Franklin Jones
Se fossi vissuto un altr’anno
avrei perfezionato la mia macchina volante,
e sarei divenuto ricco e famoso.
Perciò bene ha fatto l’artigiano
che ha tentato di scolpirmi una colomba
a farla più somigliante a un pollo.
Cos’è in fondo la vita se non uscire dal guscio
e scorrazzare nel cortile
fino al giorno del ceppo?
Solo che l’uomo ha l’intelligenza d’un angelo
e vede la scure sin dal primo momento!
Da: Antologia di Spoon River, Edgar Lee Masters, 1915
"Concludiamone dunque che il mondo sarebbe assai migliore se ciascuno si accontentasse di quello che dice, senza aspettarsi che gli rispondano, e soprattutto senza chiederlo né desiderarlo." José Saramago
venerdì 30 aprile 2010
giovedì 29 aprile 2010
Paradossi?
Paradossi di natura, tratto dal sito di Le Scienze (Da Mente&Cervello, maggio 2010, n. 65)
«I comportamenti umani sono pieni di contraddizioni, più vicini al paradosso che alla logica. E la razionalità viene usata molto più spesso per giustificare i propri comportamenti che per guidarli. Marta Erba
L’uomo è un animale razionale? Rispetto a quella di Aristotele, desta meno problemi la definizione di Platone, che si limitava a dire che «l’uomo è un bipede implume». Che l’agire dell’uomo sia improntato alla razionalità è invece un’affermazione ben più azzardata, messa in discussione da generazioni di psicologi e psicoanalisti, e ultimamente anche neuroscienziati.
I tipici comportamenti umani sembrano troppo spesso pieni di contraddizioni, e più vicini al paradosso – inteso come coesistenza di realtà opposte e apparentemente inconciliabili – che alla logica. Secondo Anna Freud, figlia di Sigmund, la razionalità è più spesso usata per giustificare i propri comportamenti – per nulla razionali – anziché per guidarli: la psicoanalista sosteneva infatti che la «razionalizzazione» fosse un meccanismo di difesa evoluto, adottato per renderci accettabili atteggiamenti, idee e sentimenti di cui non siamo in grado di riconoscere, o non vogliamo accettare, le reali motivazioni.»
D. Hume, Trattato sulla natura umana, 1739-1740
«Non c’è nulla di più comune in filosofia, e anche nella vita quotidiana, che parlare del conflitto tra passione e ragione per dare la palma alla ragione, e per affermare che gli uomini sono virtuosi solo nella misura in cui obbediscono ai suoi comandi. Si sostiene che ogni creatura razionale ha l’obbligo di regolare le proprie azioni secondo i dettami della ragione, e che nel caso in cui ci sia qualche altro motivo o principio che pretenda di determinare la sua condotta, deve opporsi a esso finché non sia completamente domato o almeno conciliato con quel principio superiore. La maggior parte della filosofia morale, antica e moderna, sembra fondarsi su questo modo di pensare; e non c’è nulla che offra maggior spazio sia alle disquisizioni metafisiche, come alle declamazioni popolari, quanto questa presunta superiorità della ragione sulla passione. Si sono poste nella miglior luce l’eternità, l’invariabilità e l’origine divina della prima; mentre si è continuamente insistito sulla cecità, incostanza e falsità della seconda. Per dimostrare come tutta questa filosofia sia erronea, cercherò di dimostrare in primo luogo che la ragione, da sola, non può mai essere motivo di una qualsiasi azione della volontà; e in secondo luogo che la ragione non può mai contrapporsi alla passione nella guida della volontà.
[...] Ma se la ragione non ha questa influenza originaria è impossibile che possa ostacolare un principio che invece possiede tale capacità, o che riesca a fare esitare la nostra mente sia pure per un attimo. Risulta quindi chiaro che il principio che si contrappone alla passione non può coincidere con la ragione e solo impropriamente lo si chiama così. Non parliamo né con rigore né filosoficamente quando parliamo di una lotta tra la passione e la ragione. La ragione è, e può solo essere, schiava delle passioni e non può rivendicare in nessun caso una funzione diversa da quella di servire e obbedire a esse.»
D. Hume, Opere, Laterza, 1971, vol. I, pp. 433-436.
Quelle che Hume chiamava passioni oggi vengono chiamate emozioni, e il loro primato sulla ragione, lungi dal concedere spazio ad approcci "irrazionalisti", comincia ad avere l'attenzione che merita da parte della scienza oltre che della filosofia. Sono sempre più numerose le testimonianze che le aree più profonde del nostro cervello (che presiedono gli stati emotivi) vengono coinvolte prima delle aree neocorticali (che presiedono l'elaborazione razionale) nella formazione di un giudizio, soprattutto quando si tratta di un giudizio di natura morale. Le tecniche di neuroimaging mostrano che nella formulazione di un giudizio morale l'attività razionale si presenta alla mente successivamente, solo dopo che i giudizi morali sono stati conseguiti sulla base di intuizioni rapide e automatiche. Un intervento quasi sempre post hoc, una sorta di giustificazione per le decisioni prese. Come afferma il primatologo de Waal nel suo bellissimo libro Primati e filosofi. Evoluzione e moralità, «La nostra tanto decantata razionalità è in parte un'illusione» (p. 213).
Letteratura minima
A. Damasio, L'errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano. Adelphi, 1995.
A. Damasio, Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello. Adelphi, 2003.
R. Bodei, Geometria delle passioni. Paura, speranza, felicità: filosofia e uso politico. Feltrinelli, 2003.
M.C. Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni. il Mulino, 2004.
F. de Waal, La scimmia che siamo. Il passato e il futuro della natura umana. Garzanti, 2006.
F. de Waal, Primati e filosofi. Evoluzione e moralità. Garzanti, 2008.
«I comportamenti umani sono pieni di contraddizioni, più vicini al paradosso che alla logica. E la razionalità viene usata molto più spesso per giustificare i propri comportamenti che per guidarli. Marta Erba
L’uomo è un animale razionale? Rispetto a quella di Aristotele, desta meno problemi la definizione di Platone, che si limitava a dire che «l’uomo è un bipede implume». Che l’agire dell’uomo sia improntato alla razionalità è invece un’affermazione ben più azzardata, messa in discussione da generazioni di psicologi e psicoanalisti, e ultimamente anche neuroscienziati.
I tipici comportamenti umani sembrano troppo spesso pieni di contraddizioni, e più vicini al paradosso – inteso come coesistenza di realtà opposte e apparentemente inconciliabili – che alla logica. Secondo Anna Freud, figlia di Sigmund, la razionalità è più spesso usata per giustificare i propri comportamenti – per nulla razionali – anziché per guidarli: la psicoanalista sosteneva infatti che la «razionalizzazione» fosse un meccanismo di difesa evoluto, adottato per renderci accettabili atteggiamenti, idee e sentimenti di cui non siamo in grado di riconoscere, o non vogliamo accettare, le reali motivazioni.»
***
D. Hume, Trattato sulla natura umana, 1739-1740
«Non c’è nulla di più comune in filosofia, e anche nella vita quotidiana, che parlare del conflitto tra passione e ragione per dare la palma alla ragione, e per affermare che gli uomini sono virtuosi solo nella misura in cui obbediscono ai suoi comandi. Si sostiene che ogni creatura razionale ha l’obbligo di regolare le proprie azioni secondo i dettami della ragione, e che nel caso in cui ci sia qualche altro motivo o principio che pretenda di determinare la sua condotta, deve opporsi a esso finché non sia completamente domato o almeno conciliato con quel principio superiore. La maggior parte della filosofia morale, antica e moderna, sembra fondarsi su questo modo di pensare; e non c’è nulla che offra maggior spazio sia alle disquisizioni metafisiche, come alle declamazioni popolari, quanto questa presunta superiorità della ragione sulla passione. Si sono poste nella miglior luce l’eternità, l’invariabilità e l’origine divina della prima; mentre si è continuamente insistito sulla cecità, incostanza e falsità della seconda. Per dimostrare come tutta questa filosofia sia erronea, cercherò di dimostrare in primo luogo che la ragione, da sola, non può mai essere motivo di una qualsiasi azione della volontà; e in secondo luogo che la ragione non può mai contrapporsi alla passione nella guida della volontà.
[...] Ma se la ragione non ha questa influenza originaria è impossibile che possa ostacolare un principio che invece possiede tale capacità, o che riesca a fare esitare la nostra mente sia pure per un attimo. Risulta quindi chiaro che il principio che si contrappone alla passione non può coincidere con la ragione e solo impropriamente lo si chiama così. Non parliamo né con rigore né filosoficamente quando parliamo di una lotta tra la passione e la ragione. La ragione è, e può solo essere, schiava delle passioni e non può rivendicare in nessun caso una funzione diversa da quella di servire e obbedire a esse.»
D. Hume, Opere, Laterza, 1971, vol. I, pp. 433-436.
***
Quelle che Hume chiamava passioni oggi vengono chiamate emozioni, e il loro primato sulla ragione, lungi dal concedere spazio ad approcci "irrazionalisti", comincia ad avere l'attenzione che merita da parte della scienza oltre che della filosofia. Sono sempre più numerose le testimonianze che le aree più profonde del nostro cervello (che presiedono gli stati emotivi) vengono coinvolte prima delle aree neocorticali (che presiedono l'elaborazione razionale) nella formazione di un giudizio, soprattutto quando si tratta di un giudizio di natura morale. Le tecniche di neuroimaging mostrano che nella formulazione di un giudizio morale l'attività razionale si presenta alla mente successivamente, solo dopo che i giudizi morali sono stati conseguiti sulla base di intuizioni rapide e automatiche. Un intervento quasi sempre post hoc, una sorta di giustificazione per le decisioni prese. Come afferma il primatologo de Waal nel suo bellissimo libro Primati e filosofi. Evoluzione e moralità, «La nostra tanto decantata razionalità è in parte un'illusione» (p. 213).
Letteratura minima
A. Damasio, L'errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano. Adelphi, 1995.
A. Damasio, Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello. Adelphi, 2003.
R. Bodei, Geometria delle passioni. Paura, speranza, felicità: filosofia e uso politico. Feltrinelli, 2003.
M.C. Nussbaum, L’intelligenza delle emozioni. il Mulino, 2004.
F. de Waal, La scimmia che siamo. Il passato e il futuro della natura umana. Garzanti, 2006.
F. de Waal, Primati e filosofi. Evoluzione e moralità. Garzanti, 2008.
mercoledì 28 aprile 2010
Appunti sparsi a destra e sinistra
Non c'è niente di sistematico in queste note, solo impressioni rapide, come mi capita di scrivere sul mio taccuino.
Destra e sinistra rappresentano una diade politica ormai classica. Questa distinzione bipolare, un tempo molto netta, oggi ha perso gran parte del suo senso storico. In passato la bipolarità si esprimeva sulle estremità degli assi progresso/tradizione, individuo/società, nazionale/internazionale. Il mito del progresso, che ha caratterizzato il pensiero di sinistra, si è ritirato su sé stesso scontando la colpa e l'incertezza di un esito nefasto. La società è implosa nel terrore del nuovo, nella paura del diverso e la dimensione internazionale mostra l'inconsistenza di una globalità declinata solo in termini mercatistici.
La destra in questo scenario dispone di un vocabolario di sicura presa sulle coscienze, offre la stabilità della tradizione e la conservazione dei ‘valori’, offre la sicurezza dell’omogeneità valoriale e dell’identità del territorio.
La destra ha come interlocutore l’individuo non la collettività e i processi di comunicazione di massa hanno dissolto la collettività in miriadi di individui. Un tempo la comunicazione era un evento collettivo, oggi è un ascolto solitario che si consuma davanti al televisore, nel privato delle case. Un tempo per sapere cosa accadeva al mondo si usciva di casa, oggi si torna a casa. Il mondo era senz’altro più piccolo di oggi ma la comunicazione era davvero tale, un mettere in comune qualcosa.
La sinistra ha perso il suo interlocutore e se non sa ritrovarlo parlando agli individui ricostituendoli in società questo vecchio concetto politico è destinato a sparire. Non saranno semplici cambiamenti di programma di partito che potranno fermare la caduta del pensiero di sinistra, un pensiero di società che si emancipa verso una dimensione universale (visione profetica di Marx). Questo pensiero potrà riprendere quota solo considerando il grande assente del pensiero di sinistra: l’individuo. Un individuo che non può costituirsi senza la dimensione sociale in cui vive.
Il modello di sviluppo capitalistico ha disperso gli individui e, allargando la forbice tra gli estremi della ricchezza, ha reso più insicuro il mondo. Alla minaccia di uno status quo dei paesi ricchi corrisponde una domanda di stabilità che trova ascolto nella destra che parla a ciascun individuo. La centralità dell’individuo, che in sé è il nocciolo del liberalismo, assume nell’Italia di oggi gli aspetti più beceri. Il calpestamento quotidiano delle regole della democrazia camuffato da libertà investe virtualmente l’individuo del diritto di fare tutto quello che gli pare (a patto di non far dispiacere al manovratore di turno). E’ un investitura fasulla, oltre che dannosa, perché una cosa del genere può valere (se vale) quando sono in pochi a pensarla così (l’ideale sarebbe uno solo!) ma quando sono in tanti il meccanismo non regge. Ecco, la libertà può essere concepita soltanto se valida e uguale per tutti, altrimenti è una bufala da mascalzoni.
Liberté, Égalité, Fraternité – Autonomia/indipendenza/libertà, parità di diritti/uguaglianza, solidarietà. Sono i tre vertici laici dello sviluppo dell’Europa moderna. A seconda della posizione all’interno di questo immaginario triangolo possiamo identificare la diade destra/sinistra. La destra ha privilegiato la libertà/solidarietà, la sinistra ha privilegiato la uguaglianza/solidarietà.
Uso in maniera volutamente superficiale i termini pessimista/ottimista. La destra è fondamentalmente pessimista sulle qualità dell’uomo/società e interloquisce con il singolo soggetto, la sinistra ha storicamente una posizione umanistica e ottimista sulle possibilità di miglioramento dell’Uomo (quasi sempre sospettosamente scritto con la U maiuscola). Queste valutazioni valgono per destra e sinistra che ancora non hanno perso i rispettivi connotati ideologici (nel senso alto del termine che ultimamente non sono in tanti a potersi permettere) e storici. Per la destra/sinistra di oggi è sufficiente la diagnosi di un qualunque psichiatra, nei casi più disperati un etologo può fornire un quadro più che sufficiente.
Entrando nel cuore dei concetti di destra e di sinistra si trova un nocciolo di aristocrazia in un caso e di democrazia nell’altro. La storia del socialismo reale depone contro questa lettura ma io mi attengo alla storia dei partiti di sinistra dell’Europa occidentale. L’autoritarismo del socialismo reale non significa affatto che la sinistra si è mutata in destra, sarebbe una banalizzazione del pensiero di destra che può andare bene per la destra di oggi non per i pensatori di destra. Guardando a questi ultimi sarebbe persino paradossale per un uomo di sinistra scoprirsi pessimista sulla natura umana al punto da riconoscersi di destra.
L’autoritarismo del pensiero di destra, quel pensiero che merita rispetto, è rigore, virtù aristocratica, arte del controllo di sé non è l’arroganza che ha caratterizzato e accomunato regimi che nella storia si sono detti di destra (fascismo, nazionalsocialismo) e di sinistra (socialismo reale).
Come nella dialettica di Hegel, tesi e antitesi si sciolgono nella sintesi così, in un parallelo blasfemo, due liquidi di differente colore si mescolano in un colore che porta solo tracce (memorie) dei colori originari. Destra e sinistra corrispondono a coordinate differenti che oggi si sono vicendevolmente contaminate. Non parlo, purtroppo, di un normale e atteso processo dialettico ma di uno scadimento nella parodia della storia, di un disastroso precipitare verso l’indistinto, il caos primigenio che se posto all’inizio della storia è foriero di novità ma se è posto alla fine è il sigillo della distruzione. Tutto sta a capire se questo è l’inizio o la fine della storia politica di destra e sinistra in Italia (anche se con tempi diversi la domanda vale anche per l’Europa e gli USA, laddove si fa strada una sedicente destra oltranzista e una sinistra intimidita dalla propria storia).
Nell’uomo di destra (penso a Prezzolini, Longanesi, Croce, Einaudi, Montanelli, ...) c’è qualcosa dell’eroe tragico, dell’accettazione di una dimensione destinale. Nella tragedia umana l’uomo di sinistra riveste un ruolo prometeico, di emancipazione dai vincoli del destino.
Di tutto questo la gran parte di chi oggi si dice di destra o di sinistra non sembra sapere nulla, manca lo sguardo profondo sul passato e sul futuro, si sta appiattiti sul presente, sulle tattiche di sopravvivenza del giorno dopo. Solo in pochi casi è possibile intravvedere qualcosa di interessante. A destra vedo Fini ma dovrei depurare la sua figura dal sostegno fornito finora ad un alleato che una persona seria non avrebbe degnato di uno sguardo, la fatica della depurazione mi è ardua, io di solito certe alleanze le chiamo connivenze. A sinistra vedo Vendola, ma spero che quanto prima passi dalla creazione di un mito personale alla costruzione di un filone di pensiero collettivo e soprattutto che riconosca l'errore di aver di fatto impedito una rappresentanza parlamentare alla sinistra in questa legislatura con una scissione prematura.
Per l'uomo di sinistra, come insegna Luciano Canfora, è il bisogno di uguaglianza che muove alla libertà. Questa non è che lo strumento per raggiungere l'uguaglianza. Senza questa stella polare la libertà non è che ideologia in mano a chi non conosce il valore delle ideologie.
Non ho detto nulla del cosiddetto centro moderato. Le mousse non mi piacciono, troppo piene d'aria!
***
Destra e sinistra rappresentano una diade politica ormai classica. Questa distinzione bipolare, un tempo molto netta, oggi ha perso gran parte del suo senso storico. In passato la bipolarità si esprimeva sulle estremità degli assi progresso/tradizione, individuo/società, nazionale/internazionale. Il mito del progresso, che ha caratterizzato il pensiero di sinistra, si è ritirato su sé stesso scontando la colpa e l'incertezza di un esito nefasto. La società è implosa nel terrore del nuovo, nella paura del diverso e la dimensione internazionale mostra l'inconsistenza di una globalità declinata solo in termini mercatistici.
La destra in questo scenario dispone di un vocabolario di sicura presa sulle coscienze, offre la stabilità della tradizione e la conservazione dei ‘valori’, offre la sicurezza dell’omogeneità valoriale e dell’identità del territorio.
La destra ha come interlocutore l’individuo non la collettività e i processi di comunicazione di massa hanno dissolto la collettività in miriadi di individui. Un tempo la comunicazione era un evento collettivo, oggi è un ascolto solitario che si consuma davanti al televisore, nel privato delle case. Un tempo per sapere cosa accadeva al mondo si usciva di casa, oggi si torna a casa. Il mondo era senz’altro più piccolo di oggi ma la comunicazione era davvero tale, un mettere in comune qualcosa.
La sinistra ha perso il suo interlocutore e se non sa ritrovarlo parlando agli individui ricostituendoli in società questo vecchio concetto politico è destinato a sparire. Non saranno semplici cambiamenti di programma di partito che potranno fermare la caduta del pensiero di sinistra, un pensiero di società che si emancipa verso una dimensione universale (visione profetica di Marx). Questo pensiero potrà riprendere quota solo considerando il grande assente del pensiero di sinistra: l’individuo. Un individuo che non può costituirsi senza la dimensione sociale in cui vive.
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Il modello di sviluppo capitalistico ha disperso gli individui e, allargando la forbice tra gli estremi della ricchezza, ha reso più insicuro il mondo. Alla minaccia di uno status quo dei paesi ricchi corrisponde una domanda di stabilità che trova ascolto nella destra che parla a ciascun individuo. La centralità dell’individuo, che in sé è il nocciolo del liberalismo, assume nell’Italia di oggi gli aspetti più beceri. Il calpestamento quotidiano delle regole della democrazia camuffato da libertà investe virtualmente l’individuo del diritto di fare tutto quello che gli pare (a patto di non far dispiacere al manovratore di turno). E’ un investitura fasulla, oltre che dannosa, perché una cosa del genere può valere (se vale) quando sono in pochi a pensarla così (l’ideale sarebbe uno solo!) ma quando sono in tanti il meccanismo non regge. Ecco, la libertà può essere concepita soltanto se valida e uguale per tutti, altrimenti è una bufala da mascalzoni.
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Liberté, Égalité, Fraternité – Autonomia/indipendenza/libertà, parità di diritti/uguaglianza, solidarietà. Sono i tre vertici laici dello sviluppo dell’Europa moderna. A seconda della posizione all’interno di questo immaginario triangolo possiamo identificare la diade destra/sinistra. La destra ha privilegiato la libertà/solidarietà, la sinistra ha privilegiato la uguaglianza/solidarietà.
Uso in maniera volutamente superficiale i termini pessimista/ottimista. La destra è fondamentalmente pessimista sulle qualità dell’uomo/società e interloquisce con il singolo soggetto, la sinistra ha storicamente una posizione umanistica e ottimista sulle possibilità di miglioramento dell’Uomo (quasi sempre sospettosamente scritto con la U maiuscola). Queste valutazioni valgono per destra e sinistra che ancora non hanno perso i rispettivi connotati ideologici (nel senso alto del termine che ultimamente non sono in tanti a potersi permettere) e storici. Per la destra/sinistra di oggi è sufficiente la diagnosi di un qualunque psichiatra, nei casi più disperati un etologo può fornire un quadro più che sufficiente.
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Entrando nel cuore dei concetti di destra e di sinistra si trova un nocciolo di aristocrazia in un caso e di democrazia nell’altro. La storia del socialismo reale depone contro questa lettura ma io mi attengo alla storia dei partiti di sinistra dell’Europa occidentale. L’autoritarismo del socialismo reale non significa affatto che la sinistra si è mutata in destra, sarebbe una banalizzazione del pensiero di destra che può andare bene per la destra di oggi non per i pensatori di destra. Guardando a questi ultimi sarebbe persino paradossale per un uomo di sinistra scoprirsi pessimista sulla natura umana al punto da riconoscersi di destra.
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L’autoritarismo del pensiero di destra, quel pensiero che merita rispetto, è rigore, virtù aristocratica, arte del controllo di sé non è l’arroganza che ha caratterizzato e accomunato regimi che nella storia si sono detti di destra (fascismo, nazionalsocialismo) e di sinistra (socialismo reale).
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Come nella dialettica di Hegel, tesi e antitesi si sciolgono nella sintesi così, in un parallelo blasfemo, due liquidi di differente colore si mescolano in un colore che porta solo tracce (memorie) dei colori originari. Destra e sinistra corrispondono a coordinate differenti che oggi si sono vicendevolmente contaminate. Non parlo, purtroppo, di un normale e atteso processo dialettico ma di uno scadimento nella parodia della storia, di un disastroso precipitare verso l’indistinto, il caos primigenio che se posto all’inizio della storia è foriero di novità ma se è posto alla fine è il sigillo della distruzione. Tutto sta a capire se questo è l’inizio o la fine della storia politica di destra e sinistra in Italia (anche se con tempi diversi la domanda vale anche per l’Europa e gli USA, laddove si fa strada una sedicente destra oltranzista e una sinistra intimidita dalla propria storia).
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Nell’uomo di destra (penso a Prezzolini, Longanesi, Croce, Einaudi, Montanelli, ...) c’è qualcosa dell’eroe tragico, dell’accettazione di una dimensione destinale. Nella tragedia umana l’uomo di sinistra riveste un ruolo prometeico, di emancipazione dai vincoli del destino.
Di tutto questo la gran parte di chi oggi si dice di destra o di sinistra non sembra sapere nulla, manca lo sguardo profondo sul passato e sul futuro, si sta appiattiti sul presente, sulle tattiche di sopravvivenza del giorno dopo. Solo in pochi casi è possibile intravvedere qualcosa di interessante. A destra vedo Fini ma dovrei depurare la sua figura dal sostegno fornito finora ad un alleato che una persona seria non avrebbe degnato di uno sguardo, la fatica della depurazione mi è ardua, io di solito certe alleanze le chiamo connivenze. A sinistra vedo Vendola, ma spero che quanto prima passi dalla creazione di un mito personale alla costruzione di un filone di pensiero collettivo e soprattutto che riconosca l'errore di aver di fatto impedito una rappresentanza parlamentare alla sinistra in questa legislatura con una scissione prematura.
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Per l'uomo di sinistra, come insegna Luciano Canfora, è il bisogno di uguaglianza che muove alla libertà. Questa non è che lo strumento per raggiungere l'uguaglianza. Senza questa stella polare la libertà non è che ideologia in mano a chi non conosce il valore delle ideologie.
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Non ho detto nulla del cosiddetto centro moderato. Le mousse non mi piacciono, troppo piene d'aria!
martedì 27 aprile 2010
Secol superbo e sciocco
Ieri ricorreva il 24° anniversario del disastro di Černobyl' (26 aprile 1986). Per ricordare l’anniversario da noi avveniva l’incontro tra Berlusconi e Putin che hanno “stipulato un accordo che segnerà una svolta per il nucleare”. I due leader si sono incontrati in una atmosfera di “stima, amicizia e affetto”… Quando si dice il partito dell’ammmore!
Tra le fonti energetiche del futuro si evoca l’energia nucleare e da qualche tempo se ne parla di nuovo in Italia. L’energia nucleare figura tra le strategie utili a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, ma inevitabilmente porta con sé molti problemi che da una quarantina di anni a questa parte non trovano ancora risposta, come lo smaltimento delle scorie radioattive prodotte o il rischio terroristico (potrei anche dire del rischio di incidenti ma molti direbbero che ormai sono praticamente nulli, crediamogli). Se la strategia nucleare è una risposta ai cambiamenti climatici mi sembra la classica scelta tra l’incudine e il martello per i problemi che solleva e che ancora non hanno risposta. Forse a questo punto del nostro “sviluppo” non sappiamo né possiamo concederci altro? Sarà una strategia che nel migliore dei casi, anche non considerando alcun inconveniente, induce alla crescita massiva dei consumi a risolvere i problemi dell’umanità? Non siamo forse di fronte ad un caso di bulimia sociale che viene affrontata fornendo ulteriore cibo da consumare?
Io non sono certo un esperto in materia ma non mi sembra molto intelligente una tecnica che per produrre energia elettrica per 40-50 anni produce anche scorie radioattive per più di 200.000 anni!
Sarà che sono all’antica? O magari mi manca l’acume per capire cosa celi il futuro e le sue magnifiche sorti e progressive.
Il termine "sviluppo" nel suo etimo significa togliere dal viluppo, liberare, svolgere. La ricchezza di sfumature del termine rimanda più facilmente alla formazione di una entità psichica ben integrata piuttosto che alla formazione di un capitale economico ma del significato originario abbiamo un sentore ormai lontano ed è rimasto solo il concetto di crescita economica. A questa confusione è forse riconducibile un fatto curioso; nel 1972 fu pubblicato il libro The limits to growth, pietra miliare della cultura dell'ambiente (dopo Primavera silenziosa della Rachel Carson del 1962). La traduzione (errata) in italiano del titolo del libro fu I limiti dello sviluppo (la traduzione corretta è “I limiti alla crescita”). L’errore è stato ripetuto trent’anni dopo, quando gli stessi autori hanno pubblicato Limits to growth. The 30-year update e la traduzione in italiano è stata I nuovi limiti dello sviluppo.
Naturalmente non è solo il significato originario dello sviluppo a sfuggirci ma anche le sue possibili conseguenze. Alcuni sistemi complessi, e la nostra struttura socio-economica può decisamente dirsi un sistema complesso, si sviluppano o evolvono per addizione di nuove strutture oltre che per cambiamento di funzione da parte di vecchie strutture. Può accadere che l’addizione di nuovi elementi conduca ad un accumulo di strutture che, una volta raggiunto un certo livello, presenti problemi di gestione. In quei casi il sistema collassa. Non sto parlando del solito problema della mancanza delle risorse, che pure è di enorme rilievo, ma di un collasso scatenato da una sorta di accumulo eccessivo di complessità. Di solito si tratta di fenomeni caotici che non hanno nulla di lineare e che pongono limiti molto drastici alla prevedibilità, cui siamo tanto affezionati.
Potrebbe essere questo il caso dei nostri sistemi socio-economici con una struttura produttiva incentrata sulla crescita economica. Ma potrei anche sbagliarmi!
R. Carson, Primavera silenziosa, Feltrinelli, 1999.
D.H. Meadows, D.L. Meadows, J. Randers, W.W. Behrens III. I limiti dello sviluppo, Mondadori, 1972.
D.H. Meadows, D.L. Meadows, J. Randers. I nuovi limiti dello sviluppo. La salute del pianeta nel terzo millennio, Mondadori, 2006.
Tra le fonti energetiche del futuro si evoca l’energia nucleare e da qualche tempo se ne parla di nuovo in Italia. L’energia nucleare figura tra le strategie utili a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, ma inevitabilmente porta con sé molti problemi che da una quarantina di anni a questa parte non trovano ancora risposta, come lo smaltimento delle scorie radioattive prodotte o il rischio terroristico (potrei anche dire del rischio di incidenti ma molti direbbero che ormai sono praticamente nulli, crediamogli). Se la strategia nucleare è una risposta ai cambiamenti climatici mi sembra la classica scelta tra l’incudine e il martello per i problemi che solleva e che ancora non hanno risposta. Forse a questo punto del nostro “sviluppo” non sappiamo né possiamo concederci altro? Sarà una strategia che nel migliore dei casi, anche non considerando alcun inconveniente, induce alla crescita massiva dei consumi a risolvere i problemi dell’umanità? Non siamo forse di fronte ad un caso di bulimia sociale che viene affrontata fornendo ulteriore cibo da consumare?
Io non sono certo un esperto in materia ma non mi sembra molto intelligente una tecnica che per produrre energia elettrica per 40-50 anni produce anche scorie radioattive per più di 200.000 anni!
Sarà che sono all’antica? O magari mi manca l’acume per capire cosa celi il futuro e le sue magnifiche sorti e progressive.
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Il termine "sviluppo" nel suo etimo significa togliere dal viluppo, liberare, svolgere. La ricchezza di sfumature del termine rimanda più facilmente alla formazione di una entità psichica ben integrata piuttosto che alla formazione di un capitale economico ma del significato originario abbiamo un sentore ormai lontano ed è rimasto solo il concetto di crescita economica. A questa confusione è forse riconducibile un fatto curioso; nel 1972 fu pubblicato il libro The limits to growth, pietra miliare della cultura dell'ambiente (dopo Primavera silenziosa della Rachel Carson del 1962). La traduzione (errata) in italiano del titolo del libro fu I limiti dello sviluppo (la traduzione corretta è “I limiti alla crescita”). L’errore è stato ripetuto trent’anni dopo, quando gli stessi autori hanno pubblicato Limits to growth. The 30-year update e la traduzione in italiano è stata I nuovi limiti dello sviluppo.
Naturalmente non è solo il significato originario dello sviluppo a sfuggirci ma anche le sue possibili conseguenze. Alcuni sistemi complessi, e la nostra struttura socio-economica può decisamente dirsi un sistema complesso, si sviluppano o evolvono per addizione di nuove strutture oltre che per cambiamento di funzione da parte di vecchie strutture. Può accadere che l’addizione di nuovi elementi conduca ad un accumulo di strutture che, una volta raggiunto un certo livello, presenti problemi di gestione. In quei casi il sistema collassa. Non sto parlando del solito problema della mancanza delle risorse, che pure è di enorme rilievo, ma di un collasso scatenato da una sorta di accumulo eccessivo di complessità. Di solito si tratta di fenomeni caotici che non hanno nulla di lineare e che pongono limiti molto drastici alla prevedibilità, cui siamo tanto affezionati.
Potrebbe essere questo il caso dei nostri sistemi socio-economici con una struttura produttiva incentrata sulla crescita economica. Ma potrei anche sbagliarmi!
R. Carson, Primavera silenziosa, Feltrinelli, 1999.
D.H. Meadows, D.L. Meadows, J. Randers, W.W. Behrens III. I limiti dello sviluppo, Mondadori, 1972.
D.H. Meadows, D.L. Meadows, J. Randers. I nuovi limiti dello sviluppo. La salute del pianeta nel terzo millennio, Mondadori, 2006.
lunedì 26 aprile 2010
Prima che il gallo canti
Qualche tempo fa ho detto che non avrei usato per questo blog uno di quei contatori che ti informano sul numero di lettori. Ho cambiato idea! Non avendo molto da fare ne ho messo uno.
Sta in fondo, mi pare sia abbastanza discreto, sebbene non eccessivamente intelligente, visto che conta anche i miei accessi quando scrivo qualcosa di nuovo! Ad ogni buon conto questo è il mio blog e quello che ci metto lo decido io.
PS del 27 aprile - Ho scoperto che il contatore può non contare i miei accessi, quindi ritiro le mie considerazioni sulla sua intelligenza e rivedo quelle sulla mia!
Sta in fondo, mi pare sia abbastanza discreto, sebbene non eccessivamente intelligente, visto che conta anche i miei accessi quando scrivo qualcosa di nuovo! Ad ogni buon conto questo è il mio blog e quello che ci metto lo decido io.
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PS del 27 aprile - Ho scoperto che il contatore può non contare i miei accessi, quindi ritiro le mie considerazioni sulla sua intelligenza e rivedo quelle sulla mia!
domenica 25 aprile 2010
Forme di tarantismo
Su Youtube è disponibile un bel documentario sul tarantismo, ne consiglio la visione prima della lettura di questo post.
Dove sono andati a finire i tarantati del terzo millennio? Il documentario si pone questa domanda lasciando la risposta alle varie manifestazioni di disagio di oggi che si trovano incanalate entro argini che devono essere rotti.
Bene! Io azzardo una risposta blasfema alla domanda. Blasfema per l'alta considerazione che ho delle radici storiche e del profondo significato antropologico della taranta (consiglio di leggere i libri che Ernesto De Martino ha dedicato al tema: Sud e magia o il meraviglioso La terra del rimorso). Tuttavia, rimanendo alla sua espressione fisica e muovendomi negli angusti canoni classificatori della razionalità medico-scientifica non posso evitare di ricordare che si tratta di una manifestazione isterica che ricorreva periodicamente, nei mesi della mietitura in particolare, e che colpiva soggetti, generalmente donne, il cui profilo era fondamentalmente ascrivibile a qualche forma depressiva.
Ora, tralasciando i richiami alle radici storiche ed ai significati antropologici, ché sarebbero sprecati per il caso che vado a esporre, non posso non notare qualche parallelismo con quello che avviene da un po' di anni nei confronti del 25 aprile e della festa della Liberazione Partigiana. Il fenomeno di rigetto isterico del 25 aprile è certamente periodico con cadenza annuale, le manifestazioni isteriche sono particolarmente violente e in alcuni casi pietosi non manca nemmeno la bava alla bocca. Diversamente da quello che accadeva con le tarantolate, è terribilmente semplice descrivere il profilo dei soggetti colpiti da questo fenomeno, di solito si tratta di maleducati fieri della propria condizione di miseria intellettuale, ignorano la storia e i suoi molteplici significati, dispongono di due o tre categorie classificatorie della realtà, e non si fanno neppure sfiorare dall'idea che possono migliorare. Il mio accostamento con il tarantismo è però fallace. Il deplorevole fenomeno di questi anni non condivide con il tarantismo la sua fondamentale componente terapeutica. Nel caso delle manifestazioni isteriche per il 25 aprile siamo invece di fronte a casi disperati e il massimo che si può fare per aiutare questi miserabili è fargli seguire un capetto che una persona mediamente normale non degnerebbe di uno sputo e fargli ricoprire una carica ministeriale o altra carica pubblica. Questo avrà sicuramente effetti devastanti per un Paese ma l'autostima dello sventurato ne beneficerà.
Bene! Io azzardo una risposta blasfema alla domanda. Blasfema per l'alta considerazione che ho delle radici storiche e del profondo significato antropologico della taranta (consiglio di leggere i libri che Ernesto De Martino ha dedicato al tema: Sud e magia o il meraviglioso La terra del rimorso). Tuttavia, rimanendo alla sua espressione fisica e muovendomi negli angusti canoni classificatori della razionalità medico-scientifica non posso evitare di ricordare che si tratta di una manifestazione isterica che ricorreva periodicamente, nei mesi della mietitura in particolare, e che colpiva soggetti, generalmente donne, il cui profilo era fondamentalmente ascrivibile a qualche forma depressiva.
Ora, tralasciando i richiami alle radici storiche ed ai significati antropologici, ché sarebbero sprecati per il caso che vado a esporre, non posso non notare qualche parallelismo con quello che avviene da un po' di anni nei confronti del 25 aprile e della festa della Liberazione Partigiana. Il fenomeno di rigetto isterico del 25 aprile è certamente periodico con cadenza annuale, le manifestazioni isteriche sono particolarmente violente e in alcuni casi pietosi non manca nemmeno la bava alla bocca. Diversamente da quello che accadeva con le tarantolate, è terribilmente semplice descrivere il profilo dei soggetti colpiti da questo fenomeno, di solito si tratta di maleducati fieri della propria condizione di miseria intellettuale, ignorano la storia e i suoi molteplici significati, dispongono di due o tre categorie classificatorie della realtà, e non si fanno neppure sfiorare dall'idea che possono migliorare. Il mio accostamento con il tarantismo è però fallace. Il deplorevole fenomeno di questi anni non condivide con il tarantismo la sua fondamentale componente terapeutica. Nel caso delle manifestazioni isteriche per il 25 aprile siamo invece di fronte a casi disperati e il massimo che si può fare per aiutare questi miserabili è fargli seguire un capetto che una persona mediamente normale non degnerebbe di uno sputo e fargli ricoprire una carica ministeriale o altra carica pubblica. Questo avrà sicuramente effetti devastanti per un Paese ma l'autostima dello sventurato ne beneficerà.
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"Oggi la nuova resistenza in che cosa consiste. Ecco l'appello ai giovani: di difendere queste posizioni che noi abbiamo conquistato; di difendere la Repubblica e la democrazia. E cioè, oggi ci vuole due qualità a mio avviso cari amici: l'onestà e il coraggio. L'onestà... l'onestà... l'onestà. [...] E quindi l'appello che io faccio ai giovani è questo: di cercare di essere onesti, prima di tutto: la politica deve essere fatta con le mani pulite. Se c'è qualche scandalo. Se c'è qualcuno che da' scandalo; se c'è qualche uomo politico che approfitta della politica per fare i suoi sporchi interessi, deve essere denunciato!" Sandro Pertini.
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Questo Paese può dirsi libero, degnamente libero, solo grazie all'esperienza partigiana. Rimuovere dalla Storia d'Italia quell'esperienza e assegnare il merito della liberazione all'intervento militare alleato non è solo un falso storico è anche la manifestazione di una sudditanza morale che non poteva che sfociare nell'egemonia politica di un mentecatto e dei suoi accoliti. Oggi noi parliamo di alleati ma non dimentichiamo che il nostro paese ha avuto un ruolo belligerante nella II guerra mondiale e che da quel ruolo infame gli italiani sono stati riscattati solo con la Resistenza, non capire questo è il residuo della barbarie fascista che ha insanguinato la storia di questo e di altri paesi.
lunedì 12 aprile 2010
Perseo e Medusa
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Una sera, durante uno degli infiniti scontri tra Perseo e Medusa mi è parso di udire chiaramente un dialogo. Forse si è trattato di un sogno, forse di un viaggio nel tempo, forse una fantasia.
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- Ti aspettavo Perseo, l’elmo di Ade ti rende invisibile ma io so che sei qui.- Nessuno può averti detto del mio arrivo.
- Non serve che qualcuno mi dica quale sia il mio destino, lo conosco da sempre. Avvicinati dunque, non aver paura, assolvi al tuo compito, spicca la mia testa dal collo e leva alto il tuo trofeo.
- Orribile creatura, come pensi di ingannarmi?
- Figlio di Zeus tu mi trovi orribile ma dimentichi che un dio mi trovò bella un tempo. Non ti inganno, mi è noto il fato cui non possiamo sottrarci entrambi. Il tuo compito è tagliarmi la testa, il mio è morire per mano tua e nessuno di noi due può sottrarsi al proprio destino. Tutto il mio terribile potere non può evitare che il tuo possente braccio sollevi la mia testa.
- Ho visto di cosa sei capace e come hai trasformato in pietra chi ha tentato l’impresa prima di me. Le tue ingannevoli parole non mi indurranno a guardare i tuoi occhi, lo scudo di Atena distoglierà da me il tuo sguardo.
- Lo so, per questo tu mi ucciderai ma prima che tu possa recidermi il capo con il falcetto di Ermete lascia che ti dica qualcosa. Siamo entrambi di origine divina ma entrambi mortali, conosciamo le paure degli uomini e l’invidia degli dei, conosciamo la forza della necessità che tutto governa e la misura delle cose. Sappiamo entrambi che quando mi avrai uccisa altri dei verranno, gli uomini dimenticheranno il volto di Medusa e l’eterno ciclo del tempo diventerà una linea il cui termine non sapranno più raggiungere. Spero tu sappia cosa stai per fare.
- Tu deliri terribile Gorgone.
- No, non deliro, so bene quello che dico. Perché credi che tanti valorosi siano venuti fino alla terra degli Iperborei ad affrontare il mio volto? Pensi forse che loro volessero la mia morte? No Perseo, chi ti ha preceduto non è venuto qui per uccidermi.
- Per quale altro motivo, figlia degli abissi?
- Per guardare l’orrore nei miei occhi, per scoprire il fondo dell’abisso che mi generò, per cercare di scorgere il loro abisso.
- Tu menti, a cosa serve guardare l'abisso se nessuno di quanti hanno guardato il tuo volto ha potuto raccontarlo?
- Nel mio volto ognuno vedeva il proprio abisso, raccontarlo ad altri non sarebbe servito a nulla ma tutti sapevano che l'abisso c'era e che guardarlo li avrebbe atterriti. Loro cercavano in me la loro tragedia, la porta che conduce all’inizio dei loro affanni e tu, figlio di un dio, accecato dal tuo valore sei venuto fin qui a distruggere i loro sogni.
- Divina Medusa, uccidendoti non vanificherò i sogni degli uomini ma distruggerò i loro incubi.
- Sciocco! Come puoi pensare che liberando gli uomini dai loro incubi tu possa salvarli? Se non avranno più il mio volto in cui specchiarsi usciranno dalla casa della tragedia, costruiranno mura che crederanno sicure ma che un giorno gli crolleranno addosso, non potranno più guardare l’orrore dei miei occhi che riflettono l’immagine di chi li guarda. Poteva un eroe essere più sprovveduto di te?
- Basta figlia di Forco, tu rimandi inutilmente la tua fine.
- Povero Perseo, io sto ritardando la fine di chi ha armato la tua mano. Quando tu avrai sollevato la mia testa comincerà il declino di Atena e delle grandi dee, e tu stesso, Perseo, non sarai più di alcun aiuto agli uomini e sarai dimenticato.
- Tu menti, gli uomini mi saranno grati per averli liberati dal tuo potere di renderli di pietra.
- Non era il mio sguardo a renderli di pietra, ma l’insensatezza delle loro brame, l’affanno dei loro desideri, tutto questo vedevano nei miei occhi, era questo a pietrificarli. Uccidendomi impedirai loro di vedere la paura che alberga nel fondo dei loro occhi. Si illuderanno di colmare l'abisso cercando cose che stanno fuori dai loro occhi ma un giorno si accorgeranno di non poter colmare quel vuoto. Pensi davvero che potranno ringraziarti per questo? Un giorno ti malediranno per aver tagliato il freno all’arroganza che li ucciderà. Quel giorno sapremo che Némesis sarà stata l’unica fra noi a sopravvivere.
- Tu sei foriera di morte! La forza del mio braccio e l’astuzia del mio ingegno ti distruggeranno.
- Io ricordo la morte Perseo e con essa la nascita, non porto nulla con me che non sia già sotto il cielo. Uccidendomi non sconfiggerai il terrore che morte e nascita ti incutono. Per questo mi uccidi Perseo, perché io posso dare la vita e mi misuro continuamente con la morte, è questo che tu non puoi sopportare. Caro Perseo non ho altro da dirti, il nostro destino deve compiersi. Avvicinati dunque, portiamo a termine quello che il fato ci impone. E' già l'ora di andarsene, io a morire, tu a vivere; chi dei due però vada verso il meglio, è cosa oscura a tutti.
Caravaggio, 1595-1598 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze
***
La lettura della mitologia greca che racconta dell’hýbris (arroganza) fa riferimento ai miti di Icaro, Fetonte e al più grande di tutti, Prometeo. Finora non ho trovato alcun riferimento al mito di Perseo in relazione all’hýbris, a parte forse la cesura che rappresenta il passaggio da una società matriarcale a una patriarcale. Questa cesura mi sembra in qualche modo intrecciata con la mia lettura del mito. Non so se questa mia interpretazione sia rispettosa della filologia ma mi sembra che questo mito parli di qualcosa che sta persino alla radice dell’hýbris solitamente narrata dal mito di Prometeo. Ho tentato di esporre quella radice, tutto qui.
Letture consigliate per intravedere questo dialogo:
Eschilo, Prometeo incatenato. In: Le tragedie. Orsa Maggiore Editrice, 1989.
Esiodo, Teogonia. Rizzoli, 1984.
Ovidio, Metamorfosi. Einaudi, 1994.
Platone, Apologia di Socrate. Barbera, 2007.
J.J. Bachofen, Il matriarcato. Storia e mito tra Oriente e Occidente. Marinotti, 2003.
Y. Bonnefoy, Dizionario delle mitologie e delle religioni. Rizzoli, 1989.
R. Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia. Adelphi, 1988.
P. Citati, La luce della notte, Mondadori, 1996.
J.G. Frazer, Il ramo d'oro. Studio sulla magia e la religione. Bollati Boringhieri, 1973.
E. Fromm, Il linguaggio dimenticato. Gruppo editoriale Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Etas, 1961.
R. Graves, I miti greci. Longanesi, 1983.
C.G. Jung, L'uomo e i suoi simboli, TEA, 2007.
F. W. Nietzsche, La nascita della tragedia. Newton Compton, 1991.
L. Zoja, Storia dell’arroganza. Psicologia e limiti dello sviluppo. Moretti Vitali, 2003.
PS del 23.1.2014 - Ringrazio il mio amico Riccardo per avermi fatto scoprire I dialoghi con Leucò di Cesare Pavese. Avessi avuto conoscenza del libro prima di scrivere questo dialogo avrei dovuto citarlo in cima alla lista. Eppure sono contento d'averlo scoperto tardi per la forte emozione che ho provato leggendolo a fantasticare di una dimensione metafisica in cui le idee, una volta partorite, continuano a vagare e a volte, inconsapevolmente, vengono intercettate.
giovedì 8 aprile 2010
Le mattonelle di casa mia
Quando ero bambino il mio gioco preferito era cercare le forme sulle mattonelle di casa. Passavo ore e ore sdraiato per terra a cercare volti umani, animali, mostri strani, scene di caccia e immagini impossibili. Adesso non lo faccio più come allora ma di tanto in tanto, quando i passi sono lenti, mi pare di scorgere ancora qualche profilo che non ho mai visto prima o qualche uccello appollaiato su un trespolo che guarda in alto per spiccare il volo.
A volte mi chiedo se il significato che cerchiamo nelle cose e magari pensiamo di aver trovato non sia un po' come quel gioco che mi divertiva tanto da bambino. Scovare forme così chiaramente disegnate, così convincenti da pensare che possono essere viste da chiunque. Forme che non possono non essere vere, forme che hanno un significato.
Le forme che vedevo da bambino sulle mattonelle di casa erano per me vere allora non meno di quanto lo siano adesso che so di averle intuite in mezzo al caso che abbraccia tutte le cose vere e tutti i loro possibili significati.
A volte mi chiedo se il significato che cerchiamo nelle cose e magari pensiamo di aver trovato non sia un po' come quel gioco che mi divertiva tanto da bambino. Scovare forme così chiaramente disegnate, così convincenti da pensare che possono essere viste da chiunque. Forme che non possono non essere vere, forme che hanno un significato.
Le forme che vedevo da bambino sulle mattonelle di casa erano per me vere allora non meno di quanto lo siano adesso che so di averle intuite in mezzo al caso che abbraccia tutte le cose vere e tutti i loro possibili significati.
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