A volte capita di perdersi cose importanti, le cerchi dappertutto ma non c'è verso di trovarle. Sono cose che capitano, per distrazione!
Il bello - o il brutto, dipende come al solito dalle circostanze - è che la vita prende un'altra piega per via di una sciagurata sbadataggine!
"Concludiamone dunque che il mondo sarebbe assai migliore se ciascuno si accontentasse di quello che dice, senza aspettarsi che gli rispondano, e soprattutto senza chiederlo né desiderarlo." José Saramago
martedì 29 marzo 2011
mercoledì 23 marzo 2011
La normalità della guerra
«Ed eccoci qua.
L’ottavo anniversario di “dominio rapido” e dell’invasione in Iraq. Dieci anni in Afghanistan.
La guerra è così normale, così banale, che noi semplicemente l’accettiamo - come controllare il bollettino meteo giornaliero - nuvoloso, con possibilità di malinconia e di morte.
L’ottavo anniversario di “dominio rapido” e dell’invasione in Iraq. Dieci anni in Afghanistan.
La guerra è così normale, così banale, che noi semplicemente l’accettiamo - come controllare il bollettino meteo giornaliero - nuvoloso, con possibilità di malinconia e di morte.
martedì 22 marzo 2011
Casi umani
"Il terremoto è stato un battesimo di sofferenza che ha purificato la loro anima da tutte le macchie anche le più lievi e grazie a questa morte tragica la loro anima è volata al cielo prima del tempo perché Dio le ha voluto risparmiare un triste avvenire."
A dirlo è Roberto De Mattei (già ospite di questo blog), vicepresidente del CNR, su Radio Maria. Le parole sono di monsignor Mazzella, arcivescovo di Rossano Calabro, parole che De Mattei fa sue. Ho appreso la notizia dal blog Bioetica ma la trovate anche su LaStampa.it. Già il governatore della provincia di Tokio aveva detto che lo tsunami era "una punizione dal cielo", poi si è scusato con la popolazione.
Da parte mia dico soltanto che il dottor Pangloss, con la sua teologocosmoscemologia, sarebbe stato più credibile.
Voltaire non ha insegnato nulla a questa gente e, dovesse esistere, persino Dio si guarderebbe dal dare prova della propria esistenza per la vergogna d'aver creato simili soggetti.
E pensare che basterebbe il silenzio per sentire dignitosamente il dolore degli altri e il proprio anziché cercare spiegazioni facili per colmare l'incolmabile.
A dirlo è Roberto De Mattei (già ospite di questo blog), vicepresidente del CNR, su Radio Maria. Le parole sono di monsignor Mazzella, arcivescovo di Rossano Calabro, parole che De Mattei fa sue. Ho appreso la notizia dal blog Bioetica ma la trovate anche su LaStampa.it. Già il governatore della provincia di Tokio aveva detto che lo tsunami era "una punizione dal cielo", poi si è scusato con la popolazione.
Da parte mia dico soltanto che il dottor Pangloss, con la sua teologocosmoscemologia, sarebbe stato più credibile.
Voltaire non ha insegnato nulla a questa gente e, dovesse esistere, persino Dio si guarderebbe dal dare prova della propria esistenza per la vergogna d'aver creato simili soggetti.
Silhouette di François-Marie Arouet, noto come Voltaire |
E pensare che basterebbe il silenzio per sentire dignitosamente il dolore degli altri e il proprio anziché cercare spiegazioni facili per colmare l'incolmabile.
lunedì 21 marzo 2011
Il gioco delle possibilità incompiute
So di poterlo fare! Nell'apertura di possibilità accessibili c'è la tensione del nostro agire ma sempre più spesso l'agire resta timido tentativo di accesso e la visita non avviene.
Ci dotiamo di oggetti per comunicare, muoverci, visitare mondi lontani. La tecnologia più avanzata è al servizio delle possibilità ma poi non sappiamo cosa dire, non sappiamo dove andare, diamo uno sguardo distratto a quei mondi possibili e restiamo soddisfatti della possibilità di poter agire.
Ma facciamo realmente qualcosa? O restiamo immobili, sulla soglia di quelle possibilità, contenti unicamente della possibilità di agire?
I nostri preziosi strumenti della comunicazione non rendono meno difficile la comunicazione di quanto sentiamo e, quel che è peggio, ci fanno dimenticare quanto sia difficile comunicare.
Ci piace così tanto la nostra tecnologia che abbiamo dimenticato a cosa potesse servirci.
L'agire resta nascosto dietro i suoi strumenti.
"Abramo o un qualsiasi contadino dei tempi antichi moriva «vecchio sazio della vita» poiché si trovava nel ciclo organico della vita, poiché la sua vita, anche per quanto riguarda il suo senso, gli aveva portato alla sera del suo giorno ciò che poteva offrirgli, poiché per lui non rimanevano enigmi che desiderasse risolvere ed egli poteva perciò averne «abbastanza». Ma un uomo civilizzato, il quale è inserito nel processo di progressivo arricchimento della civiltà in fatto di idee, di sapere, di problemi, può diventare sì «stanco della vita», ma non sazio della vita. Di ciò che la vita dello spirito continuamente produce egli coglie soltanto la minima parte, e sempre soltanto qualcosa di provvisorio, mai di definitivo: perciò la morte è per lui un accadimento privo di senso. E poiché la morte è priva di senso, lo è anche la vita della cultura in quanto tale, che proprio in virtù della sua «progressività» priva di senso imprime alla morte un carattere di assurdità." Max Weber, La scienza come professione, Mondadori, 2006, pp. 21-22.
Ci dotiamo di oggetti per comunicare, muoverci, visitare mondi lontani. La tecnologia più avanzata è al servizio delle possibilità ma poi non sappiamo cosa dire, non sappiamo dove andare, diamo uno sguardo distratto a quei mondi possibili e restiamo soddisfatti della possibilità di poter agire.
Ma facciamo realmente qualcosa? O restiamo immobili, sulla soglia di quelle possibilità, contenti unicamente della possibilità di agire?
I nostri preziosi strumenti della comunicazione non rendono meno difficile la comunicazione di quanto sentiamo e, quel che è peggio, ci fanno dimenticare quanto sia difficile comunicare.
Ci piace così tanto la nostra tecnologia che abbiamo dimenticato a cosa potesse servirci.
L'agire resta nascosto dietro i suoi strumenti.
Jackson Pollock, Blue Poles: N° 11, 1952 National Gallery of Australia, Canberra |
"Abramo o un qualsiasi contadino dei tempi antichi moriva «vecchio sazio della vita» poiché si trovava nel ciclo organico della vita, poiché la sua vita, anche per quanto riguarda il suo senso, gli aveva portato alla sera del suo giorno ciò che poteva offrirgli, poiché per lui non rimanevano enigmi che desiderasse risolvere ed egli poteva perciò averne «abbastanza». Ma un uomo civilizzato, il quale è inserito nel processo di progressivo arricchimento della civiltà in fatto di idee, di sapere, di problemi, può diventare sì «stanco della vita», ma non sazio della vita. Di ciò che la vita dello spirito continuamente produce egli coglie soltanto la minima parte, e sempre soltanto qualcosa di provvisorio, mai di definitivo: perciò la morte è per lui un accadimento privo di senso. E poiché la morte è priva di senso, lo è anche la vita della cultura in quanto tale, che proprio in virtù della sua «progressività» priva di senso imprime alla morte un carattere di assurdità." Max Weber, La scienza come professione, Mondadori, 2006, pp. 21-22.
martedì 15 marzo 2011
Cause scatenanti
"Sono tre i reattori nucleari che presentano preoccupanti malfunzionamenti nella centrale di Fukushima Daiichi, in Giappone. I problemi sono nati per la difficoltà a rifornire di energia elettrica i sistemi di sicurezza della centrale. La causa scatenante è stato il gigantesco Tsunami che si è abbattuto sulla costa, in seguito al più intenso terremoto della storia del paese, che ha devastato la regione dove sorge la centrale."
Questo era in evidenza ieri mattina sul sito del Forum Nucleare Italiano, il sito nato per informare e rilanciare l'energia nucleare in Italia.
E' curioso il modo dare spiegazione causale del rischio nucleare in Giappone. Si va a ritroso, con effetto flashback, prima c'è "la difficoltà a rifornire di energia elettrica i sistemi di sicurezza della centrale", poi il gigantesco Tsunami, la causa scatenante.
Mi sono tornate in mente le quattro cause individuate dal maestro di color che sanno e ho pensato che manca la causa materiale: è una centrale nucleare.
Non che tutte le 4 cause di Aristotele siano state esenti da critiche nell'epistemologia successiva, ma mi sembrava che la causa materiale avesse retto alle critiche!
Questo era in evidenza ieri mattina sul sito del Forum Nucleare Italiano, il sito nato per informare e rilanciare l'energia nucleare in Italia.
E' curioso il modo dare spiegazione causale del rischio nucleare in Giappone. Si va a ritroso, con effetto flashback, prima c'è "la difficoltà a rifornire di energia elettrica i sistemi di sicurezza della centrale", poi il gigantesco Tsunami, la causa scatenante.
Mi sono tornate in mente le quattro cause individuate dal maestro di color che sanno e ho pensato che manca la causa materiale: è una centrale nucleare.
Non che tutte le 4 cause di Aristotele siano state esenti da critiche nell'epistemologia successiva, ma mi sembrava che la causa materiale avesse retto alle critiche!
domenica 13 marzo 2011
Quando i luoghi sono simboli
"Il Wisconsin Plan, che era stato elaborato congiuntamente da economisti e politici, comprendeva una legge d'avanguardia sugli impiegati statali, la regolamentazione dei tassi reali delle obbligazioni emesse da imprese pubbliche, un limite ai tassi d'interesse usurai (anche se questo limite era fissato al livello ancora proibitivo del 3,5 per cento al mese, ossia 42 per cento all'anno), il sostegno al movimento sindacale, un'imposta statale sui redditi e infine, nel 1932, un sistema statale di sussidi di disoccupazione. Quest'ultimo ebbe un effetto penetrante su atteggiamenti economici e politici; nient'altro diede un contributo così diretto alla legislazione federale sull'argomento tre anni dopo. E ancora una volta furono Commons e gli economisti del Wisconsin a svolgere una funzione di guida nel progetto federale. [...] Ogni visita alle origini dello Stato assistenziale deve comprendere un rispettoso soggiorno a Madison, nel Wisconsin." John Kenneth Galbraith, Storia dell'economia. Rizzoli, 1988, pp. 239-240.
Racconto questo episodio della storia economica e sociale degli Stati Uniti d'America perché dalla metà di febbraio scorso a Madison si sta consumando una vera e propria rivolta da parte di decine di migliaia di lavoratori pubblici, tra cui veterani di guerra in Iraq, che protestano per una legge promossa e poi approvata dalla maggioranza repubblicana che guida lo Stato del Wisconsin. Manifestazioni fiume, occupazione della sede dell'Assemblea per giorni interi fino alla resistenza passiva per opporsi ad una legge che ridimensiona il potere contrattuale dei lavoratori del settore pubblico. In poche parole, per sanare il disavanzo dello Stato e porre un freno alla crisi economica il governatore repubblicano Scott Walker ha deciso di intervenire sui dipendenti pubblici, aumentando le ritenute fiscali per il fondo pensione e sanitario ed eliminando il diritto alla contrattazione collettiva. Si ritorna ai contratti individuali, si possono contrattare solo i salari, viene negato il diritto allo sciopero, si prevedono sanzioni per quei lavoratori che decidono di partecipare a qualche manifestazione, non si può negoziare né la copertura sanitaria né le pensioni. Questo è quanto si prevede per migliaia di dipendenti pubblici americani - dovrebbe ricordare qualcosa di simile anche qui da noi a testimonianza del fatto che il mondo è proprio piccolo! Per farla ancora più breve, la crisi non la risolve chi l'ha provocata ma chi l'ha subita!
Quelle proteste hanno giustamente preso molta parte della stampa americana, Michael Moore dice che si tratta di una lotta di classe, Naomi Klein parla di un assalto frontale alla democrazia, un economista come Paul Krugman parla di una destra che non vuole risolvere i problemi ma che è solo intenzionata ad imporre una visione di "una società più dura, più diseguale e meno democratica."
Tutto questo accade nel Wisconsin nella più o meno generalizzata indifferenza della stampa italiana. Del resto con il Mediterraneo che brucia, il Giappone inghiottito da un maremoto con il ritorno del terrore nucleare e le "riforme epocali" del più grande leader che l'Italia è stata in grado di partorire nell'ultimo secolo e mezzo non si può certo pretendere di trovare un trafiletto per queste faccende! Ad ogni modo se ne è parlato qui e qui, quando il movimento è nato (16 febbraio), qui poco prima dell'approvazione della legge e qui subito dopo l'approvazione della legge (10 marzo).
Sarà che io amo vedere strani nessi nella storia ma trovo fatalmente significativo che nello Stato del Wisconsin, dove l'America ha visto nascere lo Stato sociale, si stiano facendo le prove per portarlo alla sua fine. Spero fortemente che abbia ragione quel lavoratore in uno dei video della protesta di Madison quando dice "enough is enough" (Quando è troppo è troppo!).
"Ogni visita alle origini dello Stato assistenziale [negli USA, nota mia] deve comprendere un rispettoso soggiorno a Madison, nel Wisconsin", diceva Galbraith.
Racconto questo episodio della storia economica e sociale degli Stati Uniti d'America perché dalla metà di febbraio scorso a Madison si sta consumando una vera e propria rivolta da parte di decine di migliaia di lavoratori pubblici, tra cui veterani di guerra in Iraq, che protestano per una legge promossa e poi approvata dalla maggioranza repubblicana che guida lo Stato del Wisconsin. Manifestazioni fiume, occupazione della sede dell'Assemblea per giorni interi fino alla resistenza passiva per opporsi ad una legge che ridimensiona il potere contrattuale dei lavoratori del settore pubblico. In poche parole, per sanare il disavanzo dello Stato e porre un freno alla crisi economica il governatore repubblicano Scott Walker ha deciso di intervenire sui dipendenti pubblici, aumentando le ritenute fiscali per il fondo pensione e sanitario ed eliminando il diritto alla contrattazione collettiva. Si ritorna ai contratti individuali, si possono contrattare solo i salari, viene negato il diritto allo sciopero, si prevedono sanzioni per quei lavoratori che decidono di partecipare a qualche manifestazione, non si può negoziare né la copertura sanitaria né le pensioni. Questo è quanto si prevede per migliaia di dipendenti pubblici americani - dovrebbe ricordare qualcosa di simile anche qui da noi a testimonianza del fatto che il mondo è proprio piccolo! Per farla ancora più breve, la crisi non la risolve chi l'ha provocata ma chi l'ha subita!
Quelle proteste hanno giustamente preso molta parte della stampa americana, Michael Moore dice che si tratta di una lotta di classe, Naomi Klein parla di un assalto frontale alla democrazia, un economista come Paul Krugman parla di una destra che non vuole risolvere i problemi ma che è solo intenzionata ad imporre una visione di "una società più dura, più diseguale e meno democratica."
Tutto questo accade nel Wisconsin nella più o meno generalizzata indifferenza della stampa italiana. Del resto con il Mediterraneo che brucia, il Giappone inghiottito da un maremoto con il ritorno del terrore nucleare e le "riforme epocali" del più grande leader che l'Italia è stata in grado di partorire nell'ultimo secolo e mezzo non si può certo pretendere di trovare un trafiletto per queste faccende! Ad ogni modo se ne è parlato qui e qui, quando il movimento è nato (16 febbraio), qui poco prima dell'approvazione della legge e qui subito dopo l'approvazione della legge (10 marzo).
Sarà che io amo vedere strani nessi nella storia ma trovo fatalmente significativo che nello Stato del Wisconsin, dove l'America ha visto nascere lo Stato sociale, si stiano facendo le prove per portarlo alla sua fine. Spero fortemente che abbia ragione quel lavoratore in uno dei video della protesta di Madison quando dice "enough is enough" (Quando è troppo è troppo!).
"Ogni visita alle origini dello Stato assistenziale [negli USA, nota mia] deve comprendere un rispettoso soggiorno a Madison, nel Wisconsin", diceva Galbraith.
sabato 12 marzo 2011
Tra i due abissi
Delle cose presenti e di quelle a venire. Quante le une, quante le altre, impossibile saperlo. Di questa impossibilità risuonava la corda che Blaise Pascal vedeva tesa tra l'abisso del nulla e quello del tutto.
«Quanti regni ci ignorano!»[1] dice il frammento 221 dei Pensieri, lo stesso frammento che colpì l’infinito Borges in una delle sue inquisizioni [2]. Il veggente cieco non amava Pascal, non so dargli torto. «Questi,» dice Borges di Pascal, «quando manifesta in parole incorruttibili il disordine e la miseria, è uno degli uomini più patetici della storia d’Europa; quando applica alle arti apologetiche il calcolo delle probabilità, uno dei più vani e frivoli.»[3]
Il mio sbrigativo epiteto di biscazziere dell'ignoto da straccio qual è diventa raffinato arazzo tessuto con la prosa di Borges. Eppure mi trattengo volentieri sui pensieri di Pascal proprio perché, come dice Borges, «Non la grandezza del Creatore ma la grandezza della Creazione commuove Pascal»[4]. Di fronte a quel silenzio eterno Pascal provava sgomento: «inabissato nell’infinita immensità degli spazi che ignoro e che m’ignorano, io mi spavento e stupisco di trovarmi qui piuttosto che là, oggi piuttosto che domani»[5], lo terrorizzava non potersi vedere in nessun altro dove, in nessun altro quando se non qui ed ora.
Se l'infinito creato atterriva Pascal, l'infinito non ancora creato lo meravigliava, non poteva tradire tutti i regni possibili Pascal rimanendo ancorato ai soli che gli erano noti e sapeva benissimo che le «leggi naturali, riconosciute in ogni paese» non sono altro che un povero strumento di potere nelle mani di chi non sopporta il mutamento. «Ho veduto tutti i paesi e gli uomini cambiare; e così dopo molti cambiamenti di giudizio nei confronti della vera giustizia, mi sono convinto che la nostra natura non è se non continuo mutamento, e da allora non ho più mutato [giudizio]. E se mutassi ancora, confermerei con ciò la mia opinione.»[6] «...Su che cosa fonderà l'uomo l'economia del mondo che pretende di governare? Sul capriccio del singolo? Quale confusione! Sulla giustizia? La ignora. [...] nulla si vede di giusto o di ingiusto che non muti qualità con il mutare del clima. Tre gradi di latitudine sovvertono tutta la giurisprudenza; un meridiano decide della verità; nel giro di pochi anni le leggi fondamentali cambiano; il diritto ha le sue epoche; l'entrata di Saturno nel Leone segna l'origine di questo o quel crimine. Singolare giustizia, che ha per confine un fiume! Verità al di qua dei Pirenei, errore di là.»[7]
Povero Pascal, non gli bastò restare sgomento quando scorse l’uomo teso «tra i due abissi dell’infinito e del nulla […] egualmente incapace d’intendere il nulla donde è tratto e l’infinito che lo inghiotte»[8]. Consapevole di non poter colmare quei due abissi si illuse di poterli congiungere con una scommessa. Ma era la condizione umana l’abisso che guardava con maggior sgomento l'autore dell'apologia incompiuta, l’abisso in mezzo agli abissi: «Un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, qualcosa di mezzo tra il tutto e il nulla.»[9] Più che ignorare l’infinito è l’essere ignorato dall’infinito che atterriva l’autore dei Pensieri, perché, in definitiva l’universo non può sapere nulla di quella fragile canna capace di pensare, infinito a sua volta e suo malgrado, ignorato dagli infiniti possibili regni. «L'uomo è solo una canna, la più fragile della natura; ma una canna che pensa. […] Ma, quand'anche l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe pur sempre più nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire, e conosce la superiorità che l'universo ha su di lui; mentre l'universo non ne sa nulla. Tutta la nostra dignità sta, dunque, nel pensiero.»[10]
Tempo fa titolai un post con il frammento 221 di Pascal «Quanti regni ci ignorano!», nessun cenno facevo all’autore dei Pensieri eppure il post voleva essere una riflessione sui ‘regni’ che sappiamo vedere e un'invito a guardare verso la soglia del non ancora. Quanto ad eventuali regni che ci guardano o meno non so dire, credo che facesse parte della sottile presunzione di Pascal «perché è certo che non si può concepire un tal disegno senza una presunzione o una capacità infinite, come la natura.»[11] e forse Pascal poteva permettersi l'una e l'altra.
[1] B. Pascal, Pensieri. Traduzione di Paolo Serini. Frammento 221. Einaudi 1962.
[2] J.L. Borges, Altre inquisizioni. Feltrinelli, 1963, pp. 99-101
[3] J.L. Borges, op. cit. p. 100
[4] Ibidem
[5] B. Pascal, op. cit. Frammento 220
[6] B. Pascal, op. cit. Frammento 300
[7] B. Pascal, op. cit. Frammento 301
[8] B. Pascal, op. cit. Frammento 223
[9] Ibidem
[10] B. Pascal, op. cit. Frammento 377
[11] B. Pascal, op. cit. Frammento 223
«Quanti regni ci ignorano!»[1] dice il frammento 221 dei Pensieri, lo stesso frammento che colpì l’infinito Borges in una delle sue inquisizioni [2]. Il veggente cieco non amava Pascal, non so dargli torto. «Questi,» dice Borges di Pascal, «quando manifesta in parole incorruttibili il disordine e la miseria, è uno degli uomini più patetici della storia d’Europa; quando applica alle arti apologetiche il calcolo delle probabilità, uno dei più vani e frivoli.»[3]
Il mio sbrigativo epiteto di biscazziere dell'ignoto da straccio qual è diventa raffinato arazzo tessuto con la prosa di Borges. Eppure mi trattengo volentieri sui pensieri di Pascal proprio perché, come dice Borges, «Non la grandezza del Creatore ma la grandezza della Creazione commuove Pascal»[4]. Di fronte a quel silenzio eterno Pascal provava sgomento: «inabissato nell’infinita immensità degli spazi che ignoro e che m’ignorano, io mi spavento e stupisco di trovarmi qui piuttosto che là, oggi piuttosto che domani»[5], lo terrorizzava non potersi vedere in nessun altro dove, in nessun altro quando se non qui ed ora.
Se l'infinito creato atterriva Pascal, l'infinito non ancora creato lo meravigliava, non poteva tradire tutti i regni possibili Pascal rimanendo ancorato ai soli che gli erano noti e sapeva benissimo che le «leggi naturali, riconosciute in ogni paese» non sono altro che un povero strumento di potere nelle mani di chi non sopporta il mutamento. «Ho veduto tutti i paesi e gli uomini cambiare; e così dopo molti cambiamenti di giudizio nei confronti della vera giustizia, mi sono convinto che la nostra natura non è se non continuo mutamento, e da allora non ho più mutato [giudizio]. E se mutassi ancora, confermerei con ciò la mia opinione.»[6] «...Su che cosa fonderà l'uomo l'economia del mondo che pretende di governare? Sul capriccio del singolo? Quale confusione! Sulla giustizia? La ignora. [...] nulla si vede di giusto o di ingiusto che non muti qualità con il mutare del clima. Tre gradi di latitudine sovvertono tutta la giurisprudenza; un meridiano decide della verità; nel giro di pochi anni le leggi fondamentali cambiano; il diritto ha le sue epoche; l'entrata di Saturno nel Leone segna l'origine di questo o quel crimine. Singolare giustizia, che ha per confine un fiume! Verità al di qua dei Pirenei, errore di là.»[7]
Povero Pascal, non gli bastò restare sgomento quando scorse l’uomo teso «tra i due abissi dell’infinito e del nulla […] egualmente incapace d’intendere il nulla donde è tratto e l’infinito che lo inghiotte»[8]. Consapevole di non poter colmare quei due abissi si illuse di poterli congiungere con una scommessa. Ma era la condizione umana l’abisso che guardava con maggior sgomento l'autore dell'apologia incompiuta, l’abisso in mezzo agli abissi: «Un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, qualcosa di mezzo tra il tutto e il nulla.»[9] Più che ignorare l’infinito è l’essere ignorato dall’infinito che atterriva l’autore dei Pensieri, perché, in definitiva l’universo non può sapere nulla di quella fragile canna capace di pensare, infinito a sua volta e suo malgrado, ignorato dagli infiniti possibili regni. «L'uomo è solo una canna, la più fragile della natura; ma una canna che pensa. […] Ma, quand'anche l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe pur sempre più nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire, e conosce la superiorità che l'universo ha su di lui; mentre l'universo non ne sa nulla. Tutta la nostra dignità sta, dunque, nel pensiero.»[10]
Tempo fa titolai un post con il frammento 221 di Pascal «Quanti regni ci ignorano!», nessun cenno facevo all’autore dei Pensieri eppure il post voleva essere una riflessione sui ‘regni’ che sappiamo vedere e un'invito a guardare verso la soglia del non ancora. Quanto ad eventuali regni che ci guardano o meno non so dire, credo che facesse parte della sottile presunzione di Pascal «perché è certo che non si può concepire un tal disegno senza una presunzione o una capacità infinite, come la natura.»[11] e forse Pascal poteva permettersi l'una e l'altra.
[1] B. Pascal, Pensieri. Traduzione di Paolo Serini. Frammento 221. Einaudi 1962.
[2] J.L. Borges, Altre inquisizioni. Feltrinelli, 1963, pp. 99-101
[3] J.L. Borges, op. cit. p. 100
[4] Ibidem
[5] B. Pascal, op. cit. Frammento 220
[6] B. Pascal, op. cit. Frammento 300
[7] B. Pascal, op. cit. Frammento 301
[8] B. Pascal, op. cit. Frammento 223
[9] Ibidem
[10] B. Pascal, op. cit. Frammento 377
[11] B. Pascal, op. cit. Frammento 223
venerdì 11 marzo 2011
Sottoscrivo!
Chi ha visto la trasmissione AnnoZero ieri sera sa che Tremonti non ha risposto alle domande di Giacomo Russo, chi non l'ha vista può farlo al sito di AnnoZero. Tremonti ha detto che non risponde quando gli attacchi vengono portati in maniera personale. Balle! Di argomenti Giacomo Russo ne ha sollevati tanti, troppi per Tremonti. Le domande erano precise. Quale progetto di sviluppo ha in mente Tremonti, se ne ha uno? Quale disegno vuole dare all'economia, se ha un disegno? Quale criterio ha adottato per i tagli, se ne ha adottato uno? Anziché fare lezioncine ridicole per i suoi elettori il ministro dell'economia potrebbe studiare un po' e magari abbozzare qualche risposta.
***
DOMANI 12 MARZO 2011, ANCORA UNA VOLTA IN PIAZZA DIFESA DELLA COSTITUZIONE.
martedì 8 marzo 2011
Grande come la terra
Ragazza, tu che sfiori la mia mente,
c'è nel tempo vibrato una mimosa
che va raccolta dentro la sutura
e ha suono, credi, un suono inverecondo.
Alda Merini, Da Ballate non pagate, 1995
***
A tutte le donne
Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l'emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d'amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d'amore.
Alda Merini
lunedì 7 marzo 2011
Parole di donna
La strega fu impiccata, nella storia,
Ma la storia ed io
Troviamo le arti magiche
Di cui abbiamo bisogno, giorno dopo giorno.
Emily Dickinson, Poesie, 1883.
"Cerco un viso che mi restituisca la memoria perché ho perso la memoria!"
Le ferite della mia fantasia hanno pulito i loro ricordi per una ragione a me ignota.
Le mie dita vagano indifferenti tra i fogli sparsi sul tavolo davanti a me. Sono decorati con parole misteriose. Ciononostante le dita continuano a rovistare in silenzio e trovano, nascosto tra i fogli, un quaderno!
Sulla prima pagina in margine è scritta la parola: "Ricordi"!
La osservo.
Il quaderno è mio o di qualcun'altra? Questi ricordi forse rappresentano il nostro passato fuggito via oppure un periodo della nostra vita che si è perso nei meandri del tempo.
Provo un irrefrenabile desiderio di leggerne le pagine.
Forse tra le righe troverò quel viso che mi restituirà la memoria!
Inizio a leggere.
Prima pagina
La notte era la ghigliottina del giorno. Il momento dell'esecuzione veniva preannunciato dai colori del crepuscolo.
Quella sera avevano comunicato alla ragazza:
«Dopodomani ti sposerai!»
Nella sua mente i sogni si arrampicavano come il gelsomino, erano bagnati come gocce di pioggia e variopinti come la primavera.
Aveva costruito un castello tra le stelle al quale aveva dato due nomi: il proprio e quello del giovane che avrebbe amato.
Si erano susseguiti i secondi, erano trascorse le ore e lei aveva varcato le frontiere dei giorni con tutto l'ardore di un'esuberante giovinezza per arrivare, con passione e felicità, al castello della sua fantasia.
In fondo alle scale c'era un uomo. Divorava le scale con i denti. Mentre la ragazza salì di un gradino dimenticando che invece doveva scendere!
La ragazza finì tra le sue braccia. Era il marito che avrebbe sposato. Un marito che sembrava una barzelletta ricoperta d'oro. Aveva festeggiato da... lungo tempo il settantesimo compleanno!
Seconda pagina
Una giornata primaverile... Il mondo è di un magico splendore... e in riva al fiume siedono insieme: un uomo e una donna!
«Mio poeta, nel tuo cuore vivono sempre tutte le stagioni... Non trattenere la tua poesia!»
«Bambina mia, non puoi impartire ordini ai poeti. Ogni poesia ha una fine.»
«Non la mia. Trasformala in un quarto di luna che ispira agli amanti come mantenere vivo il loro universo.»
«Lasciami finire la poesia, perché ci sono milioni di giornali che attendono la sua pubblicazione!»
«E poi?»
«Ne scriverò un'altra.»
Da dietro le montagne si sentono parole prive di alfabeto. Lei pensava: "Scriverà un'altra poesia... in un'altra primavera... in riva a un altro fiume... e con un'altra donna!".
Terza pagina
«Mamma... ho fame.»
«Mamma, mio fratello mi ha picchiata e mi ha preso il giocattolo.»
«Mamma, mi fa male la pancia.»
Risuona la voce del marito che torna dal lavoro:
«Donna, sono stanco e voglio riposare un po'.»
Lei corre dai figli con la leggiadria di una gazzella.
Dà da mangiare al primo. Sgrida il secondo e accarezza il terzo. Dà la medicina al quarto.
Nella piccola casa regna il silenzio.
Li osserva con una felicità incommensurabile, li abbraccia con amore come se abbracciasse l'universo intero. I battiti del suo cuore si fondono con i battiti dei loro cuori.
Crede che il tempo trascorra solo in funzione di quei piccoli cuori!
Li bacia con affettuosi baci... e chiude gli occhi per sognare gli orizzonti di uno splendido futuro.
Li riapre. Tutte le stelle precipitano con le sue lacrime. E lei è solo una donna... sterile!
Quarta pagina
Lo supplica. Il mondo si riduce a tre bambini che abbraccia con i suoi occhi da zingara.
«Padrone, voglio un lavoro che procuri ai miei figli una pagnotta di pane!»
«Donna, la frugalità è un macigno contro il quale si infrangono li orizzonti della cupidigia... Non accontentarti di una sola pagnotta!»
«I miei figli sono piccoli... a loro basterà quella pagnotta.»
Insisté:
«Un giorno ti chiederanno di più... e allora ti preoccuperai!»
Tutti i punti interrogativi ed esclamativi si accumularono nei suoi occhi:
«Che devo fare, allora?»
«Lavorare da me la sera... al chiarore della luna.»
La guardò con l'astuzia di una volpe, frantumando la vita che era in lei.
«Voglio del pane... pulito!»
«Quando abbiamo fame mangiamo anche le pietre e ingoiamo la terra. Che ne dici di una pagnotta secca al chiarore della luna?»
Quella sera... la luna era rotonda dal dolore... e iniziò a trasformarsi in una pagnotta di pane intrisa di sangue dell'alba che colava dall'otre di un nuovo giorno!
Quinta pagina
Piangendo ha confidato alla sua amica:
«Ha detto che mi ama.»
«Tutti gli uomini inseriscono questo nastro. Non credergli. E' un mostro... e uno sfruttatore... e... e»
Ha concluso con tono sottomesso:
«Hai ragione... lo rifiuterò.»
L'amica le ha asciugato con una mano le lacrime dagli occhi... mentre l'altra mano dietro la schiena tesseva una solida rete con cui catturare quello squalo che il mare ha rifiutato di ospitare tra le sue braccia.
Sesta pagina
Prima di chiudere gli occhi per l'ultima volta guardò le persone che la circondavano. Le loro lacrime la sommergevano. I suoi occhi sfiorarono tutti i visi offuscati e si soffermò infine su quello del marito.
L'uomo che ha amato, con estrema fedeltà, sino all'ultimo istante della propria vita. Ora lo stava lasciando... Se ne stava andando... verso il luogo dal quale non c'è ritorno.
Vide le lacrime colare da quegli occhi che la facevano ardere di passione. Conservò la sua immagine nel cuore. Le palpebre si abbassavano sempre di più.
Prima che si spegnesse l'ultima luce nel suo sguardo... le apparve il marito al termine della cerimonia per la sepoltura. Riceveva le condoglianze, ma con la coda degli occhi - quegli occhi che la facevano ardere di passione - cercava tra le presenti la futura moglie!
Settima pagina
Trasformò tutti gli alfabeti e tutte le lettere del mondo in armi con cui difendere la propria anima:
«Devo imparare!»
Ciononostante ci sono frasi che trasformano tutte le pietre, tutte le montagne, tutti gli uccelli in belve che sanno come mozzare la testa dei sogni, scoraggiare le aspirazioni giovanili e trasformare la primavera nell'inverno.
«Sei una ragazza... e la ragazza è una mummia... Il suo posto è tra le quattro mura!»
Riceveva colpi da ogni lato... La sua vita aveva assunto un color porpora... A nulla erano serviti tutti gli sciocchi alfabeti del mondo; il periodo più bello della sua esistenza si dissolse insieme a lei in un grido che le sputava in faccia.
In lei tacque il rantolo dei moribondi. Il lampo addentò le ali dei suoi desideri, bruciò le sue piume e gettò la polvere negli occhi di tutte le donne che non parlavano.
Chiude il quaderno. Sembra che tutte le fonti di dolore risiedano dentro di lei. Si è infranta contro le sue onde e si è colpita il petto:
«E' questo il passato che mi disperavo di aver dimenticato?
«E' davvero quel mare stupendo in nome del quale cercavo un viso che mi riconducesse ai suoi approdi?
«Per la prima volta da quando ho perso la memoria... mi sono accorta di essere una persona umana che - con la sua amnesia - si è liberata da una malattia cronica che la abitava!»
Hiyam al-Mefleh, Pagine di una memoria dimenticata, 2001 (Arabia Saudita).
In Parola di donna, corpo di donna. Antologia di scrittrici arabe contemporanee. Oscar Mondadori, 2005, pp. 251-256.
Ma la storia ed io
Troviamo le arti magiche
Di cui abbiamo bisogno, giorno dopo giorno.
Emily Dickinson, Poesie, 1883.
Donne (Libia). Donne durante una festa di Ghat incoraggiano i cammellieri. Foto da Gli Angeli parlano a Monica. |
"Cerco un viso che mi restituisca la memoria perché ho perso la memoria!"
Le ferite della mia fantasia hanno pulito i loro ricordi per una ragione a me ignota.
Le mie dita vagano indifferenti tra i fogli sparsi sul tavolo davanti a me. Sono decorati con parole misteriose. Ciononostante le dita continuano a rovistare in silenzio e trovano, nascosto tra i fogli, un quaderno!
Sulla prima pagina in margine è scritta la parola: "Ricordi"!
La osservo.
Il quaderno è mio o di qualcun'altra? Questi ricordi forse rappresentano il nostro passato fuggito via oppure un periodo della nostra vita che si è perso nei meandri del tempo.
Provo un irrefrenabile desiderio di leggerne le pagine.
Forse tra le righe troverò quel viso che mi restituirà la memoria!
Inizio a leggere.
Prima pagina
La notte era la ghigliottina del giorno. Il momento dell'esecuzione veniva preannunciato dai colori del crepuscolo.
Quella sera avevano comunicato alla ragazza:
«Dopodomani ti sposerai!»
Nella sua mente i sogni si arrampicavano come il gelsomino, erano bagnati come gocce di pioggia e variopinti come la primavera.
Aveva costruito un castello tra le stelle al quale aveva dato due nomi: il proprio e quello del giovane che avrebbe amato.
Si erano susseguiti i secondi, erano trascorse le ore e lei aveva varcato le frontiere dei giorni con tutto l'ardore di un'esuberante giovinezza per arrivare, con passione e felicità, al castello della sua fantasia.
In fondo alle scale c'era un uomo. Divorava le scale con i denti. Mentre la ragazza salì di un gradino dimenticando che invece doveva scendere!
La ragazza finì tra le sue braccia. Era il marito che avrebbe sposato. Un marito che sembrava una barzelletta ricoperta d'oro. Aveva festeggiato da... lungo tempo il settantesimo compleanno!
Seconda pagina
Una giornata primaverile... Il mondo è di un magico splendore... e in riva al fiume siedono insieme: un uomo e una donna!
«Mio poeta, nel tuo cuore vivono sempre tutte le stagioni... Non trattenere la tua poesia!»
«Bambina mia, non puoi impartire ordini ai poeti. Ogni poesia ha una fine.»
«Non la mia. Trasformala in un quarto di luna che ispira agli amanti come mantenere vivo il loro universo.»
«Lasciami finire la poesia, perché ci sono milioni di giornali che attendono la sua pubblicazione!»
«E poi?»
«Ne scriverò un'altra.»
Da dietro le montagne si sentono parole prive di alfabeto. Lei pensava: "Scriverà un'altra poesia... in un'altra primavera... in riva a un altro fiume... e con un'altra donna!".
Terza pagina
«Mamma... ho fame.»
«Mamma, mio fratello mi ha picchiata e mi ha preso il giocattolo.»
«Mamma, mi fa male la pancia.»
Risuona la voce del marito che torna dal lavoro:
«Donna, sono stanco e voglio riposare un po'.»
Lei corre dai figli con la leggiadria di una gazzella.
Dà da mangiare al primo. Sgrida il secondo e accarezza il terzo. Dà la medicina al quarto.
Nella piccola casa regna il silenzio.
Li osserva con una felicità incommensurabile, li abbraccia con amore come se abbracciasse l'universo intero. I battiti del suo cuore si fondono con i battiti dei loro cuori.
Crede che il tempo trascorra solo in funzione di quei piccoli cuori!
Li bacia con affettuosi baci... e chiude gli occhi per sognare gli orizzonti di uno splendido futuro.
Li riapre. Tutte le stelle precipitano con le sue lacrime. E lei è solo una donna... sterile!
Quarta pagina
Lo supplica. Il mondo si riduce a tre bambini che abbraccia con i suoi occhi da zingara.
«Padrone, voglio un lavoro che procuri ai miei figli una pagnotta di pane!»
«Donna, la frugalità è un macigno contro il quale si infrangono li orizzonti della cupidigia... Non accontentarti di una sola pagnotta!»
«I miei figli sono piccoli... a loro basterà quella pagnotta.»
Insisté:
«Un giorno ti chiederanno di più... e allora ti preoccuperai!»
Tutti i punti interrogativi ed esclamativi si accumularono nei suoi occhi:
«Che devo fare, allora?»
«Lavorare da me la sera... al chiarore della luna.»
La guardò con l'astuzia di una volpe, frantumando la vita che era in lei.
«Voglio del pane... pulito!»
«Quando abbiamo fame mangiamo anche le pietre e ingoiamo la terra. Che ne dici di una pagnotta secca al chiarore della luna?»
Quella sera... la luna era rotonda dal dolore... e iniziò a trasformarsi in una pagnotta di pane intrisa di sangue dell'alba che colava dall'otre di un nuovo giorno!
Quinta pagina
Piangendo ha confidato alla sua amica:
«Ha detto che mi ama.»
«Tutti gli uomini inseriscono questo nastro. Non credergli. E' un mostro... e uno sfruttatore... e... e»
Ha concluso con tono sottomesso:
«Hai ragione... lo rifiuterò.»
L'amica le ha asciugato con una mano le lacrime dagli occhi... mentre l'altra mano dietro la schiena tesseva una solida rete con cui catturare quello squalo che il mare ha rifiutato di ospitare tra le sue braccia.
Sesta pagina
Prima di chiudere gli occhi per l'ultima volta guardò le persone che la circondavano. Le loro lacrime la sommergevano. I suoi occhi sfiorarono tutti i visi offuscati e si soffermò infine su quello del marito.
L'uomo che ha amato, con estrema fedeltà, sino all'ultimo istante della propria vita. Ora lo stava lasciando... Se ne stava andando... verso il luogo dal quale non c'è ritorno.
Vide le lacrime colare da quegli occhi che la facevano ardere di passione. Conservò la sua immagine nel cuore. Le palpebre si abbassavano sempre di più.
Prima che si spegnesse l'ultima luce nel suo sguardo... le apparve il marito al termine della cerimonia per la sepoltura. Riceveva le condoglianze, ma con la coda degli occhi - quegli occhi che la facevano ardere di passione - cercava tra le presenti la futura moglie!
Settima pagina
Trasformò tutti gli alfabeti e tutte le lettere del mondo in armi con cui difendere la propria anima:
«Devo imparare!»
Ciononostante ci sono frasi che trasformano tutte le pietre, tutte le montagne, tutti gli uccelli in belve che sanno come mozzare la testa dei sogni, scoraggiare le aspirazioni giovanili e trasformare la primavera nell'inverno.
«Sei una ragazza... e la ragazza è una mummia... Il suo posto è tra le quattro mura!»
Riceveva colpi da ogni lato... La sua vita aveva assunto un color porpora... A nulla erano serviti tutti gli sciocchi alfabeti del mondo; il periodo più bello della sua esistenza si dissolse insieme a lei in un grido che le sputava in faccia.
In lei tacque il rantolo dei moribondi. Il lampo addentò le ali dei suoi desideri, bruciò le sue piume e gettò la polvere negli occhi di tutte le donne che non parlavano.
Chiude il quaderno. Sembra che tutte le fonti di dolore risiedano dentro di lei. Si è infranta contro le sue onde e si è colpita il petto:
«E' questo il passato che mi disperavo di aver dimenticato?
«E' davvero quel mare stupendo in nome del quale cercavo un viso che mi riconducesse ai suoi approdi?
«Per la prima volta da quando ho perso la memoria... mi sono accorta di essere una persona umana che - con la sua amnesia - si è liberata da una malattia cronica che la abitava!»
Hiyam al-Mefleh, Pagine di una memoria dimenticata, 2001 (Arabia Saudita).
In Parola di donna, corpo di donna. Antologia di scrittrici arabe contemporanee. Oscar Mondadori, 2005, pp. 251-256.
venerdì 4 marzo 2011
Storie in cerca d'autore
Solo poche considerazioni per concludere il discorso cominciato con il precedente post.
Qualche giorno fa Adriano ha pubblicato un bel post con alcune citazioni sulla scrittura, tra le citazioni ce n'erano un paio davvero straordinarie. Una di Paul Auster, tratta dalla Trilogia di New York: "Come ha detto qualcuno, le storie capitano solo a chi le sa raccontare. Analogamente, forse, le esperienze si presentano solo a chi è capace di viverle. Ma questo è un punto controverso, non ne sono sicuro.”, e l'altra di Flannery O'Connor: “E’ l’ignoto che abbiamo dentro: scrivere vuol dire questo. E’ questo o niente. La scrittura è l’ignoto. Prima di scrivere non si sa niente di ciò che si sta per scrivere. Se si sapesse qualcosa di quello che si scriverà, prima di farlo, prima di scrivere, non si scriverebbe. Sarebbe inutile.”
Da queste citazioni se ne potrebbe trarre che lo scrittore è una sorta di punto in cui le storie si incrociano, si condensano e si rendono disponibili per essere raccontate. Se le storie sono captate dallo scrittore, perché "le storie capitano solo a chi le sa raccontare" e prima di essere raccontate "non si sa niente di ciò che si sta per scrivere", allora lo scrittore (o più estesamente l'autore) è il punto di "coagulazione" di storie che appartengono a tutti. E' naturale che l'autore ci metta del suo nelle storie che racconta, perché in quei tutti c'è anche lui ma resta il fatto che le storie sono di tutti e lui ne è il portavoce. E di tutti ritorneranno ad essere dopo essere state scritte. Forse, in definitiva, le storie non hanno fatto altro che usare lo scrittore per farsi raccontare. La domanda giusta quindi non è: "a chi appartiene il testo scritto?" ma "a quali storie appartiene l'autore?", come già ci ha insegnato Pirandello quando i suoi sei personaggi irrompono sulla scena del teatro e rivendicano "consistenza".
Sono le storie a cercare gli autori e le storie non possono smettere di parlarsi tra di loro, servono a questo le citazioni, i rimandi, le allusioni tra i diversi racconti, qualunque forma essi prendano, dal saggio al romanzo, dall'articolo giornalistico a quello scientifico, dalla scritta sui muri al dramma teatrale. Le citazioni non sono solo il dovuto atto di riconoscenza, hanno anche un valore simbolico, forse metafisico, rappresentano il filo necessario a cucire la rete della narrazione che ci tiene in vita.
Senza le allusioni tra una fiaba e l'altra, senza un accenno a cosa avrebbe raccontato la notte dopo e senza un richiamo a quello che aveva raccontato la notte prima, Sherazad non si sarebbe salvata dalla vendetta del sultano.
Qualche giorno fa Adriano ha pubblicato un bel post con alcune citazioni sulla scrittura, tra le citazioni ce n'erano un paio davvero straordinarie. Una di Paul Auster, tratta dalla Trilogia di New York: "Come ha detto qualcuno, le storie capitano solo a chi le sa raccontare. Analogamente, forse, le esperienze si presentano solo a chi è capace di viverle. Ma questo è un punto controverso, non ne sono sicuro.”, e l'altra di Flannery O'Connor: “E’ l’ignoto che abbiamo dentro: scrivere vuol dire questo. E’ questo o niente. La scrittura è l’ignoto. Prima di scrivere non si sa niente di ciò che si sta per scrivere. Se si sapesse qualcosa di quello che si scriverà, prima di farlo, prima di scrivere, non si scriverebbe. Sarebbe inutile.”
Da queste citazioni se ne potrebbe trarre che lo scrittore è una sorta di punto in cui le storie si incrociano, si condensano e si rendono disponibili per essere raccontate. Se le storie sono captate dallo scrittore, perché "le storie capitano solo a chi le sa raccontare" e prima di essere raccontate "non si sa niente di ciò che si sta per scrivere", allora lo scrittore (o più estesamente l'autore) è il punto di "coagulazione" di storie che appartengono a tutti. E' naturale che l'autore ci metta del suo nelle storie che racconta, perché in quei tutti c'è anche lui ma resta il fatto che le storie sono di tutti e lui ne è il portavoce. E di tutti ritorneranno ad essere dopo essere state scritte. Forse, in definitiva, le storie non hanno fatto altro che usare lo scrittore per farsi raccontare. La domanda giusta quindi non è: "a chi appartiene il testo scritto?" ma "a quali storie appartiene l'autore?", come già ci ha insegnato Pirandello quando i suoi sei personaggi irrompono sulla scena del teatro e rivendicano "consistenza".
Sono le storie a cercare gli autori e le storie non possono smettere di parlarsi tra di loro, servono a questo le citazioni, i rimandi, le allusioni tra i diversi racconti, qualunque forma essi prendano, dal saggio al romanzo, dall'articolo giornalistico a quello scientifico, dalla scritta sui muri al dramma teatrale. Le citazioni non sono solo il dovuto atto di riconoscenza, hanno anche un valore simbolico, forse metafisico, rappresentano il filo necessario a cucire la rete della narrazione che ci tiene in vita.
Senza le allusioni tra una fiaba e l'altra, senza un accenno a cosa avrebbe raccontato la notte dopo e senza un richiamo a quello che aveva raccontato la notte prima, Sherazad non si sarebbe salvata dalla vendetta del sultano.
mercoledì 2 marzo 2011
Di chi è questo post?
Nella rete si trova di tutto, niente di più ovvio. Qualche giorno fa ho letto persino di un tizio che scippa i post altrui, li copia e li porta nel suo blog senza citare la fonte. Chi ne è rimasto vittima ha scritto un post comprensibilmente piccato, anche se ironico, per denunciare il fatto e chiedeva ai suoi lettori come avrebbero reagito se fosse capitato loro una cosa simile.
Al di là del "furto" di post, cosa quanto meno poco elegante, la faccenda mi fa sorgere la domanda "a chi appartiene la parola scritta?" E' ovvio che qui non parlo di diritti d'autore e menate simili, non so nulla di quelle faccende e poco mi interessa saperne. Non parlo nemmeno di licenza di plagio, cosa per cui in alcuni paesi seri persino un ministro della difesa è costretto a dimettersi (astenersi dai paragoni con il nostro paese!).
Da parte mia ho sempre pensato che rivendicare la proprietà di qualcosa messo in rete è grosso modo come rivendicare la polvere sollevata dalle nostre scarpe, per la verità estendo un po' troppo questo principio ma questo è un altro discorso..."il senso del possesso che fu prealessandrino", cantava Battiato.
E' noto che il testo, una volta scritto, entra in relazione con il lettore attraverso un complicato gioco di interpretazioni ed un intreccio emotivo che è tipico del rapporto testo-lettore e in quel rapporto così intimo l'autore non c'è già più. Come diceva Borges, "leggere, del resto, è un'attività successiva a quella di scrivere: più rassegnata, più civile, più intellettuale." (Prologo alla prima edizione della Storia universale dell'infamia, 1935). Ma allora fino a quando un autore può dire suo un testo? Sono molti gli autori che alla domanda "qual è il tuo miglior libro?" hanno risposto "quello che non ho ancora scritto" - naturalmente non ne ricordo neanche uno -, basterebbe questo per delimitare il confine tra lo spazio testo-autore e lo spazio testo-lettore. Sono convinto che in definitiva per un autore - che crei parole o altro poco importa - conti sempre quello che farà non quello che ha già fatto. L'autore, qualunque cosa crei, possiede la sua opera solo nel futuro, quando ancora non c'è. Nessuno potrà mai plagiare quell'opera.
Non sarà forse che l'unico tempo che ci appartiene per davvero è quello che verrà?
Al di là del "furto" di post, cosa quanto meno poco elegante, la faccenda mi fa sorgere la domanda "a chi appartiene la parola scritta?" E' ovvio che qui non parlo di diritti d'autore e menate simili, non so nulla di quelle faccende e poco mi interessa saperne. Non parlo nemmeno di licenza di plagio, cosa per cui in alcuni paesi seri persino un ministro della difesa è costretto a dimettersi (astenersi dai paragoni con il nostro paese!).
Da parte mia ho sempre pensato che rivendicare la proprietà di qualcosa messo in rete è grosso modo come rivendicare la polvere sollevata dalle nostre scarpe, per la verità estendo un po' troppo questo principio ma questo è un altro discorso..."il senso del possesso che fu prealessandrino", cantava Battiato.
E' noto che il testo, una volta scritto, entra in relazione con il lettore attraverso un complicato gioco di interpretazioni ed un intreccio emotivo che è tipico del rapporto testo-lettore e in quel rapporto così intimo l'autore non c'è già più. Come diceva Borges, "leggere, del resto, è un'attività successiva a quella di scrivere: più rassegnata, più civile, più intellettuale." (Prologo alla prima edizione della Storia universale dell'infamia, 1935). Ma allora fino a quando un autore può dire suo un testo? Sono molti gli autori che alla domanda "qual è il tuo miglior libro?" hanno risposto "quello che non ho ancora scritto" - naturalmente non ne ricordo neanche uno -, basterebbe questo per delimitare il confine tra lo spazio testo-autore e lo spazio testo-lettore. Sono convinto che in definitiva per un autore - che crei parole o altro poco importa - conti sempre quello che farà non quello che ha già fatto. L'autore, qualunque cosa crei, possiede la sua opera solo nel futuro, quando ancora non c'è. Nessuno potrà mai plagiare quell'opera.
Non sarà forse che l'unico tempo che ci appartiene per davvero è quello che verrà?
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