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martedì 8 novembre 2022

Mitia e l’assoluzione di homo sacer

Nero su giallo, 2000.
La tavola gialla con macchie nere attira la mia attenzione più di ogni altra opera esposta in galleria. La lunga cicatrice di fili di ferro tiene insieme i lembi di una ferita aperta nel legno. Su quella lacerazione converge lo sguardo di chi si avvicina all’opera nell’inconsapevole tentativo di partecipare ad una impossibile rimarginazione. Emilio Anselmi alla mia sinistra dice: “Sai chi l’ha fatta?” So che l’opera è sua ma la risposta alla domanda di Mitia deve certamente essere meno banale. Con lui è inutile tentare risposte, il gioco è suo e sarebbe un errore capitale privarsi del piacere di vederlo giocare dividendo le mosse tra me e lui. Rispondo: “Non saprei”. Lui risponde “L’ha fatta il mare. Io l’ho trovata, ho pensato che il mare poteva farla così, l’ho portata sulla sabbia, l’ho lasciata lì e quando l’ho ripresa era così.” Che le parole ricordate siano fedeli a quelle dette da Mitia non è importante, qui il gioco è mio e Mitia dovrà lasciarmi giocare con i ricordi e tradirli quel tanto che basta per essere rigorosamente fedele allo spirito delle sue parole.

La heideggeriana gettatezza prende corpo nelle opere di Mitia. L’essere gettato delle cose, caduto nell’esistenza è attributo necessario per entrare nell’universo estetico di Mitia che, complice la caduta, altra caduta, di alcune lettere, si sovrappone al suo universo etico che chiede di salvare le cose dalla caduta cui sono state condannate. Se la gettatezza di cui parla Heidegger è dell’esserci che attraversa la soglia dell’esistenza qual è la gettatezza delle cose che abitano l’universo di Mitia? Günther Anders a proposito dei beni di consumo parlava dello scambio simbolico tra la nostra mortalità e la mortalità degli oggetti. La produzione industriale assolve al compito di rendere deperibili gli oggetti che devono essere prodotti in nuove copie e nuovi modelli con ritmi sempre più veloci. In questo scambio simbolico l’oggetto diventa mortale e il soggetto che li usa diventa immortale. Gli oggetti muoiono al nostro posto e noi allontaniamo dal nostro orizzonte quanto la morte ci ha sempre insegnato e ancora ha da insegnarci.

La leggenda del Totem, Cabbia di Montereale
Gli oggetti di Mitia non sono figli dell’industria, non sono prodotti seriali, appartengono alle generazioni precedenti quando nascevano per essere durevoli. Gli oggetti dell’era industriale si avviano a una morte programmata con la leggerezza inconsapevole delle cose inanimate. Gli oggetti di Mitia conservano le impronte del loro fattore, presagiscono il destino degli oggetti dell’era industriale e a differenza di questi mal sopportano lo stigma del rifiuto, lo stigma del reietto che non era loro destino avere. Su questi oggetti grava, come un senso di colpa, il peso della mortalità che per accidente della storia è toccato loro, un peso che non può gravare sugli oggetti di un’era già desacralizzata come quella industriale.

È questa la gettatezza delle cose che entrano nell’universo di Mitia, l’essere state gettate nell’esistenza per essere sacrificate. Prima che incontrassero Mitia gli oggetti della sua arte si erano resi colpevoli del reato più imperdonabile del nostro tempo: erano diventati inutili ma continuavano ad avere un’anima, ultimo riflesso delle impronte del loro fattore. Un'anima terrena e per questo sacra. L’oggetto, colpevole nei confronti della divinità dell’utile, è dichiarato sacer e consegnato all’ira della divinità. Sacer era proclamato nella Roma repubblicana chi, colpevole di avere infranto la legge, era condannato ad essere gettato dalla rupe Tarpea. 
Mitia recupera gli oggetti dopo la caduta dalla rupe dell’utilità per restituirli ad una funzione sacra sulla soglia di templi shintoisti e della piana di Giza. Mitia riprende quegli oggetti dalla radura in cui lo scambio delle mortalità mostra la sua illusoria ingenuità, e salvandoli riporta l’uomo alla dimensione di essere mortale restituendogli la possibilità di “morire vecchio e sazio della vita”.
Nella continua risonanza tra oggetto e soggetto si svolge la tragedia umana che l’artista mette in scena per la propria e altrui catarsi. Il museo/garage di Mitia è un tribunale permanente di giganti alati e figure totemiche. Molti di loro, dopo lungo peregrinare per gli Appennini, sono tornati qui per celebrare il processo a homo sacer, colpevole di avere rinnegato il proprio destino. In una Stonehenge di legno e metallo homo sacer si trova al centro delle accuse e delle difese per essere restituito alla sua umanità e per questo essere infine assolto.


Se le creature di Mitia, antenati degli oggetti seriali, prefigurano l'assoluzione di homo sacer quale assoluzione sarà possibile dopo aver reso obsoleta anche la falsa immortalità promessa dall’industria per votarsi al digitale? L’industria ha ceduto il passo al digitale, la caduca materia è sconfitta dall’imperituro spirito e nell’apoteosi dell’hybris la morte è bandita. Quale assoluzione sarà possibile domani? Se una assoluzione sarà ancora possibile non potrà che venire dalla tremenda bellezza di cui canta Rilke in una delle sue elegie duinesi. Ne va della vita di un soggetto/oggetto che non si consegna alle sirene dell’utile e dell’immortale.


1 commento:

  1. Pensavo a quando gli oggetti recuperati rivivranno - giocoforza - un'ulteriore gettatezza e forse un miracoloso nuovo recupero, chissà se rimarrà in superficie traccia di un passato turbolento, oppure sonno infinito tra relitti di deliranti maree.

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