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giovedì 2 aprile 2009

Governo degli uomini o governo delle leggi?

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale sulla legge 40 (fecondazione assistita), che sancisce l'incostituzionalità di alcuni commi della legge, tra quelli che furono sottoposti al referendum del 2005 cui venne fatto mancare il quorum, il ministro Bondi, nonchè novello portavoce del PdL, ieri sera al Tg2 ha dichiarato: "E' una sentenza che pone un problema grave per la nostra democrazia. In quanto la sovranità del Parlamento viene intaccata parallelamente alla percezione della sparizione di autorità di garanzia".
Nella filosofia politica una delle domande centrali è se sia migliore un governo delle leggi o un governo degli uomini. Norberto Bobbio, nel suo lungimirante 'Il futuro della democrazia' scrive "Lungo tutta la storia del pensiero politico ricorre con insistenza la domanda: «Qual è il governo migliore, quello delle leggi o quello degli uomini?» Le alterne risposte a questa domanda costituiscono uno dei capitoli più significativi e anche più affascinanti della filosofia politica."[1] Come dice il filosofo la domanda non riguarda la forma di governo ma il modo di governare. Il primato della legge è fondato sul presupposto che i governanti tendono ad usare il potere per propri fini e la "superiorità del governo delle leggi percorre senza soluzione di continuità tutta la storia del pensiero occidentale [...] I valori fondamentali, infatti, cui si sono variamente richiamati i fautori del governo della legge, l'eguaglianza, la sicurezza e la libertà, sono tutti e tre garantiti dai caratteri intrinseci della legge intesa come norma generale ed astratta più che dall'esercizio legale del potere"[2] Qui si inserisce un altro argomento rilevante, sottolineato dal costituzionalista Zagrebelsky, ossia che la Carta Costituzionale non è uno strumento di potere, ma uno strumento di garanzia dell'esercizio del potere.
Sono distinzioni sottili, che impegnano pensatori da secoli su concetti complessi, disquisizioni enormemente affascinanti ma che a volte diventa difficile seguire per non addetti ai lavori, come me. Distinzioni tuttavia così nette che è davvero imbarazzante sentire un ministro della Repubblica che confonde con tanta leggerezza forma e modo di governo (la democrazia è una forma di governo, la natura costituzionale della nostra democrazia ne è la modalità). Non si è persa neanche l'occasione per fare ricorso, con la sistematicità che ricorda il cane di Pavlov, alla sovranità del Parlamento (leggi sovranità della maggioranza secondo le più recenti traduzioni del Vocabolario delle Libertà!).
La maggioranza, qualunque essa sia, deve governare sub lege e quella legge è la Carta Costituzionale, questo almeno sembrerebbe un concetto facile anche alle lumache che escono di sera sul mio terrazzo!
Al suo padrone che è tanto affezionato alle citazioni latine (salvo concedersi licenze poetiche dove "simul stabunt, simul cadent" diventa, sicuramente per amor di rima baciata, "simul stabunt, simul cadunt"!) Bondi potrebbe poeticamente ricordare il detto di Cicerone "Omnes legum servi sumus ut liberi esse possumus" (per poter esser liberi siamo tutti servi delle leggi).


[1] N. Bobbio, Il futuro della democrazia. Einaudi, 1995, p. 169.
[2] N. Bobbio, op. cit., p. 173-174.



A proposito di poesie mi devo togliere un altro sassolino dalla scarpa. Se non siete di cuore debole vi consiglio di leggere questo blog sull'ars poetica del ministro culturale (perdonatemi, non ce l'ho fatta a riportarle nel mio blog!). Quando mi è capitato di leggere qualcuna delle sue "poesie" ho avuto una stretta al cuore e mi è tornato alla mente un romanzo di Thomas Bernhard che ho letto diversi anni fa, si chiamava 'Il soccombente' e narrava la vicenda di tre pianisti, uno dei quali era l'immenso Glenn Gould. Uno dei tre pianisti, il narratore, sentendo suonare Glenn Gould capì subito che non avrebbe più potuto suonare il piano perchè non avrebbe mai raggiunto la vetta di quel genio. Il terzo, il soccombente, non abbandonò il pianoforte ma il continuo e interiore confronto con Gould lo portò al suicidio.
Io suggerirei al poeta Bondi di leggere tanta poesia, di leggere tanti poeti, poi se è dotato di senso estetico (ma tutto sembrerebbe deporre per il contrario), potrebbe imboccare una delle strade suggerite dal romanzo di Bernhard, non necessariamente quella di smettere di scrivere poesie!

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