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sabato 23 maggio 2015

Note per discorsi interrotti

Secondo Nietzsche il colpo di genio del cristianesimo è stato stabilire il sacrificio del creditore per il suo debitore[1], il colpo di genio di Nietzsche è stato il tentativo di estinguere il debito. Il primo colpo di genio è nato all’insegna della menzogna, il secondo all’insegna della tragedia. Nietzsche ci ha insegnato che l’uomo non ha un debito, l’uomo è il debito che chiede quella “giusta pena ed ammenda” già nota ad Anassimandro. Il debito che l’asimmetria dell’essere contrae continuamente nei confronti di anànke, la necessità dei greci, che non può essere alterata in alcun modo. L’esistere, lacerato dall’asimmetria che vede la contingenza dell’inizio continuamente opposta all’ineluttabilità della fine, ha partorito l’uomo che da sempre incatenato ai monti del Caucaso ha molto allungato le catene, ma non può liberarsi dell’aquila che continua a dilaniargli il fegato.
La tecnica, ultima ipostasi di Dio, corre in nostro aiuto, il fegato ricrescerà e potrà essere sostituito, tutti gli organi potranno essere sostituiti, non rimarrà più un solo pezzo uguale alla dotazione che avevamo quando abbiamo cominciato ad esserci ma nessuna tecnica sarà sufficiente per un trapianto di quella componente umana che c’è nella compenetrazione della mia esperienza dell’esistere nell’esperienza altrui. Cartesio non ha operato solo la drammatica scissione tra mente e corpo[2] ma anche la scissione dell’io pensante da altri io pensanti (“Je pense, donc je suis”, del Discorso sul Metodo che nei Principi di filosofia è “ego cogito, ergo sum”). La rilevanza dell’io, spesso tralasciato nelle citazioni del grande filosofo (contratte in “cogito, ergo sum”), sottolineano che solo a partire dalla indubitabile centralità del mio pensiero riconosco il mio essere. Tuttavia, senza quell’eco che sento nel riconoscermi nell’altro, in un continuo movimento tra uguale e diverso, potrò diventare un buon orologiaio ma non sarò mai un uomo. Dovremmo lavorare di più sul “mi pensi, dunque sono”[3], che non è perdersi nell’altro ma entrare in reciproca risonanza.


[1] F. Nietzsche, Genealogia della morale. Uno scritto polemico. Citato in U. Galimberti, Il corpo, Feltrinelli, 2006, p. 520.
[2] Riguardo la consistenza e le conseguenze della scissione operata da Cartesio il dibattito filosofico e scientifico è molto acceso. Il neurobiologo Antonio Damasio fornisce una base sperimentale nell’ottica evoluzionistica della fallacia di tale dicotomia (A. Damasio, L’errore di Cartesio: emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, 2001).
[3] Lo psicologo Nicholas Humphrey lega la coscienza alle sensazioni corporee rovesciando il punto di vista di Cartesio nel suo “sento, dunque sono” (Cit. in Paul Ehrlich, Le nature umane, Codice Edizioni, 2005, p. 137).

6 commenti:

  1. Un periodo della storia in cui è più che mai necessario " entrare in reciproca risonanza.
    Cristiana

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    1. Sicuramente viviamo un periodo di allontanamento reciproco, è lo stesso "secol superbo e sciocco" di cui parlava Leopardi ma nel frattempo abbiamo attraversato la linea di frontiera di due secoli!

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  2. Post molto denso e molto bello, sono quei post che trovo solo da te e che mi piacciono molto perché vi trovo condensati pensiero, filosofia, sentimenti, domande esistenziali, letteratura, mito, profonde riflessioni personali.
    Inizio dalla fine, noi psicologi ci chiediamo da sempre cosa fa si che io riesca a cogliere me stesso, di pensarmi pensante, di realizzare che esisto, l’essere presente a me stesso. All’inizio pensammo che fosse una questione di dotazione, un retaggio umano, una possibilità che apparteneva alla nostra specie, racchiusa nel nostro DNA, che semplicemente dispiegava le sue ali nel corso della vita, nel momento esatto (ontogeneticamente e filogeneticamente) in cui era programmato che comparisse.
    Poi abbiamo cambiato idea, si magari ci poteva essere una qualche “predisposizione”, ma fondamentalmente sviluppiamo la riflessività perché qualcun altro (che a sua volta ne è dotato) ci riflette; è lo “stadio dello specchio” di Lacan, è quasi tutta la psicoanalisi che passa per Melanie Klein, per Winnicott, per Kernberg, per Kohut, Hertmann, Mahler, Jacobson, …, fino ai nostri giorni… quella psicoanalisi che si riconoscerebbe nel: “Mi pensi, dunque sono”, che parla di rispecchiamento, di reciproca risonanza …
    Io credo che ci siano due pericoli insiti in quella frase, il primo è che si fa coincidere l’essere col pensiero, è l’equivoco di Cartesio, di Hegel e di molti dopo di loro, mentre gli studi dell’Infant Research stanno portando alla luce molte esperienze asimboliche e presimboliche che fanno parte dell’essere di ciascuno di noi, e un’osservazione più accurata nell’adulto ci dice che molto di ciò che accade in un individuo non è razionale, non è esprimibile con parole ed esula il pensiero così come lo conosciamo … in altre parole è indicibile, ma non necessariamente non manifestabile anzi, permea più un gesto, un’espressione, un movimento, il suono delle parole, una postura, un atteggiamento, che il significato delle nostre parole o la condivisione dei nostri pensieri.
    Inutile dirti che anche la psicoanalisi si è adeguata, da “talking cure” cura di parole, sta diventando sempre di più attenta al funzionamento procedurale di un individuo, ai suoi automatismi psichici, a tutto ciò che sfugge alla nostra razionalità.
    L’altro pericolo è quello di delegare all’altro la mia stessa esistenza, di dare all’altro la funzione di farmi esistere; è un equivoco molto diffuso fra i teorici della psicoanalisi e che porta inevitabilmente a fraintendimenti anche nella clinica.
    L’altro è semmai un facilitatore, un incoraggiatore, un sostegno emotivo, una utile polarità che mi permette di guardare me stesso, ma lo sforzo di appropriarmi di ciò che è mio dovrò farlo io e nessun altro può farlo al mio posto.
    (segue)

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  3. Mi sono accorto da tempo che il grande motore umano del cambiamento, l’energia che move il sole e l’altre stelle, è l’amore: cambi più facilmente per amore di qualcuno, se ti senti accettato per ciò che sei, perché cambiare è gettarsi da una sofferenza nota, a cui ho preso già le misure, che è la sofferenza dell’immobilità e del non cambiamento, ad una sofferenza ignota, che è quella che incontrerai se ti muovi da ciò che sei, fino al terrore di poter perdere la tua identità e che il tuo essere possa disgregarsi in mille frammenti.
    C’è amore anche in una relazione terapeutica, il paziente cambia per amore dell’analista, come il bambino cresce per amore della madre … questa illuminazione mi ha condotto alla passione di lavorare con le coppie in crisi, li l’amore non è “artificiale” come quello terapeutico, devi solo risvegliarlo talvolta da luoghi impossibili in cui è andato a cacciarsi, devi individuarlo anche dove nessuno ormai lo supporrebbe più, spesso all’inizio sei l’unico a crederci e le coppie ti seguono per rispetto ma senza convinzione.
    Forse è proprio il mito di Prometeo che può raffigurare meglio questa concezione, l’uomo deve “rubare” all’altro (agli dei/genitori) il fuoco che rischiarerà e definirà il suo essere: è importante che si tratti di un furto, un crimine, un atto di empietà, è importante che sia proprio lui a farlo ed è importante che ci sia qualcuno, il padre e la madre/divinità a cui carpire il segreto.
    Questo passaggio psicologico è narrato anche nella Genesi, quando Eva nonostante il divieto coglie il frutto dell’albero proibito, quello del bene e del male, quello che renderà l’uomo simile a dio… e subito dopo essersene cibata e averlo offerto al suo compagno Adamo, ecco che provano vergogne e si “vedono” nudi per la prima volta.
    Cristo, invece, col suo sacrificio non soltanto prende su di sé la colpa originaria del distacco dall’altro e dell’essere se stesso, ma assume su di sé anche la fatica di essere che l’uomo dovrà fare in prima persona, esautorando il soggetto dalla sofferenza che questo comporta: il cristianesimo ti fa essere ciò che Cristo comanda, non ciò che tu sei … per questo non può essere davvero tollerante, per questo il senso del peccato si acuisce proprio quando promette di azzerarlo.
    Nietzsche è stupendo perché esprime molto bene tutto questo nella Genealogia che tu citi e anche ne La nascita della tragedia, dove fa un paragone proprio fra Cristo e Prometeo.
    Ciao

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  4. Con il tuo commento rendi chiare e distinte le idee che io accenno. L’io e la ricerca intorno a questo sfuggente concetto oscilla continuamente tra l’uno e l’altro pericolo che citi e forse l’io si forma proprio in questo pericoloso continuo passaggio tra Scilla e Cariddi. Possiamo essere più vicini all’uno o all’altro ma è certo che tocca navigare, oppure più che un navigare è un gioco sull’altalena, un’aioresis o una sorta di annacarsi (a proposito grazie per il consiglio di lettura di Alajmo, è bellissimo). Lo stesso discorso valeva per Cartesio che non ha fatto solo errori, ovviamente! Se oggi la neurobiologia parla dell’errore di Cartesio è perché le discipline figlie del suo metodo mettono in discussione il padre, lo revocano in dubbio. La più grande eredità di Cartesio è proprio questa, a fondamento della certezza mette il dubbio. Lezione che sfugge a molti scienziati, figuriamoci agli invasati della Verità.
    Ho sempre avuto una particolare ammirazione per Prometeo. Il nostro firmamento mitologico e simbolico è stato pienamente descritto dai versi di Holderlin: "Più non son gli dèi fuggiti, e ancor non sono i venienti". Mi torna in mente la conclusione di un articolo di Canfora quando dice "Il cristianesimo dilaga a partire da un libro elementare, che è – per così dire – il romanzo biografico dell’eroe eponimo di quella religione: il Nuovo Testamento. In rapporto al livello della cultura pagana precedente, l’alfabetizzazione elementare delle masse cristiane, fondata su un unico libro, porta con sé un elemento di barbarie. I contadini, i coloni, i barbari che hanno conosciuto il libro e l’alfabeto grazie alla diffusione del Nuovo Testamento ci appaiono come una realtà inquietante, molto al di sotto del livello intellettuale degli abitanti delle isole del sole. Ma si sa che la storia non ha alcun obbligo di adattarsi alle previsioni dei filosofi."
    (segue)

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  5. Cristo è la trasfigurazione popolare dell’aristocratico Prometeo. La tragedia diventa trionfo, una specie di commedia a lieto fine con la conquista della vita eterna. Prometeo sa che è suo fato rubare la fiamma ed è suo fato pagarne le conseguenze. Questa è la sua e la nostra tragedia. Ma le più grandi conquiste dell’antica Grecia, democrazia compresa, non possono prescindere dall’assetto sociale di quei tempi, spesso non si dedica a questo punto sufficiente attenzione. La democrazia nasce in una civiltà che prevedeva la schiavitù. Anche Cristo ha avuto un ruolo prometeico, anche il cristianesimo ha operato il furto di una fiamma. Se quella di Prometeo era la fiamma della sapienza (la mela che Eva offre all’esangue Adamo), la fiamma del cristianesimo era quella dell’uguaglianza degli uomini davanti a dio, un’uguaglianza al ribasso. Alla fierezza di Prometeo fa da contraltare la falsa modestia di Cristo. Prometeo non ha illustri discendenze né fa miracoli perché gli uomini lo riconoscano. La storia di Prometeo non termina nella trionfale ascensione per sedere alla destra del padre. La vicenda di Prometeo non ha lieto fine come accade in ogni favola che un bambino ha il diritto di ascoltare. Prometeo libera gli uomini dall’ignoranza, il cristianesimo li libera dalla morte! Una pacchiana esagerazione per evitare di fare i conti con la terra. “Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze!”, predicava lo Zarathustra di Nietzsche. Eppure anche il cristianesimo rubò una fiamma ma anziché donarla a agli uomini la donò a Dio e a chi se ne autoproclamava rappresentante. Toccò ad altri rubare la fiamma dell’uguaglianza molto tempo dopo. Si chiamavano Montaigne, Hume, Diderot, Voltaire, Montesquieu, Paine, Marx, erano atei, teisti, tutti laici. Altri ripresero in mano la fiamma della conoscenza: Bruno, Bacone, Copernico, Descartes (il nostro Cartesio), Galilei. La storia è storia di furti, di segreti carpiti a una qualche divinità, terrena o trasfigurata. Oggi ragioniamo sugli errori di questo o di quel portatore di una qualche fiamma ma la storia degli uomini, quella scritta con la S maiuscola e quella quotidiana, non ha mai perso l’occasione di volgere in tragedia, una tragedia popolare, ben diversa da quella greca.

    Questo post fa parte di alcuni appunti che avevo scritto anni fa, prima di aprire il blog. Ogni tanto ci pesco qualcosa che ancora condivido. Non sempre vado d’accordo con me stesso ;-) La cosa curiosa è che le successive pagine aprono proprio con il titano Prometeo e avevo deciso che le avrei pubblicate dopo questo post appena avrò il tempo di rileggerle. Deve esserci una consonanza tra noi due che anticipa anche la pubblicazione dei post. A presto e buona festa della Repubblica :-)

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