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lunedì 3 maggio 2010

Analogie e convergenze

Il dibattito intorno ai cambiamenti climatici, tra sostenitori dell’impatto antropogenico e relativi negazionisti, ha connotati molto curiosi che a mio avviso esulano dall’ambito strettamente scientifico.
Per certi aspetti mi ricorda dibattiti avvenuti molto tempo prima o tuttora in corso in altri ambiti. Per esempio si pensi al dibattito degli anni ’60 tra lo strutturalismo di Lévi-Strauss e l’esistenzialismo di Sartre. Il secondo accusava il primo di trascurare il ruolo del soggetto e la sua responsabilità perché lo inseriva in una struttura che a sua volta lo determinava. Tra l’altro lo strutturalismo di Lévi-Strauss parlava di società tribali semplici che poca o nessuna applicazione si proponeva di avere sulle società complesse occidentali cui Sartre rivolgeva la sua attenzione ma non è questo il punto. Tornando al dibattito odierno sui cambiamenti climatici e considerando gli aspetti relativi alla eventuale responsabilità dell'uomo emergono alcune cose interessanti. Oggi alcuni argomenti usati dai negazionisti del ruolo antropogenico dei cambiamenti climatici fanno riferimento all’idea di controllo del clima che i loro avversari farebbero propria, mentre i negazionisti rifiuterebbero questa tracotanza. Che bravi! Se oggetto della questione fosse il controllo del clima l’argomento sarebbe chiuso, i negazionisti avrebbero ragione, ma non è di questo che si parla. Intanto mi sembra che nessun climatologo serio pensa di controllare il clima anche se qualche esaltato non manca neanche intorno a questa disciplina; alcuni giocano con gli spray di alluminio o progettano specchi da spedire in orbita per riflettere i raggi solari ma, come si sa, la mamma dei cretini è sempre incinta e i nuovi nati li chiama geoingegneri! Per usare una metafora, mi sembra che la gran parte dei sostenitori seri dei cambiamenti climatici assumano un ruolo da sentinella più che da condottiero. Ma il problema sta altrove ed è esattamente speculare a quello sbandierato dai negazionisti. In realtà questi assumono un atteggiamento falsamente non antropocentrico proprio per affermare la libertà dell’uomo di continuare nelle sue attività produttive a forte impatto emissivo secondo il consolidato modello dell’accumulo. Insomma, i giochi retorici dei negazionisti presentano un bel rovesciamento delle posizioni del vecchio antropocentrismo ottocentesco che almeno era più onesto di quello attuale.
Tornando al dibattito che vedeva opporsi Lévi-Strauss e Sartre, se da un lato l’antropologo inseriva il soggetto in una struttura complessa per ridurne le ambizioni, dall'altro lato l’umanesimo del filosofo sollevava il ruolo del soggetto per sottolinearne la responsabilità politica. Eppure il parallelismo con il dibattito attuale sui cambiamenti climatici è solo evocativo, ieri erano dei giganti a fronteggiarsi intorno al ruolo dell’uomo, oggi il dibattito è meno appassionante, sebbene non meno rilevante. Dal lato di chi sostiene il ruolo dell’uomo nei cambiamenti climatici vedo uno snocciolamento di cifre e risultati scientificamente sostenibili (dal mio punto di vista è il minimo che si possa fare ma è già apprezzabile), dall’altro versante vedo miserabili giaculatorie che gridano ai protocolli di Sion per la conquista del mondo. Incredibile, si urla che i cambiamenti climatici siano sostenuti da lobby di potentati, mentre i poveri negazionisti non avrebbero spazio sui media per gridare la loro oscurata verità! Chissà come mai poi i negazionisti raccolgono il consenso delle lobby industriali ed economiche più importanti?
Sono convinto della correttezza delle posizioni degli scienziati della IPCC (International Panel on Climate Change) e della stragrande maggioranza dei climatologi che pubblicano i loro risultati su riviste specialistiche. Quelle posizioni non possono essere messe in discussione dai disperati negazionisti che si cercano passerelle sui giornali da Bagaglino o nei salotti di Porta a Porta ma la fondatezza scientifica dei cambiamenti climatici per quanto importante è solo un aspetto marginale della faccenda in discussione. La verità difficilmente contestabile (ma per carità mai mettere limiti all’idiozia) è che il modello di sviluppo economico che solitamente si associa ai cambiamenti climatici sta avvelenando il pianeta e senza gli opportuni correttivi porterà la specie sapiens sull’orlo dell’autoestinzione, per non parlare dell’orizzonte sociale che sta diventando una sorta di trappola per topi. Le attività umane che comportano enormi emissioni di gas serra e di altri contaminanti atmosferici, se anche non modificassero l’assetto climatico del pianeta, stanno rendendo la Terra un luogo orribile ne stanno distruggendo la bellezza rendendola inospitale agli esseri umani e agli altri esseri viventi. Già in un altro post avevo messo in primo piano l'aspetto etico ed estetico dei cambiamenti climatici e a tal proposito segnalo un bel post pubblicato a gennaio scorso su un sito che ritengo molto importante nell'informazione sul tema dei cambiamenti climatici (La comune dimensione etica dei cambiamenti climatici).

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Un’altra inquietante analogia che mi viene in mente riguardo al negazionismo dei cambiamenti climatici è quella con il negazionismo dell’evoluzione. Anche in questo caso l’antropocentrismo ha un ruolo rilevante ma nel caso della negazione dell’evoluzione le posizioni antropocentriche sono meno latenti e anzi del tutto manifeste. Si assiste al solito rovesciamento dei termini e alterazioni del linguaggio scientifico guidate da motivazioni psicologiche dettate dal bisogno di affermare il primato dell’uomo che viene messo in discussione dal processo evolutivo, il tutto mascherato dalla supposta esclusione di Dio dagli eventi naturali.
Al di là delle argomentazioni dei negazionisti dell’evoluzione, talmente ridicole e prive di fondamento scientifico e filosofico da non meritare commenti, quello che è rilevante è proprio la convergenza dei diversi negazionismi su un conservatorismo che a mio avviso è rivelatore del carico ideologico di queste posizioni. Curiosamente sono i negazionisti ad accusare i loro avversari di avere posizioni ‘ideologizzate’, l’ideologia della scienza è uno slogan molto in voga tra questi ciarlatani del pensiero. I negazionisti dicono di essere messi in minoranza da una cultura dominante e discriminante, sostengono che la parte avversa considera come prevalente il ruolo dell’uomo a scapito di quello di Dio, insomma un bel pot-pourri di argomentazioni asfittiche.
Guardando attentamente la faccenda però ci si accorge che oggetto della negazione, dell’evoluzione come dei cambiamenti climatici, è sempre il mutamento, naturale o antropogenico che sia. Il mutamento è un concetto strano e difficile da accettare. Per quanto la percezione sia il risultato di un confronto, non importa se consapevole, tra stati differenti e quindi mutevoli ci ‘affezioniamo’ così tanto ad un particolare stato che difficilmente lo mettiamo in discussione. Quella stabilità ci parla della nostra esistenza e della nostra permanenza. Per quanto riguarda la negazione dell’evoluzione il grande evoluzionista Ernst Mayr individuava nell’essenzialismo platonico il suo vizio originale, ossia la fissità delle idee di Platone getterebbe ancora la sua lunga ombra sui nostri giorni. Io sono convinto che la responsabilità non sia del filosofo greco ma della lettura che ne danno gli idioti contemporanei, ma questo è un altro discorso.
E’ evidente che ci troviamo di fronte a vincoli di diversa natura per la comprensione dei fenomeni climatici o evolutivi, differente scala spaziale e temporale dei fenomeni in confronto alla scala che caratterizza la vita umana, vincoli di carattere evolutivo (da sempre l’uomo subisce il clima ma non lo può influenzare ma da un tempo troppo recente sulla scala evolutiva non è più così) e vincoli di natura che potrei definire emotiva (assuefazione ad uno status che non si vuole mettere in discussione, l’uomo è animale abitudinario). Penso che in queste faccende la malafede abbia un ruolo secondario, seppur non trascurabile, rispetto al ruolo dei vincoli che ho accennato. Il rifiuto del mutamento ha origini ancora più remote di Platone, la faccenda ha a che fare con il terrore della morte. Il mutamento terrorizza, quello catastrofico ancor più di quello graduale, terrorizzano perché evocano lo spettro della cessazione di uno stato. Solo indagando nel magma della morte e nel terrore che ne discende potremmo capire le dinamiche di questi dibattiti.

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Un fatto curioso ma non troppo! Tempo fa sul sito climalteranti.it, che oltre a informare mette anche a nudo le miserie dei negazionisti, si discuteva di un episodio singolare (perdonatemi ma non ricordo più il post di climalteranti per mettere il link). Negli ultimi 20 anni la temperatura del pianeta è aumentata inequivocabilmente ma 20 anni rappresentano un arco temporale troppo breve per la scala dei cambiamenti climatici, pertanto i climatologi, pur non negando l’aumento della temperatura, non possono che affermare correttamente che l’incremento non è statisticamente significativo. I negazionisti traducono questo in “non c’è alcun aumento della temperatura del pianeta”, peraltro ignorando l'enorme quantità di prove dirette e indirette che considerano archi temporali ben più lunghi di 20 anni, in effetti parliamo di centinaia di migliaia di anni.

Mi torna alla mente il paradosso del girino che diventa rana, se immaginiamo la metamorfosi fotogramma dopo fotogramma, ogni fotogramma succede il precedente solo per frazioni di secondo, sarà difficile, se non impossibile, stabilire quale coppia di fotogrammi presentano uno il girino e l'altro la rana. Per molti questo sarà sufficiente a dire che i girini non diventano mai rane e pensare che fior fiore di cervelli hanno perso un sacco di tempo su queste faccende!
Immagino che dire che il girino (l'idea di girino) o la rana (l'idea di rana) non esistono sia troppo sconvolgente.

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