"In questo mondo in cui ogni oggetto, al minimo accenno di guasto o invecchiamento, alla prima ammaccatura o macchiolina, veniva immediatamente buttato via e sostituito con un altro nuovo e impeccabile, c'era solo una stonatura, solo un'ombra: la Luna. Vagava per il cielo, spoglia tarlata e grigia, sempre più estranea al mondo di quaggiù, residuo d'un modo d'essere ormai incongruo.
Antiche espressioni come lunapiena mezzaluna ultimo quarto continuavano a essere usate ma erano soltanto modi di dire: come la si poteva chiamare «piena» quella forma tutta crepe e brecce che pareva sempre sul punto di franare in una pioggia di calcinacci sulle nostre teste? E non parliamo di quando era tempo di luna calante! Si riduceva a una specie di crosta di formaggio mordicchiata, e spariva sempre prima del previsto. A lunanuova, ci domandavamo ogni volta se non sarebbe più tornata a mostrarsi (speravamo che sparisse così?) e quando rispuntava, sempre più somigliante a un pettine che sta perdendo i denti, distoglievamo gli occhi con un brivido.
Era una vista deprimente. Andavamo nella folla che con le braccia ingombre di pacchetti entrava e usciva dai grandi magazzini aperti giorno e notte, percorrevamo con lo sguardo le scritte luminose che rampando sui grattacieli avvertivano momento per momento dei nuovi prodotti lanciati sul mercato, ed ecco la vedevamo venire avanti, pallida in mezzo a quelle luci abbaglianti, lenta, malata, e non potevamo scacciare il pensiero che ogni cosa nuova, ogni prodotto appena comprato poteva guastarsi sbiadire andare a male, e ci veniva meno l'entusiasmo a correre in giro per far compere e a sgobbare sul lavoro, e ciò non era senza conseguenze sul buon andamento dell'industria e del commercio.
Così ci si cominciò a porre il problema di cosa farne, di questo satellite controproducente: non serviva più a nulla; era un rottame da cui non si poteva recuperare più niente."
Italo Calvino, Da Le figlie della Luna, in Altre storie cosmicomiche.
Come diceva lui dei classici "un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire". Le cosmicomiche di Calvino vanno lette almeno una volta all'anno. In quei brevi racconti c'è la più disincantata e disillusa critica della società consumistica ma anche della scienza, della storia e della cultura umana. Monumenti passeggeri eretti da naufraghi cosmici. Le leopardiane cosmicomiche sono decisamente un classico, come tutta l'opera di Calvino dove la più intricata complessità è avvolta nella più impalpabile leggerezza.
"La gru era stata fatta progettare e costruire dalle autorità, decise a nettare il cielo da quell'ingombro antiestetico. Era un buldozer dal quale si alzava una specie di pinza da granchio; venne avanti sui suoi cingoli, basso e tarchiato, proprio come un granchio; e quando si trovo nel punto predisposto per l'operazione sembrò diventare ancor più piatto, per aderire al terreno con tutta la sua superficie. L'argano girò rapido; innalzò il braccio nel cielo; mai s'era pensato che si potesse costruire una gru dal braccio così lungo. La benna s'aperse, dentata; ora, più che a una pinza di granchio, somigliava alla bocca d'uno squalo. La Luna era proprio lì; ondeggiò come se volesse scappare, ma quella gru sembrava calamitata: si vide la Luna come aspirata finirle proprio in bocca. Le mandibole si richiusero con un secco: crac! Per un momento ci sembrò che fosse andata in briciole come una meringa, invece restò tra le valve della benna, mezza dentro mezza fuori. Era diventata di forma oblunga, una specie di grosso sigaro tenuto tra i denti. Venne giù una pioggia color cenere.
La gru ora si sforzava d'estirpare la Luna dalla sua orbita e di trascinarla giù. [...]
L'alba trovò il cimitero delle automobili con un rottame in più: quella Luna naufragata là in mezzo quasi non si distingueva dagli altri oggetti buttati via; aveva lo stesso colore, la stessa aria condannata, lo stesso aspetto di cosa che non si riesce a immaginare come potesse essere da nuova. Intorno, per il cratere dei detriti terrestri, echeggiò un mormorio: la luce dell'alba rivelava un brulicare di vita che s'andava risvegliando. Tra le carcasse sventrate dei camion, tra le ruote stravolte, le lamiere accartocciate, avanzavano degli esseri barbuti.
In mezzo alle cose buttate via dalla città viveva una popolazione di persone buttate via anch'esse, messe al margine, oppure persone che s'erano buttate via di loro volontà, o che s'erano stancate di correre per la città per vendere e comprare cose nuove destinate subito a invecchiare: persone che avevano deciso che solo le cose buttate via erano la vera ricchezza del mondo. Attorno alla Luna, lungo tutta la distesa dell'anfiteatro stavano ritte o sedute queste figure allampanate, dai visi incorniciati da barbe o dai capelli incolti."
Italo Calvino, Da Le figlie della Luna, in Altre storie cosmicomiche.
Una volta gli chiesero cosa sarebbe rimasto delle nostre città e della nostra storia, lui ci pensò un attimo e rispose secco, i topi.
"Concludiamone dunque che il mondo sarebbe assai migliore se ciascuno si accontentasse di quello che dice, senza aspettarsi che gli rispondano, e soprattutto senza chiederlo né desiderarlo." José Saramago
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Aggiustare si fa fatica, oggi si suggerisce di buttare senza pensare che poi la fatica sarà immane
RispondiEliminaCalvino si era formato nelle nostre zone , ma, purtroppo, come sempre ... "nemo propheta in patria"!
RispondiEliminaUn uomo disincantato con uno stile ammaliatore, affascinante... come la luna
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