La condanna di Mills (in primo grado, diciamolo subito per non sembrare giustizialisti) fa sorgere una riflessione. Per allontanare ulteriormente ogni sospetto di giustizialismo anticipo subito che non si tratta di pensiero di natura giudiziaria o politica ma squisitamente filosofica che potrebbe avere interessanti sviluppi in ambito scientifico. Il ragionamento sorge ancora più imperioso considerando i resoconti della stampa estera sulla vicenda.
Il nocciolo della riflessione, breve per carità, ruota intorno al principio di causalità. Una semplificazione della faccenda vuole che ad un effetto sia associata una causa, che solitamente lo precede temporalmente. L'antico concetto di causalità raggiunge la sua forma più alta con Aristotele che ne La fisica di cause ne aveva formalizzate addirittura quattro: efficiens, materialis, formalis e finalis. La connessione tra causa ed effetto è stata messa in dubbio da Hume che nel 1739-40 aveva capito che la causalità, intesa come necessaria connessione tra due eventi, potrebbe non essere affatto presente in natura e potrebbe non essere altro che un "bisogno della mente". Secondo il filosofo scozzese l'unica relazione dimostrabile tra causa ed effetto è la contiguità o la successione degli eventi e la relazione non può prescindere dalla nostra esperienza[1]. In altre parole, visto che siamo abituati ad osservare una certa relazione tra una certa causa ed un certo effetto, stabiliamo una connessione necessaria tra i due eventi che in realtà è una necessità psicologica e non oggettiva. Il pensiero di Hume influenzò enormemente lo stesso Kant il quale riconobbe che l'intelletto non attinge le sue leggi dalla natura, ma le prescrive ad essa[2].
Nella seconda metà del '900 questo pensiero ha trovato espressione, ad opera di diversi pensatori, nel cosiddetto costruttivismo, ossia "una teoria della conoscenza in cui la conoscenza non riguarda più una realtà "oggettiva" ontologica, ma esclusivamente l'ordine e l'organizzazione di esperienze nel mondo del nostro esperire"[3]. Insomma, la nostra realtà non avrebbe uno status indipendente dalla nostra percezione ma sarebbe letteralmente inventata attraverso la nostra percezione e "a condizione che la materia prima del mondo dell'esperienza sia abbastanza ricca, una coscienza assimilante può costruire regolarità e ordine anche in un mondo del tutto disordinato e caotico"[4]. Il costruttivismo ha dato un duro colpo al principio di causalità, soprattutto nella sua forma di linearità e di successione temporale. Si riconosce, grazie alla cibernetica, l'esistenza di una causalità circolare e si considerano i fenomeni di autoregolazione presenti in natura, in cui l'effetto agisce sulla causa e non solo viceversa (se si pensa alla tragedia di Edipo si scoprono le radici antiche di questo pensiero). Tuttavia la percezione, "l'invenzione" ed il bisogno di ordine, cui il principio di causalità risponde, restano vincolati ai meccanismi fisiologici che attraverso i processi evolutivi si sono selezionati. Si tratta sicuramente di quello zoccolo duro dell'essere di cui parla Eco, che pone dei limiti al discorso e ne condiziona l'attività ermeneutica[5].
Ad ogni modo, per non complicarsi di più la vita, sembrerebbe che, necessaria o meno, oggettiva o meno, una qualche relazione tra due eventi solitamente la stabiliamo.
Il caso Mills è invece paradigmatico di un fatto straordinario sotto due aspetti, da un lato è ormai assodato che esiste un effetto senza una causa (nel caso specifico, stando in un tribunale, si potrebbe parlare di una causa senza causa, ma questo l'aveva capito già Aristotele e non coglierebbe la novità della faccenda), dall'altro lato emerge che all'estero non è stata fatta ancora una profonda riflessione sul principio di causalità e sulla sua revisione. Se siamo pronti a cogliere il momento questo episodio ci avvantaggia enormemente per tentare di recuperare il ritardo nella ricerca scientifica rispetto agli altri paesi. Una nuova strada si apre per la lettura dei fenomeni naturali, una strada che ci porta oltre i paradigmi di Kuhn, ben oltre l'epistemologia anarchica di Feyerabend, verso nuovi lidi dove si possono osservare effetti senza dover perdere energie e tempo prezioso a comprenderne le cause. E' un gran vantaggio, basta saperlo sfruttare.
Per cui, o siamo di fronte ad un banale caso di autocorruzione, ma solitamente non sono pessimista, oppure stiamo aprendo un nuovo campo di straordinaria vastità nella riflessione filosofica e scientifica. Sempre che non intervengano i giudici dei gradi successivi o della Corte Costituzionale a rovinare tutto, come al solito.
[1] D. Hume, Ricerche sull’intelletto umano e sui principii della morale. Laterza, Bari, 1980.
[2] I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che si presenterà come scienza. Laterza, Bari, 1985.
[3] E. von Glasersfeld, Introduzione al costruttivismo radicale. In: La realtà inventata. Contributi al costruttivismo. A cura di P. Watzlawick. Feltrinelli, Milano, 2006. p. 23
[4] Ibidem, p. 33. Una divertente digressione. Odifreddi riporta una osservazione simpaticamente simile da parte di Leibniz, sebbene per ragioni del tutto diverse. Leibniz nel Discorso di metafisica scrive: "Supponiamo che qualcuno segni su una carta una quantità di punti a caso: è possibile trovare una curva geometrica definibile in maniera uniforme mediante una regola, e che passi per tutti questi punti, proprio nell'ordine in cui la mano li ha tracciati. E se qualcuno traccia una curva continua, è possibile trovare un'equazione di questa curva che rende conto del suo comportamento. Ciò vuol dire che, in qualunque modo Dio avesse creato il mondo, esso sarebbe stato sempre regolare e fornito di un ordine generale." Con tutto il rispetto per l'inventore del calcolo infinitesimale, il ragionamento non sembra molto forte se il proposito è dimostrare l'esistenza dell'ordine-Dio. Odifreddi fa giustamente notare: "se però ogni universo, per quanto caotico, sarebbe pur sempre ordinato in senso astratto, allora il particolare ordine di questo universo non può dimostrare niente." In: P. Odifreddi, Il vangelo secondo la scienza. Einaudi, Torino, 1999, p. 209
[5] U. Eco, Kant e l'ornitorinco. Bompiani, Milano, 1997.
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