Eppure non è passato molto tempo da che i genitori erano il punto di riferimento per la sicurezza dei bambini. Tempi andati! Ora la famiglia assediata da alibi potentissimi quali la società senza valori non ha altra soluzione che affidarsi ai Carabinieri. Quel senso di sicurezza che prima di inerirsi ai pericoli della società era direttamente connesso con le paure dell’anima ed il desiderio di affetto che solo genitori e nonni potevano dare si è evoluto rendendo i bambini orfani anzitempo ma cittadini perfetti!
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Il 25 maggio 2007, in una cittadina poco distante da Bruxelles, una madre esce di casa la mattina con i suoi tre figli per recarsi al lavoro. Come fa di solito, accompagna a scuola i due figli più grandi e poi si reca direttamente a lavorare, dimenticando di portare il più piccolo dalla baby sitter. Al termine della giornata di lavoro si reca a casa della baby sitter per riprendere il bambino e lì scoppia la tragedia, il piccolo era ancora nel suo seggiolino sul sedile posteriore, morto. Uno psicologo[1] ha dottamente parlato del “contrasto amore-odio” che può tradursi in un abbandono involontario. In merito all’accaduto appare evidentemente più facile trovare la responsabilità dell’individuo anziché abbozzare qualche considerazione sul contesto nel quale l’individuo è immerso, e non per scelta. La responsabilità, dal punto di vista penale è sicuramente individuale, ma da uno psicologo ci si aspetterebbe una valutazione più ampia. Non conosco la storia personale di quella madre e non so se lo psicologo la conoscesse ma il mio primo pensiero, più che alla formulazione di un’elegante accusa e di una subdola giustificazione, è andato alle pressioni che l’individuo subisce in quella macchina stritolatrice socialmente accettata che è il cosiddetto mondo del lavoro. Apoteosi del secolare sacrificio dell’individuo in nome della collettività, al lavoro si deve dare il massimo. Quando si è al posto di lavoro la propria efficienza è considerata tanto più elevata quanto maggiore è la rinuncia alla propria vita privata, ogni pensiero non indirizzato alla propria mansione è considerato un difetto. Il lavoratore che dimette completamente la propria vita privata sarà particolarmente apprezzato ed ovviamente qualora il lavoratore voglia lavorare anche fuori dagli orari di lavoro sarà lodato per la sua dedizione. Naturalmente non tutti i lavoratori sono così, ci sono anche quelli meno dediti, per così dire, meno efficienti.
Sarà forse per questo che ci sono ancora delle buone madri e dei cattivi psicologi?
[1] Patrick De Neuter, psicologo alla clinica belga dell’Ucl (Universitè catholique de Louvain), intervistato per questa occasione ha dichiarato: "non é la prima volta che una madre abbandona il figlio in maniera volontaria o involontaria: un contrasto amore odio può tradursi in un abbandono involontario".
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Solo per dare un'idea. Non ho trovato in rete quella che ricordo, per fortuna! |
Quando il poverello di Assisi scriveva di “sor’Acqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta”, dubito che avesse in mente il paragone con tesori e monili. Se la metafora adottata dalla "pubblicità progresso" potrà essere utile a non sprecare acqua, allora benvenga in nome di un rassegnato pragmatismo. Del resto ognuno è figlio dei suoi tempi e, come dicono a Napoli, “ogni scarafone è bello a mamma soja”.
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Qualche tempo fa ho sentito in tv di un sondaggio sul senso di colpa degli italiani. Più o meno sorprendentemente “sperperare i propri soldi” è il motivo principale del sentimento di colpa, mentre successivi erano “tradire gli amici”, “mettere le corna”, “impegnarsi poco”, “non mantenere le promesse” e altre inezie. Non so quale sia la serietà del sondaggio, ad ogni modo qualche riflessione in libertà può essere fatta.
Per millantare ancora un briciolo di dignità umana occorre naturalmente indignarsi di fronte i risultati del sondaggio ma vero o no che sia il risultato, mi chiedo se il risultato del sondaggio sia espressione del paesaggio lunare dell’etica collettiva, utile solo a produrre indignazione, oppure mostri le avvisaglie del riconoscimento dell’autentico peccato della società capitalistica. Forse si percepisce che lo sperpero di denaro altro non è che lo stato narcotico in cui, presi dalla frenesia dello scambio, si rinuncia all’unica opportunità che si ha di vivere. Allora quale motivo migliore per sentirsi in colpa? Con la mente obnubilata dalla moderna Ate, spendiamo soldi e tempo, poi, educati dall’economia cristiana, portiamo i conti in pareggio con un ridicolo senso di colpa. Anche questa è salvezza…in extremis.
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Fino a qualche tempo fa trasmettevano in tv la pubblicità di un’automobile dove uno stupefatto benzinaio guardava l’ultima meraviglia del progresso ed il proprietario dell’auto (ho sentito la tentazione di scrivere ‘mezzo’ ma non ho osato consumare il sacrilegio), bevendo una birra, elencava, con studiate pause, le virtù del veicolo al basito benzinaio. L’ormai realizzato proprietario riferiva della perfetta tenuta di strada “in curva, sotto la pioggia”. Il bello è che la scena si svolgeva nel deserto, probabilmente negli Stati Uniti del sud, lungo una strada dritta fino all’orizzonte visibile.
Ormai siamo stati occultamente persuasi della necessità dell’inutile e dell’insensato - che peraltro non è neanche bello, l'unico concetto cui spetti di diritto l'inutilità - per cui possiamo tranquillamente esprimerlo manifestamente e con la giusta soddisfazione per “le sorti magnifiche e progressive” che si aprono posticipando i bisogni ai beni. Sono stati versati fiumi di inchiostro sul binomio beni-bisogni e non sta a me aggiungere altro, mi limito a considerare che in una scala valoriale prima dei bisogni c’è la brama e dopo i desideri. La brama siamo soliti attribuirla, con filosofica leggerezza, agli animali che non si chiedono il senso del loro agire e i desideri agli uomini capaci di trascendere l’immediatezza della necessità.
Dove si colloca la pubblicità?
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Il terreno dell’esistenza, si sa, è decisamente poco pianeggiante ed i nostri tentativi di spianare ampie distese di territorio sotto i picconi degli schemi semplici si risolvono spesso in ridicole attività utili a intrattenere il pensiero infantile. Comunque sia, di misure abbiamo bisogno e necessità e allora intratteniamoci pure ma senza perdere di vista il terreno originale che sta prima, durante e oltre lo schema che di volta in volta produciamo e che è ben più complesso di quella pur agognata valle pianeggiante.
Di questi tempi, ma anche di tempi passati, è la sacrosanta richiesta di libertà di coscienza religiosa che non può che raccogliere adesioni tra persone dotate di buon senso. Ieri sera (05/07/2007) a Roma, in Piazza Santi Apostoli, è stata organizzata una manifestazione per sostenere la libertà di coscienza religiosa dei cristiani in Oriente e per chiedere la liberazione di Padre Giancarlo Bossi, rapito nelle Filippine.
Spero con tutto il cuore che Padre Giancarlo Bossi possa tornare alla vita che ha scelto e mi auguro che al suo rientro possa aiutarci a organizzare una manifestazione che si insinui in quell’abisso di distanza che c’è tra l’idea, auspicabile e condivisibile, di libertà religiosa dei cristiani ovunque nel mondo e la libertà di coscienza di cui quella religiosa, per quanto rilevante, ne è ancella. Spero che quell’abisso che c’è tra la semplicità degli schemi e la complessità del vivere non sia rimosso solo perché insormontabile.
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Di tanto in tanto ritorna alla ribalta delle cronache una chimera mitologica: l’indignazione degli italiani. Pare si tratti di un soggetto che infervora gli animi depressi di intellettuali di destra e manca, una sorta di furor patrio che purga dalla consueta apatia morale nonché dalla cronica stitichezza intellettuale.
La più famosa ondata di italica indignazione, che io ricordi, è quella nata dall’inchiesta “Mani Pulite” nel 1992, quando si rese noto che una grossa fetta del sistema politico italiano si reggeva sulla corruzione dei propri membri che, per interessi più o meno personali ma certamente non pubblici, guidavano appalti e affari in maniera tutt’altro che legittima. Il 1992 non può essere considerato certamente l’anno in cui gli italiani scoprono qualcosa di anomalo nei membri della loro classe politica (che, ricordiamolo, essendo l’Italia un sistema democratico, loro stessi votano), fin dalla seconda metà degli anni ’60 sono noti i legami tra potere legittimo e mafia. Le voci dell’indignazione di quei tempi, per quanto autorevoli come fu quella di Pasolini, rimasero isolate e inascoltate. Qualcuno per votare si turava il naso e la gran parte, in eccesso di zelo, anche gli occhi, le orecchie e la bocca.
Sono possibili diverse letture dell’indignazione degli anni ’90 che portò al rovesciamento di metà classe politica. In effetti la sottomissione ai poteri occulti come la mafia poteva essere letta come una costrizione, una sorta di compromesso a cui la politica italiana si è dovuta arrendere per continuare la sua opera, come quando una persona onesta è oggetto delle angherie del prepotente, tuttavia il sistema di potere che svelava Mani pulite era piuttosto un potere che in maniera del tutto autonoma ed indipendente gestiva il malaffare senza essere oggetto, almeno apparentemente e direttamente, delle prepotenze della mafia bensì soggetto egli stesso dell’illecito, ciò avrebbe suscitato la chimera italica dell'indignazione. Posso dare qualche credito a questa lettura, tuttavia non posso fare a meno di considerare alcuni elementi che depongono non tanto per l’indignazione bensì per un più modesto stupore degli italiani, una sorta di effetto sorpresa che lascia segni ben più flebili dell’indignazione. Per non parlare del mio personale sospetto che il disprezzo degli italiani fosse originato dalla mancata spartizione del malloppo e non dall’origine dello stesso, la cosiddetta indignazione degli anni ’90, come molte altre successive, non metteva in luce l’aborrimento dell’illecito in quanto tale da parte degli italiani, bensì il disprezzo per il potente che si fa scoprire con i soldi nel sacco. Questo permetteva di dare sfogo ad istinti vecchi dell’umanità come quello della rivalsa delle masse nei confronti del potente e del capro espiatorio da cacciare dalla comunità per allontanare il peccato. Sia chiaro, nessuna giustificazione, per quanto mi riguarda il “capro espiatorio” italiano, a differenza di quello dell’Antico Testamento non era innocente, tutt’altro. Nonostante le recenti rivisitazioni storiche e beatificazioni postume.
Comprendo che questa lettura sia, come si dice, disfattista ma se non ha alcun fondamento mi risulta difficile capire come solo pochissimi anni dopo Mani Pulite sia salito alla ribalta della politica italiana, e non senza consenso popolare, un caudillo dalla storia torbida che ha ridotto l’etica dello Stato allo statuto di una società per azioni di cui lui vuole essere l’amministratore delegato senza troppi vincoli. Per il caudillo italico la democrazia è ridotta al solo consenso popolare, confermato di tanto in tanto da qualche sondaggio, meglio se manipolato! Il caudillo oggi (agosto 2007) è all’opposizione, avendo perso le elezioni del 2006 solo per un soffio di voti. L’attuale governo di centro(sinistra), nel più sano spirito dialettico (che se sostenuto solo da una parte politica ha sospetti legami di parentela con la schizofrenia), offre buone opportunità di ritorno al governo del paese, obliavo, dell’azienda Italia da parte del caudillo.
Intanto gli italiani, per non perdere l’abitudine all’impegno morale, continuano a fare esercizio di indignazione con le foto dei VIP di Maurizio Corona.
Da mettersi le mani nei capelli, come minimo!
RispondiEliminaGli italiani hanno perso molti valori e continuo a ripetere ,la prima causa è la telivisione.Saluti a presto
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