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giovedì 1 luglio 2010

Lettera morta

Trent’anni da Ustica, di più dall’Italicus e piazza della Loggia, più ancora dalla madre di tutte le stragi, piazza Fontana, e altre più giovani e tutte senza colpevoli, stragi che ricorderemo quando saranno passati trent’anni anche per loro, e neanche allora mancherà un miserabile in cerca di visibilità a rovesciare anni di lavoro difficile in una battuta che in una bettola sarebbe coperta dai fischi.
Presidente Napolitano qualche giorno fa ascoltavo le sue parole sulla strage di Ustica, con le sue parole ha spazzato via le sciagurate ricostruzioni di un infelice, ascoltavo il suo invito a cercare la verità, e l’ho ringraziata per quelle parole eppure mi sono accorto di essere distante, provavo uno strano sentimento di fiacchezza, quasi una trascuratezza che non sapevo spiegarmi. Allora mi sono voltato a guardare indietro e forse ho capito il motivo di quella stanchezza.
Degli anniversari portiamo memoria, i nostri nonni ce lo hanno insegnato bene il dovere della memoria, loro che non sapevano cosa riservava la storia del giorno dopo vollero vedere la Storia e per farlo impararono a confondere la volpe e il leone. Non fu difficile farlo per chi era nato nel paese di Machiavelli, non fu difficile se altri prima di loro confondevano già da molto tempo i serpenti e le colombe. “Ah ma quando ci saremo noi, sarà tutta un’altra storia! Finalmente comincerà la Storia.” Molti anni passarono perché quella storia cominciasse in quest’angolo di mondo e molti nomi bisognò cambiare e la pelle e i vestiti ma la forza era la stessa e i sogni, ah i sogni, non erano cambiati. Correva l’anno 1996, annus mirabilis, quando tra le strade in piazza la festa si faceva sentire e le speranze facevano a gara con i sogni per raggiungere il cielo. Fu davvero un anno straordinario ma ancora non potevamo sapere che quell’anno era straordinario perché era un anno come gli altri, era un anno ordinario, a quel tempo ci mancava la storia per capirlo.
Quell’anno gli armadi rimasero chiusi ed erano tanti gli armadi che era impossibile non vederli ma ci convincemmo che la guida di un paese doveva costare persino un armadio chiuso, era un costo doloroso ma andava pagato. Quell’anno però non sapevamo ancora che quel convincimento ci avrebbe consumato e i sogni che ci erano stati insegnati stavano morendo. Quell’anno cominciammo ad accorgerci che quella che consideravamo speranza era ormai illusione. Nel 1996 morì l’illusione del quando ci saremo noi. Quando siamo stati davvero noi? Ebbene, ci siamo stati noi e oggi non possiamo più dire "quando ci saremo noi".
E’ difficile governare un paese e spesso la verità mal si concilia con la Storia, allora è necessaria la menzogna e necessario è anche chi chiede la verità, ma ci perdoni Signor Presidente se saremo poco attenti alle desiderate esortazioni, noi non possiamo rimandare oltre la sepoltura del cadavere della nostra illusione, da troppo tempo vegliamo quel corpo e questa interminabile veglia ci toglie molte energie e tocca seppellirlo prima di non riuscire più a distinguere i vermi che se ne nutrono. Ecco perché ascoltavo le sue parole ed ero distante Signor Presidente, perché l’ora della sepoltura è passata da troppo tempo e prima o poi si deve pur smettere di portare il lutto.
Adesso ci è rimasta solo una terribile fame di verità e neanche un cane all’orizzonte che porti un osso da dividere.
Le porgo sinceri saluti con rispetto e stima.

Antonio Caputo

***

Questa lettera è stata appena spedita all'indirizzo del Quirinale https://servizi.quirinale.it/webmail/missiva.asp, diversamente da altre circostanze non aspetto una risposta, purtroppo!

4 commenti:

  1. Ciao Antonio,
    la tua lettera morta mi ha commosso e fatto arrabbiare per la trama di nebbie con cui viviamo ormai da decenni in Italia.
    Io so i nomi diceva Pasolini. Forse anche noi.
    Ma gli armadi sono molto cari ai fantasmi, agli amanti che vogliono nascondere il proprio sentimento, ai ladri e un pò anche ai bambini che giocano a nascondersi. Ma i bambini giocano e gli altri fanno sul serio.
    Buona non attesa di risposta.
    Vincenzo

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  2. Caro Vincenzo, che ti posso dire? siamo tutti avviliti da questa danza macabra che non smetterà mai di muoversi sul sangue delle persone.

    ...quando ho visto anonimo avevo già dimenticato che sei tu Vincenzo...sto proprio a pezzi!!!

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  3. La lettera è vero e molto commovente, ma la cosa straordinaria è che è riuscita a far affiorare quella rabbia contro le ingiustizie che in genere cerco di mantenere dormiente......perchè penso sempre che ormai sia anche inutile quella....

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  4. La rabbia che tu dici è la fame che evocavo alla fine della lettera, non è possibile non sentire la fame, non si rimuove la fame, né penseremmo mai che la fame è inutile. E' il segnale che dobbiamo ascoltare per cercare cibo.

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