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Destra e sinistra rappresentano una diade politica ormai classica. Questa distinzione bipolare, un tempo molto netta, oggi ha perso gran parte del suo senso storico. In passato la bipolarità si esprimeva sulle estremità degli assi progresso/tradizione, individuo/società, nazionale/internazionale. Il mito del progresso, che ha caratterizzato il pensiero di sinistra, si è ritirato su sé stesso scontando la colpa e l'incertezza di un esito nefasto. La società è implosa nel terrore del nuovo, nella paura del diverso e la dimensione internazionale mostra l'inconsistenza di una globalità declinata solo in termini mercatistici.
La destra in questo scenario dispone di un vocabolario di sicura presa sulle coscienze, offre la stabilità della tradizione e la conservazione dei ‘valori’, offre la sicurezza dell’omogeneità valoriale e dell’identità del territorio.
La destra ha come interlocutore l’individuo non la collettività e i processi di comunicazione di massa hanno dissolto la collettività in miriadi di individui. Un tempo la comunicazione era un evento collettivo, oggi è un ascolto solitario che si consuma davanti al televisore, nel privato delle case. Un tempo per sapere cosa accadeva al mondo si usciva di casa, oggi si torna a casa. Il mondo era senz’altro più piccolo di oggi ma la comunicazione era davvero tale, un mettere in comune qualcosa.
La sinistra ha perso il suo interlocutore e se non sa ritrovarlo parlando agli individui ricostituendoli in società questo vecchio concetto politico è destinato a sparire. Non saranno semplici cambiamenti di programma di partito che potranno fermare la caduta del pensiero di sinistra, un pensiero di società che si emancipa verso una dimensione universale (visione profetica di Marx). Questo pensiero potrà riprendere quota solo considerando il grande assente del pensiero di sinistra: l’individuo. Un individuo che non può costituirsi senza la dimensione sociale in cui vive.
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Il modello di sviluppo capitalistico ha disperso gli individui e, allargando la forbice tra gli estremi della ricchezza, ha reso più insicuro il mondo. Alla minaccia di uno status quo dei paesi ricchi corrisponde una domanda di stabilità che trova ascolto nella destra che parla a ciascun individuo. La centralità dell’individuo, che in sé è il nocciolo del liberalismo, assume nell’Italia di oggi gli aspetti più beceri. Il calpestamento quotidiano delle regole della democrazia camuffato da libertà investe virtualmente l’individuo del diritto di fare tutto quello che gli pare (a patto di non far dispiacere al manovratore di turno). E’ un investitura fasulla, oltre che dannosa, perché una cosa del genere può valere (se vale) quando sono in pochi a pensarla così (l’ideale sarebbe uno solo!) ma quando sono in tanti il meccanismo non regge. Ecco, la libertà può essere concepita soltanto se valida e uguale per tutti, altrimenti è una bufala da mascalzoni.
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Liberté, Égalité, Fraternité – Autonomia/indipendenza/libertà, parità di diritti/uguaglianza, solidarietà. Sono i tre vertici laici dello sviluppo dell’Europa moderna. A seconda della posizione all’interno di questo immaginario triangolo possiamo identificare la diade destra/sinistra. La destra ha privilegiato la libertà/solidarietà, la sinistra ha privilegiato la uguaglianza/solidarietà.
Uso in maniera volutamente superficiale i termini pessimista/ottimista. La destra è fondamentalmente pessimista sulle qualità dell’uomo/società e interloquisce con il singolo soggetto, la sinistra ha storicamente una posizione umanistica e ottimista sulle possibilità di miglioramento dell’Uomo (quasi sempre sospettosamente scritto con la U maiuscola). Queste valutazioni valgono per destra e sinistra che ancora non hanno perso i rispettivi connotati ideologici (nel senso alto del termine che ultimamente non sono in tanti a potersi permettere) e storici. Per la destra/sinistra di oggi è sufficiente la diagnosi di un qualunque psichiatra, nei casi più disperati un etologo può fornire un quadro più che sufficiente.
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Entrando nel cuore dei concetti di destra e di sinistra si trova un nocciolo di aristocrazia in un caso e di democrazia nell’altro. La storia del socialismo reale depone contro questa lettura ma io mi attengo alla storia dei partiti di sinistra dell’Europa occidentale. L’autoritarismo del socialismo reale non significa affatto che la sinistra si è mutata in destra, sarebbe una banalizzazione del pensiero di destra che può andare bene per la destra di oggi non per i pensatori di destra. Guardando a questi ultimi sarebbe persino paradossale per un uomo di sinistra scoprirsi pessimista sulla natura umana al punto da riconoscersi di destra.
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L’autoritarismo del pensiero di destra, quel pensiero che merita rispetto, è rigore, virtù aristocratica, arte del controllo di sé non è l’arroganza che ha caratterizzato e accomunato regimi che nella storia si sono detti di destra (fascismo, nazionalsocialismo) e di sinistra (socialismo reale).
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Come nella dialettica di Hegel, tesi e antitesi si sciolgono nella sintesi così, in un parallelo blasfemo, due liquidi di differente colore si mescolano in un colore che porta solo tracce (memorie) dei colori originari. Destra e sinistra corrispondono a coordinate differenti che oggi si sono vicendevolmente contaminate. Non parlo, purtroppo, di un normale e atteso processo dialettico ma di uno scadimento nella parodia della storia, di un disastroso precipitare verso l’indistinto, il caos primigenio che se posto all’inizio della storia è foriero di novità ma se è posto alla fine è il sigillo della distruzione. Tutto sta a capire se questo è l’inizio o la fine della storia politica di destra e sinistra in Italia (anche se con tempi diversi la domanda vale anche per l’Europa e gli USA, laddove si fa strada una sedicente destra oltranzista e una sinistra intimidita dalla propria storia).
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Nell’uomo di destra (penso a Prezzolini, Longanesi, Croce, Einaudi, Montanelli, ...) c’è qualcosa dell’eroe tragico, dell’accettazione di una dimensione destinale. Nella tragedia umana l’uomo di sinistra riveste un ruolo prometeico, di emancipazione dai vincoli del destino.
Di tutto questo la gran parte di chi oggi si dice di destra o di sinistra non sembra sapere nulla, manca lo sguardo profondo sul passato e sul futuro, si sta appiattiti sul presente, sulle tattiche di sopravvivenza del giorno dopo. Solo in pochi casi è possibile intravvedere qualcosa di interessante. A destra vedo Fini ma dovrei depurare la sua figura dal sostegno fornito finora ad un alleato che una persona seria non avrebbe degnato di uno sguardo, la fatica della depurazione mi è ardua, io di solito certe alleanze le chiamo connivenze. A sinistra vedo Vendola, ma spero che quanto prima passi dalla creazione di un mito personale alla costruzione di un filone di pensiero collettivo e soprattutto che riconosca l'errore di aver di fatto impedito una rappresentanza parlamentare alla sinistra in questa legislatura con una scissione prematura.
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Per l'uomo di sinistra, come insegna Luciano Canfora, è il bisogno di uguaglianza che muove alla libertà. Questa non è che lo strumento per raggiungere l'uguaglianza. Senza questa stella polare la libertà non è che ideologia in mano a chi non conosce il valore delle ideologie.
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Non ho detto nulla del cosiddetto centro moderato. Le mousse non mi piacciono, troppo piene d'aria!
.. trattazione sintetica politico-filosofica..io credo che la storia politica di questo paese ,dalla cosiddetta "Unità",a parte qualche personalità storica, ha vissuto solo il fascismo come posizione politica riconoscibile..ancor vivo oggi.l'ex democrazia cristiana aveva di tutto al suo interno,non ha caso,ha governato per moltissimi anni
RispondiEliminadestra e sinistra si sono via via annacquate,sbiadendo identità e valori ,in una concezione democratica che è solo nelle parole..al cittadino vengono sottratti diritti e dignità ,narrati dalla Costituzione ,mentre gli addetti alla politica si sono sempre più arroccati in posizioni durature di privilegio ,accessibili solo ai loro nominati..
io vedo solo Vendola pronto a cambiare anche quello che lui chiama il "vocabolario "
il problema è sempre quello di ridurre la distanza tra la condizione ideale e quella reale. Non evoco una idealità platonica bensì l'idealità sancita nella Costituzione. Sta agli abitanti di questo paese diventare cittadini e rivendicare il diritto di essere tali ma questo comporta responsabilità, partecipazione, coinvolgimento a qualsiasi livello della propria vita (quando vai al lavoro fai politica, quando compri qualcosa fai politica, fai attività nella polis) ma tutto questo è rischioso. E' più facile portare una catena al collo che qualche osso si rimedi di sicuro.
RispondiEliminaVedo che queste note le scrivevi qualche mese fa. Assumono ora valore profetico, almeno per quanto riguarda la parte finale.
RispondiEliminaL'analisi mi sembra assai ragionevole e condivisibile. Un ottimo punto di partenza per chi volesse titillarsi un po' su quello che siamo diventati oggi.
O, magari, su quello che non siamo più.
[Ave]
Grazie per le tue parole di apprezzamento, per quanto riguarda quello che siamo diventati, beh ci vuole stomaco a chiamarla politica.
RispondiEliminaDavvero molto interessante l'analisi che fai, soprattutto visto che sei riuscito a sintetizzare molto bene i concetti base, che condivido in pieno.
RispondiEliminaMi sarebbe piaciuto però trovare una tua conclusione personale, un tirare le fila di tutti gli aspetti. Come dice Mauro, qui sopra, è un eccellente spunto da cui partire, ma dove si va da qui?
Proverò a dire io qualcosa a riguardo lunedì, come risposta anche al mio post. ;-)
@Marziano. Per questo mio post, come per tanti altri, mi sarebbe piaciuto avviare una discussione per trarre o cercare le conclusioni che dici mancare. Indubbiamente questi appunti avevano lo scopo di accendere una dibattito che purtroppo non è seguito...pazienza! Forse tornerà utile nel confronto che intendi avviare nel tuo blog, decisamente più seguito del mio. ;-)
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