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sabato 6 giugno 2020

Riflessioni irriverenti

L'edificio etico di Kant che non ammette la benché minima menzogna, neanche per salvare un innocente inseguito da assassini e di cui conosce il nascondiglio ma non può mentire alla domanda dove sia nascosto il fuggitivo, pena il crollo dell'intero edificio del diritto che sulla verità ha le sue fondamenta, ha vaghe somiglianze con le manie ossessivo-compulsive dello stadio infantile quando, scoperto il senso del limite, si immagina il crollo dell'universo qualora si attraversi un limite scelto a caso oppure, a seconda della natura del soggetto, non lo si attraversi. Il possente pensiero di Kant non poteva non trovare argomentazioni razionali al suo disperato tentativo di stabilire un limite invalicabile che fosse universalmente valido. Resta tuttavia, anche alla luce del "più grave dei suoi uffici", dirà lo stesso Kant a proposito della conoscenza di sé che la ragione può avere, il dubbio che l'argomentazione sia il risultato di un processo di razionalizzazione di quella che invece è una mania infantile, una disperata e innocente mania infantile.
E oggi? C'è ancora qualcuno che oggi stabilisca limiti invalicabili? Quali sono le colonne d'Ercole di oggi?
Kant erige le sue colonne d'Ercole con i possenti bastioni della verità. La prima manciata di sabbia nel motore di Kant la gettò Constant. Se la verità è un diritto che diritto rivendica chi vuole uccidere un innocente? La fissità ontologica del suo sistema fu scossa dall'impietoso attacco che già Hegel gli mosse. Altri attacchi vennero. Schopenhauer rivendicò il diritto alla menzogna quando questa servisse alla legittima difesa. Nietzsche, irriverente per davvero ma che riconobbe il tragico eroismo di Kant, tolse le fondamenta all'edificio e mostrò le crepe della morale. Jaspers aprì una fessura nelle mura del castello, da una parte il dovere oggettivo dall'altra quello esistenziale e perché la fessura non si richiudesse ci mise il cuneo dell'eccezione. Feyerabend mostrò il lato mostruoso del castello kantiano.
Innocente mania dicevo, ma l'innocenza è dell'infanzia. Possiamo dire incolpevole un pensiero sostenuto in età adulta che in nome della verità farebbe morire un innocente? Feyerabend non avrebbe dubbi nella risposta.
Kant costruisce un sistema internamente coerente ma Gödel ci ha insegnato che nessun sistema internamente coerente può dirsi completo, lascia sempre fuori qualcosa. Nel sistema ci saranno sempre proposizioni indecidibili e il sistema di Kant lascia fuori quel legno storto che lui stesso riconobbe ma che ostinatamente voleva raddrizzare.
Terribile e commovente il sistema di Kant. Un sistema che oggi, con superficiale espressione, si direbbe superato. Goodbye Kant, dice Ferraris, eppure si sente la mancanza oggi di un simile tragico eroismo. Si sente la mancanza di un Fichte, solo tra i grandi, lancia in resta, a prendere le difese di Kant, come un Alonso Chiasciano della filosofia pronto a morire per difendere anche il povero fuggitivo innocente pur di non mentire.
Da parte mia, amando e temendo quel castello le cui stanze mi resteranno ignote, so esserci più verità nelle mani di mio padre e di mia madre di quanta non ne contengano le tre critiche.

PS irrilevante - Sulla gaffe di Conte, di cui tutti parlano, che ha chiamato il suo programma "piano rinascita", come quello della P2 di Licio Gelli, torna in mente la feroce ironia della storia che con i suoi più grandi pensatori chiamò illuminismo quel movimento del risveglio della ragione, riecheggiando uno dei nomi di quel primordiale menzognero che lo voleva  portatore di luce! 😊

5 commenti:

  1. Ho letto il libro nella foto. Sto cercando da un po' "Elogio della menzogna", a cura di Salvatore Nigro.

    P.S. Trovo divertente che l'edificio sede del segretariato del consiglio UE a Bruxelles porti il nome di Justus Lipsius, noto per un suo ambiguo elogio della frode.

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    1. Il libro è la doverosa citazione in calce per aver suscitato questo post. Quanto al tuo PS noto che si tratta di un altro episodio di ironia della storia, o di astuzia, come avrebbe forse detto Hegel! 😊

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  2. A riflessioni irriverenti, commento irriverente ... :-)
    Chiunque si sia occupato di etica, nel passato come nel presente, si è trovato di fronte a Dio come garante dei principi etici che andava enucleando, oppure di fronte al consesso umano, verso il quale abbiamo dei precisi doveri o, ancora, all’idea di natura, per la quale ci sarebbero cose pro e contro natura, che vanno fatte o vanno evitate.
    In ogni caso l’idea di uomo sottesa a questo tipo di etica è quella kantiana, trascendentale; all’etica non importa niente di Mario, di Antonio o di me che sto scrivendo, si rivolge all’Uomo senza alcuna determinazione e pure a quello musilianamente senza qualità.
    Ciascuno di noi è alle prese fin da bambino, come il nostro piccolo Immanuel, con un’etica che ci preesiste e che ci è fondamentalmente esterna, ciascuno di noi deve farsi trascendentale per aderire a quest’etica, che si articola in principi universali, immodificabili e irrinunciabili, a cui deve aderire se non vuole conoscere la colpa, la vergogna, il disprezzo e la condanna.
    Diverso il rapporto con la morale corrente, con quella serie di norme più o meno temporanee che regola i rapporti fra gli uomini in un dato contesto e hanno valore solo in quel contesto preciso, perché magari altrove non esistono o sono molto differenti.
    Di questa morale Cartesio suggeriva di seguire sempre le regole del luogo, per non trovarsi in difficoltà, di uniformarsi sempre agli usi e costumi del posto in cui si è, anche se non li condividiamo e non ne comprendiamo bene il senso; molte etiche, infine, si sono tramutate in morali provvisorie, in una sorta di canovaccio come quello della Commedia dell’Arte, che ci permette di recitare il nostro ruolo nel mondo in sintonia con esso e con i suoi abitanti.
    Pur avendo criticato in molti Kant per la sua rigidità e per i paradossi a cui conduce la sua concezione etica, perché fondamentalmente se vuoi conservare i principi assoluti nella sua purezza, ti perdi l’uomo concreto che questi principi dovrebbe applicare, e se vuoi partire dall’uomo concreto perdi la purezza dei principi che intendi applicare, nessuno si è avventurato, che io sappia, a fondare un’etica individuale, fondata sul singolo soggetto.
    Il rischio è evidente, un’etica siffatta può fondarsi solo sull’esperienza personale, su prove ed errori, su un percorso esistenziale e maturativo totalmente affidato al singolo, che potrebbe non voler intraprendere mai; l’idea terrificante che abbiamo è quella espressa da Dostoevskij in molti dei suoi romanzi: se Dio non esiste tutto è lecito, anche l’omicidio (I fratelli Karamazov, Delitto e castigo).
    L’illustrissimo don Chisciano non esula molto da un’etica che pone i suoi fondamenti nell’assoluto (umano o divino), la verve comica di tutte le sue imprese sta nel fatto che lui segue delle norme etiche di un tempo precedente al suo, la cui applicazione al presente è solo ridicola.
    Se ne sono accorti persino quelli del cinema francese quando hanno girato il film Les visiteurs, che ebbe un successo di pubblico straordinario, anche all’estero, nonostante i doppiaggi che in genere uccidono o attenuano la comicità, e fu oggetto di sequel e di remake perché l’idea era irresistibile.
    (segue)

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  3. Sarei propenso a condividere l’idea che ci sia più verità nelle mani di un uomo che in tutti i trattati di filosofia, perché Kant sta un po’ sulle scatole anche a me, e perché ero affascinato dall’osservare con quanta sapienza si muovevano le mani di mio padre e quelle di mia madre nel quotidiano e nella bellezza che erano capaci di produrre ogni giorno.
    Però quella verità, anche se osservabile, non è trasmissibile, e in genere si spegne quando quelle mani non sono più in grado di muoversi, perché prive di vita.
    Come la verità di ciascuno di noi può essere codificata, come possiamo trasmettercela l’un l’altro senza ambire all’assoluto e senza che sia pura cronaca o curiosità, come può la mia esperienza di vita, di lavoro, essere trasmissibile ai miei figli o ai miei allievi senza essere coercitiva, modellante, prescrittiva, eppure mantenere una sua utilità, come possiamo mantenere un linguaggio comune prebabelico senza perdere la nostra identità e la nostra autonomia, è materia di dibattito.
    Don Chisciano e Sancho Panza sono le due polarità opposte della verità: teoreticità assoluta, rigidità e trascendentalismo il primo, concretezza, pragmaticità, unicità il secondo … ma stanno insieme, perché non può esistere l’uno senza l’altro, l’esistenza ha senso se è l’esperienza delle mani a guidare l’azione e il pensiero, ma senza azione o pensiero le mani si muoverebbero a vuoto o non si muoverebbero affatto.
    Il grave errore dei filosofi idealisti (di cui Kant è un precursore) è stato quello di essere senza mani: teorie ardite, splendidamente formulate, ma prive di qualsiasi esperienza reale e la cui consistenza è la stessa dei tomi dei padri della chiesa che discutevano sulla verginità di Maria, sul sesso degli angeli o se Cristo era omoousios (della stessa sostanza del Padre) o omoiusios (di sostanza simile, ma diversa).
    Ciao

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  4. Vedi caro Garbo, temo di dover affrontare i tuoi strali, quelli di Immanuel e anche i miei se dico che ho l'impressione che la trascendenza qui sia una forzatura o una necessità. La trascendenza dell'etica che ci preesiste riguarda la storia della specie o delle specie, la storia delle immanenze. Con Kant continueremo a fare i conti, volenti o nolenti. Non fu solo Cartesio a fare i conti con usi e costumi locali, c'è anche Montaigne e persino Pascal. Certo sembrano lontani anni luce da quello che oggi si chiama deontologia ma il seme in qualche modo è stato piantato lì, poi è venuto su come è venuto e quello è tutt'altro discorso. Nella tua frase "se vuoi conservare i principi assoluti nella sua purezza, ti perdi l’uomo concreto che questi principi dovrebbe applicare, e se vuoi partire dall'uomo concreto perdi la purezza dei principi che intendi applicare" leggo la tragedia dell'umano, una tragedia che senza rendercene conto continuiamo a scrivere e di cui vediamo qualche triste segno di epilogo, nella devastazione del pianeta, nello spaesamento morale e sociale, nella rete della fiducia che si disfa sotto i nostri occhi... No, nessuno si è avventurato nella fondazione di un’etica individuale perché chi la applica non ha alcun bisogno di fondamenta, è sufficiente che il mercato funzioni e se al posto della società c'è la collettività o meglio ancora la massa, tanto di guadagnato. Non è un disegno, nessun complotto. E' un sistema autocatalitico.
    Sulla seconda parte del tuo commento posso solo essere d'accordo con te. La sapienza delle mani ha a che fare con il sentire e non con il sapere, il primo non si trasmette se non con la poesia, l'arte e con la consapevolezza di una imprevedibile perdita o alterazione dell'informazione (uso questi termini in chiave metaforica prendendoli in prestito da altri campi), il sapere invece può trasmettersi con uno scarto di informazione calcolabile. E' qui il tragico eroismo di Kant, aver tentato di tradurre il sentire in sapere riducendo a zero lo scarto di informazione. L'etica nasce dal sentire e perdere questa paternità/maternità lascia l'etica orfana, mutilata, con tutta la sofferenza che l'elaborazione del lutto. Ti saluto.

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