Gli studi di antropologi come Franz Boas e, successivamente, Melville Herskovitz, Marshall Sahlins, hanno messo in luce come la realtà possa essere variamente percepita nelle diverse culture etniche e hanno reso noto come le facoltà percettive degli esseri umani siano modellate nel contesto ambientale e sociale da cui provengono ed in cui vivono. La celeberrima ipotesi di Sapir-Whorf, nota come ipotesi della relatività linguistica, ci spiega come la rappresentazione del mondo dipenda dalle categorie linguistiche della propria lingua. I biologi Jacob von Uexküll e Ludwig von Bertalanffy hanno rivolto la loro attenzione alla relatività biologica stabilendo i possibili nessi tra esigenze evolutive, categorie percettive e organizzazione del mondo degli organismi viventi rendendo evidente che “ogni organismo ritaglia, per così dire, un piccolo numero di caratteristiche dalla molteplicità degli oggetti circostanti, e reagisce solo a queste, il cui insieme forma il suo ambiente”.[1]
Questi concetti sono nati in occidente e sono figli della filosofia storicistica di Dilthey e dell’ombra lunga di Kant privata del suo apriorismo. Ad un giudizio superficiale non sembrerebbe che gli autori che hanno rivolto la loro attenzione al concetto del relativismo avessero in mente di dare ospitalità al più inquietante degli ospiti, come Nietzsche chiamava il nichilismo. Sempre ad un rapido sguardo appare evidente che a un certo punto l’occidente, dall’incontro con altre culture o dalla riflessione sulla varietà dei fenomeni naturali, prende atto della differenza tra realtà e rappresentazione, delle differenti rappresentazioni e produce una forma di pensiero che, per comprendere la componente individuale (unica, irriducibile) del divenire storico deve sacrificare la pretesa di validità universale e atemporale dei propri schemi percettivi e interpretativi. L’osservazione della varietà della natura, delle culture umane e delle relative esperienze di vita ha condotto a una lettura plastica della realtà storicamente costruita che da un lato libera dalla tirannia delle visioni del mondo e dall’altro consente il dialogo tra le diverse culture. Da queste grossolane osservazioni si direbbe che in un contesto relativista si ha la possibile coesistenza di più verità e non la negazione di una verità, risultato abbastanza paradossale considerando l’odierno dibattito sul relativismo, troppo incline a confonderlo con un nichilismo celebrativo del nulla che, nonostante le numerose attribuzioni di paternità, Nietzsche non ha mai concepito.
In nome dell’inscindibilità tra cultura cristiana e cultura occidentale si potrebbe persino supporre che il nichilismo occidentale sia l’inevitabile disorientamento di fronte al fallimento della fede occidentale nello sviluppo lineare della propria tradizione ma queste sono considerazioni superficiali e chi è abituato a pensare profondamente, magari ispirato da enti superiori, scorge ciò che noi non possiamo vedere!
[1] Ludwig von Bertalanffy, Teoria Generale dei Sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni. 1983, Mondadori, p. 344-345.
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