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lunedì 10 settembre 2018

La cattura del gatto [Note (26)]

Diverso tempo fa leggevo da qualche parte il lamento di uno scienziato evoluzionista che notava come molte persone sentano la difficoltà di discutere della relatività di Einstein eppure si sentono competenti in materia di evoluzione delle specie e in particolare dell’evoluzione della specie umana. La materia dell’evoluzione pone l’uomo di fronte alla sua natura storicamente determinata e questo mette in discussione il tema della sua posizione in natura e della sua supposta inevitabilità ontologica. Disgraziatamente l’assunto centrale della teoria della selezione naturale è l’assenza di direzione dei fenomeni evolutivi e questo vale ancor di più per le mutazioni, la deriva genetica e altri processi che hanno arricchito la teoria darwiniana. Nessun argomento può essere ragionevolmente formulato intorno all’inevitabilità dell’uomo.
Gli argomenti per contrastare l’evoluzione umana fanno ricorso alla perfezione della creazione, dimenticando il mal di schiena e non considerando affatto le possibili alternative che non si sono manifestate. L’altro cavallo di battaglia, cavalcato quasi sempre a sproposito, è il cosiddetto mentalismo della natura umana, in opposizione alla natura istintuale degli animali. Ma a tal proposito se la mente sia proprio questa gran cosa io ho un paio di brevi considerazioni da fare, naturalmente dal punto di vista evoluzionistico. Si discute di una possibile derivazione neotenica della specie umana dai suoi progenitori scimmieschi, ossia un generalizzato “ritardo dello sviluppo degli organismi tale per cui i discendenti adulti somigliano ad uno stadio giovanile del progenitore.”[1] Già Kant rilevava come, rispetto agli altri animali, per l’uomo “la natura si sia compiaciuta della sua massima economia”, perché “libero da istinti” non può partecipare ad altra libertà se non a quella costruita con la sola ragione[2]. Perentorio, come al solito, Nietzsche riconosceva l’incompiutezza dell’uomo, rara eccezione, rispetto al resto del mondo animale[3]. Più recentemente Schrödinger ci ha detto che la coscienza può ragionevolmente essere considerata come un segno del mancato raggiungimento della fantomatica perfezione nel controllo automatico della conoscenza necessaria per la sopravvivenza che è tipica degli istinti animali[4]. Galimberti ha reso chiaro come la tecnica, uno dei principali prodotti della mente, possa essere intesa come l’escogitazione umana per compensare la propria incompiutezza[5].
Ora, siccome è abbastanza sterile parlare della mente senza pensare a tutti i suoi prodotti mi pare evidente che a fronte delle grandi conquiste della mente vi siano anche alcune evidenze decisamente insidiose per la stessa sopravvivenza della specie umana. Non sarà da indagare se questa mente non sia un precoce tentativo di una specie ancora in formazione senza alcuna garanzia che si tratti del migliore tentativo che l’evoluzione abbia escogitato?

[1] N. Eldredge, La vita sulla terra – Un’enciclopedia della biodiversità, dell’ecologia e dell’evoluzione.Codice Edizioni, 2002, p. 390.
[2] I. Kant, Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, cit. in U. Galimberti, Psiche e techne – L’uomo nell’età della tecnica. Feltrinelli, 2005, p. 91
[3] F. Nietzsche, Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell’avvenire (1886), § 62. Newton Compton, Roma, 1988, p. 90.
[4] E. Schrödinger, Mente e materia, cit. in P. Odifreddi, Il Vangelo secondo la Scienza. Le religioni alla prova del nove, Einaudi, 1999, p 97.
[5] U. Galimberti, Psiche e techne – L’uomo nell’età della tecnica. Feltrinelli, 2005.

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