo le nuvole,
si libravano pensieri
sollevati da ali pesanti
per scoprire fili d’erba
che trafiggono.

Spesso si accusa il relativismo di non avere un assoluto.
Assurdo, il relativismo riconosce che ci sono tanti assoluti, forse troppi!

Non è raro doversi confrontare con una teologia da bettola che nei suoi risvolti dottrinali stabilisce un recinto per un gruppo di adepti ed esclude i reietti. Quanto inutile spreco di raffinate argomentazioni. Per leggere certe cose è sufficiente che la seconda lettera di teologia diventi la prima.

Vaniloqui. Dentro e fuori.
Conoscenza: penetrare le cose restandone fuori. Kant e il tribunale della ragione, giudice delle cose guardate con distacco. La conoscenza è il continuo processo di penetrazione che non può concludersi. La conoscenza conclusa (chiusa, con-clusa) non è conoscenza. Il mantenimento della condizione di esteriorità, restare fuori delle cose, è precondizione alla conoscenza, pena il con-fondersi con le cose (fondersi con esse). Le cose del mondo sono proiezioni della mente che si specchia nella rete di relazioni. La mente è il risultato delle relazioni tra le cose.
La ragione è una piccola isola nell’oceano dell’irrazionalità (Kant), l’isola è affollata e a me piace nuotare.
Il Dio di Aristotele che pensa sé stesso è una cosa sola confusa in sé stessa. Questa entità ha il differimento prospettico necessario ad operare con-fronti? Può mettersi di fronte a sé stesso? La visione è distanza da sé ma come può Dio uscire da sé?
C’è un fuori che guarda un dentro che non può vedere sé stesso. La ragione non può fondare sé stessa (Fichte). Stare dentro le cose, essere una sola cosa con le cose, è la giara di Pirandello che riparata dall’interno intrappola l’artigiano.
Il Dio dell’onnipotenza e della ragione è in trappola. Il Dio perfetto e concluso è la trappola di sé stesso.

fino all’ultimo respiro!

Il corpo fa male, decade, puzza, mostra il limite, invalicabile senza pagare il prezzo al dolore. Ogni passo è guadagnato a caro prezzo. Tutto va pagato in contanti, non ci sono prestiti possibili né debiti consentiti. In confronto l’economia dell’anima è basata tutta su risorse virtuali, di quelle che prima o poi fanno scoppiare una crisi. Non sottovaluto la dimensione spirituale ma sono convinto che, a pensarci appena un po’, la gran parte dei mali che diremmo dell’anima sono manifestazioni di sofferenza dei corpi. Il trasferimento della sofferenza all’anima non è stato la sublimazione del corpo ma il suo svilimento. Solitamente chi ostenta la propria spiritualità ne dispone nella forma più subdola e primitiva.

felicità-facilità. Basta barare su una lettera?

In ospedale si muovono animali strani, occhi bendati, sacche appese ai fianchi che pescano liquidi sanguigni dal corpo, protesi di ogni tipo. Ci si affeziona a queste “prolunghe”, si fa in fretta a considerarli attributi del corpo, bastano pochi giorni e il sé si estende a comprendere anche questi oggetti di cui non si può fare a meno. Il sé, l’io delimitato e autonomo viene messo a dura prova in posti come gli ospedali. Una prova alla quale non regge e si rivela per quello che è: una fantasia rassicurante.

Goliarda Sapienza (Io, Jean Gabin), la vocazione al lutto delle donne del sud. Tutto è dedicato alla morte, i vestiti migliori, il miglior funerale, non solo per chi muore.

Aprile è il più crudele dei mesi ed è ancora più crudele quando ti è impedito ridere del dolore della rinascita. Puoi avere pensieri tristi senza muovere un muscolo ma non puoi ridere che ti si sconquassa tutto, e poi sai perfettamente che non c’è proprio nulla da ridere ad aprile.
Ad aprile può capitarti di conoscere in meno di una settimana un signore rumeno che ha perso più di quaranta chili in due mesi per dei “buchi” nello stomaco, un altro che, appassionato di motociclette e in buona salute, scopre che sarebbero bastate poche ore di ritardo e non staremmo qui a parlarne, un altro che mentre ci parli le parole gli si impastano in bocca e un ictus di metastasi gli storce il viso. E trovi di che stupirti se ridere ti spacca il petto?

La parola più pronunciata in una corsia di ospedale è mamma. Qui torniamo tutti bambini, qui abbiamo tutti uno spudorato bisogno di coccole.

Aprile, il mese più crudele,
il più banale.
Mese dal fiato corto,
risacca stentata
di vento sopito a forza.
Compagno di strada
nulla ricorderò di te
se non l’affanno
che stanca il respiro.
In una rincorsa disperata
di metastasi di desideri,
la lingua si torce
in uno scherzo atroce.
Abbiamo giocato
ai continui risvegli
di chi non vive una volta sola
e il tempo passa
come serpe tra i sassi,
sparisce dagli occhi
avidi di sonno,
appena distratti
da un dolore nascosto
in uno sbadiglio.

4 commenti:

  1. sono molto contenta di aver letto questo tuo post, Antonio.
    ora so più di te e della tua "anima" termine con cui indico il quid individuale, la tensione al ricollegamento al tutto.
    noi, semidei in differita, lontani dai nostri stessi requisiti, ignoranti e sapienti nello stesso tempo.
    grazie
    ciao

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    Risposte
    1. Grazie a te Cristina, so poco della semidivinità, anche se differita, so che abbiamo bisogno di conoscere, o riconoscere, la nostra corporeità, perché il corpo è l'anima. Ciao

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  2. cliccando qua e là ...ti hoscoperto. Verrò spesso da te. Grazie per esserci. Laura

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Laura, è un ringraziamento impegnativo il tuo, il mio grazie per esserti fermata qui e per tutte le volte che vorrai farlo è niente in confronto. A presto.

      Elimina

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