Allegramente si annega
nel mare burrascoso,
aggrappati a un relitto di fortuna
dopo un naufragio
avvenuto decenni prima.
"Concludiamone dunque che il mondo sarebbe assai migliore se ciascuno si accontentasse di quello che dice, senza aspettarsi che gli rispondano, e soprattutto senza chiederlo né desiderarlo." José Saramago
lunedì 30 settembre 2019
venerdì 20 settembre 2019
spine e raffiche di dolcezza
E infine aranci imbandierati e carichi,
spine e raffiche
di dolcezza nei fichi d’India, uomini
traballanti sui carri
vuoti
per caricare il tufo dalle cave,
col cane morto di sonno.
E stagioni dal becco sottile
di cicogna, che si spulciano il petto,
che prendono pietre da terra
e le buttano più in là.
Vittorio Bodini, La luna dei Borboni, 1952
martedì 17 settembre 2019
Sussurri e asfodeli
Tempo fa qualcuno a radio 3 disse che la differenza tra macerie e ruderi è che le prime tacciono mentre i secondi parlano della loro storia. Forse è così ma prima di tacere le macerie sussurrano. Hanno voce fioca, la possono ascoltare orecchie attente a discernere parole tra frinire di cicale e stormire di foglie. Quello che resta della Masseria Itri, una masseria fortificata dei primi anni del '500, a pochi km da Gallipoli, parla ancora ma sono rimaste poche orecchie ad ascoltare la fremente attività contadina tra quelle mura che dovevano resistere agli assalti dei saraceni che venivano dal mare, visibile dalla torre. Oggi ci chiediamo come potessero reggere quelle fortificazioni così fragili e basse. Quelli che un tempo erano muri alti e invalicabili oggi sono bassi e cadenti, fanno tornare alla memoria un passo del Corvaglia che in Finibusterre scrive "Il muro si difendeva così dalle scalate; ma, più che dell'irto delle
spine, si giovava della sua stessa debolezza, essendo forte come certi
uomini, da cui bisogna star lontani, perché rovinano addosso a chi li
tocca."
Gli archi sorretti dal vento sono un miracolo e gli asfodeli, piante sacre ai greci e ai romani, crescono oggi come ieri, custoditi nella loro antica funzione dal mio dialetto che li chiama "cannilore", come le candele accese in gloria dei defunti di ieri e di oggi, di chi in vita non è stato stato né buono né cattivo ma solo uomo o donna in cerca di un posto dove riposare.
Gli archi sorretti dal vento sono un miracolo e gli asfodeli, piante sacre ai greci e ai romani, crescono oggi come ieri, custoditi nella loro antica funzione dal mio dialetto che li chiama "cannilore", come le candele accese in gloria dei defunti di ieri e di oggi, di chi in vita non è stato stato né buono né cattivo ma solo uomo o donna in cerca di un posto dove riposare.
lunedì 16 settembre 2019
Dove tutto è segno d'altro
Dove tutto è segno d'altro
Diana Efesina è fico d'India
di mammelle spinose,
retaggio di domani la dolcezza.
Diana Efesina è fico d'India
di mammelle spinose,
retaggio di domani la dolcezza.
venerdì 6 settembre 2019
Titoli e nuvole
Ho conosciuto emerite capre laureate con lode e persone straordinarie senza titoli scolastici e affamate di conoscenza. Queste ultime sono persone che nella loro vita non diranno mai che con la cultura non si mangia. Non hanno l’atteggiamento arrogante e altezzoso, tipico degli ignoranti che presumono di sapere. Sono curiosi, amano capire, coltivano il dubbio per conoscere e non per concepire complotti a loro danno mettendo in discussione cose di cui ignorano l’abc. Parlano poco e prima di parlare si informano, studiano. La vita di queste persone ha avuto strade che hanno impedito di avere titoli scolastici e spesso ne parlano con il dolore dell’occasione perduta. Se solo avessero potuto farlo avrebbero studiato, è sempre stato il loro desiderio ma non potevano andare a scuola. Hanno studiato quando il tempo glielo ha concesso. Le capre titolate invece hanno potuto studiare senza troppo impegno perché avevano le spalle coperte e di sapere non gli importava più di tanto. L’importante è il titolo. Una volta preso il titolo le capre titolate vivono di rendita e tornano analfabeti.
Studiare è una cosa seria e il fine dello studio è l’acquisizione di strumenti per comprendere la realtà che ci circonda. Non è il titolo. La realtà continua a cambiare e la necessità di studiare continua dopo l’acquisizione di qualunque titolo. Il titolo è importante, molto importante, perché certifica un percorso di studio ma capita che per alcune persone avere o non avere un titolo accademico sia un incidente di percorso. Non dovrebbe accadere né averlo per essere nati per caso in una famiglia agiata, né non averlo per le condizioni opposte. Eppure capita. Capita ancora.
Con la nomina di Teresa Bellanova al ministero dell’Agricoltura torna a soffiare il vento sulla girandola dei titoli accademici. Non ha titoli, ha solo la terza media. Come se il problema fossero i titoli e non quello che sta dietro i titoli, quello che i titoli dovrebbero rappresentare: la competenza. Parlare di titoli senza parlare di competenze e soprattutto senza parlare di fame di conoscenza rivela l’aspetto più deleterio del titolo, quello del simulacro, quasi fosse l’erede del titolo nobiliare che una volta acquisito eleva il suo portatore al di sopra di chi non lo possiede. Sono nato nella terra di Di Vittorio, ancora più a sud per la verità, e ancora ho il suo modello nella testa e non solo. Un uomo che non ha potuto frequentare la scuola ma che fin da bambino ha sempre desiderato studiare e che ha sempre studiato per capire la realtà che lo circondava e per cercare di trasformarla. Quello è e rimane il mio modello.
Teresa Bellanova non ha nel suo curriculum un titolo di laurea ma, per quanto ne so, nella sua vita ha acquisito le competenze per ricoprire cariche importanti. Prima ha acquisito le competenze, poi ha ricoperto le cariche. L’ordine è fondamentale. Non so dire se sarà un buon ministro dell’Agricoltura, lo spero, ma sono convinto che nella sua vita ha acquisito gli strumenti per farlo e sono contento della sua nomina.
Studiare è una cosa seria e il fine dello studio è l’acquisizione di strumenti per comprendere la realtà che ci circonda. Non è il titolo. La realtà continua a cambiare e la necessità di studiare continua dopo l’acquisizione di qualunque titolo. Il titolo è importante, molto importante, perché certifica un percorso di studio ma capita che per alcune persone avere o non avere un titolo accademico sia un incidente di percorso. Non dovrebbe accadere né averlo per essere nati per caso in una famiglia agiata, né non averlo per le condizioni opposte. Eppure capita. Capita ancora.
Con la nomina di Teresa Bellanova al ministero dell’Agricoltura torna a soffiare il vento sulla girandola dei titoli accademici. Non ha titoli, ha solo la terza media. Come se il problema fossero i titoli e non quello che sta dietro i titoli, quello che i titoli dovrebbero rappresentare: la competenza. Parlare di titoli senza parlare di competenze e soprattutto senza parlare di fame di conoscenza rivela l’aspetto più deleterio del titolo, quello del simulacro, quasi fosse l’erede del titolo nobiliare che una volta acquisito eleva il suo portatore al di sopra di chi non lo possiede. Sono nato nella terra di Di Vittorio, ancora più a sud per la verità, e ancora ho il suo modello nella testa e non solo. Un uomo che non ha potuto frequentare la scuola ma che fin da bambino ha sempre desiderato studiare e che ha sempre studiato per capire la realtà che lo circondava e per cercare di trasformarla. Quello è e rimane il mio modello.
Teresa Bellanova non ha nel suo curriculum un titolo di laurea ma, per quanto ne so, nella sua vita ha acquisito le competenze per ricoprire cariche importanti. Prima ha acquisito le competenze, poi ha ricoperto le cariche. L’ordine è fondamentale. Non so dire se sarà un buon ministro dell’Agricoltura, lo spero, ma sono convinto che nella sua vita ha acquisito gli strumenti per farlo e sono contento della sua nomina.
giovedì 5 settembre 2019
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