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domenica 23 settembre 2018

La cattura del gatto [Note (39)]

Lucio Russo[1] ha retrodatato la rivoluzione scientifica al periodo ellenistico che va dal III secolo a.C. alla conquista romana dell’Egitto nel 31 a.C. A personaggi come Euclide, Archimede, Aristarco di Samo, Erone di Alessandria, Erofilo, Crisippo di Soli e altri va il merito della fondazione di quel metodo ipotetico-deduttivo e sperimentale che solitamente è attribuito ai filosofi rinascimentali. La ricostruzione di Russo ci parla di un rigore metodologico e di un progresso scientifico e tecnologico che, andati perduti con la conquista romana, sono rimasti ignorati per secoli o al più sottovalutati nella loro veste mitica. In realtà i riconosciuti padri della scienza come Newton, Keplero, Galileo e Cartesio mossero i primi passi attingendo dalle fonti ellenistiche ma non potevano fare altro inquadrarne i contenuti “in schemi generali estranei, tratti dalla teologia e dalla filosofia naturale”[2]. La capacità dei pensatori ellenistici di riconoscere nelle loro proposizioni un modello della realtà e la necessità di stabilire delle connessioni attraverso il modello e la realtà non sopravvisse alle vicissitudini della storia.
Secondo Russo l’errore fondamentale dei moderni pensatori, che si è trascinato fino all’inizio del XX secolo, è dovuto alla confusione tra gli oggetti teorici e gli oggetti concreti. “In particolare la microfisica si rivelò non descrivibile con la teoria scientifica della meccanica classica, i suoi fenomeni non essendo descrivibili né con la meccanica corpuscolare né con quella ondulatoria. […] Invece di proporre una terza teoria scientifica, scienziati come de Broglie e Bohr enunciarono infatti il ‘dualismo onda-corpuscolo’ e il ‘principio di complementarietà’. Di fronte all’inapplicabilità di due teorie incompatibili tra loro, una cultura che confondeva ancora gli enti della teoria con gli oggetti reali trovò normale attribuire alla natura la contraddittorietà della propria scienza.”[3] In termini generali, dalle parole di Russo si può riconoscere nella scienza moderna fino ai primi anni del secolo scorso l’assenza di una chiara distinzione tra aspetti epistemici e ontologici. Con la meccanica quantistica la confusione tra la dimensione ontologica e quella epistemica, ovvero tra la realtà oggettiva e le difficoltà di misurazione, ha lasciato l’ambito strettamente scientifico rimanendo comunque inalterata negli altri ambiti della cultura[4].
I fenomeni quantistici e il principio di indeterminazione di Heisenberg, infatti, sono indebitamente chiamati in causa per scrollarsi di dosso quel determinismo scientifico che veniva e viene confuso con il fatalismo. La libertà è il gran desiderio dell’uomo e pur di vederlo esaudito sarebbe in grado di scambiare il macroscopico cervello che gli si è organizzato sul collo nel corso dell’evoluzione con una microscopica particella del mondo subatomico. Se il periodo ellenistico non avesse subito un arresto forse non avremmo bisogno di tali scambi per essere liberi, ma questo non possiamo saperlo.

[1] Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna, Feltrinelli, 2006.
[2] Op. cit., pag. 446.
[3] Op. cit., pag. 457.
[4] F. De Martini, Il mondo oggettivo della meccanica quantistica e le leggende dell’ermeneutica, MicroMega, 2/2007, p. 151-162.

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