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lunedì 3 settembre 2018

La cattura del gatto [Note (19)]

Spesso il potere è considerato espressione di forza, non necessariamente bruta bensì modulata nelle varie forme politiche. Raramente si riflette però intorno al legame tra potere e potenza, in termini di possibilità da realizzare, non ancora evocate all’essere. Canetti opera una distinzione netta a tal proposito tra forza e potere considerando che “Alla parola forza si ricollega l’immagine di qualcosa di vicino e di presente: la forza è più pressante e immediata del potere”[1].
Il potere che si richiama esclusivamente alla forza non può che evocare la solidità del passato per giustificare la propria azione presente, risolvendosi troppo spesso nello stallo del presente, mentre il potere che è cosciente della potenza da realizzare guarda al futuro, a quel regno dell’incertezza dove nulla è ancora concreto.
Il potere, nell’accezione di possibilità, poiché risponde ai vincoli che gli sono dati, è più modesto e più prudente del dovere, non ha e non può avere la certezza del già stato ma il desiderio del non ancora. Il potere non implica che tutto sia possibile, ed è nel rispetto dei vincoli dati o nella capace sapienza di modificarli l’originale impresa del potere di realizzare la novità. Gli stessi vincoli, spogliati di ogni superfluo orpello, devono essere intersoggettivamente discussi e accettati e rimessi in continua discussione. Questo sforzo caratterizza la democrazia, “ombrello bucato” ma l’unico che possa dignitosamente riparare l’uomo dalla pioggia incessante. La democrazia genera stanchezza[2], per questo richiede forza e resistenza da parte di chi ne regge le sorti, essa muore dinanzi all’apatia morale come dinanzi all’autoritarismo morale.
E se è nel dialogo che il rispetto di sé, valore fondante della democrazia dice Zagrebelsky, trova il suo humus, non possono essere accettate confusioni, né in buona né in mala fede, tra quel relativismo che è padre dell’indifferenza e quel relativismo che è padre del pluralismo, si tratta di famiglie differenti la cui genealogia và continuamente rinfrescata. In un caso la verità non ha alcun valore, nell’altro le verità hanno il massimo valore e per questo chiedono e meritano rispetto.
Con troppa leggerezza l’indolenza del potere autoreferenziale invoca priorità per giustificare l’inazione di fronte alle (apparentemente) nuove domande sociali ma la faccenda della priorità è un costrutto ideologico che non ha alcun fondamento in un sistema diveniente dove le nuove istanze sociali raggiungono la maturità per essere affrontate dai soggetti che si sarebbero assunto il compito e il dovere di farlo, con la necessaria sensibilità per percepirle e le capacità intellettive per interpretarle. Ci saranno sempre tematiche di maggiore importanza rispetto ad altre, il nocciolo del problema non è cosa affrontare prima ma la distinzione tra amministrare e governare, tra potere-forza e potere-possibilità, tra passato e futuro.

[1] E. Canetti, Massa e potere, Opere 1932-1973, Bompiani, 1990, p. 1319.
[2] “La democrazia, come un lavoro, stanca. L’oppressione dispotica suscita reazione e ribellione. La democrazia invece stanchezza.”, Gustavo Zagrebelsky, Imparare Democrazia, Einaudi, 2007, p. 44.

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