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lunedì 20 marzo 2017

Note

Su un muro di Firenze.
Anonimo, foto di marzo 2017
A Faber che ascolta.

Al centro della nostra vita sensoriale c'è la vista, questo sembrerebbe un fatto fisiologico ed evolutivo ma è anche e soprattutto un fatto culturale. Usiamo termini che si richiamano all'esperienza visiva per esprimere apprezzamento e valore o biasimo e incertezza. Un'idea chiarissima, un discorso limpido, l'evidenza dei fatti, un pensiero splendido, un percorso cristallino, una specchiata fama, un lucente avvenire, così come all'altro estremo usiamo una storia oscura, un periodo buio, una versione opaca dei fatti, un racconto poco chiaro, ecc.
Perché mettere in discussione questa supposta centralità dell'esperienza visiva rispetto agli altri sensi? Per sublimare una percezione alterata che rende insistente l'esperienza sensoriale attraverso sensi diversi dalla vista? Per utilizzare a fini performativi e artistici una patologia? Per focalizzare l'attenzione sulle esperienze sensoriali che abbiamo con organi diversi da quelli che riteniamo primari? No. Ognuna di queste spiegazioni è riduttiva, parziale, limitata e in fin dei conti errata.
Perché l'iperacusia o l'acufene dovrebbero condurre un artista a sviluppare e coltivare l'ascolto come principale esperienza sensoriale? Davvero è possibile pensare si tratti soltanto di un mirabile esempio di autoterapia?
Per un artista nato nel Salento non si può tentare una risposta a queste domande senza passare attraverso la lingua che ha avvolto l'artista già prima della sua nascita. Non si può prescindere dal dialetto salentino (di Melissano in particolare) e da una delle sue peculiarità per esprimere le esperienze sensoriali. Se il tatto, l'olfatto, la vista e il gusto hanno i loro corrispettivi verbi specifici (tocca, ndora, viti, custa), l'udito transita attraverso il grande fiume del sentire (senti). Nel mio dialetto non esiste ascoltare, l'equivalente di questo verbo è sintire che significa ascoltare ma esprime anche l'esperienza di qualunque altro senso così come ogni altra esperienza che coinvolga i sentimenti a qualunque livello: dolore, gioia, memoria, speranza. Ecco che sentire non è soltanto ascoltare bensì esperienza estetica totale, che coinvolge tutti i sensi e ogni livello emotivo. La cosa è rafforzata dal fatto che sentire veicola le percezioni di altri sensi come accade in italiano: senti ci ndoru (senti che profumo), senti u sapore (senti il sapore), senti comu è raspusu (senti come è ruvido). L'ambivalenza di sentire/ascoltare e sentire/provare una sensazione fa dell'ascolto un'esperienza sensoriale privilegiata. Solo attraverso questo filtro linguistico è comprensibile la necessità di fare dell'ascolto un'esperienza totale.
Ma c'è un altro livello interpretativo da considerare. Se le aggettivazioni che gravitano intorno alla vista rinviano alla ragione delle "idee chiare e distinte", l'ascolto (u sintire) chiama in causa i sentimenti. Si scorge un ulteriore elemento del discorso in cui i diversi sensi diventano metafora di differenti approcci verso l'esperienza, da un lato l'approccio razionale del vedere, dall'altro l'approccio sentimentale del sentire. Da qui si intuisce che il suggerimento latente di una performance dell'ascolto non è quello di una autoterapia per una forma patologica soggettiva, bensì quello di una terapia per una forma patologica sociale che ponendo al centro un'esperienza sensoriale/razionale perde di vista, è il caso di dire, ogni altra esperienza.

4 commenti:

  1. Nel mio dialetto esiste il corrispettivo di “ascolta” che è “ascuta”, che però non traduce il mero prestare orecchio né il sentire come provare, sperimentare, vivere, farsi attraversare; “ascuta” è in genere legato alla trasmissione dell’esperienza: “Ascuta a chiddi chiu ranni i tia” (ascolta le persone più grandi di te), vuol dire tieni conto dell’esperienza delle persone più anziane e di quelle migliori di te, è un termine che talvolta può anche diventare sinonimo di “obbedisci”.
    L’esperienza percettiva è un’esperienza globale, a cui partecipano i sensi tutti, ma che è in gran parte forgiata da connessioni interne con le strutture preposte all’elaborazione razionale e con quelle emotive; credo, poi, che la nostra specifica cultura crei collegamenti più solidi e privilegiati fra oggetti esterni, canale sensoriale e ulteriori elaborazioni, ad esempio fra la vista di una persona particolarmente bella, la vista e le emozioni e le eccitazioni che ne conseguono.
    Non so se la vista sia più legata a canali intellettivi o si presti di più ad elaborazioni razionali, mentre l’udito sarebbe più vicino al sentimento: in alcuni ambiti è così, in altri è esattamente l’opposto, per alcune persone specifiche è vero, per altre è vero l’opposto.
    Nonostante questa mia precisazione, forse poco chiara, condivido la tua conclusione, viviamo in un’epoca in cui l’immagine, la rappresentazione, è preponderante nel farci un’idea del mondo intorno a noi; questa cultura ci stimola per prima cosa a rappresentare in nostro mondo, a farci mappe che possiamo visualizzare mentalmente, a fare rapidi collegamenti fra ciò che vediamo e la nostra mente o il nostro cuore.
    L’immagine è quella che prima di ogni altra stimola il pensiero, suscita sentimenti e provoca una qualche reazione, è come se usassimo soltanto una mano invece di cinque che ne abbiamo (qualcuno dice anche di più); quindi trovo sensato e intelligente una forma di autoterapia non soltanto compensativa in caso di deficit, che stimoli l’uso degli altri sensi o che ci permetta di cogliere l’esperienza percettiva come un insieme e di poterne distinguere i singoli elementi e i singoli momenti che vi partecipano. Anche perché, come sa benissimo ogni pubblicitario, la ristretta esperienza limitata alla visione e all’immagine ci rende schiavi dell’immagine stessa. Qualche decennio fa, in prossimità del Cairo, in Egitto, nella necropoli reale di saqqara gli archeologi rinvenirono l’immagine di un uomo seduto che osserva e a fianco a lui un occhi e una scritta: “Il soggetto, che come l’occhio vede tutto ma non vede se stesso, si determina interamente negli oggetti visti”. L’occhio può vedere tutto tranne se stesso, il soggetto vede il mondo ma non può vedersi, affinché possiamo coglierci e poter partire da noi e non dagli oggetti per definirci, dobbiamo uscire da una dimensione in cui sia solo la vista (o la percezione in generale) a dirci chi siamo. Se ci pensi è un’intuizione straordinaria ed è anche più profonda di come l’ho tratteggiata qui io.
    Ciao

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  2. E’ infondato dire che la vista è legata a elaborazioni razionali più di altri sensi, dubito ci siano evidenze(!) neurologiche in tal senso. C’è sicuramente una scala evolutiva con sensi che hanno centri negli strati più antichi del cervello ma da qui a fare un ordine di crescente razionalità è una pagliacciata che ormai sono in pochi a difendere. A dirla tutta l’elaborazione razionale tende a prescindere dai sensi, ingannevoli e imprecisi! Dopotutto le idee di Platone sono un tentativo di liberarsi di questo supposto (a volte vero) inganno e al povero Platone abbiamo attribuito ogni nefandezza possibile...meglio non divagare.
    A mio avviso è fondato porre attenzione al linguaggio che abitiamo e notare come ogni prova razionale passi attraverso la chiave visiva. Non c’è bisogno di essere dei fanatici religiosi per riconoscere che in molte cose della vita l’assunto "se non vedo non ci credo" si trasforma nel suo rovescio, se non credo non ci vedo. Pensa all’innamoramento, uno degli stati aurorali per eccellenza.
    Come dici giustamente l’immagine stimola prima il nostro pensiero e la gran parte delle esperienze passano attraverso le immagini, vedi la pubblicità, ma l’epoca moderna sta tentando di "colmare" questo vuoto nell’immenso mercato del consumo e sta conducendo una guerra aperta al silenzio, unico "luogo" dove si può ascoltare e soprattutto ci si può ascoltare e incontrare. Da questo incontro potrebbero nascere mostri insopportabili, meglio evitare il rischio!
    Il post è stato stimolato dalla lettura della tesi di un mio caro amico, appena sarà on line metterò il link, per adesso metto il link a questo lavoro di qualche anno fa. Anch’io trovo intelligente l’autoterapia anche se non è sufficiente a spiegare la ricerca di Fabrizio. Inoltre, bastasse l’autoterapia per spiegarla, non stiamo parlando di una compensazione con altri sensi per colmare il deficit di un senso ma esattamente il contrario, ovvero l’esplorazione della realtà attraverso quell’alterazione non per avere una esperienza alterata, sarebbe banale letteratura trita e ritrita da beat generation, bensì per “attraversare” quell’alterazione e in questo modo trovarsi al di là del proprio deficit. Se Fabrizio vorrà intervenire per correggere eventuali fandonie sarà molto gradito ;-)
    Non è affatto banale quello che è stato scoperto a saqqara, rinvia a ciò che è stato compreso dopo diversi millenni. Penso ai teoremi di incompletezza di Gödel che sostengono che non è possibile dimostrare la completezza dell'aritmetica utilizzando solo gli assiomi dell'aritmetica. Certo che è una intuizione straordinaria, la razionalità non può essere dimostrata da sé stessa, oppure la razionalità non ha fondamento razionale. Pensa quanto gongolerebbe Hume oggi. :) Un saluto a te.

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  3. Solo una precisazione, io non ho mai detto che la vista sia legata ad elaborazioni razionali più che negli altri sensi, ma che l'elaborazione razionale o quella emotiva possono appartenere ad un canale sensoriale, privilegiarlo, secondo codici culturali, o secondo il carattere del singolo o, ancora, in base al momento particolare in cui avviene l'esperienza. Ascoltando una musica potresti passare nel corso di brevi istanti dalla individuazione di ciascuno strumento dell'orchestra, dai tempi che esso introduce, dalla tecnica compositiva, dalla valutazione della difficoltà ed accuratezza dell'esecuzione ad una specie di sentimento oceanico in cui tutto ciò si perde e tu ti perdi nei tuoi sentimenti. E questo dipende dal tuo stato d'animo, dalle nozioni musicali che possiedi, dal momento esistenziale che stai attraversando, da ciò che ti capita nella vita ed anche dalla tua cultura di provenienza che stabilisce i codici di composizione e insieme ad essi i codici di fruizione di una determinata arte e dell'arte in generale.
    Ciao

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  4. Un utile coontributo alla nostra discussione che arriva in differita ;-)
    http://www.doppiozero.com/materiali/sala-insegnanti/il-fondamento-dellistruzione-artistica-e-insegnare-vedere

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