Nella storia delle idee si sono alternati due modelli riguardo alle relazioni umane e all'organizzazione politica: homo homini lupus e homo homini deus. Questi modelli sono formule ermeneutiche, strumenti di classificazione, risultato di una natura umana ambigua e ambivalente.
Darwin ha individuato i meccanismi dell'evoluzione, le strategie competitive e quelle mutualistiche che le specie adottano per sopravvivere. Nel periodo vittoriano la natura ha zanne e artigli insanguinati, secondo la celebre espressione di Lord Tennyson, "Nature, red in tooth and claw". La lotta per l'esistenza si presenta sotto la veste della dura competizione, trascurando una buona metà del pensiero di Darwin. Quella metà venne ripresa da Kropotkin, praticamente sconosciuto anche nelle facoltà di biologia.
Il pensiero di Darwin è stato usato per affermare le spinte colonialiste e, ironia della storia e delle idee, è stato apprezzato da Marx e Engels perché dimostrava che in natura opera un metodo dialettico di trasformazione e avvicendamento delle specie. La storia naturale di Darwin era modello per la storia sociale di Marx, anzi per Marx il movimento sociale è un processo di storia naturale. Da parte sua Darwin restò sempre schivo e spaventato dell'apprezzamento manifestatogli da direzioni opposte.
Il periodo vittoriano è la cornice storica in cui i fenomeni naturali sono letti in termini di successo del migliore, del "più adatto" secondo l'infelice espressione di Herbert Spencer che pure Darwin adottò. «Ma l’espressione “sopravvivenza del più adatto”, spesso usata da Herbert Spencer, è più idonea, e talvolta ugualmente conveniente», Darwin, 1859. Dall'ambito evoluzionistico a quello politico c'è un travisamento semantico e un impoverimento del concetto di "più adatto". Nell'evoluzione biologica il "più adatto" è chi trasmette più copie del proprio genoma, in qualunque modo e per qualunque motivo, strategico o contingente. Tanto la strategia quanto la contingenza sono modalità estremamente complesse e difficilmente riducibili a variabili uniche e semplici, e non riguardano solo l'individuo. In ambito politico "il più adatto" diventa "il più forte", una banalità monodimensionale. Quella stessa banalità che oggi è traslata nel "più meritevole".
Adam Smith ha individuato i meccanismi delle "transazioni". Ha analizzato le relazioni sociali attraverso lo scambio di valori economici, ma la sua lezione morale è stata trascurata. Smith è stato per l'economia ciò che Darwin è stato per la biologia. Entrambi travisati, entrambi usati per scopi politici. La lezione morale di Smith era parte integrante del suo pensiero. Nella Ricchezza delle nazioni dice chiaramente che le asimmetrie contrattuali minano alla base l'esistenza stessa del libero mercato, inteso come luogo di negoziazione, luogo in cui la transazione accresce il vantaggio di entrambe le parti. Dei tanti seguaci di Smith o sedicenti tali, quanti fanno sentire la loro voce nei confronti delle multinazionali che monopolizzano il mercato e coerciscono le scelte politiche di interi paesi? Molti osannatori della mano invisibile farebbero un salto sulla sedia leggendo le critiche di Smith alle corporazioni che creano diseguaglianze.
La famigerata "mano invisibile" di Adam Smith è il principio che regola l'organizzazione dei sistemi complessi, una "forza" difficile da individuare poiché coinvolge molteplici aspetti e lunghe catene causali del sistema eppure determinante per la struttura del sistema stesso. La mano invisibile non è un principio normativo, sebbene nello stesso Smith non manchino ambiguità al riguardo, bensì un principio descrittivo. La selezione naturale di Darwin, è un principio descrittivo, non un principio normativo, non più di quanto siano principi normativi la legge di gravità di Newton o la relatività di Einstein. La lezione di Hume ha insegnato a non confondere descrizione e prescrizione, ciò che è non implica ciò che deve essere. Confondere i due piani è logicamente disonesto. Il passaggio dall'essere nel dominio "naturale" a quello del deve essere nel dominio "sociale" rende evidente anche la disonestà morale della fallacia naturalistica. E poiché la confusione tra descrizione e prescrizione è sempre stato il punto debole dei neoliberisti, tempo fa ho temuto che un articolo di Alesina, in cui lo sviluppo del capitalismo in Europa è messo in relazione alla diffusione della peste nera, fosse preludio per una politica di rilancio del capitalismo sofferente!
La natura è indifferente alle passioni umane ma si predilige vedere una natura assetata di sangue nella misura in cui questo ci gratifica come vincitori della lotta per l'esistenza, oppure all'altro estremo una natura benevola e addomesticata, a sostegno di desideri, aspettative e volontà di potenza. Proiettiamo sulla natura quello che di volta in volta soddisfa le nostre pulsioni narcisistiche. La politica è l’argine culturale ad una natura del tutto indifferente ai destini umani, come Leopardi ha ampiamente dimostrato.
Che tipo di storia è quella che si va sviluppando sotto le spinte "naturalistiche"? La politica non può essere esclusivo adeguamento ai fenomeni naturali, non più di quanto non sia descrizione delle catastrofi naturali senza considerare le strategie per arginarne gli effetti deleteri. La politica è cultura che ambisce a costruire lo spazio della cooperazione che in natura occupa lo stesso posto della competizione più feroce.
Riconducendo l'etica ai suoi fondamenti (aiutare l'altro, non danneggiare l'altro), in natura troviamo l'origine evolutiva dell'etica e sappiamo che la cooperazione è una strategia di sopravvivenza come la competizione. Nella specie sapiens operano entrambe le strategie ma siamo essenzialmente una specie sociale, forse una specie in transizione, quasi sicuramente verso l'estinzione.
Quale posto occupa l'uomo in natura? Qual'è la nostra natura? Oppure dovremmo chiederci, quale natura scegliamo di avere? Preferiamo una politica che favorisca la cooperazione o una che favorisca la competizione?
Il neoliberismo senza freni è considerato già da Smith una catastrofe, ed è una catastrofe "naturale" che ci si limita ad assecondare spacciandola per riscrittura della storia. Una storia in cui i diritti del '900 diventano privilegi, una storia dove ciascuno è solo a giocarsi la partita della vita.
Della meritocrazia. Si organizza una società in base ai successi che ognuno raggiunge, evidentemente per merito, creando l'immagine del vincente cui fa da contraltare la speculare immagine del perdente, evidentemente per demerito. Nulla di più lontano da una società organizzata sulla base delle relazioni emotive e affettive. Nella società del merito la collaborazione non è costitutiva della socialità ma funzione di un obiettivo non sempre collettivo e spesso "imposto" con strumenti "pacifici".
Renzi condivide con Berlusconi la stessa ignoranza e lo stesso disprezzo per i corpi intermedi della democrazia. Ha una visione personalistica della politica e riduce la democrazia ai soli organi centrali, essenzialmente il governo o più precisamente la presidenza del consiglio. Renzi, come Berlusconi, mette in scena il contatto diretto con il cosiddetto popolo che però non ha voce per influenzare le politiche se non attraverso i corpi intermedi della democrazia. Quindi quello a cui parla Renzi non è un popolo ma una massa informe. Da qui nasce la frustrazione del popolo che emerge con effetto ritardato! Troppo ritardato a mio avviso ma emerge.
La democrazia non è solo "centro", la democrazia è essenzialmente "periferia". E' dibattito parlamentare così come assemblea sindacale, manifestazione sociale, consiglio di classe, comitato di quartiere e assemblea di condominio.
Il disprezzo dei corpi intermedi, in particolare dei sindacati, non è solo espressione di ignoranza politica, rivela un disegno preciso. La delegittimazione dei sindacati, soprattutto di quelli meno accondiscendenti, mina alla base gli strumenti di compensazione delle asimmetrie contrattuali tra capitale e lavoro, tra datore di lavoro e lavoratori. Possiamo muovere molte critiche ai sindacati - io ne ho una grossa come un macigno: essersi accorti troppo tardi del precariato - ma la loro demolizione significa che ciascun lavoratore si troverà solo a contrattare con il datore di lavoro. Il sindacato è stato storicamente la coalizione tra lavoratori per contrattare con il capitale. Unire le reciproche debolezze per avere forza di contrattazione: questo è stato il sindacato. Ridurlo in polvere significa lasciare che le asimmetrie tuttora presenti tra capitale e lavoro esprimano i loro effetti. Significa che ogni lavoratore è solo a giocarsi la partita del lavoro con il datore di lavoro e poiché la classe imprenditoriale è povera di Adriano Olivetti il risultato è una corsa al ribasso di salari e diritti, così come sta avvenendo dagli anni '80, da quando il pensiero neoliberista è diventato il pensiero unico.
Il vincente sarà chi accetta le condizioni imposte da chi ha maggiore forza contrattuale. Per analogia con il discorso evolutivo, sarà colui che prima degli altri si è adattato. Il più adatto! E' questa la società dei meritevoli che vogliamo? Chi vince è il più meritevole, il più meritevole vince! Chi è il più meritevole? Quello che vince! Chi vince? Il più meritevole! Più chiaro di così. La tautologia dei bulli due punto zero.
Li conosco questi boyscout iscritti ai rotary e lions club. Nullità. Che siano ricchi o aspiranti tali, conta poco. I primi sono frustrati perché devono imitare il padre, i secondi perché devono affrancarsi dal disagio di non essere nati ricchi e rinnegano il padre pensando di riscattarlo. Scarti che si candidano a guidare la società, e la guideranno, perché loro sono i vincenti, quelli con le relazioni giuste, quelli che sanno cogliere il momento opportuno. Li conosco questi figli beneducati alla messa domenicale, pronti a sputare sentenze su chi non ce la mette tutta per essere un vincente, su "chi si piange addosso". Sempre pronti a solidarizzare con chi è più forte, perché il debole non ce l'ha messa tutta, il debole è così per suo demerito, magari va a cercarsi anche la morte perché è un tossico, un extracomunitario, un ladro e porta pure malattie.
Io so i nomi dei responsabili, diceva Pasolini, ma non ho le prove. Io so i nomi di chi ha ucciso Cucchi perché so che la causalità non è legata alle cose più prossime e può avere origini molto lontane. So i nomi di chi lo ha ucciso coprendosi dietro il velo dell'autorità e so i nomi di chi quel velo ha tessuto. Sono quelli che parlano di merito e che sotto questo vessillo nascondono il loro disprezzo per i "perdenti", per chi non ha merito, per chi può essere pestato a morte perché se l'è andata a cercare...
La politica è un gigantesco e maestoso esperimento contro-natura, fieramente e umanamente contro-natura o piuttosto un esperimento che più di qualunque altro afferma la natura umana. Esperimento contro-natura nella misura in cui vogliamo vedere nella natura zanne insanguinate e sopravvivenza del più forte, esperimento che afferma fortemente la natura umana nella misura in cui individuiamo le coordinate empatiche della specie umana, una specie che si distingue per la sua socialità, oltre che per la sua ferocia. Siamo capaci delle più elevate opere dello spirito e dei più efferati crimini. Tra i monumenti della nostra specie c'è la corale di Beethoven e il bombardamento di Dresda, la relatività di Einstein e la bomba di Hiroshima, la Cappella Sistina e la Shoah.
La politica è un modello contro l'idea (errata) che abbiamo di natura.
Una società in cui tutti gli individui siano messi nelle condizioni di esprimere le proprie aspirazioni: questo modello è un modello umano, che non troviamo in altre specie. In questi termini dico un modello contro-natura e allo stesso tempo che afferma la nostra natura. Il modello neoliberista lascia l'individuo solo, senza tessuto statuale, e con un blando tessuto sociale. Questo è il trionfo della natura intesa come regno della lotta per la sopravvivenza del più forte. Renzi ne è un degno alfiere. La meritocrazia di Renzi dice di voler mettere tutti sulla stessa linea di partenza ma non dice nulla dell'allenamento che ogni atleta può permettersi e bara sull'asimmetria della forza di contrattazione tra capitale e lavoro.
Ogni tempo ha il suo fascismo, diceva Primo Levi, e il fascismo muta nel tempo. Oggi abbiamo fascisti geneticamente modificati per vendersi come condottieri di sinistra. Con loro si vince, non importa cosa, non importa come ma si vince.
Renzi ha azzerato la dialettica fondendo in maniera surrettizia istanze destruens e costruens, senza avere stoffa né per l'una né per l'altra, o forse solo per la prima. Un Bel Amì della politica si è impadronito di tesi e antitesi. Ha realizzato quello che disse Fukuyama dopo la caduta del muro di Berlino, la storia è finita, non c'è più dialettica, il pensiero unico ha trionfato. L'imbarazzante debolezza dei suoi avversari, sia interni che esterni al pd, lo fa apparire un gigante. La sua retorica da ultima spiaggia ha soppresso il confronto. La cosiddetta sinistra è più spiazzata della destra, intontita da una mancanza di alternative che non ci sono fino a quando non vengono costruite e non si costruiscono fino a quando si è intrappolati nella mentalità che non prevede alternative.
La storia potrà anche essere finita ma non il conflitto. La dialettica sociale è il conflitto e dove ci sono asimmetrie sociali continuerà a esserci conflitto.
Renzi passerà, il conflitto no.
"La libertà non è che un vano fantasma quando una classe di uomini può affamare l’altra impunemente. L’uguaglianza non è che un vano fantasma quando il ricco, attraverso i monopoli, esercita il diritto di vita e di morte sul suo simile. La Repubblica non è che un vano fantasma quando la controrivoluzione opera, giorno dopo giorno, attraverso i prezzi delle derrate alle quali i tre quarti dei cittadini non possono accedere senza versare lacrime." Dal Manifesto degli arrabbiati di Jacques Roux, 25 giugno 1793.
Appena 220 anni fa!
"Concludiamone dunque che il mondo sarebbe assai migliore se ciascuno si accontentasse di quello che dice, senza aspettarsi che gli rispondano, e soprattutto senza chiederlo né desiderarlo." José Saramago
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Sostiene Carlo Galli che il grande sconfitto del 1989 è stato il pensiero dialettico. Appena sentito qui: https://www.youtube.com/watch?v=NGgyJPesMnM
RispondiEliminaGrazie della segnalazione, molto interessante. Aggiungo solo una nota. Ho l'impressione che quando parliamo di dialettica, di conflitto nella storia, riduciamo il nostro angolo visuale a una finestra tutta occidentale, una razionalizzazione del conflitto che diamo per scontato assuma le forme che conosciamo. Non è così, il conflitto può prendere forme del tutto inattese e fuori dai confini occidentali. Il conflitto nasce dal bisogno e arriva con i barconi degli immigrati, con le esigenze di uguaglianza dei paesi poveri. Può assumere forme inaccettabili moralmente e politicamente perché rimane allo stato caotico di rabbia (vedi quello che dice a proposito di rabbia e conflitto la Urbinati). Per chiudere direi che il grande sconfitto del '89 è stato il pensiero dialettico occidentale.
Elimina"Il conflitto può prendere forme del tutto inattese e fuori dai confini occidentali". E' percepibile un tocco di implicito ottimismo.
EliminaNon ne sarei così sicuro! Ho ancora qualche legame con le radici del pensiero occidentale, come si capisce bene dalla citazione che chiude il mio post.
EliminaPrendendo il discorso molto dall'alto mi sembra che la specie umana si stia allontanando sempre di più dagli altri mammiferi per assumere caratteristiche non previste nella teoria dell'evoluzione. A cominciare dal rapporto fra i sessi.
RispondiEliminaLa teoria dell'evoluzione non si fa alcun problema a prevedere l'estinzione per una specie come la nostra!
EliminaRiguardo invece al rapporto fra i sessi mi sfugge se intendi la relazione sociale tra i sessi oppure la proporzione tra i sessi.
La tua spassionata disquisizione sul'evoluzione dell'uomo e sul potere mi ha ricordato alcune riflessioni di un filosofo e politologo italiano (dimenticato) Gaetano Mosca. Diceva che qualsiasi sia il potere nelle sue diverse forme in fin dei conti si tratta sempre di una oligarchia che vuole governare una massa di oppressi. Nella loro evoluzione le oligarchie, per paura di essere scalzate, tendono a fare andare avanti le persone più modeste sul piano delle idee e delle intelligenze.
RispondiEliminaIn questa fase c'è la necessità di spacciare una modernità riformista per continuare a governare, e una pletora di intellettuali venduti si prestano a suonare la musica della modernità rosicchiando qualche favore delle oligarchie politiche. Se si vanno a vedere i provvedimenti non c'è nulla di veramente moderno, è la solita aria fritta, ma ben camuffata e truccata. Il Renzi aveva un po' di miliardi per dare una indennità di disoccupazione generalizzata e se li è giocati con gli 80 euro per la sua campagna elettorale, ora vuole fare decollare un minimo di indennità generalizzata pigliando i soldi dalla Cassa integrazione e deve per necessità mettere in difficoltà il sindacato. Al momento è tutta qua l'evoluzione dell'animale politico.
Caro Francesco, ti ringrazio di aver ricordato Mosca, un pensatore troppo trascurato. Del suo pensiero dovremmo recuperare molto, distinguendo quella che è l'analisi descrittiva del potere dal progetto prescrittivo.
EliminaDistinzione che ritengo essenziale, come lascio intendere nel post. Se resta solo la parte descrittiva scriveremo una storia "naturalistica" e basterà l'etologia per spiegare il potere politico. Il dramma è quando basta l'etologia per descrivere l'organizzazione sociale e la politica.
E’ strano Antonio, mi veniva in mente che comunque la vogliamo intendere questa questione in fondo hanno ragione “loro”, non sono forse le multinazionali a trasmettere “ più copie del proprio genoma, in qualunque modo e per qualunque motivo, strategico o contingente”? E non è più facile che in politica emerga uno squalo, o un sauro? E la madre degli imbecilli non è sempre incinta? Non sta accadendo che le banche e i grandi interessi economici hanno creato la crisi e siamo noi che la stiamo pagando? Non è questo un sistema “complesso” dove il più debole paga di più e la “mano invisibile” che dovrebbe calmierare la dialettica, l’anánke dei greci, la divina provvidenza, la giustizia, la “coerenza” dei teorici dei sistemi aperti non lineari complessi, è stata spostata sempre di più in un aldilà, in un punto metafisico, in un luogo ideale, nel futuro o nel dominio delle meravigliose sorti e progressive?
RispondiEliminaNon è forse questa “mano invisibile”, questo impalpabile ordine del mondo (mentre palpabile è solo il disordine) non è forse una costruzione della nostra mente, misera e patetica, che scambiamo per ordine delle cose, per leggi naturali ferree, solo per convincerci che esiste un senso nell’universo e la nostra stessa vita ha uno scopo?
Forse tutta la scienza e le religioni rispondono a quest’idea di trovare un senso per noi e per tutto ciò che ci circonda ed evitare di credere che tutto sia solo e semplicemente un assurdo caso, un caso che io sia nato ora, qui, così, talmente intriso di significanti da sospettare che nulla abbia in realtà significato, da ritenere (come credeva Lacan che il dominio del significante è solo una giungla dove un significante ne sorregge un altro e a sua volta necessita di un altro significante … un po’ come i capelli del barone di Munchausen che egli stesso afferrò con la sua mano per tirarsi fuori dal pantano).
E’ probabile che io e te pensiamo la stessa cosa o qualcosa di simile quando pensiamo qualcosa che tu esprimi ammonendo di non far confusione fra l’ambito della descrizione e quello della prescrizione, fra il naturale e il sociale (o culturale) e che io esprimo semplicemente fra le nostre costruzioni mentali e delle leggi naturali e immutabili esistenti al di fuori, al di la e indipendentemente da noi, fra il soggettivo e il trascendente.
Tutto ciò che esiste per l’uomo, il suo mondo, il suo habitat è una costruzione dell’uomo, le polarità dialettiche non sono il soggetto e la realtà o la natura, ma fra il soggetto e l’altro, tutto il nostro mondo psicologico in cui viviamo e pensiamo è una costruzione sociale, una convenzione, una comoda invenzione in cui ci troviamo a stare più o meno confortevolmente, sospesa sempre fra il paradiso e l’inferno, fra il migliore e il peggiore dei mondi possibili.
Solo se perdiamo di vista che siamo noi stessi i creatori, solo se facciamo esistere un senso della nostra vita indipendente da noi, acquistano valore concetti come merito e bisogno, che sono i concetti che stanno alla base rispettivamente del liberismo e del comunismo (“dare a ciascuno secondo i suoi meriti”; “dare a ciascuno secondo i suoi bisogni”).
(segue)
Renzi e Berlusconi, visto che li citi, a mio parere non sono i pupari che vogliamo rappresentarci, sono essi stessi pupi in una rappresentazione senza pupari (Pirandello mi ha insegnato molto), a loro volta rispondono ad interessi e sono ingranaggi di un meccanismo più grande di loro che è stato costruito da un folle e dove non è prevista alcuna cabina di regia e alcuna direzione di marcia, tranne quella che di volta in volta riteniamo sia tale e che può essere in contrasto con opinioni completamente e diametralmente opposte.
RispondiEliminaForse l’ambizione dei tuoi boy scout e dei rotariani altro non è che il titanico sforzo di una collettività per uscire dall’angoscia dell’assurdo e del non senso, scegliendosi come leader non il più adatto, il più capace, il più determinato, ma soltanto il più angosciato, quello che è capace di inventarsi le cose più assurde pur di trovare una risposta e una via d’uscita.
E quando questa via d’uscita non è fortemente evocativa, quando è debole, quando sembra vacillare, allora la morte, il martirio, il dolore, l’olocausto, la guerra, le peggiori efferatezze servono a ribadire che siamo in vita e che ci siamo proprio per questo, che abbiamo una missione trascendente, che passa sopra a tutto ciò che potremo commettere in suo nome.
Mi sto interrogando circa il fatto che le opere più geniali dell’umanità, i geni assoluti che hanno costellato e arricchito i secoli e i millenni, siano potuti esistere solo come contraltare del dolore e dell’angoscia; oppure è possibile, come dicevano gli antichi greci, che l’arte e la migliore politica possano nascere anche dalla contemplazione della bellezza oltre che dall’esperienza del dolore, oppure da una fortunata coincidenza delle due cose.
Ciao
Caro Garbo, a molte delle tue domande posso rispondere citando un apologo di Gaetano Mosca, già ricordato in questo scambio. Luciano Canfora lo cita in un libro dal significativo titolo “La democrazia. Storia di un’ideologia”. Scrive Canfora che Mosca "fece ricorso, a sostegno della sua tesi, certo pessimistica, dell'inesistenza della democrazia, «all'apologo - come scrive - di quel padre che morendo confidava ai figli che nel campo avito era sepolto un tesoro, ciò che fece sì che quelli ne sollevassero tutte le zolle, non trovando il tesoro ma aumentando notevolmente la fertilità del terreno». L'apologo può essere messo a frutto in molti modi, per esempio a sostegno della tesi che la fiducia nella possibile esistenza della democrazia ha di per sé effetti migliorativi («democratici» appunto); certo esso esprime bene l'inesistenza fattuale, e insieme l'indispensabilità della «democrazia» (beninteso nel suo senso pieno e originario)". Quanto in questo passo è riferito alla democrazia può essere altrettanto riferirsi a molte altre “proprietà” che abbiamo scoperto/inventato e che “rispondono a quest’idea di trovare un senso per noi e per tutto ciò che ci circonda”. Il barone di Munchausen rende perfettamente l’idea ma il rimanere sospeso del barone (leggi validità dei nostri costrutti mentali) non è meno importante perché “infondato”, il fondamento è nella coerenza della storia del barone, la storia del barone resta coerente perché la sua soluzione di tirarsi fuori dal pantano è incoerente. E’ necessaria una soluzione incoerente, altrimenti la storia sarebbe incoerente, ma questa è letteratura. Nella realtà la validità è nell’incastro di tutti i costrutti, nella loro coerenza. Le convenzioni non sono meno valide perché convenzioni. Se ci sia un senso trascendente non è cosa che mi preoccupa più di tanto, il senso è un concetto ingannevole. Non ho bisogno di far esistere un senso della mia vita indipendente da me per dare valore al concetto di bisogno, semmai avrei la necessità di rimanere in me stesso per capire i meriti ignorando i bisogni, quest’ultima non è roba per me. Non sta scritto nella mia natura!
RispondiEliminaConcedimi la mia digressione in ambiti apparentemente off-topic, come si usa dire in rete, non è solo esercizio a cogliere nessi tra ambiti diversi della conoscenza. A parte il fatto che sottolineare l’uso strumentale e politico che si fa (e si è sempre fatto) della scienza e delle cosiddette leggi naturali evita banalità come “la scienza è neutra” e idiozie simili, la (apparente) contrapposizione natura/cultura è sempre stata sullo sfondo del confronto politico destra/sinistra. Discorsi vecchi, di quando c’era ancora destra e sinistra, oggi, come ha detto qualcuno, “la sinistra è uno stato d’animo” che fa il verso a quell’immenso “La Rivoluzione non è che un sentimento” che chiude una delle poesie di Pasolini. Quello che è rimasto è il vincente perché più forte, perché lascia più discendenti! Non hanno ragione loro caro Garbo, non più di quanto abbiano ragione i batteri, che si riproducono esponenzialmente, ma questa è solo la prima metà della storia, perché l’altra metà è che finite le risorse la loro popolazione cade drasticamente.
(segue)
La tua chiusura meriterebbe da sola un discorso a parte. Da tanto mi interrogo anch’io sull’origine della bellezza e sono arrivato a quella paradossale formula che uso anche per la politica, un “gigantesco e maestoso esperimento contro-natura”. La nostra natura, la nostra evoluzione ci ha portati a pensare, a ritenere che la natura non sia più sufficiente, non possa più bastarci. Improvvisamente siamo stati capaci di ascoltare la voce della morte che aleggia in natura e per non ascoltare quella voce dovevamo tappare le orecchie. Da qui nasce tutto lo splendore e tutto l’orrore di cui siamo capaci. Questa è la nostra illusione, sfuggire alla natura che è l’altra faccia della fuga dalla morte. Alla base potrebbe esserci la stessa illusione che muove gli uccelli giardinieri a creare i loro meravigliosi nidi, del resto la più antica fuga dalla morte è la riproduzione. Sfugge spesso che le copie di noi stessi, e qui torno agli umani, non sono solo geni, sono anche memi, idee.
RispondiEliminaUn saluto a te
Molto interessante tutta la replica, ho trovato molto bella la parte finale ;-)
RispondiEliminaCiao