Io, che grazie a Dio sono ateo, diceva Buñuel, non ho mai considerato realmente possibile prescindere da una dimensione sacrale - non da un punto di vista strettamente antropologico - e siccome alcuni paesaggi si vedono meglio da lontano, la "ateicità" potrebbe essere paradossalmente la prospettiva migliore per vedere certe cose.
Del resto solo un Dio può assumersi la responsabilità dell'abisso e per questo l'accertamento della sua esistenza diventa un fatto irrilevante. «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo» Esodo, 33, 20. Il volto di Dio uccide, come quello della Gorgone. Non si può guardare l'abisso impunemente.
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"In quanto maestro, Gesù sintetizza il suo insegnamento col dire «ama Dio e ama il prossimo». Ne viene che la via migliore perché la mia libertà si leghi alla dimensione dell'eternità è vivere all'insegna della giustizia.
Perché dico amore e giustizia? Perché amore è una parola generica, che significa molte cose. Nel suo senso più alto è qualcosa di estremamente raro, che si può dare a pochissime persone nella vita. Gli amici più vicini, una donna o poche altre, i figli, i genitori e i parenti più stretti: sono queste le persone che si possono davvero amare nell'arco di un'esistenza. La traduzione più elementare dell'amore universale è invece la giustizia. Essere giusti è il modo che abbiamo per amare il prossimo. Quei cristiani che tentano di far vedere, con il loro continuo sorriso, che amano tutti nel senso sentimentale del termine, sono un po' patetici, e alla fine anche falsi." Vito Mancuso. In: Che cosa vuol dire morire, a cura di Daniela Monti. Einaudi, 2010, p. 118.