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sabato 29 marzo 2025

Note di viaggio

Sono chiodi le parole, per appendere al muro i quadri più belli, e se non avremo più parole, perché tutte le usammo, avremo i nostri sguardi più puntuti, per inchiodare al muro la blasfema eternità del respiro.

L'inferno è la deriva morbosa, perversa, la degenerazione patologica di quel grandioso edificio che nasce per dare senso al dolore, per sistematizzare la morte, spiegarla, renderla coerente in qualche modo, accettabile, meno assurda, infine necessaria. Se il dolore e la morte sono il risultato del peccato, individuato il peccatore lo si an-nega nell'inferno. Eliminato il peccatore, eliminato il peccato, eliminati il dolore e la morte: questa la crudele illusione. Eppure l'inferno ha una sua dimensione etica che l'esangue Paradiso non può avere, solo il Purgatorio ne condivide alcuni aspetti, dove all'inesorabile subentra il perdono. Al dramma dell'irreversibile subentra la speranza di un altro inizio, per cadere in un'altra eternità. L'inferno sopravvive nella sua forma più alta nell'inferno che ciascuno vive con se stesso, senza alcuna promessa, senza alcuna eternità. Non è un caso che dei tre regni sia l'inferno quello che ha più attenzione nell'arte e nella letteratura.
 
Davanti a un corpo immobile non riusciamo a non vederlo respirare, le dita intrecciate sul petto si sollevano e si abbassano. Ci inganna ogni tanto il pallore del volto, delle mani, ma quell'inganno rimuoviamo subito perché quando tornerà a respirare non ci trovi impreparati, davanti alla assurda convinzione che abbia smesso di farlo. Sono i nostri occhi che respirano. Con gli occhi respiriamo, con gli occhi facciamo respirare gli altri.
 
In una foto di tanti anni fa noi tre avevamo intenzione di digrignare i denti per spaventare il mondo, per farlo arretrare davanti alla gioia di stare insieme. Non ho mai avuto la stoffa per spaventare nessuno. Il massimo che mi riuscì fu un mezzo sorriso imbarazzato, nascosto dietro la convinzione di fare paura al mondo. Lei sì che fece arretrare ogni tristezza, è capace di farlo ancora adesso.
 
Quando salutiamo per l'ultima volta una persona amata le auguriamo buon viaggio, per dove nessuno lo sa. Io saluto dicendo "alla prossima", perché c'è sempre una prossima volta per ritrovarsi. Ci troveremo nell'aria, nell'acqua, nella terra, mescolati tra miliardi di altri atomi. Così siamo venuti al mondo, così torneremo a esserci.
 
Vivere nel dolore non è dignitoso. Dobbiamo distinguere il dolore dalla sofferenza. Il primo riguarda la psiche, l'anima, chiamiamola come vogliamo. La seconda riguarda il corpo. Il dolore dell'anima ha una sua sublimazione, la sofferenza del corpo non ne ammette alcuna, se non attraverso qualche perversione. L'anima è suscettibile di una fluidità, di una sfuggevolezza, che non è consentita al corpo. Il corpo ha contorni e confini che l'anima ignora. Questa si concede erranza che al corpo è negata. È vivere nella sofferenza che non è dignitoso. Il dolore ha una sua dignità, l'anima se l'è conquistata attraverso millenni di prove e errori, compreso l'orrore di imporre la sofferenza nel corpo di chi non la vuole.
 
Pietra su pietra, ogni pietra un giorno, così costruiamo la casa del tempo, così le nostre vite diventano gli edifici che abitiamo. Pietra su pietra, muri in rovina e passanti ignari di lacerti di storie. Nessuno si accorgerà che una pietra fuori posto ha reciso una vita. Nessuno si accorgerà di quella lieve increspatura lungo il muro, che pure ha interrotto la linea di desideri, passioni, attese che avrebbero potuto partorire futuri che non avremo più.
Questo si vede da lontano. Una linea perfetta, laddove il dolore ha lavorato a poca distanza dalla pelle e l'ha incisa rendendola una linea spezzata in mille punti, scabrosa come scoglio di mare tempestato di sale da milioni d'anni. Questa è la differenza tra la Storia e le storie. Un fattore di scala che ignora i dettagli. La Storia è una Monna Lisa dipinta con un pennello da imbianchino.
 
Se ho pregato, l'ho fatto perché la sofferenza avesse fine, ho pregato nonostante me, oltre me, malgrado me. Mi sono maledetto per averlo fatto e se devo bruciare all'inferno lo farò, intanto mi porto avanti. Ognuno deve sentire sulla propria carne il fuoco delle scelte, comprese quelle che non diventano azione, quelle mai fatte con la serena alterigia di chi è sempre certo delle proprie scelte. Forse solo alla fine dei tempi avrò un brandello di quella certezza ed è per questo che un po' mi auguro ci sia la fine dei tempi.
 
Nessuna morte viene da sola, si accompagna sempre alle sue sorelle, passate prima di lei ad accompagnare altri nel riposo senza risveglio.

Ragione e sentimento: un occhio che non sa più vedere può continuare a piangere. Veniamo al mondo piangendo e non sappiamo vedere. Il pianto viene prima della visione e se ne andrà per ultimo.
 
L'atto d'amore più estremo e doloroso è desiderare che una persona amata smetta di soffrire.

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