Il desiderio o, per dirla con Nietzsche, la volontà di potenza dell’uomo è desiderio quasi sempre frustrato, non tanto dalla natura avversa, che serenamente ignora le nostre brame, quanto dall’asimmetrica disposizione di aspettative e realtà. Di mutevoli forme è stato vestito questo desiderio nella storia, talora esaltato nell’incarnazione divina nell’uomo, talaltra liberatosi dalla dipendenza divina con la scienza. Se in questo percorso è possibile ravvisare una direzione dall’uno all’altro abito, non è tuttavia estraneo alla storia degli uomini il ritorno delle vecchie mode.
In alcune letture della storia della scienza si narra che l'uomo cartesiano ha capovolto il proprio rapporto con la natura, e per questo diventa l'unico luogo della verità (lo aveva anticipato Agostino!), assorbendo la natura nella pianificazione della propria soggettività. E’ tuttavia possibile una maliziosa lettura in tutto ciò, magari richiamandosi a quella caduta di Zeus che il Prometeo di Eschilo conosce e non vuole rivelare al dio che lo tortura. Se il dono del fuoco della tecnica costituisce il principio dell’annientamento degli uomini è anche vero che con la fine degli uomini sarà eliminato ogni spazio sacrificale per gli dei e così sarà eliminato lo spazio della loro esistenza. Sarà questo il segreto custodito da Prometeo?
Forse il destino di déi e uomini è proprio questo, simul stabunt vel simul cadent. Se le cose stanno così allora sono da rivedere le ragioni della nascita della soggettività umana. L’uomo affermerebbe la propria soggettività solo per la vendetta di un titano!
"Concludiamone dunque che il mondo sarebbe assai migliore se ciascuno si accontentasse di quello che dice, senza aspettarsi che gli rispondano, e soprattutto senza chiederlo né desiderarlo." José Saramago
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Molto interessante questa serie di riflessioni, da rileggere anche più volte, tanto è vero che ne ho fatto un file unico col copia-incolla.
RispondiEliminaIl desiderio è un argomento che mi ha tenuto sveglio per parecchie notti, in riflessione solitaria o nel dialogo con un gruppo di amici, e d’altra parte ciò è quasi scontato, visto che sono un tardo discepolo di quel Freud la cui più grande scommessa è stata quella di tentare di dare scienza del desiderio (da lui chiamato “pulsione”).
Se ne sono occupati prima e dopo di lui illustri pensatori e scienziati della mente, artisti e letterati, poeti e narratori, e attualmente anche le neuroscienze stanno cercando di dire la loro su questo argomento oscuro.
Il desiderio porta on sé l’annullamento della soggettività altrui, perché pare possa soddisfarsi solo se trasformo il soggetto che mi sta di fronte in oggetto del mio desiderio, e porta con sé anche l’annullamento della propria soggettività, perché se l’altro diventa “oggetto”, io stesso divento oggetto per l’altro e anche per me stesso: mi oggettifico nel momento in cui oggettifico l’altro, è il gioco pietrificante dello scudo concavo di Perseo su cui si specchia lo sguardo di Medusa.
Oltrepassare il desiderio? C’è chi l’ha pensato, sostituendolo con l’intimità (è la vecchia contrapposizione fra eros e agape), ma l’intimità uccide il sesso e uccide la dialettica fra due persone, nel momento in cui si instaura l’intimità annulla ogni tensione, ogni rivoluzione, ogni evoluzione del rapporto, l’intimità è sempre uguale a se stessa e si nutre solo di se stessa, quando si è intimi non c’è più sviluppo e se il rapporto fosse un romanzo, potremmo scrivere la parola fine ( o vissero felici e contenti), tanto non succederebbe più niente.
C’è una corrente solida di pensiero che ritiene che la tecnica sia la frattura originaria fra l’uomo e la natura e che la soggettività, in precedenza inutile, ne sia un epifenomeno, oltre al riferimento all’eschileo Prometeo fa fede anche il secondo coro dell’Antigone di Sofocle.
Io credo piuttosto che la frattura (sempre ammesso che possiamo dare per certa quella beata unione fra uomo e natura, che talvolta mi appare come una sorta di chimerica età dell’oro o di eldorado) sia da imputare al sorgere della coscienza di sé; gli animali possiedono coscienza del mondo, forse una vaga coscienza di sé come presenza nel mondo, ma probabilmente non sanno nulla del rapporto fra sé e il mondo.
L’uomo che guarda se stesso conserva memoria degli eventi e costruisce un’identità che, come tutti sanno, è solubile in alcol o nelle droghe psichedeliche.
Ciao
I desideri degli umani non valgono agli orecchi degli dèi più del frinire delle cicale. Sì, noi abbiamo coscienza di quel disperato frinire e sappiamo che al tramonto ogni nostro sussulto sarà spento, un incidente evolutivo che ci ha condannato ad essere prigionieri di quella che pensiamo essere la nostra libertà, la tecnica l'argine al tramonto che la specie bambina ha concepito, anche quello un frinire necessario e disperato.
RispondiElimina