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lunedì 31 agosto 2020

Agostiade

Dalle nostre camicie lacere sorge la luna e negli anfratti delle pietre riposano le nostre ombre. "Se e quando moriremo, ma la cosa è insicura" portatemi qui dove tra pietra e pietra ho lasciato le mie impronte.

A pochi passi dalla masseria Cucuruzza a Melissano.

 

Il Salento è terra di numi e creature mitologiche. La gran parte non si fa fotografare ma oggi il peruvo me lo ha concesso.

Alle tote o puzze.
La mia prima Pasquetta con gli amici, lontano da casa, è stata qui, un casino di campagna abbandonato da più di mezzo secolo. Lontano si fa per dire, il paese è a non più di 800 m da qui, ma un tempo la distanza non era il concetto scientifico e preciso di oggi, aveva qualcosa di metafisico che non capivo. Oggi ho afferrato qualcosa di più ma sicuramente mi sbaglio. Insieme a due amici organizzammo da giorni questo viaggio. L'impresa chiedeva preparazione. Da soli era impossibile farcela. Senza l'aiuto dei genitori che ci avrebbero preparato teglie di pasta al forno e riserve sufficienti per attraversare il deserto sicuramente non saremmo sopravvissuti. Arrivammo in bicicletta dopo aver attraversato i confini del mondo. Non c'erano cellulari, per tranquillizzare i genitori bastava la promessa che non ci saremmo allontanati di più. Allora le promesse valevano come i contratti di oggi, forse di più. Ho un solo rimpianto di quel giorno primordiale, non ricordo quanti anni avevo, più o meno come adesso che ogni volta che me lo chiedono devo fare i conti. Il casino è abbandonato come sempre con meno alberi di un tempo, abitato da cicale e altri numi che ogni tanto torno a trovare. 

PS per chi non mi conosce - non sono io l'Antonio che ha inciso il proprio nome sul muro. Le mie impronte non sono così banali.

 

Di tanto in tanto la domenica mi dedico agli sport estremi. Roba forte. Quasi inutile ogni preparazione. Ogni volta più dura. Mi fanno quasi tenerezza gli appassionati di arrampicata, parapendio, bunging jumping e altre diavolerie per aspiranti eroi. Io, per me, spolvero i mobili di casa dove sono cresciuto, i santi di mamma che fanno l'occhiolino e i Lari, benedetti Lari, reduci di mille guerre inutili, mentre sul fornello cocculiscia il sugo della domenica, come da tradizione.

 

Negli eventi tragici quello che resta oscuro brucia e continua a bruciare per un bisogno di conoscere che confina con il desiderio di poter controllare tutto, anche quello che è già accaduto, come un sotterraneo desiderio di cambiare il corso degli eventi anche a distanza di molti anni. Della strage di Bologna non sappiamo molte cose ma altrettante ne sappiamo. Sappiamo chi furono gli esecutori, conosciamo i depistatori, conosciamo i nomi di chi sotto copertura e protezione ha trovato riparo all'estero, sappiamo di quali logge questi criminali erano affiliati. Della strage di Bologna non sappiamo molte cose ma tutto quello che sappiamo, ed è tanto, dice chiaramente che fu una strage fascista.


I nostri bastioni in rovina, il sole che nasce, il gallo che canta, i cani che abbaiano e io randagio in cerca di altri sentieri che mi graffino le gambe.

Alba di Felline

Qui, proprio qui.

Arsa, russa e scersa.

 

Noi non abbiamo montagne. Gli scarsi rilievi della nostra terra li chiamiamo serre. Sui sentieri tra mirti e lentisco i passi sono guidati da quello che resta dei ruscelli di pioggia. Per uscire dalla macchia puoi chiedere indicazioni al timo o al ramarro che ti passa sui piedi, alla lucertola dalla coda mozzata. Loro sanno indicarti la via. E il vento.

Serra tra Casarano e Taurisano
I nostri lampioni sono differenti. 😊 (Ugento)

 

Vedrai affiorare le ossa dei re, saranno sassi di muri e spine di cardi, sbiancate dal sole, annerite di cielo e bestemmia di tuoni. Sono le tue ossa e gli occhi da cui le guardi non sono i tuoi. Ascolterai profezie di redenzione, è il vecchio contadino che ti invita alla sua tavola con parole che ignori. Lo sconosciuto che incontrerai sulla strada bianca avrà il tuo volto e ti dirà che l'erba che secca intorno a te portava il tuo sangue.

Muri di Ugento

 

Esercizio per la notte. 

Poniamo sia vero quello che dice Calderoli, che un maschio normalmente si accoppia con 4/5 femmine. Se abbiamo 1 maschio e 4/5 femmine ok, il gioco potrebbe funzionare ma il rapporto tra i sessi è grosso modo 1:1. Quindi poniamo che il rapporto di accoppiamento maschio : femmine sia 1:5 e che abbiamo 5 maschi e 5 femmine. Ogni maschio deve accopparsi con le 5 femmine, quindi ogni femmina si sarà accoppiata con tutti i 5 maschi. Per cui la domanda è: di chi è figlio Calderoli? 

 

Ci sono cose e case che non sono costruite con i mattoni ma con concetti apparentemente estranei alla materia eppure inestricabilmente legati alla materia. Poche cose e case sono fatte di questa particolare materia come i caselli ferroviari abbandonati nelle aree periferiche dell'impero. Questi edifici sono costruiti di distanza, attesa, rimembranza. Non sono sentimenti suscitati da questi edifici. No, sono i loro mattoni.

Non sarò mai capace di dire la straziante poesia dei muri bianchi del mio Sud, ninfe in fuga dai raggi del sole che asciuga l'anima. Qui tutte le case erano bianche. Quelle di buona memoria lo sono ancora, riparo per anime che fuori seccano come i nostri pomodori, stesi al sole, salate ferite. Muri a calce che gli occhi devono lacrimare per avere osato guardarli. L'ombra è una confessione, la preghiera di essere risparmiati per un altro giorno, un altro giorno ancora.
Muri di Melissano, il mio paese.
Non è un De Chirico. (Mancaversa)

 

Hai mai visto le piante di cappero? Non quelle che crescono stentate sui muri verticali ma quelle che erompono dalla Terra. Eruzioni ribollenti di foglie e acque di pólla. Messaggere ctonie che ti pare sussurrino "Figlio mio ora sto bene. Basta dolore, basta."

Perché soffermarsi in dettagliate analisi fenomenologiche per spiegare come mai un uomo del Sud possa candidarsi per la lega di Salvini? Perché investire tempo e energie ripescando sottili concetti psicologici quali sindrome di Stoccolma o dipendenza dall'aguzzino? O bestemmiare evocando il servo e il padrone di Hegel? Perché richiamare la servitù volontaria e Étienne de La Boétie, sconosciuto ai più? Perché ritornare sulle stanche analisi semistoriche dove si elencano gli esiziali errori dei Savoia e si sorvola allegramente su quelli dei Borbone? Perché mi chiedo. Perché? Quando un aggettivo è sufficiente a fornire il ritratto a tutto tondo di chi si candida per la lega Nord al Sud! Quando un solo povero, modesto e trascurato aggettivo è sufficiente a dare una esaustiva immagine delle più remote pieghe psicologiche, dei più ancestrali motivi che fanno sì che un uomo del Sud si candidi per la Lega Nord! Abbiamo forse noi paura di pronunciare questo aggettivo? Abbiamo forse noi paura di questa antica parola capace di tratteggiare con un sol soffio l'insondabile profondità di mente umana? No, noi non dobbiamo averne paura se questa parola, per quanto terribile, è capace di darci contezza di tale complessità. Noi dobbiamo avere il coraggio di pronunciarla questa remota parola che ci scuote le fondamenta dell'anima: cujuni! 

Addendum. Mi suggeriscono di non sottovalutare la portata semantica di "pampasciuni" che ritengo di enorme valore descrittivo. Cujiuni ha quella concisione da sferzata che manca a pampasciuni, sebbene il vantaggio del secondo termine è di riempire la bocca mentre lo si pronuncia, quasi lo si gusta. Cujuni invece è uno sparo a distanza, indirizzato a qualcosa che non degneresti neanche di uno sguardo. Sottigliezze linguistiche per estimatori. 


Dall'Unione Agricola di Melissano questo gioiello tutto da bere...con etichetta da gustare.

La cantina spedisce vini in tutto il territorio nazionale.

 

Delle metamorfosi narrate da Ovidio. La metamorfosi delle creature in fuga da un dolore, da un amore, da un errore. La metamorfosi delle creature morenti che diventano altro, che diventano tutto. Qui vedrai le metamorfosi che non sai immaginare, qui le vivrai nella carne perché la metamorfosi che vedi è la tua.

Non è un Magritte.
Santa Maria in Cerrate, un gioiello normanno a pochi km da Lecce, riportato al suo splendore dal FAI.

 

Le tradizioni di famiglia... papà che le raccoglie e mamma che indica "quella, quella".

Perché noi non facciamo distinzioni di colore.

 

Una pianta di fichidindia orientata da levante a ponente è un orologio. I frutti segnano il tempo che si fa dolce dall'alba a mezzogiorno, dopo resta acerbo. I frutti più maturi sono in alto dove non possiamo salire, dove il sole è più caldo, dove solo alle creature alate è concesso arrivare. La storia del tempo conosce orologi a acqua, sabbia, quarzo. Orologi dai complicati meccanismi. I primi orologi sono quelli solari, le meridiane. Noi abbiamo orologi di frutti, cuori spinosi di donne che maturano al sole e al tramonto salutano con il sorriso di bambine, promesse di dolcezza che non possono mantenere.

To be, or not to be, that is the question: whether 'tis nobler in the mind to suffer... Follie, follie delirio vano è questo... Culummi e poi ficaligne o ficaligne e poi culummi? questo è il problema...na ficaligna e nu culummu, na ficaligna e nu culummu...e poi, come concludere? Cu na ficaligna o cu nu culummu? Vexata questio, ahimè, resta irrisolta.

Sua santità la frisa, il pane secco dei contadini e dei pescatori. Può essere di grano o di orzo, comunque sia è buona. Da bagnare e preparare con pomodori, olio, sale e basilico. Se bagnata in acqua di mare è un miracolo.

Santa Maria dell'accoglienza, a Lecce.

 

Le incompiute di Lecce, Santa Teresa e Santa Chiara. Due movimenti di una sinfonia senza finale. Due compositori, Zimbalo e Cino, per una pioggia schubertiana di note che ha il dolore delle vite interrotte troppo presto. Le facciate hanno l'illusoria ascensione verticale che l'occhio ha il dovere di compiere come pegno alla pietra assente.

Sulla soglia del vero ascolto le parole della risacca che riporta indietro i minuti, sulla soglia di un tramonto vento e salsedine scorticano pelle e giorni. Il sole annega senza voce e i sospiri degli amanti sono elegie all'attesa dei mortali.

Li fani, da fanum, tempio, nel comune di Salve, a poca distanza dal mare in un'area lambita da un antico fiume, risorsa rara da queste parti, ci sono i resti di una delle più importanti necropoli megalitiche dell'età del rame. Dal III-IV millennio a.C. è tutto.

Siccome ieri sera non sono potuto andare in discoteca mi sono alzato presto e sono andato in giro a rivedere due-tre cosette del Salento. Centopietre, monumento funerario del IX sec. realizzato con lastre messapiche e Chiesa di S. Giovanni Battista, del XII sec. A Patù, uno di fronte all'altra. Dialoghi secolari.

È difficile in estate farla vedere nella sua solitudine. Sentinella da 5 secoli, continuamente offesa da bagnanti in cerca di foto per immortalare sé stessi più del sentimento che questa torre di avvistamento suscita. Torre Pali, una delle più belle delle numerose rimaste nel Salento, smozzicata dal vento e dalle onde, più della non lontana torre mozza, che ha nel nome la sua storia. Una delle innumerevoli forme del tempo.

Mi importa poco di essere popolare se popolare significa calpestare memoria e bellezza. Trovo aberrante consentire parcheggi nelle prossimità di monumenti artistici e luoghi di culto (che spesso coincidono). Fatte salve le opportune eccezioni per chi non può camminare le scatole di latta, auto e motocicli per intenderci, andrebbero tenute lontano da centri storici e luoghi della memoria. La mancanza di coraggio degli amministratori locali in questo senso è diffusa. Le auto sono il cancro della comunità, senza interventi decisi ci uccideranno. Lo stanno già facendo. Ormai molti di noi sono protesi delle auto, doveva essere il contrario. O no? 


Guarda bene nello specchio, sei quello che vedi. Sei la terra che calpesti, sei la polvere rossa del sentiero, la sabbia che copre gli scogli, sei la costa merlata di gabbiani, il ficodindia che cresce sulla pietra, sei la sentinella che ti parla di assalti saraceni, sei l'acqua che scolpisce lo scoglio. Eri qui milioni di anni fa, eri la pietra paziente che si consuma agli assalti di onde e vento. Non ti dai pace di essere lo sguardo stupito di un ragazzo che non può più capire le tue parole folli e non sa più vedersi in questo specchio che sa di abisso. Un giorno o l'altro tutta questa bellezza mi ucciderà.

Torre del pizzo, riserva naturale.

Santa Maria del canneto a Gallipoli, sul lembo del porto vecchio saluta i pescatori che la notte vanno per mare.

Il Salento offeso dai suoi stessi figli perché da queste strade, lo posso assicurare, i turisti non passano. Due foto, due metri di distanza, due mondi. In quale mondo vogliamo vivere?

Due meravigliosi detti salentini, sapientemente accostati. Uno che dice l'importanza delle piccole cose, ogni petra azza parite (ogni pietra fa il muro), l'altro che dà la misura di ciò che è piccolo di fronte a ciò che è grande, con la scorza di una noce non puoi svuotare la cisterna. Popolare citazione di Agostino che nelle confessioni parla del bambino che vuole svuotare il mare con un bicchiere.

Monumenti
 

Svegliati dolce luna, non dormire stanotte che ho bisogno di parlare con te. Ti sei affacciata presto su questo mare e presto te ne sei andata. Cerco le parole nelle onde che baciano gli scogli, nelle alghe che danzano tra le dita. Una ninna nanna d'acqua mi culla e tu dormi dolce luna mentre io annego fuori dai tuoi occhi.

Quando ero piccolo in piena notte mi svegliavo dicendo di avere fame. Mamma si alzava, preparava la minestra e quando era pronta dicevo "non ho fame" e lei "allora perché hai detto di avere fame?", "per stare insieme e parlare con te". Quel momento era speciale, quello sì. 


Ecco, così va bene. Senza umani, con quell'assurdo piacere che mi dà la sensazione che anch'io sono di troppo.

Incredulo e libero sono cresciuto di notturne lotte con numi e dèi, ho visto i quotidiani miracoli di santi contadini senza sabati e domeniche e di madonne che allattavano maiali infilando tabacco e memorie. Ho deriso Dio per la sua lontananza quando torvi e beneducati i moralisti del tempo libero rimproveravano la mia superbia. Oggi come ieri mi inchino ai crocifissi senza redenzione e alle preghiere senza paramenti. Le nostre pietre sono diventate mute, non saranno portafogli pieni che ci faranno ascoltare i loro lamenti. Quando l'ultimo altare sarà abbattuto innalzeremo preghiere a Santa Pamela del Billionaire.

"Come mai questi scogli diventano sempre più alti? Quando ero giovane erano bassi bassi"

Se vuoi fare una buona pozione della memoria non dimenticare di aggiungere sangue di lentisco.

Questi sono gli yacht attraccati a Gallipoli, tra poche ore sicuramente partiranno per una traversata. Sontuosi panfili guidati da timonieri con le onde del mare sulla fronte. A casa li aspettano mogli povere e bellissime.

So che è difficile vederlo ma sul cornicione c'è appollaiato il mio eroe di questa sera, un piccione che ha appena decorato di guano la testa e la borsa di una tipa che squittendo schifata si è pulita e ha buttato il fazzoletto di carta a terra. Il piccione preveggente ha punito la zozzona.

La luna stasera è uno spicchio di limone. Il mare è punteggiato di lucciole, aspre gocce di promesse per l'eternità. Piccole barche lontane dalla riva rifanno il verso alle stelle, come in cielo così in mare.

 

Le stradine delle campagne salentine sono disseminate di piccole cappelle votive, semplici edifici costruiti per rendere grazie dei numerosi miracoli che un tempo in queste terre accadevano senza risparmio. Dentro non si trova più di una semplice stampa di Santi o Madonne e un mazzo di fiori spesso secchi e spogli. Non è raro trovare un affresco realizzato con pochi mezzi ma a volte succede di trovare qualcosa di insolito, come mi è capitato di recente che ho trovato un foglio manoscritto in una calligrafia minuta e ricercata che è costato non poca fatica decifrare. La pagina deve essere sicuramente appartenuta al taccuino di un viaggiatore di un qualche secolo scorso che del grand tour in terra salentina ha annotato le sue impressioni. Peccato che le altre pagine siano andate perdute. 

"...la sterminata pianura è interrotta solo da soffici rilievi che con generosa disposizione d'animo potremmo chiamare colline. I locali sono usi chiamarle serre. Queste increspature del suolo corrono lineari per alcune centinaia di metri sulla distesa altrimenti piatta come rughe lungo il viso di una vecchia donna che ha sul volto le mappe del mondo. Le serre sono coperte da una rada macchia di arbusti bassi di lentisco e mirto, piante avvezze al vento che da queste parti soffia insistentemente. Dove il terreno resta spoglio di cespugli che lo adornano simili a chiome fluenti di ninfe in fuga da un Dio rapace e catturate nella loro forma nello stesso istante della metamorfosi che le libera dalle brame dell'inseguitore, affiorano pietre bianche come ossa di remoti avi che ricordano l'aridità di questa terra secca e rossa. Senza le serre l'occhio avrebbe la vertigine che si prova negli spazi sconfinati come il deserto e non è raro provare quella vertigine se solo l'occhio ardisce sollevarsi poco più di quanto la prudenza consiglia. Quei declivi alti poche decine di metri sono tenuti in così gran conto dai nativi per delimitare confini e territori che assumono il sussiego delle cime più maestose e dei passi montani più impervi. E la vertigine prende certamente il viandante quando sulla sommità delle serre che corrono non lontano dal mare tra spinosi fichidindia e cardi secchi che graffiano le gambe vede su un versante i bianchi consorzi di case dei piccoli paesi e sull'altro l'immensa distesa di azzurro che qui è così intenso da togliere il respiro. Se da un versante l'occhio non è sorpreso dalla superficie azzurra in continuo movimento sotto la sferza dei venti, dall'altro quasi sussulta alla sorpresa che i paesi non si muovano galleggiando sui campi di vite e di ulivi che li lambiscono come fossero gabbiani appollaiati in acqua, pronti a spiccare il volo se una creatura a loro estranea si avvicina troppo. E certamente si muoverebbero le case bianche nel loro mare non fosse per i campanili che, insieme ai cimiteri poco distanti con le pareti ancora più bianche e puntuti di cipressi, assolvono al preciso compito di fissare nella loro posizione quei villaggi non facendoli trascinare via dalle onde frementi delle foglie argentine degli ulivi..."

Sulla serra tra Gallipoli e Mancaversa.

La bellezza di quest'albero è nel suo nome che qui è sita.

I nostri tavolini da picnic sono differenti. (I curti di Melissano)

 

A volte un semplice commento su Facebook può aprire quadri inquietanti su quello che siamo diventati. Ieri mi è capitato di leggere un commento a un post che riguardava alcuni personaggi noti. Il post sottolineava la miseria morale di questi personaggi e un commentatore chiedeva se l'autore del post è capace di arrivare dove sono arrivati loro! Gli arrivati, già, gli arrivati. Lascio perdere ogni considerazione sulla mia preferenza per il viandante più che per l'arrivato, riguardano un'estetica e un'etica che diventa difficile riassumere in un post. Ma la domanda che mi pongo è quale sia la meta di chi invidia questi personaggi. Un posto vostro ce l'avete? Una vostra posizione, che sia vostra, ce l'avete? Cosa vi hanno insegnato i vostri genitori e i vostri nonni? Non erano loro i vostri modelli? Erano troppo poveri? Non potevano permettersi serate danzanti e migliaia di seguaci invidiosi delle loro vacanze? Si preferiscono pupazzi catodici alla fatica di chi ci ha messo al mondo e questo non riesco proprio a capirlo. Mi dispiace davvero, se invece di essere contenti della propria storia ci si riduce a sbavare dietro al presente di altri. Mi dispiace davvero perché se è così non c'è alcuna speranza.


Chiudo in bellezza, appunto.
Muri di Melissano, il mio paese.

Quest'anno la taranta ha ritrovato le sue ombre. 

Beddha ci tormi retu ste mura e ieu qua fore, e ieu qua fore 🌹🥀 

 

Azzate beddha e famme trasire.

2 commenti:

  1. Quando sarò vecchio rileggerò questo post per risvegliare ricordi nascosti dal tempo passato...... magari me lo rileggerai tu stesso con la tua voce roca e poetica allo stesso tempo

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