Una storia di donne e uomini dell'Italia contadina del dopoguerra. Si partiva dalle macerie e si arrivava, quando si arrivava, ad altre macerie. Povera gente che accoglieva i figli di povera gente.
Dove c'è da mangiare per uno c'è da mangiare per due, così si diceva un tempo e così ancora dice qualche anziano dalle mie parti. In molte case c'era poco da mangiare, in altre non ce n'era affatto. Chi aveva poco da mangiare non diceva a chi non aveva niente "aiutiamoli a casa loro". Ci si aiutava com'era possibile, appena possibile. Quando qualcuno ha bisogno di aiuto non c'è tempo per chiedere dov'è casa sua.
«Era l'inverno del 1945. L'Italia da nord a sud aveva sofferto per i bombardamenti, la miseria e per la violenza degli eserciti stranieri, nemici o alleati che fossero; un'Italia stremata, affamata, ma con un'incredibile voglia di rinascita e fame di futuro.
Era un'epoca di emergenze per far fronte alle quali, immediatamente dopo la Liberazione, in ogni città sorgevano comitati per risolvere i problemi contingenti come la distribuzione dei viveri, lo sgombero delle macerie belliche, la tutela dell'infanzia. Tanti infatti i bambini abbandonati a se stessi, orfani o, come in gran parte del meridione, residenti in zone distrutte dalle bombe, da calamità naturali, soggette ad epidemie, dove la fame e la disoccupazione erano quotidianità.
A Milano Teresa Noce, battagliera dirigente comunista e partigiana da poco rientrata dal campo di Ravensbrük, intuisce che solo un gesto di solidarietà può risolvere almeno temporaneamente la drammatica situazione di bisogno dei bambini. Con ciò che rimane dei Gruppi di difesa della donna, poi confluiti nella nascente Udi – Unione donne italiane, la Noce chiede ai compagni di Reggio Emilia, realtà prevalentemente agricola e quindi con maggiori risorse alimentari rispetto a Milano, di ospitare in quei mesi alcuni bambini.» (ANPI, 1946, i bimbi dei treni della felicità.)
E' la storia dei "treni della felicità". Un'iniziativa che nasce nei comitati comunisti, gli invisi comunisti, quelli che mangiavano i bambini! Una storia di donne soprattutto, di donne "che avevano tessuto la Resistenza e svezzato la Repubblica" (ANPI). Dall'indomani della Liberazione migliaia di bambini del centro-sud partiranno soprattutto per l'Emilia Romagna e Toscana, alcuni andranno in Liguria e nelle Marche.
Il 19 gennaio del 1946 parte il primo convoglio con 1.200 bambini. Migliaia di bambini partiranno fino al 1950. Alcune stime parlano di 70.000 bambini, altre di 100.000; vengono da Napoli, dalla Puglia, dalla Basilicata. Decine di migliaia di bambini furono ospitati dalla popolazione nel centro-nord grazie anche all'appoggio del PCI, dei CLN locali, delle sezioni ANPI, delle amministrazioni.
Questa era l'Italia contadina del dopoguerra. Guardatela oggi l'Italia. Guardiamoci oggi cosa siamo diventati.
Giovanni Rinaldi, I treni della felicità. Ediesse, 2009.
Alessandro Piva, Pasta nera. 2011 (film documentario).
Rai Storia, I treni della felicità, 2015 (documentario).
"Concludiamone dunque che il mondo sarebbe assai migliore se ciascuno si accontentasse di quello che dice, senza aspettarsi che gli rispondano, e soprattutto senza chiederlo né desiderarlo." José Saramago
Il mondo contadino possedeva dei codici etici antichi di cui si è perso lo stampo, seppure anche allora esistessero l’egoismo, l’insensibilità, un esasperato senso della proprietà e della “roba”, credo che di fronte alle disgrazie che colpivano il vicino, la solidarietà fosse moneta corrente e quella più spontanea e naturale.
RispondiEliminaLa povertà diffusa è una grande maestra di vita, e così il bisogno, e la fame, e la malattia, il mondo contadino si basava su una solidarietà implicita, ricordo ancora che finito il raccolto mio padre lasciava sempre qualcosa sugli alberi per gli spigolatori, era una tradizione antica, e nessun contadino dalle mie parti ti avrebbe negato un paniere di limoni i di pomodori anche col raccolto in corso.
Non era l’abbondanza a rendere generosi con gli altri, questi tocchi delicati erano in uso anche nei piccoli proprietari, quelli che non rivendevano il prodotto e non lo commerciavano, quelli che traevano dal loro campo il necessario per vivere.
Piuttosto, era quella sicurezza in se stessi, sulla propria capacità di produrre beni anche dalle pietre, di trovare cose commestibili che crescevano spontanee per i campi o di saper trarre di che vivere da qualche tuffo in mare, che ti permetteva di privarti di un bene che per te era necessario, perché eri sicuro di poterne ricavare dell’altro, perché potevi contare sul tuo saper fare.
E, invero, non ho mai conosciuto persone più poliedriche dei vecchi contadini o marinai (talvolta erano le stesse persone che in inverno lavoravano i campi e in estate uscivano in mare), e sono stati loro ad insegnarmi che l’uomo più sa e più vale (mentre adesso vale di più chi possiede di più); e sono stati sempre loro a farmi apprezzare il gesto di dare e la gioia di ricevere piccole cose, che però avevano un valore immenso per chi le donava e per chi le riceveva … fosse stato anche un singolo fiore di zagara.
Il dolore e la sofferenza sono, poi, maestri ancora migliori, se riesci a sopravvivere, se non ti spezzano in mille frantumi, se non ti induriscono il cuore come Faraone; provare il dolore sulla tua pelle può ridurti ad un automa, come quei “caporali” anch’essi detenuti, che si occupavano di mantenere l’ordine nei campi di concentramento per ordine dei nazisti, ricavandone qualche piccolo beneficio.
(segue)
Teresa Noce era stata a Ravensbrük, conosceva la sofferenza umana, e spendendosi per quei poveri bambini del sud, orfani, come deve averne visti a centinaia fra i deportati, si occupava anche della propria sofferenza, della sofferenza del mondo … era un modo per dare un senso, un po’ di umanità, al non senso del mondo, della guerra, del nazismo, dell’ideologia totalitaria, della concezione di poter trattare le persone come corpi che possono essere mandati al macello di una guerra o al macello di un lager.
RispondiEliminaGià il dopoguerra, la ricostruzione dalle macerie, prese una strada diversa e in fondo non molto distante da ciò che era stato il fascismo (in apparenza una concezione monolitica dello Stato, l’Italia come un corpo unico che cerca la sua rivalsa all’esterno, in realtà uno sfruttamento ancora più bieco dei ricchi e dei potenti dei più poveri e bisognosi, un asservimento al partito e ai gerarchi locali e ai loro interessi, una mafia che si fa Stato).
Gli anni 60, quelli del boom economico, iniziano l’era dell’individualismo, del possesso dello status simbol, del sei ciò che hai, del narcisismo (come spiegava Christopher Lasch in La cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni collettive del 1979), mentre adesso viviamo in un’epoca di “cultura liquida”, come l’ha definita Zygmunt Bauman.
Giungiamo a Salvini (inteso come simbolo e non come individuo, una metafora di ciò che siamo diventati, incolti, egoisti, gretti, fanfaroni, faciloni e anche un po’ imbecilli, nel senso di Umberto Eco) adesso che il bisogno non esiste, la cultura contadina di una volta disintegrata (ora che persino il contadino è diventato un imprenditore) e la sofferenza è vissuta interiormente, in maniera sorda, con una vita tutta proiettata nella frenesia del fare qualsiasi cosa, anche la più stupida, pur di avere l’illusione di sfuggirla e di sfuggire quel senso di vuoto e di noia che ci da la condizione di essere individui incompleti, indefiniti, persone che, come ebbe a dire il Presidente Schreber (caso ormai mitico di cui si occupò Sigmund Freud), sono “fatte fugacemente”.
Mi è piaciuto questo post, perché si compiace di qualcosa di positivo invece di biasimare qualcosa di negativo, ed indica una direzione possibile.
Un abbraccio
Siamo diventati aridi e indifferenti alla sofferenza altrui perchè abbiamo troppo. Ci disperiamo se non abbiamo il cellulare in tasca, ma delle disgrazie degli altri non ce ne può fregar di meno. Apriamo di malavoglia la porta al vicino di casa, figurati se riusciamo ad accogliere chi viene dall'altra parte del mondo...
RispondiEliminaLa mia fortuna, è quella di essere stata cresciuta da una nonna che la pensava come qualche anziano del tuo paese. Meno male che, almeno noi, abbiamo avuto qualcuno che ci ha insegnato qualcosa di buono...
Grazie di aver proposto questo libro.Lo leggerò.
Ciao.
Un abbraccio.
Cri
Nair, Garbo grazie a voi per la vostra attenzione e per i vostri commenti/testimonianze. Oltre al libro vi raccomando di vedere il documentario di Alessandro Piva, davvero emozionante.
RispondiEliminaMi preme aggiungere solo un detto piuttosto rude che si usa nel mio mondo contadino, quello dei miei genitori, dei miei nonni. Lo scriverò nel mio dialetto perché è solo con quel suono che ha tutta la sua forza e il suo valore.
U porcu binchiatu ota a pila sutta susu (Il maiale sazio rivolta il truogolo).
Mi basterebbe questo per una antropologia dettagliata della nostra società, di questa europa unita nel terrore di spezzarsi le unghie appena rifatte. Sì Nair, siamo diventati indifferenti alla sofferenza perché abbiamo troppo, sarà forse una conclusione facile ma non vedo come poterla smentire.
Vi abbraccio.
Sai Antonio, ho guardato e ascoltato il filmato "Pasta nera" e devo dire che è davvero ma davvero bello, tutto.
RispondiEliminaMi sono piaciute le storie, i ricordi, i racconti delle emozioni e i racconti delle paure. E mi è piaciuto il sottofondo costante del compiacimento di quelle persone, consapevoli della solidarietà che furono in grado di mettere in campo.
Questo straordinario evento fu reso possibile anche perchè una persona - Teresa Noce - ebbe la capacità di individuare un obiettivo sociale ad elevato contenuto umano ed emotivo (situazione di disagio dei bambini) sul quale convogliare le iniziative e gli interventi delle donne compagne, a loro volta capaci di motivare e solecitare le spinte solidaristiche delle famiglie, in particolare delle famiglie contadine.
E veniamo all'oggi.
Sai, concordo con voi che il mondo contadino di un tempo fu realtà semplice e straordinaria, ed è vero anche che il bisogno ci unisce, che siamo spesso indifferenti alla sofferenza perchè oggi abbiamo troppo, tuttavia ti dirò non sono del tutto convinta che le persone di quel tempo, di quella realtà, di quella congiuntura fossero migliori di noi. In fondo tanti di loro sono le medesime persone di oggi.
Cosa è cambiato dunque ?
Io credo che ciò che manchi oggi è la spinta, la passione, la tensione sociale, la motivazione comune - con tutte le sue valenze politiche - verso un obiettivo aggregatore. Non è un caso che oggi manchino veri movimenti riformatori, siamo carenti di associazionismo, questa società non è più in grado di formare e partorire leader capaci di coinvolgere, aggregare, rivoluzionare, appassionare, gestire conflitti, e questa assenza la scontiamo nel campo sociale così come in quello politico così come in quello culturale.
I decenni dell'egemonia basata sul nulla dell'epoca berlusconiana hanno ulteriormente annichilito il sistema, a mio parere.
Sicchè oggi manca una motivazione comune tesa al "fare" più che al disfare o al fare solo demagogia.
Siamo troppo virtuali. Virtuali nell'amore come nel dolore come nella solidarietà.
Ed è molto comodo essere virtuali.
Siamo bravi a postare foto su facebook, sui social, commenti indignati per la povera gente, per gli immigrati, e pensiamo che la soldarietà sia quella, pensiamo di aver svolto il nostro piccolo compito atto a placare la coscienza di chi vive del troppo e neanche lo sa.
Poi giriamo la faccia di fronte a qualsiasi disagio sociale che sia ad un palmo da noi.
E invece la solidarietà è spegnere il computer e sporcarsi le mani, uscire da fb, dismettere il tempo delle parole e utilizzare il tempo per il "fare".
Come dire....è come se vivessimo in un grande sonno nel quale tutto è sopito.
Occorre un risveglio culturale, un risveglio politico, un risveglio nel sociale.
Questo è quello che io sommessamente credo....
Ciao Antonio...gran bel documento quello di Piva, grazie.
Flâneuse
Flâneuse sono io a ringraziarti per il tuo commento. Nessuna lettura della storia che si rifaccia ad un passato idilliaco da contrapporre a un presente degenerato mi ha mai soddisfatto. Mi risulta indigesta persino quando la evoca Leopardi. Non è nelle mie corde un pensiero simile. Se nel passato c’erano persone eticamente ineccepibili dove la “roba” di verghiana memoria contava meno allora non si comprenderebbero le ragioni di alcuni dialoghi di Platone, delle lettere di Seneca o delle perorazioni di Cicerone! Ho focalizzato l'attenzione su un episodio avvenuto in un periodo della nostra storia con una determinata struttura sociale dove i legami erano più forti di oggi. Per farla breve questa stessa forza era a fondamento della rete di solidarietà e allo stesso tempo era una rete sociale che inibiva espressioni individuali. Erano comunità di piccole dimensioni, anche se spalmate a livello nazionale. Tutti erano usciti da una vicenda terribile e comune, c’era un futuro da costruire. D’altro canto oggi l’indebolimento di quei legami sociali e l’allontanamento tra le comunità porta alle stesse ragioni di forza e debolezza dell’individualismo, che non è solo una bestemmia. Le differenze tra quel passato e questo presente sono troppe per poterle anche solo enumerare ma, per tornare al tuo commento, sono d’accordo con te, non è una questione di persone diverse e migliori, come fossero di altra specie. Noi umani rispondiamo a meccanismi di contagio, in cui le circostanze storiche e le contingenze sociali e ambientali determinano, consciamente o meno, i comportamenti affettivi. Su come vengano determinate quelle contingenze, se siano contingenze e se sono determinate da qualcuno o da qualcosa, beh qui l’impresa è ardua. Da Machiavelli in poi, passando obbligatoriamente per Vico, ci si sono messi in tanti a cercare di capirlo e io ho appena qualche intuizione qua e là, dei balbettii :-)
RispondiEliminaRiguardo alle miserie italiane il berlusconismo è stata la realizzazione del programma da “fine della storia” e il renzismo ne è la continuazione. Abbiamo bisogno di un risveglio, sì, tutti quanti, non solo qui in Italia, ma fino a quando cercheremo il risveglio in qualche “capo”, chiunque egli sia, anziché in una idea di futuro da costruire insieme giorno per giorno allora continueremo a credere di dormire sonni tranquilli. Poi arriveranno frotte di disperati a scuoterci nei nostri candidi lettini, oppure il risveglio sarà ancora più brusco, neanche il tempo di mettere le pantofole!
Adesso siamo nella società del click? Con democrazie digitali? Non ne sono troppo convinto. A mio avviso gli arcana imperi cambiano con meno velocità di quello che appare o desideriamo ma ad ogni modo questi giocattoli ci intrattengono, ci convincono di avere anche noi la nostra parte, di aver lasciato qualche traccia… una marcatura del proprio passaggio direbbero gli etologi. A volte possono provocare qualche terremoto politico non privo di importanza (vedi le continue rivelazioni di uno che spia l’altro che spia l’altro che spia l’altro che spia il primo! Non lo avresti mai detto, vero?). Il virtuale ha preso il posto della virtù, se uno parla di virtù gli ridono dietro perché è antiquato. E’ molto comodo essere virtuali, molto più comodo che essere virtuosi. Hai visto che ti combinano tre lettere?
Ciao.