Tra le fonti energetiche del futuro si evoca l’energia nucleare e da qualche tempo se ne parla di nuovo in Italia. L’energia nucleare figura tra le strategie utili a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, ma inevitabilmente porta con sé molti problemi che da una quarantina di anni a questa parte non trovano ancora risposta, come lo smaltimento delle scorie radioattive prodotte o il rischio terroristico (potrei anche dire del rischio di incidenti ma molti direbbero che ormai sono praticamente nulli, crediamogli). Se la strategia nucleare è una risposta ai cambiamenti climatici mi sembra la classica scelta tra l’incudine e il martello per i problemi che solleva e che ancora non hanno risposta. Forse a questo punto del nostro “sviluppo” non sappiamo né possiamo concederci altro? Sarà una strategia che nel migliore dei casi, anche non considerando alcun inconveniente, induce alla crescita massiva dei consumi a risolvere i problemi dell’umanità? Non siamo forse di fronte ad un caso di bulimia sociale che viene affrontata fornendo ulteriore cibo da consumare?
Io non sono certo un esperto in materia ma non mi sembra molto intelligente una tecnica che per produrre energia elettrica per 40-50 anni produce anche scorie radioattive per più di 200.000 anni!
Sarà che sono all’antica? O magari mi manca l’acume per capire cosa celi il futuro e le sue magnifiche sorti e progressive.
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Il termine "sviluppo" nel suo etimo significa togliere dal viluppo, liberare, svolgere. La ricchezza di sfumature del termine rimanda più facilmente alla formazione di una entità psichica ben integrata piuttosto che alla formazione di un capitale economico ma del significato originario abbiamo un sentore ormai lontano ed è rimasto solo il concetto di crescita economica. A questa confusione è forse riconducibile un fatto curioso; nel 1972 fu pubblicato il libro The limits to growth, pietra miliare della cultura dell'ambiente (dopo Primavera silenziosa della Rachel Carson del 1962). La traduzione (errata) in italiano del titolo del libro fu I limiti dello sviluppo (la traduzione corretta è “I limiti alla crescita”). L’errore è stato ripetuto trent’anni dopo, quando gli stessi autori hanno pubblicato Limits to growth. The 30-year update e la traduzione in italiano è stata I nuovi limiti dello sviluppo.
Naturalmente non è solo il significato originario dello sviluppo a sfuggirci ma anche le sue possibili conseguenze. Alcuni sistemi complessi, e la nostra struttura socio-economica può decisamente dirsi un sistema complesso, si sviluppano o evolvono per addizione di nuove strutture oltre che per cambiamento di funzione da parte di vecchie strutture. Può accadere che l’addizione di nuovi elementi conduca ad un accumulo di strutture che, una volta raggiunto un certo livello, presenti problemi di gestione. In quei casi il sistema collassa. Non sto parlando del solito problema della mancanza delle risorse, che pure è di enorme rilievo, ma di un collasso scatenato da una sorta di accumulo eccessivo di complessità. Di solito si tratta di fenomeni caotici che non hanno nulla di lineare e che pongono limiti molto drastici alla prevedibilità, cui siamo tanto affezionati.
Potrebbe essere questo il caso dei nostri sistemi socio-economici con una struttura produttiva incentrata sulla crescita economica. Ma potrei anche sbagliarmi!
R. Carson, Primavera silenziosa, Feltrinelli, 1999.
D.H. Meadows, D.L. Meadows, J. Randers, W.W. Behrens III. I limiti dello sviluppo, Mondadori, 1972.
D.H. Meadows, D.L. Meadows, J. Randers. I nuovi limiti dello sviluppo. La salute del pianeta nel terzo millennio, Mondadori, 2006.
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