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domenica 26 marzo 2017

Note(4)

Povero Dio, ti hanno fatto maschio perché conoscessi tutto. L'onniscienza era necessaria per non sentire le sofferenze del mondo. Un mondo che hai generato da maschio, perché fossi stato femmina l’avresti partorito e nella memoria del dolore delle tue carni ne avresti sentito i lamenti. Avresti sofferto ad avere te stesso al centro del tuo pensiero e avresti maledetto te stessa della necessità di esistere. Da poco hai cominciato a sentire quei lamenti e il dolore ti sta dilaniando.
Povero Dio, ti hanno forgiato alibi di debolezze e sostegno di deliri di potenza. Non ti hanno creato solo per amore. Per troppo tempo la gloria ti è bastata per compensare le fatiche di sei giorni e ora che vai elemosinando amore come un mendicante qualsiasi nessuno ti vede. Uomini piccoli ti hanno creato piccolo, non puoi uscire da te stesso perché un Dio non ha altro che sé stesso ma forse una Dea sta soffrendo per te e per le tue creature.

7 commenti:

  1. Mi fai venire in mente un libro che ho apprezzato molto nel corso della mia vita, la Risposta a Giobbe di Carl Gustav Jung. L'ipotesi di fondo, secondo me straordinaria, è quella che nella vicenda di Giobbe chi ne esce vittorioso sia l'uomo, mentre il dio ne esce sconfitto (perché l'uomo ha dimostrato una superiorità etica sia rispetto alle vicende in cui viene coinvolto, sia verso i vicini invidiosi che con la scusa di consolarlo assistono soddisfatti alla morte del giusto e possono esclamare con giubilo che in fondo siamo tutti uguali e sia anche rispetto a dio, che non ci fa una gran bella figura, perché viene meno al suo stesso ideale di giustizia, dove il giusto viene innalzato e ricolmato di benefici che attestano che l'occhio di dio riconosce in lui il figlio prediletto) e gabbato (in fondo cede alla tentazione di Satana che gli insinua il dubbio che Giobbe lo ami e lo rispetti solo per interesse).
    Qui, in questa vicenda, dio tocca con mano i suoi limiti, con tutta la sua onniscienza ha generato una creatura che non è in grado di comprendere, e non può continuare a punire, a distruggere ad affogare l’umanità, deve trovare un altro modo per avvicinarsi a questo figlio riottoso e schivo: diventare uomo a sua volta, farsi carne, attraversare la sofferenza, il dolore e, come Giobbe, una punizione e una morte ingiuste.
    Se questo ha migliorato la ricezione, se fra dio ed uomo si sia instaurato un rapporto migliore, può essere oggetto di discussione.
    Buona giornata.

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    1. Caro Garbo mi porti in un terreno dal quale m'ero tenuto a prudente distanza con queste note ripescate da un file che precede la nascita del blog. Tu mi porti nel terreno morale e teologico quando io ho appena accennato uno degli aspetti antropologici della religione. Mi limito a dire che considero dio entità a-etica, mescolare divinità ed etica significa avere le idee confuse in materia teologica e morale, perdona l'immodestia ma questa faccenda di un dio eterno, immortale, onnisciente, onnipotente e soggetto morale non regge. E infatti non ha retto, per questo si è dovuto fare uomo e morire. Noi siamo soggetti morali perché sappiamo di dover morire, la nostra immortalità la strappiamo a morsi ognuno come può, siamo animali affamati e assetati di tempo. Siamo soggetti morali perché dobbiamo rispondere delle nostre azioni in un orizzonte temporale che ci contiene e ci sta stretto. Dio a chi risponde? Quale responsabilità ha? Nei confronti di chi? In quale orizzonte temporale risponde delle proprie azioni? Senza responsabilità non esiste etica, sarebbero in grado di trovarla solo quei teologi capaci di trovare in una stanza buia un gatto nero che non c'è. Nel Giobbe questi dilemmi raggiungono una disperata apoteosi, è come se l'autore di quel libro sapienziale straordinario si fosse reso conto dell'inconciliabilità tra teologia e morale e il dio che ne viene fuori è alquanto miserevole, ma pur non potendomi esimere dal giudizio morale riconosco che non ha senso valutare un soggetto o un comportamento amorale con metro morale, sarebbe come dire che il leone è crudele a uccidere la gazzella. Quel farsi carne è il recente mendicare amore di cui parlo, recente nella prospettiva della storia delle religioni naturalmente. Ma è recente anche nella prospettiva della nostra storia. Che il nuovo testamento rappresenti una cesura rispetto al vecchio è cosa assodata ma mi sembra di poter affermare che il messaggio d'amore sia una "scoperta" relativamente recente, diciamo da quando il potere temporale è stato alienato da quello spirituale, almeno formalmente. Buona giornata a te ;-)

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  2. Caro Antonio,
    in linea generale ti darei ragione, a chi risponde un dio, quali responsabilità può avere e nei confronti di chi? Ma porsi queste domande vuol dire ammettere anche che dio non esiste. E infatti io non credo che esista, o meglio non ne avverto alcuna esigenza (perché con l'esistenza ci mettiamo su un terreno accidentato). Io parlo del dio di tradizione giudaico-cristiana, che esiste certamente per chi ci crede, per chi finge di crederci, ed anche per chi, come me, non ci crede. Un dio come quello ebrsico non può non essere etico, ha fatto un patto col suo popolo prediletto, la terra di Canaan che stilla latte e miele in cambio della vostra obbedienza assoluta ... voi non potete mancare se no vi fulmini, ma anch'io non posso mancare. In Giobbe dio manca, manca proprio nel nucleo del suo patto con l'uomo, se Giobbe è colui che più di ogni altro segue la sua legge, egli dovrebbe colmarlo di doni, compiacersene, mostrarsene compiaciuto, invece lo annichilisce, lo annienta ... solo per dimostrare che lui è dio e che l'uomo è uomo. Un'assurdità. Nel cristianesimo è diverso, dio qui è amore, ma dov'è questo amore se il male imperversa senza alcun criterio e colpisce il giusto tanto quanto l'iniquo? Anche qui c'è un patto etico che viene spezzato, dio non sempre ama chi ama, a volte il malvagio sopravvive e prospera, mentre il buono e l'amorevole soccombe.C'è una giustizia nell'aldilà? Ma è così difficile accettare che non ci sia alcuna giustizia nell'aldiquà. Il cristianesimo è il passaggio naturale verso l'ateismo, perché gli dei greci potevano essere rigorosamente giusti e onesti, così come bastardi e iniqui, persino meschini ...e di questo avevi esperienza nella realtà. il dio ebraico poteva essere eccessivamente severo.,, ma di questo avevi esperienza nella realtà. Il dio cristiano infinitamente buono, invece, nella realtà non può esistere, perché non c'è bontà, non c'è amore, non c'è neppure un senso nella vita, se non quello che tu riuscirai a darti ... quindi, che bisogno c'è di un dio?
    Notte.

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    1. Dato per assodato che ormai a leggere i libri sacri siamo rimasti solo noi atei rivendico almeno il diritto di leggerli secondo il filtro che mi è più consono :-) quello della storia umana , letta da occhi umani e scritta da mani umane, la storia delle domande che il caos pone e delle risposte che nel tempo, brancolando nel buio, sono state date. Ad ogni modo concordo che secondo la chiave del popolo ebraico quel dio avrebbe un’etica che tuttavia nel Giobbe non è così salda! Ecco perché dico che il Giobbe rivela le incongruenze di cui parlo. La grandezza della Bibbia e della religione ebraica è proprio quella, è un continuo scazzottarsi con dio, fin dal sogno di Giacobbe e dal nome che gli viene dato, Israele, “uomo che lotta con Dio”. Quanto all’ateismo insito nella storia religiosa ne ha scritto Ernst Bloch che in una discussione con alcuni teologi affermò: “Soltanto un ateo può essere un buon cristiano”. Jürgen Moltmann replicò: “E soltanto un cristiano può essere un buon ateo”. Bloch accettò questa “offerta”, come la chiamò, e riportò queste frasi nell’incipit di Ateismo nel Cristianesimo. Buona giornata a te :)

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    2. Ritornando sull'argomento e cercando in rete ho trovato questo articolo molto interessante, te lo propongo sia perché interessante sia perché scritto da un mio omonimo, di cognome, ma senza legami di parentela :-)

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  3. Io mi sento tradita dal cattolicesimo, che ha avuto la pretesa attraverso il clero, di darmi un'educazione religiosa e morale da piccolissima (prima comunione-cresima) a sette anni. Ho seguito il catechismo cristiano-cattolico con convinzione, scrupolosita' e puntualità finché osservando la realtà ho capito che c'era troppo divario fra le parole e i fatti. Soprattutto non ho potuto accettare la pratica del perdono contrastante con il bisogno di giustizia. La più grande disillusione. E quando sento i praticanti parlare senza pietà e carità verso il loro prossimo penso che di cristiano sia rimasto in loro ben poco. Mi dissocio da costoro, ma amo Gesù Cristo che tradimento peggiore non poteva ricevere in vita.
    Ciao Antonio.

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    1. Cara Nou, tu offri molti spunti di riflessione e sarebbe bello poterne parlare anche se non so se sono la persona giusta per poterlo fare. Parli di divario tra fatti e parole e di questo deve rendere conto chi si dice testimone di un messaggio che poi tradisce. Non c'è idea che non abbia subito nella storia distorsioni, travisamenti, tradimenti. Il cristianesimo non fa eccezioni. Il perdono è la pietra di inciampo dove ogni laico ha il dovere di inciampare e il dovere di interrogarsi. Chiunque però deve anche distinguere tra perdono e giustizia. L'uno non cancella l'altra. Dalla confusione tra perdono e giustizia sono venuti fuori mostruosità ignobili come confessioni lava coscienza e connivenze tra clero e crimine, così come confusioni tra reato e peccato inaccettabili in un paese laico.
      Per quanto riguarda i miserabili che brandiscono la religione come una clava per le loro pochezze umane, beh è uno dei pochi casi in cui spero di sbagliarmi ad essere ateo. Un saluto a te.

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